Capitolo 15:
Sentimenti contrastanti.
“U-Usa!
Dai, non fare così!”
Motoki era
spiazzato da quelle lacrime e cercava qualsiasi
mezzo per far smettere di piangere l’amica, invano.
“Maledetto
Mamoru! Guarda cosa hai combinato!”, pensò,
guardando la ragazza che nel frattempo era caduta a terra
perché le ginocchia
non le avevano retto.
Usagi dal canto
suo non capiva più niente. Non era più
lucida, ma aveva solo voglia di piangere.
Non comprendeva
il gesto di Mamoru. Perché era stato così
freddo con lei? Per Seiya? Perché lui ora non era
più in Giappone?
Sospirò.
Che importanza aveva? Avrebbe potuto costruire mille
ipotesi, ma non le sarebbe servito a niente. Quella stretta che
avvertiva in
fondo al cuore non sarebbe comunque riuscita a non farle male.
L’aveva
ferita. Era stata davvero quella la sua intenzione?
Beh, c’era riuscito!E ora si sentiva così vuota,
così sola.
Non udiva le
parole che il proprietario del locale le stava
pronunciando per consolarla. Non era in grado di ascoltare nulla. Aveva
lo
sguardo a terra. Le sue lacrime come gocce di rugiada avevano bagnato
il
pavimento sotto di lei.
Voleva solo
piangere. Continuare a farlo. Non voleva affatto
trattenere la disperazione che la stava affliggendo.
Doveva sfogarsi.
Voleva sfogarsi.
Seiya. I suoi
sentimenti per Mamoru. La freddezza di quest’ultimo.
Le bugie che la uccidevano dentro. Non sopportava più la
situazione che stava
vivendo. Non l’avrebbe sopportata per molto. Ma non poteva
fare niente. Non
poteva buttare all’aria l’amore di Seiya, la sua
carriera. Non poteva nemmeno
fare finta che Mamoru non esistesse. Cosa avrebbe dovuto fare?
Anteporre la sua
felicità a quella del suo ragazzo? Non poteva essere
così meschina, così egoista.
Si mise le mani sul volto. Avrebbe voluto sparire per sempre.
Se ne stava
lì, immobile sul pavimento. Motoki le parlava, ma
senza risultato. Era un problema perché stavano per arrivare
dei clienti.
Sicuramente ad Usagi non importava, ma a lui sì.
“Usa,
alzati e vieni con me!”
Si era
avvicinato a lei e l’aveva sollevata da terra. Usagi
non capiva, ma percepì la mano di Motoki che afferrava il
suo braccio e che la
trascinava nel retro del locale, lì dove c’era il
magazzino.
“Aspetta
qua! Servo quei ragazzi e torno!”
La ragazza
annuì, continuando a disperarsi.
Si sentiva
proprio una stupida. Una stupida a trovarsi in
quella situazione. Una stupida ad amare Mamoru quando aveva un ragazzo
perfetto
che era pazzo di lei. Era davvero una stupida.
Avrebbe voluto
avere una gomma per cancellare tutto. Per
iniziare completamente da capo.
“Ehi,
Usagi stai meglio?”, le disse Motoki che aveva appena
finito di servire la colazione ad alcuni giovani.
La ragazza non
rispose. Continuava a versare lacrime in silenzio.
“Usagi
perché piangi? Cosa ti succede?”, le chiese con
dolcezza, avvicinandosi verso di lei, che se ne stava seduta su una
sedia con
la faccia nascosta tra le mani.
“Allora?
Me ne vuoi parlare?”
La ragazza
alzò il viso. Lo guardava, cercava conforto.
“Moto..
io..”
Aveva iniziato a
dire qualcosa, ma non ci riusciva. La
tristezza aveva il soppravvento su di lei.
“Moto...
io... Mamoru... Seiya... lo amo...no...non
posso...non ce la faccio...”
Pronunciava
frasi sconnesse, iniziando a singhiozzare e lasciando
Motoki in preda alla confusione e al panico.
Decise di
calmarsi. La cosa ovvia da fare era solo una. Usagi
sembrava davvero inconsolabile.
Tornò
al bancone, alzò la cornetta del telefono e compose un
numero.
Dall’altra
parte del ricevitore, una ragazza dai capelli
rossicci, vestita con un gli abiti consoni a una cuoca, gli rispose.
“Pronto,
ristorante Jupiter.
Sono Naru, cosa desidera?”
“Sì,
pronto! Sono Motoki, il marito di Makoto. Me la puoi
passare Naru?”, chiese con la sua solita gentilezza.
“Certo,
Moto. Vado a chiamarla subito! Attendi in linea.”
E
così dicendo, avanzò verso la cucina dove si
trovava
Makoto, che aveva radunato aiuto cuochi e camerieri tutti nello stesso
momento.
“Allora
ragazzi, avete capito? Oggi abbiamo un pranzo molto
importante. Dobbiamo mettercela tutta! Intesi? Allora facciamo un hip hip urrà tutti insieme!
Pronti? Hip, hip,
Urrààà!”
Makoto amava
davvero il suo lavoro e ci metteva molta
passione. I suoi aiutanti poi le volevano un gran bene.
“Mako!”,
la chiamò Naru, una volta entrata nella stanza.
“Sì?”
“C’è
Motoki al telefono!”
“Motoki?
E che vuole?!”, domandò sbigottita.
“Non
lo so, non mi ha specificato a dire il vero.”
La ragazza,
preoccupata, avanzò verso il telefono.
“Ciao
amore! Cosa c’è? Per chiamarmi al lavoro deve
essere
successo qualcosa di grave! Stai male per caso?”, chiese,
quasi in preda al
panico.
All’uomo
venne da ridere. Erano poche le volte in cui la
moglie si agitava in quel modo.
“No,
tranquilla tesoro. Non si tratta di me, ma di Usagi!”
“Usagi?
Cosa ha fatto?”
“È
venuta al Crown a cercarti e ha trovato me e Mamoru. Ma
quando lui è andato via ha iniziato a piangere come una
fontana e non riesco a
farla smettere. Ti prego, vieni a darmi una mano! Non so come fare, non
mi
ascolta!”
“D’accordo,
arrivo subito!”
Makoto sentiva
che la sua amica aveva bisogno di lei. Doveva
raggiungerla presto.
“Naru!”
“Si?”,
le rispose la
ragazza sopraggiungendo dalla cucina.
Makoto si
levò il grembiule e lo diede alla sua aiuto cuoca.
“Ma
che significa, Mako?”
Non credeva ai
suoi occhi.
“Devo
assentarmi per qualche ora. Motivi personali. Ti affido
il ristorante. Tu sei un’ottima cuoca e saprai cavartela al
meglio! Ho piena
fiducia in te. E già che ci sei fai lavorare quello
scansafatiche di Nephrite,
che meglio di lavare i piatti se ne sta tutto il giorno a
poltrire!”
La mora aveva
alzato la voce per farsi sentire dall’uomo dai
lunghi capelli marroni, che le stava donando occhiatacce.
“Ti ho
sentita, sai?”, le aveva detto.
Makoto sorrise,
divertita anche perché, Naru, segretamente
innamorata di lui, era diventata tutta rossa.
“In
bocca al lupo!”, le aveva sussurrato all’orecchio,
facendole l’occhiolino. Sperava tanto che quei due
concludessero qualcosa.
Con il pensiero
dei due giovani nella mente, si incamminò
verso il locale del marito.
Chissà
cosa era accaduto ad Usagi. Sicuramente Mamoru
c’entrava. Poverino! Se pensava a tutto il dolore che
l’uomo stava provando, si
sentiva male per lui. Doveva essere molto difficile scegliere tra il
bene di
Seiya e il proprio. Se poi aggiungiamo che la donna di cui sei
innamorato è
proprio la fidanzata del tuo amico, lo diventa ancora di
più. Ma adesso non
poteva rimuginare su di lui. Doveva focalizzarsi sulla sua amica.
In pochi minuti
raggiunse il Crown. Aveva camminato davvero
velocemente!
“Benvenuto!”
Motoki
l’aveva accolta, credendo si trattasse di un cliente.
“Ah,
Mako! Sei tu! Meno male!”
Makoto lo aveva
salutato con un candido bacio sulle labbra.
“Dov’è?”,
gli chiese.
“Vieni!”
Il marito
l’accompagnò in magazzino, dove si trovava una
Usagi ancora abbattuta. Era passata più di un’ora
dall’accaduto e lei frignava
ancora tantissimo, non arrivando a calmarsi.
“Usa,
c’è Makoto!”
Makoto? Mako era
davvero lì?
“Usa...”,
le sussurrò dolcemente la ragazza avvicinandosi a
lei.
“Mako!”,
urlò la biondina, saltandole addosso e continuando a
singhiozzare.
“Vi
lascio sole.”, disse Motoki, allontanandosi e tornando
verso il bancone.
“Su
Usa. Piangi, sfogati pure. Ma poi devi spiegarmi cosa ti
ha scatenato tutto questo!”
La mora la
rassicurava, accarezzandole dolcemente i capelli. La
ragazza si sentiva protetta tra le braccia dell’amica.
Dopo circa dieci
minuti era riuscita a calmarsi.
“Allora
Usa, si può sapere che ti è preso?”
La cuoca le
sorrideva gentilmente, invitandola a farle
conoscere il motivo che l’aveva ridotta in quello stato
pietoso.
Usagi non sapeva
da dove iniziare. In realtà non immaginava
come Makoto avrebbe reagito alla sua spiegazione. Ma doveva pur sempre
cominciare.
Beh, doveva
dirglielo. Doveva confessarle i suoi veri
sentimenti. Si sentiva però decisamente in imbarazzo. Il
mordicchiarsi il
labbro era la prova più evidente del suo stato
d’agitazione.
“Ehm..
ecco Mako.. io... mi sono innamorata di Mamoru!”
L’aveva
detto! Ce l’aveva fatta!
Makoto la
guardava perplessa. Aveva forse sentito male?
“Ripeti
un po', scusa! Credo di aver udito il nome
sbagliato.”
Ma come? Dopo
tutta la fatica che aveva fatto, era
impossibile che non avesse capito.
“No,
Mako hai sentito benissimo.”
“Ma ti
dico di no, Usa-chan! Non ho compreso bene le tue
parole!”
Usagi sorrise.
Quando l’amica ascoltava qualcosa che non le
piaceva, faceva sempre finta di non aver inteso.
“Vuoi
che ti faccia lo spelling?”, disse, provocandola. Si
stava divertendo un mondo a vedere le facce stranite che la mora stava
facendo
in quel momento.
“Sì,
grazie!”
“Allora...
io sono innamorata di... M-A-M-O-R-U!
Mamoru! È
semplice,
suvvia!”
Makoto sperava
di aver ascoltato male. Invece no. Aveva
capito benissimo.
“Ma..
ma Usa! Sei impazzita?”
La ragazza non
poteva credere alle sue orecchie. Aveva il
sospetto, ma sperava di essersi sbagliata.
“Sì,
effettivamente sono proprio pazza. Ma è così. Lo
amo.”
La biondina
guardava la cuoca con fermezza. Non era stato facile
per lei svuotare il sacco.
“Ma
Usa-chan tu stai con Seiya!”
La mora aveva
scosso la testa. Era davvero un problema. Come
poteva essere così egoista? Come poteva non pensare al
cantante?
“Lo
so, ma vedi Mamoru mi ha davvero rubato il cuore e ora
non so come fare! Faccio finta di niente con Seiya... faccio finta che
con lui
sia tutto normale. Quando mi telefona e mi rivela che gli manco, gli
dico anche
io che lui manca a me, ma... ma non è così! Non
è così e io non posso certo dirgli
Seiya io non amo te... non posso
spezzargli il cuore... e la carriera! Lo conosci, farebbe pazzie per
me. Non
voglio mandare all’aria il sogno di una vita! E non posso
parlargli di Mamo, dell’amore
che provo per lui. Lo odierebbe e io non voglio rovinare la loro
amicizia.
Allora gli mento, lo riempio di bugie. Prendo in giro anche me stessa
perché io
voglio Mamoru, voglio stare insieme a lui, ma non posso.”
Il pianto appena
celato tornò a rigarle il volto candido, ma
pallido.
“Scusa
Mako, non riesco a trattenermi. Oggi lui mi ha fatto
capire che mi odia. Mi ha trattato con una freddezza inusuale. Una
volta mi
avrebbe chiamata Usako. Questo mi rendeva felice, speciale
perché erano le sue
labbra a pronunciarlo. Ora invece dovrò accontentarmi del
solito Usagi, il mio
solito stupido nome. Sono sicura che non vuole più saperne
di me.”
La mora era
rimasta di sasso. Quelle parole pronunciate con
tanta sincerità racchiudevano un dolore che non avrebbe mai
potuto capire. E
lei cosa aveva fatto per aiutarla? Niente, un bel niente.
L’aveva solamente
giudicata. La stava giudicando fino a un attimo prima. Si vergognava di
sé
stessa.
“So
come la pensi, Mako. So che vuoi bene a Seiya e anche io,
credimi. Ma non lo amo. Io amo Mamoru. Lo amo più di ogni
cosa al mondo. Non so
perché, ma sento di appartenere a lui da una vita.”
“Oh,
Usagi...”
La cuoca stava
per commuoversi. Odiava quel lato del suo
carattere. La rude e forte Makoto si scioglieva alla vista di amori
tormentati.
Prima Mamo, ora Usa. Era davvero troppo per le sue coronarie.
Si
inginocchiò davanti alla biondina e le prese le mani.
“Usa,
calmati e rifletti un attimo. Tu mi hai rivelato che
Mamoru si è dichiarato a te, quindi come può
odiarti ora?”
La ragazza
cercava di farle forza ed Usagi lo apprezzava
tantissimo. Ringraziava il cielo per avere una amica come Mako-chan.
“Non
ti odia affatto!”
Motoki era
entrato in stanza, non aspettato.
“Perdonatemi,
ma non ho potuto fare a meno di sentire quello
che stavate dicendo!”, rivelò facendo una
linguaccia alla moglie che lo stava
maledicendo con lo sguardo.
“Quando
ti toglierai il brutto vizio di origliare le
conversazioni degli altri?”, lo accusò, stizzita,
Makoto.
“Eddai,
amore! Non ho mica ucciso nessuno!”
Il proprietario
del Crown cercava di difendersi come poteva.
Sapeva che la sua consorte
era un osso
duro da affrontare. Quest’ultima si era infatti sollevata da
terra, lasciando
andare le mani dell’amica e avanzando minacciosa verso di lui.
“Dici
davvero, baka?”
Adesso lo stava
sfidando, tirandogli il grembiule appuntato
al collo.
“Addirittura
baka
mi chiami? Non me lo merito questo trattamento da te! Che razza di
moglie
sei?”, si lamentò il ragazzo.
“Ahahahahahahahahahahahahahahahahah!”
Una risata
fragorosa li distolse dal loro strano litigio.
Usagi non aveva resistito a quella scenata... era davvero uno spasso! I
due
protagonisti la guardavano stupiti, ma contenti di vederla ridere di
gusto.
“Usa
sembriamo davvero due clown?”
“Uhm,
quasi! Vi manca solo il pallino rosso al naso! Comunque
siete davvero una coppia perfetta... un po' vi invidio.”
Le parole della
biondina avevano un sapore amaro,
malinconico. Quei due non c’entravano niente, ma provava
gelosia nei loro
confronti. Tra lei e Seiya non c’era mai stata tanta
complicità e mai ci sarebbe
potuta essere. Chissà invece con Mamoru. Ah, già
non poteva.
Una nuova ondata
depressiva l’assalì, ma questa volta era
sfinita. Abbassò il viso. Non aveva più forza.
“Usa-chan
non dire così!”
Motoki, seguito
da Makoto, le si era avvicinato, sollevandole
il volto delicatamente verso lui e la moglie.
“Credi
veramente che Mamo possa provare odio verso di te?”
La ragazza lo
guardava stupita. Cosa stava cercando di dirle?
“Non
lo penso. È una certezza. Me l’ha fatto capire
prima. Mi
disprezza e non posso dargli torto.”
I suoi occhi
erano spenti. Le pupille dilatate.
“Sbagli.”
Il proprietario
del Crown aveva pronunciato quelle parole convinto
e sicuro di sé, andando verso la piccola finestrella che
illuminava il
magazzino.
Usagi e Makoto
si guardavano meravigliate. Non lo capivano.
“Andiamo,
Usa-chan. Lui è pazzamente innamorato di te, è
scientificamente impossibile che ti odi. Non apprezzo il suo modo di
fare
impulsivo, ma è evidente che ha voluto mandarti un
messaggio. Lui sta soffrendo
molto perché tu sei la ragazza del suo amico ed è
inaccettabile amarti. Ne è
consapevole e allora cerca di non pensarti, cerca di dimenticarti e se
prima ti
ha trattata con freddezza è perché doveva farlo
per il bene di tutti, ma
soprattutto per Seiya. Io sono d’accordo con lui. Usa-chan
è meglio per te
dimenticarti di Mamoru. Impara ad amare Seiya e vedrai che sarai
felice. Come
prima che Mamo tornasse in Giappone. Ricordi come eri contenta con il
tuo
ragazzo?”
Motoki aveva
spiazzato tutti con il suo discorso. Makoto lo fissava
intensamente.
“I-io
appoggio quello che ha detto, Usa.”
Il ragazzo le
sorrise. Sua moglie era con lui.
Usagi osservava
i due sposi, triste. Il loro punto di vista
era giusto, ma come poteva ignorare i suoi sentimenti per Mamoru?
“Mamo-chan...”
Aveva sussurrato
il suo nome. I due coniugi l’avevano
sentita.
Lei lo amava e
non poteva evitarlo. Lo avrebbe amato comunque
anche se lui l’avesse disprezzata per sempre.
Perché lui voleva proteggere
Seiya. Come poteva non capirlo? Anche lei si preoccupava per il
cantante. Non
avrebbe mai voluto farlo soffrire.
“Ti
sbagli, Moto. Voglio bene a Seiya, ma amo un altro uomo
che probabilmente non sarà mai mio. Non mi importa,
però non voglio fuggire dal
mio sentimento. Voglio covarlo e viverlo. Non ho intenzione di far
soffrire il
mio ragazzo, ma appena tornerà qui gli parlerò.
Non posso fingere con lui.
Adesso lo sto facendo, è vero, ma solo per il suo bene. Non
mi importa se Mamo
ha deciso di dimenticarmi. Io non lo farò. Lui
potrà trattarmi male per sempre,
ma io sempre lo amerò.”
Nelle sue frasi
traspariva la grande determinazione che da
sempre la caratterizzava. Avrebbe sofferto da morire, ma non poteva
più tirarsi
indietro.
Non le
interessava che i suoi migliori amici non la
appoggiassero. Nel suo cuore c’era posto solo per Mamo-chan.
“Ma
Usagi...”
Motoki voleva
dissuaderla dal suo proposito, ma Makoto lo
fermò, facendogli no con la testa. Il ragazzo decise allora
di tornarsene al
bancone.
La cuoca
regalò un sorriso all’amica. Era davvero maturata
molto. Non sembrava più lei.
“E va
bene, Usa-chan! Abbiamo capito che sei cotta di quel
disgraziato. Non tenteremo più di farti cambiare
idea.”
La
felicità dipinse il volto della biondina, che si
alzò
dalla postazione in cui era seduta e andò ad abbracciare
l’amica.
“Grazie,
Mako-chan!”
“Piano
Usa che così mi stritoli!”
Le due si
guardarono negli occhi e scoppiarono a ridere.
Bastava così poco per stare bene. La giovane si era
finalmente rilassata e si
sentiva molto meglio. Le era persino venuta un po' di fame.
Br
br br br!
“Cosa
è questo rumore?”, chiese Makoto, non capendo la
fonte
di quello strano suono.
La ragazza con i
codini rideva, imbarazzata.
“È
il mio stomaco, Mako!”
“Ah
ah! Dai su, andiamo da Motoki. Ti faccio preparare uno
dei suoi super panini farciti e poi un bel gelato al
cioccolato!”
Gli occhi della
biondina brillavano di gioia. Quanto adorava
la sua Mako-chan!
Avanzarono verso
il locale e Motoki fu felice prima di
appurare che Usagi si era ripresa e poi di constatare che le era venuto
appetito. Era un po' preoccupato per quello che sarebbe potuto accadere
tra lei
e Mamoru, ma decise di non fossilizzarsi. Alla fine non era affar suo.
Preparò
un mega panino per la ragazza con dentro maionese,
ketchup, salame, insalata e mozzarella. Ovviamente lei lo
divorò, insieme al
gelato servito poco dopo.
Anche Makoto
decise di fermarsi a mangiare con lei.
D’altronde era ora di pranzo e al ristorante sarebbe tornata
non appena avesse
concluso il suo pasto.
“Uaaah!
Era tutto buonissimo!”, disse Usagi, ormai piena. Che
fortuna avere due amici così bravi in cucina!
All’improvvisò
si incupì. Era come se si fosse dimenticata di
qualcosa.
“AAAAAAAAAAAAAhhhhhhh!”,
urlò, in preda al panico lasciando
sbigottiti tutti i presenti.
“Cosa
ti prende ora, Usa-chan?”
“Mako!
Mako! Dimmi che ore sono!”
La ragazza
ancora interrogativa guardò l’orologio che aveva
al polso.
“Le
14, Usa.”
Impallidì.
Era davvero tardissimo.
“È
terribile! Mia madre mi ucciderà! Dovevo portarle le
medicine parecchie ore fa!”
Si
alzò di scatto dallo sgabello in cui era seduta.
“Grazie
Motoki. Grazie Mako-chan, ma ora devo scappare!
Grazie di tutto e mi dispiace avervi fatto perdere tempo! Ci sentiamo
presto!”
Li
salutò e corse via verso casa.
Nel
frattempo....
Mamoru stava
tornando nel proprio appartamento dopo
un’estenuante giornata di lavoro. Tra tirocinio e visite, era
andata anche
peggio di quello che aveva previsto. Camminava lentamente verso la via
che lo
conduceva a casa e ragionava.
Purtroppo aveva
incontrato Usagi quella mattina.
La bella e
dolente Usagi che gli aveva fatto perdere
completamente il lume della ragione. L’amava, ma non poteva
essere sua. Non
poteva perché era la donna del suo amico.
Seiya lo
considerava un fratello e aveva completamente
fiducia in lui. Non poteva certo rubargliela. Che razza di uomo sarebbe
stato? E
allora era costretto ad allontanarla, a levarsela dalla testa.
Era tosta
però. Usagi gli veniva in mente di giorno, ma
soprattutto di notte. La sognava persino in atteggiamenti erotici con
lui.
Dio, come si
odiava! Si sentiva uno schifo allucinante.
Quella mattina
poi in particolar modo. L’aveva trattata
malissimo. L’aveva umiliata e non si perdonava per questo.
Non riusciva a
dimenticare il suo sguardo ferito.
Era stato
davvero un verme. Ma non aveva altra scelta.
Doveva
scordarla. Rimuoverla dal suo cervello. Dal suo cuore.
Doveva sparire, svanire nel nulla.
Ci sarebbe
riuscito? Non ci credeva più che tanto, però
almeno doveva tentare.
Intanto, la
diretta interessata correva, nel viale antistante
dove lui si trovava, come una forsennata.
“Cavolo,
sono in un ritardo apocalittico!”
La madre la
stava aspettando da moltissime ore e lei che
aveva fatto? Aveva perso tempo! Adesso una ramanzina non gliela avrebbe
tolta
nessuno.
Si muoveva
talmente rapidamente da non accorgersi della
presenza dell’uomo di fronte a lei. Gli passò
affianco, ma non lo vide neanche.
Teneva gli occhi chiusi per la fatica che stava provando.
Il medico,
invece, l’aveva inquadrata benissimo.
Scappava come un
fulmine! Forse ne aveva combinata una delle
sue, chissà. La seguiva con lo sguardo. Si era fermata a
pochi passi da lui.
Come aveva potuto non vederlo? Sorrise. Era proprio una pasticciona.
La ragazza si
era arrestata davanti il semaforo, rosso.
Ansimava, non aveva più fiato. Doveva attraversare il
marciapiede, ma il verde sembrava
non scattare più.
“Eddai
che sono in un ritardo cosmico! La mamma mi
ammazzerà!”
Guardò
la strada. Sembrava che non passasse nessuno. Decise
allora di buttarsi anche se c’era ancora il segnale di stare
fermi.
Improvvisamente
a metà strada una macchina accelerò. Ormai era
troppo tardi per tornare indietro.
Stretch!
Il rumore di una
frenata. Poi, il buio. Il tutto, in pochi
attimi.
Quando la
giovane aprì gli occhi, si ritrovò a terra tra le
braccia di qualcuno.
Non riusciva a
vederlo, ma sentiva un profumo buonissimo. Una
fragranza che già conosceva.
Mamoru,
assistendo a tutta la scena, si era precipitato a
salvarla. Fortuna che si trovasse lì in quel momento.
“Usako,
stai bene?”
Quella voce.
Quel tono. Era lui, era Mamo. La stava
abbracciando. Si sentì avvampare. Si trattava forse di un
sogno?
Un momento.
Aveva attraversato e non si era accorta che un’auto
stava sopraggiungendo verso di lei. Lui, lui l’aveva salvata.
Arrossì
e lo fece ancor di più quando il medico si
sollevò da
lei e la guardò con i suoi profondi occhi azzurri. Per un attimo si perse in
essi.
“Stai
bene, Usako?”, le ripetè visto che la prima volta
non
gli aveva risposto.
“Ehm
sì, credo di sì.”, rispose, mentre
l’uomo le porgeva la
mano per aiutarla a rimettersi in piedi.
Al contatto
della sua pelle, forti emozioni simili a scariche
elettriche attraversarono entrambi. I loro sguardi si incrociarono per
un
istante, interrotto improvvisamente dal conducente
dell’autovettura.
Un signore
anziano stava avanzando verso di loro.
“Tutto
bene, ragazzi?”, domandò, spaventato. La ragazza
gli
era piombata davanti senza che lui potesse fare nulla.
“Sì,
signore. Non si preoccupi, anzi perdoni la mia amica. È
stata avventata.”
Fissava il
ragazzo. La stava giustificando.
“M-mi
scusi.”, disse con gli occhi a terra, a causa della
vergogna per il pasticcio che aveva combinato.
“Oh,
non c’è problema. L’importante
è che stiate bene! Vi
porto in ospedale?”
Mamoru fece
cenno di no.
“Non
si preoccupi. Sono un medico.”
“D’accordo,
allora sto tranquillo. E lei, mi raccomando, stia
più attenta la prossima volta!”
Usagi disse di
sì con la testa, scusandosi ancora una volta
mentre l’anziano si allontanava velocemente.
Rimasero soli.
La biondina
sentiva il cuore scoppiarle in petto. Non si
aspettava di incontrare il dottore in quelle circostanze.
Era felice.
Mamoru l’aveva anche chiamata Usako, ma la cosa
più importante era che lui le aveva salvato la vita.
Sì, aveva qualche graffio
qua e là sulle gambe, ma era tutta intera grazie a lui. Era
doveroso per lei essergli
riconoscente.
“Mamo,
grazie. Per avermi salvata, dico. Grazie.”
Che fatica
pronunciare quelle poche parole! Doveva farlo. Le
era davvero grata.
Mamoru le dava
le spalle ed era molto arrabbiato con lei. Aveva
rischiato di perderla in un modo così stupido! Si
girò di scatto verso di lei.
“Grazie
un corno, Usako! Ti rendi conto che per una tua
leggerezza potevi morire? Dio, non voglio nemmeno pensarci! Sei stata
davvero
una stupida!”
La ragazza lo
guardava attonita, ma non poteva dargli torto. Abbassò
la testa. La vista si stava annebbiando.
“Mi
dispiace, Mamo... non volevo... non ho visto la macchina...
io.. io...”
Le lacrime le
rigarono il volto. Iniziò a piangere, più per
averlo deluso che per il rischio che aveva corso.
“Stupida...”,
sussurrò il ragazzo, accarezzandole una guancia
con dolcezza.
Non ce la
faceva. Vederla piangere era troppo per lui.
Si
avvicinò a lei e, senza che lei potesse accorgersene,
l’abbracciò con tutta la forza che aveva in corpo.
La biondina spalancò gli
occhi per lo stupore.
“Stupida,
stupida, stupida Usako! Sei davvero una stupida.”
Mamoru era
infuriato con lei, ma l’amava e quelle lacrime
l’avevano
mandato in tilt. Aveva rischiato di andarsene e questo non poteva
sopportarlo.
Lei era
lì, viva tra le sue braccia. Sentiva il suo respiro,
il suo calore. Le accarezzava delicatamente i capelli. Emanavano un
profumo
inebriante che non riusciva a farlo rimanere lucido.
La giovane
sentiva il cuore di lui battere forte, fortissimo.
Si sentiva protetta tra quelle braccia possenti. Le sembrava di toccare
il
cielo con un dito. Lo amava. Lo amava tantissimo.
“Perché
non posso tenerti stretta a me tutte le volte che
voglio? Perché? Perché mi sto facendo del male
abbracciandoti ora? Mannaggia a
me che mi sono innamorato di una stupida come te! Ma che posso farci?
Io ti amo
Usako! Ti amo!”
Affondò
il viso tra i suoi codini. Voleva sentire ancor di
più il suo odore. Doveva sentirlo.
Usagi sentiva un
calore invaderla dentro. Quelle parole, enunciate
con tanta onestà, l’aveva sciolta dentro. Aveva
caldo. Era sicura di essere diventata
rossa come un peperone.
Anche lei lo
amava. Voleva dichiararglielo. Doveva farlo,
prima che fosse stato troppo tardi. Ma non riusciva a emettere nessun
suono per
quanto si sforzasse. L’emozione che provava era
eccessivamente forte. In quel
momento lei era finalmente sua, completamente sua. Avrebbe voluto che
quell’istante
non fosse finito mai. Voleva che quella magia durasse per sempre.
All’improvviso
lui si staccò, allontanandola. L’incantesimo
era svanito.
“Ma
che sto facendo? Sono un idiota, non posso!”
Le immagini di
Seiya, che gli sorrideva, che gli cantava l’amore
che sentiva per Usagi, che aveva quella profonda fiducia in lui, gli
vennero in
mente prepotentemente. Non poteva, non poteva stare lì fermo
con la ragazza del
suo amico a esprimerle ancora una volta i suoi sentimenti. Non era
giusto. Per quanto
facesse male.
La biondina era
sbalordita da quel gesto, ma lo comprendeva.
Seiya, lui stava pensando a Seiya. Era legittimo, ma doveva fare
qualcosa. Il suo
amore lui forse lo intuiva già, ma voleva confessarglielo lo
stesso.
“Mamo...
io volevo dirti che... io...io ti..”
Si
fermò. Il medico mise un dito sulle sue labbra,
zittendola. Non voleva ascoltarla. L’avrebbe consumato ancora
di più. Doveva mettere
fine a quella tortura.
“Non
farlo, ti prego. Torna a casa, Usako e dimentica tutto.”
Si
distaccò da lei, con lo sguardo addolorato e colpevole.
Usagi lo
osservava stupita, senza che potesse fare nulla per
fermarlo. Lui stava correndo, stava scappando via da lei.
Lo guardava
allontanarsi. Non poteva fare più niente in quel
momento. Erano già successe troppe cose quel giorno.
“Oh,
no! La mamma!”
Perché
si dimenticava sempre di lei? Se solo Mamoru fosse
stato come la sua genitrice, l’avrebbe scordato facilmente.
Scoppiò a ridere. Era
davvero impossibile.
Tornò
a correre e quasi immediatamente arrivò a casa.
“Uuuusagi!
Coff, coff!
Ma ti rendi conti di che ore sono? Meno male... coff,
coff... che facevi in un baleno! Dammi le medicine, figlia
degenere! Vai solo perdendo tempo!”
Ikuko era
inviperita con la figlia, ma conosceva benissimo il
carattere di questa.
La ragazza la
guardava con aria colpevole, tentando di
giustificarsi.
“Scusami,
mamma! Diciamo che ho avuto una mattinata molto
movimentata!”