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Autore: miss moonlight    15/02/2012    10 recensioni
Marzio Chiba è il tipico ragazzo ribelle, conosciuto per le sue “bravate” e sempre sulla bocca di tutti. Leader del suo gruppo di amici, è l’unico che con la sua freddezza e calma riesce di tanto in tanto a tenerli a bada. Le mattine, i pomeriggi e le serate, scorrono con la loro monotonia caratterizzati dal mancato dialogo con il padre. Tutto cambia con l’arrivo di Bunny che, con la sua determinazione e la sua bontà incondizionata, mette Marzio difronte alla realtà e alle conseguenze dei suoi comportamenti. Marzio si ritroverà spesso a scoprire un nuovo mondo, il mondo di Bunny, fin quando i due non si troveranno coinvolti in una serie di situazioni che li porterà ad innamorarsi. Ma il lieto fine per i due è ancora lontano…
Due persone e due mondi a confronto, il tutto unito dalla magia che solo un sentimento potente può creare.
ATTENZIONE: Fanfic narrata dal punto di vista di Mamoru. Personaggi OOC!
Ogni riferimento a cose o persone è puramente casuale. I fatti narrati sono frutto dell’immaginazione dell’autrice.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Mamoru/Usagi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Capitolo cinque: Un passo nel suo mondo


- Questo è un colpo da maestro.- avvisò Taiki prima di colpire la pallina bianca con la sua pedina.
Fortunatamente Moran in difesa ci sapeva fare e riuscì a parare la piccola porta. – Carino, ma devi migliorare la tecnica. Marzio ce la facciamo a portare a casa un punto? –
- Yaten, mi fai segnare? – chiesi divertito al mio amico che difendeva la porta.
Quel pomeriggio eravamo a casa mia, nella stanza “svago” che io e mia sorella Marta avevamo personalizzato. La nostra stanza dei giochi da bambini, la stanza che da grandi usavamo per stare con gli amici.
Io e Moran stavamo giocando a biliardino contro Yaten e Taiki e la partita procedeva alla pari da ormai una decina di minuti. C’era anche Seiya, ma non era interessato al gioco, preferiva leggere le riviste automobilistiche.
Era passata una settimana dalla nostra ultima uscita, ma nessuno di noi aveva più accennato a quella serata.
I ricordi che ci erano rimasti erano stati accantonati, così come quelli di tante altre sere.
Con essi, era stato accantonato anche l’entusiasmo di fine estate, sostituito dalla calma di inizio autunno.
Succedeva sempre così… d’estate eravamo sempre fuori, giornate al mare e picnic in pineta, ma quando le temperature diminuivano con il passare delle stagioni, preferivamo incontrarci a casa di uno di noi e passare il tempo a fumare, a parlare e ad intrattenerci con svariati discorsi. Parlavamo anche di ciò mentre giocavamo.
- È la natura, come gli animali quando vanno in letargo… e in primavera ci svegliamo più…-
-…più arrapati che mai! – esordì Seiya, interrompendo suo cugino – Che diavolo stai dicendo? Da quando ti sei messo a fare… lo scienziato? Come cavolo si chiamano gli idioti che sparano certe cazzate?-
Scoppiammo a ridere, cercando di non perdere la concentrazione. Ma non tutti riuscivano a trattenersi…
Goal. Ottenni un punto sfruttando la distrazione di Yaten. Gli feci l’occhiolino, battendo il cinque a Moran per lo spettacolare assist che mi aveva riservato.
- Grazie alla battuta di Seiya abbiamo ricavato un punto.-
Sorrise fiero: - E con questo vinciamo noi!  Dobbiamo andare Taiki, altrimenti non riusciremo ad arrivare in tempo all’incontro.-
- Che incontro? – chiesi curioso.
- Alcolisti anonimi? – abbozzò Seiya.
Taiki scosse la testa: - Ti ci avrei mandato a calci nel sedere, se fosse stato così. Ho convinto Moran ad iscriversi al corso di informatica avanzata.-
- Mi serve un passaggio, vengo con voi…- disse Seiya alzandosi.
Io risi della leggera irritazione che lessi sul volto di Moran.
Ci dirigemmo tutti alla porta d’ingresso per accompagnarli.
- Ci vediamo ragazzi! – ci salutarono per poi prendere posto nell’auto di Moran.
Io e Yaten li guardammo allontanarsi.
- Sai, Marzio? Secondo me quella degli alcolisti anonimi non è una cattiva idea?-
Lo guardai con un’aria interrogativa.
- Eh? Che stai dicendo… Noi non siamo degli alcolisti! –
Sogghignò: - Noi due no, ma immagina come sarebbe se Se…-
Stava scherzando, ma decisi comunque di interromperlo :- Non è il primo a prendersi una sbronza, lo facciamo anche noi.-
Mi ero appena voltato per rientrare in casa, quando udii il rumore di un’auto all’entrata del vialetto. Che cosa avevano dimenticato a casa mia?
- Marzio, credo che tu abbia delle visite! – mi disse Yaten attirando la mia attenzione.
Tornai indietro sui miei passi e dal porticato cercai di identificare il conducente, ma i finestrini oscurati non mi furono d’aiuto.
Poi lo sportello posteriore si aprì e la prima cosa che vidi fu un brillante fiocco rosso che fasciava una lunga chioma dorata.
- Marta…- il sussurro di Yaten precedette il mio pensiero.
Con un sorriso sul volto, rimasi inchiodato dallo stupore.
Mia sorella era tornata.
La mia adorata sorella aveva finalmente lasciato l’America per tornare da noi. La mancanza per la sua assenza era qualcosa che non riuscivo a definire. Per me lei era un sostegno, qualcosa di speciale.
Il tassista, tirò fuori dal bagagliaio due enormi valige rosa mentre lei ne prese una terza dal posto accanto a cui sedeva.
Marta e la sua teoria del “viaggiare leggeri”.
- La ringrazio, lei non immagina neanche il disagio in aeroporto, nessuno si è degnato di darmi una mano con i bagagli! – disse, sistemandosi il vestito lungo i fianchi.
- Marta!!! – urlai correndo verso di lei.
Sorrise venendomi incontro, la afferrai e, sollevandola leggermente dal terreno, la feci volteggiare.
- Marzio! Smettila, mi fai girare la testa! – disse ridendo. La posai giù e nei suoi occhi, pieni di entusiasmo, rividi anche i miei.
- Perché non mi hai detto che saresti arrivata? Ti aspettavamo tutti tra qualche giorno, avevi detto che non saresti riuscita ad arrivare entro oggi…-
Sistemò il fiocco sui suoi capelli, un gesto abituale. – Lo so, ma volevo farvi una sorpresa!–
L’uomo che aveva accompagnato Marta tossì discretamente, reclamando la nostra attenzione. – Signorina, se non c’è altro…-
- Oh, mi scusi tanto! Ha ragione, le pago il conto così può continuare il suo lavoro.-
Pagò il conto al tassista e mentre esso si allontanava si rivolse a me.
- Loro, mamma e papà, sono a casa? –
Scossi la testa. – Sono in azienda…- risposi mentre cercavo di prendere le sue valigie per entrare in casa. Erano pesantissime!
- Ma ti sei portata l’America appresso? - la stuzzicai – dovrò farmi aiutare… ehi Yaten, vieni a darmi una mano! – chiamai il mio amico che era rimasto sulla soglia, guardando la scena in silenzio.
- Yaten? – ripeté stupita Marta. Non si era accorta della sua presenza.
Si avvicinò. Nel momento in cui incrociò il suo sguardo con quello di mia sorella, vidi lei portarsi una mano sul cuore.
- Come stai, Marta? – le chiese, poi venne a prendere una delle valige - …ti trovo… in forma. Direi che l’America ti ha giovato! –
Lei annuì – Si, avevo proprio bisogno di una vacanza del genere.-
- Vacanza? – le chiesi. La mia voce tradì lo sforzo che mi costavano le sue due valige.- Nove mesi sono più che una vacanza!-
Rise: - Ho anche lavorato, lo sai! –
Quando chiusi la porta alle sue spalle, le sfuggi un sospiro : - Finalmente a casa! –
- Com’è tornare qui dopo tanto tempo? –
- Strano, Yaten… la tranquillità di questo paese, ogni piccola cosa… è come se fossi tornata indietro nel tempo. Come se non me ne fossi mai andata. Eppure molte cose non sono più le stesse di una volta.-
C’era un significato nelle sue parole e un altro in quelle di Yaten. Si riferivano a qualcosa che in quel momento mi sfuggiva, avrei sicuramente chiesto a mia sorella di parlarmene.
All’improvviso mi venne in mente il giorno in cui Marta mi disse che sarebbe partita.
 
Ero in camera sua mentre faceva le valigie.
“ Ho bisogno di allontanarmi per un po’. Lo devo a me stessa, devo concedermi una pausa” diceva muovendosi per la stanza.
“Che sta succedendo, Marta? Mamma e papà hanno creduto all’offerta che ti è stata posta, ma io so che c’è dell’altro. A me puoi dirlo. Perché stai andando via?”
Abbracciandomi, con le lacrime agli occhi, mi disse: “ Ti spiegherò quando io stessa avrò capito. Ti spiegherò tutto un giorno, quando sarò in grado di affrontare i problemi del mio cuore. Ora devo solo andare via…”
“La soluzione non è scappare. Me lo ripeti sempre.”
“Ma non sto scappando. Sto solo evitando di farmi del male ancora…”
 
Dalla serenità che irradiava, sembrava esserci riuscita. Ed io non potevo essere nient’altro che contento. Ad un tratto non mi importavano più i motivi che l’avevano spinta ad andarsene, l’importante era che lei stesse bene.
- Marzio vi lascio tranquilli, vado. Avrete tante cose da raccontarvi, immagino.-
- Ma no, Yaten. Puoi restare, non preoccuparti…- gli dissi.
Lui scosse la testa : - No, davvero. Tanto tra cinque minuti sarei dovuto andare via comunque. E poi immagino che tua sorella sia stanca e voglia riposare. Ripasso domani! – mi rispose avviandosi all’uscita.
- Come vuoi tu…ciao, allora.-
- Ci vediamo, Marzio.-
- Arrivederci, Yaten.- lo salutò mia sorella, lui si fermò un istante a guardarla e rispose al saluto : - Arrivederci, Marta.- e andò via.
Rivolgendomi verso mia sorella, le puntai un dito contro : - Tu mi devi raccontare un bel po’ di cose. Vieni, alle valigie ci penseremo dopo.- andammo in salotto, lei si lasciò sprofondare sul divano e io mi sedetti alla poltrona accanto.
- Che cosa vuoi sapere? – mi chiese divertita.
- Tutto quello che non sei riuscita mai a raccontarmi per telefono.-
Sospirò :- C’è così tanto ! Sicuramente la città che più colpisce è New York, la visiterei sempre. Passavo così tanto tempo a Central Park… Non so neanche da dove iniziare a raccontare! – sorrideva.
- Parti semplicemente dall’inizio, allora…-
Passammo le ore seguenti a chiacchierare del suo viaggio. Lei raccontava, io ascoltavo, annuivo e di tanto in tanto mi portavo una mano alla fronte, una reazione minima rispetto a ciò che mi diceva di aver combinato lontano da casa.
Appena vide sua figlia, mia madre diede libero sfogo alle lacrime, agli abbracci e ai baci. Anche mio padre si commosse e fu strano per me vedere luccicare i suoi occhi. Lui era un uomo che la maggior parte delle volte sapeva controllare le emozioni.
Cenammo tutti insieme quella sera e l’immagine della mia famiglia riunita mi rimase impressa nel cuore.
Mamma che serviva la cena, papà che sorseggiava il vino e Marta che tra un boccone e l’altro raccontava del suo soggiorno nel nuovo continente. Fu costretta ancora una volta a raccontare soprattutto di New York, dell’Empire State Building, su cui conveniva salire per godersi la vista sulla città, Rockefeller Center a 5a Ave, tra la 50a e la 51a Str , delle piccole passeggiate a Broadway per cogliere l’atmosfera magica e poi anche del maestoso Museum of Art, ma tralasciò quegli aneddoti un po’ bizzarri dei quali mi aveva parlato poco prima.
In quell’atmosfera allegra, le ore passarono senza che ce ne rendessimo conto e con molto buonsenso decidemmo di andare a letto e lasciar riposare mia sorella.
Disteso sul letto aspettai che il sonno mi cogliesse ascoltando il mio mp3.
Chiusi gli occhi, iniziando a cantare mentalmente le varie canzoni e pochi istanti dopo mi ritrovai a seguire il corso delle immagini che scorrevano nella mia mente.
Vedevo un parco verde, la statua della libertà, strade affollate e confusionarie…
Una parte di me era cosciente, sapevo che era solo un sogno che la fantasia aveva scatenato reduce dai discorsi della serata.
Un dormiveglia leggero, ecco cos’era. Ne ebbi la certezza quando avvertì dei rumori provenire dalla porta, qualcuno stava entrando nella mia stanza.
Aprii gli occhi e con la mano cercai l’interruttore della lampada che avevo sul comodino.
-Scusami, Marzio. Credevo fossi ancora sveglio…-
Stropicciai con la mano gli occhi accecati dalla luce.
- Avevi bisogno di qualcosa, Marta?-
Sembrò esitare. – Ti va di… ehm… farmi compagnia? –
Sorrisi.
 
Pochi minuti dopo io ero disteso sul divano mentre Marta era seduta su dei morbidi cuscini ai miei piedi, mangiando un gelato.
- Pensavo che mi avresti mandata al diavolo, sai? – disse passandomi un pacco di biscotti al cioccolato. Iniziai a mangiarne qualcuno.
- Non ero più abituato a questi spuntini notturni…- la vidi abbassare lo sguardo sul suo gelato alla vaniglia.
- Non mi hai ancora chiesto il motivo della mia partenza. Ricordo che volevi spiegazioni il giorno in cui ho fatto le valige.-
Era vero. – Sì.- confessai – ero arrabbiato e mi sentivo tradito. Sai bene quali sono i miei rapporti con papà, tu e mamma siete l’unico motivo per il quale sono ancora sotto questo tetto. Vuole fare di me una copia di sé stesso.-
Scosse la testa: - Sai che la penso diversamente. Avete lo stesso carattere, siete testardi e troppo orgogliosi, perciò non riuscite a trovare un punto d’incontro.- disse imboccando un’altra cucchiaiata del suo gelato.
-Non stavamo parlando di questo.- le ricordai. – Voglio sapere il motivo che ti ha spinta ad allontanarti da qui.-
Mi accertai che l’argomento non la turbasse o la rattristasse. Era tranquilla e il suo tono pacato lo dimostrava.
- Tu sai bene come ero fatta, perdevo facilmente la testa per un ragazzo. Mi bastava vedere un fotomodello su un volantino, un cantante in tv, un ragazzo carino per strada ed inevitabilmente me ne prendevo una cotta! – ridemmo insieme della sua frivolezza – Fin quando, un ann fa, non mi resi conto di essermi innamorata veramente.-
Mescolò il suo gelato lentamente ed io non le feci domande.
- Sai Marzio, l’amore non si può prevedere. Non sai né quando quel famoso fulmine ti colpirà e né chi avrà il potere di rapirti il cuore. Ed io… io non ho avuto fortuna.-
- Che intendi dire?-
Sospirò : - Non era il momento giusto per lui, non era pronto ad impegnarsi in una relazione seria. Aveva ancora voglia di divertirsi, di sentirsi libero in ogni circostanza, senza nessun legame o vincolo verso qualcuno. Ci abbiamo provato, abbiamo tentato di vivere una storia ma è durata poco più di qualche settimana. Esigevo troppo, qualcosa che lui non era in grado di donarmi. -
- Perché non me ne hai parlato? Ti avrei aiutata.- in quel momento mi sentii escluso, uno spettatore passivo della vita di mia sorella. Una sensazione spiacevole, rattristante.
Scosse la testa: - Eri proprio tu la persona a cui era più difficile raccontare tutto ciò. – mi guardò negli occhi – cosa avresti fatto se quel ragazzo, che mi stava facendo soffrire, era una delle persone che frequenti, uno dei tuoi amici? – continuò a guardarmi, aspettando che cogliessi un piccolo particolare che mi sfuggiva. Quando ripensai al pomeriggio trascorso, tutto all’improvviso sembrò farsi chiaro.
- Yaten.- dedussi – E’ lui vero? – la vidi annuire, pochi istanti dopo risposi alla sua domanda: - Lo avrei allontanato da te, da me. Ti avrei risparmiato la sua presenza qui, ogni cosa anche lontanamente poteva ricordartelo.-
- Sei sempre stato molto protettivo nei miei confronti.- Lo ero davvero, soprattutto con le persone alle quali volevo più bene. – Ed è per questo che non ti ho mai detto niente. Avresti perso un amico… Ed io avevo bisogno di tempo per riprendermi. Così l’unica soluzione mi è sembrata quella di partire e l’occasione si è presentata con quella proposta di lavoro. Mi sembrava un segno del destino e l’ho colto al volo.- tornò a mangiare il suo gelato.
- Ed ora? Stai bene? – scossi la testa infastidito dalla strana circostanza che si era creata nel pomeriggio – Hai dovuto rincontrarlo non appena hai messo piede qui!-
Sorrise vnendo a sedersi accanto a me ed io le feci più spazio sul divano.
- Certo, ero preparata a tutto ciò! Non devi preoccuparti.-
Le sorrisi. – Ti voglio bene.-
Mi strinse la mano: - Anch’io. –
Io sgranocchiai ancora qualche biscotto, poi Marta mi chiese: -E tu? Non hai nessuna novità da raccontarmi?-
Che cosa potevo dirle di me? La mia vita non era cambiata, non c’era stato nessun viaggio in quel periodo, nessun episodio che valeva la pena di essere ricordato.
- Niente di nuovo, solite cose. – le risposi infine.
- Non posso crederci! Nemmeno un piccolo particolare da rivelare alla tua sorella curiosa? – scherzò, ma guardando l’azzurro dei suoi occhi, me ne vennero in mente altri due simili, solo più intensi nel colore e nella profondità.
Decisi di raccontarle di lei. Dell’unica cosa che negli ultimi giorni mi aveva colpito.
- Veramente c’è qualcosa, anzi qualcuno… una ragazza a dirla tutta.-
Gli occhi di Marta si illuminarono. – Una ragazza? La conosco? – abbracciò le sue gambe e appoggiò la testa sulle ginocchia. – Racconta! –
Sorrisi quando le immagini delle innumerevoli espressioni di Bunny mi tornarono in mente. I primi giorni in cui l’avevo fatta innervosire, il suo volto illuminato sempre dal sorriso, la sua espressione quando si addormentò sulla mia spalla…
Ma cosa potevo dire in realtà di Bunny a mia sorella? Era solo la mia compagna di banco, un’amica non intima, qualcuno che nel corso delle mie giornate era solo di passaggio.
Ma allora perché gliene volevo parlare?
- Non c’è niente in realtà. Non credo che tu la conosca, ma… lei è …- non riuscivo ad esprimere i miei pensieri. Bunny non era diversa dalle altre, era semplicemente particolare. Discutevamo spesso su ogni cosa. Su una battuta cattiva che mi sfuggiva, sulla sua tenera goffaggine, che lei chiamava “distrazione nei movimenti”, sul mio metodo di spiegarle come si può risolvere un esercizio di algebra. A volte si infuriava e mi teneva testa, altre volte lasciava perdere e stando in silenzio, con un sorriso, mi concedeva la vittoria, così come si fa con un bambino.
Non faceva mai quello che mi aspettavo ed era per questo che mi sorprendeva sempre più.
– Bunny è semplicemente Bunny. Unica nel suo genere – sorrisi scuotendo la testa – non ho mai conosciuto una persona bizzarra come lei.- conclusi.
- Quindi non frequenti più quella…come si chiamava… Rea? –
Pensava che io uscivo con Bunny? Marta era fuori strada.
- Si, frequento ancora Rea. Bunny è solo una mia compagna di scuola.- spiegai.
-Capisco…! A proposito, credo che ora sia meglio andare a letto! Non vorrai mica dire alla tua compagna di banco che hai le occhiaie perché sei stato a mangiare biscotti e gelato con tua sorella?! – scherzò, ma io immaginai perfettamente la scena. Bunny avrebbe riso di gusto all’idea di me che furtivamente mi intrufolo in cucina di notte per mangiare.
- No! Non ci tengo proprio! – le risposi ridendo mentre le tiravo un cuscino sul ventre – sogni d’oro, Marta! –
 
Il mattino seguente mi svegliai con un sorriso. Il vociare confuso che proveniva dalla cucina mi piaceva, preannunciava che quella mattina avremmo fatto colazione tutti insieme. Andò esattamente come mi aspettavo e così, all’insegna del buon umore, iniziai la mia giornata.
All’entrata del liceo incontrai Rea che mi venne incontro per salutarmi.
- Ho saputo della novità! Tua sorella è tornata, mi piacerebbe venire a trovarla.- mi disse ed io trattenni un sorriso. Marta ricordava a stento il suo nome, non era mai entrata nelle sue grazie. Rea non era di certo l’amica a cui avrebbe chiesto di accompagnarla per una giornata di shopping!
Un altro sorriso spontaneo mi apparve sul volto quando entrai in classe e notai che il posto accanto al mio era ancora vuoto. Mi sedetti e con estrema calma iniziai a sistemare i libri che mi servivano per la prima lezione, dando delle regolari occhiate all’orologio.
Cinque minuti dopo la professoressa entrò in classe salutandoci cordialmente e i nei minuti che passarono sistemò il registro di classe, pronta per fare l’appello. Riguardai l’ora.
Dieci minuti esatti.
Iniziai a ridacchiare e a pensare di avere delle doti da veggente quando vidi Bunny sulla soglia della porta con il fiatone.
- Eccomi, eccomi! Perdoni il ritardo.- si scusò con la docente.
- Va bene, entra pure. Ma facciamo in modo che la situazione non si ripeta tutti i giorni.-
Impossibile, risposi mentalmente. Bunny arrivava sempre con un minimo di dieci minuti di ritardo.
Venne a sedersi al suo posto e non persi l’occasione per punzecchiarla: - Alla buonora, testolina buffa. Qual è la giustificazione oggi? La sveglia era troppo stanca per suonare?-
- No, hai sbagliato.- mi rispose tranquilla – ho perso tempo per dar da mangiare alla mia gatta-
- Interessante!-
- Siamo allegri, vedo.- notò la mia euforia – Sei reduce da una nuova serata di baldoria?-
La professoressa richiamò la nostra attenzione.
- No, ho fatto qualcosa di meglio. – risposi soddisfatto.
- Sono curiosa.- ammise ed io con un sorriso la attaccai ancora.
- Ti basta sapere che appena sveglio non ho perso il mio tempo a cercare di snodare degli assurdi codini simili ai tuoi.-
Il dolore inaspettato che avvertii al mio piede destro, fu la sua unica risposa. Sobbalzai imprecando a voce bassa, stizzito dalla sua aria indifferente.
- Bene, Chiba. Noto con piacere che oggi sei molto loquace, che ne dici di venire a parlare con me qui alla lavagna?- mi voltai verso la professoressa che, con la testa china sul suo registro, faceva scorrere la penna sui vari nomi. Si fermò sul mio e mise un puntino. Un segnale che avevo imparato a riconoscere nel corso degli anni. Stavo per essere interrogato in inglese.
Presi dal banco il libro e il quaderno e nel momento in cui passai accanto a Bunny, diedi un calcio alla sua sedia.
- Prof , non ho studiato in modo approfondito…- inizia a giustificarmi.
- Oh non importa, Chiba. Inizia pure a fare sulla lavagna uno schema completo dell’età vittoriana e poi inizia ad spiegarmi l’intero periodo.-
Con un sospiro, cercai di fare quello che mi era stato chiesto. Al centro della lavagna scrissi stampatello The Victorian Age. Poi cercai di raccogliere le idee e continuare il mio schema.
Dal fondo dell’aula sentii un risolino divertito.
Odiavo Bunny. La odiavo con tutto me stesso.
 
Alla fine delle lezioni, salii in macchina e scuotendo la testa guardai sul mio libretto quel misero numero che stava ad indicare la mia valutazione. Un’insufficienza non grave,un cinque. Misi nel portaoggetti il libretto e tornai a casa.
 
Nel primo pomeriggio mi offrii volontario per accompagnare Marta nello studio di un famoso fotografo, dovevano preparare un nuovo book fotografico per una nuova campagna pubblicitaria. Il prodotto da pubblicizzare era un profumo, il mio compito era solo quello di aspettare e così, dopo alcune serie di scatti, mi accordai con mia sorella: avrei fatto un giro in macchina, restando nelle vicinanze in caso avesse terminato prima.
Amavo passare un po’ di tempo in riva al mare, così decisi di fare la mia solita passeggiata sulla costa, ma passando per l’incrocio principale del paese, notai una ragazza in difficoltà.
Tra le mani portava un grosso scatolone e appese sulle braccia delle buste. Guardai meglio e riconobbi Bunny. Dove stava andando con tutta quella roba?
Decisi di accostarmi a lei e quando le fui accanto la feci spaventare. Lo scatolone che aveva in mano le limitava anche la visuale.
- Ti serve un passaggio, testolina buffa?–
- Ti prego, fa che non sia lui…- la sentii bisbigliare. Trattenni un sorriso.
- Che cos’hai svaligiato? E soprattutto dove vuoi portare quella roba? Non andrai molto lontano così. A stento riesci a vedere dove metti i piedi.-
Faticosamente poggiò tutto a terra e si passò una mano sulla fronte. Guardò me al volante.
- Si, sei proprio tu! – sembrò pensare un attimo – Ok, ho bisogno di un passaggio oggi. Aiutami a mettere lo scatolone in macchina.-
Scesi per darle una mano – Lascia fare a me… Sali avanti, lo metto dietro.-
Caricai tutto e ritornai al posto del guidatore, lei mi era accanto. - Allora, dove ti devo portare?-
Sembrò incerta nel darmi la risposta: - Alla casa famiglia.- disse infine.
- Porti lì tutta questa roba?- chiesi meravigliato. – Come mai?-
Alzò gli occhi al cielo :- Ovvio, è per i bambini…- aprì le buste che aveva appoggiato sul grembo – Ci sono colori, matite, cartoncini colorati… -
Non volevo distrarmi dalla guida, ma la guardai per pochi istanti ugualmente. Quella prima sera che passammo insieme, in quel taxi, le chiesi il motivo per il quale faceva tutto ciò. Ancora non capivo bene, ma in quel momento ebbi la certezza che ciò in cui si impegnava, la faceva star bene.
Quando arrivammo, accostai semplicemente vicino il cancelletto d’entrata.
- Ma come? Non mi aiuti a portare dentro almeno lo scatolo? – notai un lampo di divertimento nei suoi occhi.
- Non me la racconti giusta… e poi dopo lo scherzetto di oggi non meriteresti nessuna cortesia da parte mia.- le risposi con un tono leggermente irritato.
Rise:- Ma dai, non è stata colpa mia. Impara a non reagire se ti viene pestato un piede e la prossima volta andrà meglio.-
- Sei irritante, non ti sopporto.- le dissi esasperato mentre spegnevo la macchina e scendevo per aiutarla.
- E tu sei troppo orgoglioso! –
- Guarda che posso cambiare ancora idee e lasciare tutto qui per terra.-
Mi fece una linguaccia:- Vieni, ti faccio strada.- mi rispose e così la seguii all’interno dell’edificio e dopo aver attraversato un corridoio, ci ritrovammo davanti ad una stanza. Dall’esterno si percepirono delle voci confuse che si interruppero non appena lei bussò discretamente.
- Ciao, Morea! Contro ogni mia previsione, sono riuscita a fare un salto anche oggi! – salutò con un abbraccio la ragazza che venne ad aprirci.
- Saranno contentissimi di vederti anche oggi, Bunny. –
Tossì con un colpo secco. Si erano dimenticate che io reggevo qualcosa di molto pesante da alcuni minuti?
- Oh, scusami. Morea, lui è Marzio. È stato gentilissimo e mi ha accompagnata!-
- Piacere Marzio, vieni. Entra pure e lascia tutto dove capita, sistemeremo dopo! –
Bene, Morea mi piaceva!
Mi feci avanti e lasciai tutto accanto al muro più vicino. Con sorpresa mi voltai quando numerose e piccole voci esclamarono il nome di Bunny. Vidi un piccolo gruppo di bambini correrle incontro, si lanciavano sulle sue gambe nel tentativo di abbracciarla.
- Che ci hai portato, Bunny? Dei giochi? –
- Bunny, devo raccontarti una cosa bella…-
- Pensavo che oggi non venivi! – disse uno di loro con un piccolo broncio, unendosi al coro degli altri.
Lei sorrideva e cercava di abbracciare e fare una carezza a tutti per accontentarli :- Piano, bambini! Se state un minuto buoni vi mostrerò cosa vi ho portato! – io guardavo la scena divertito, ma non passai inosservato.
- Bunny, chi è lui? –
Una bambina mi indicò con sguardo curioso. La sua voce tradiva la sua timidezza e la sua carnagione pallida risaltava in contrasto con il colore scuro dei suoi capelli.
Intervenne Morea :- Lui è un amico di Bunny, si chiama Marzio.-
- Già, è un mio amico. Su, presentatevi! Ditegli come vi chiamate.-
Tutti mi dissero il loro nome, fu impossibile ricordarli tutti. Me ne rimasero in mente due. Uno della bambina che mi aveva indicato, Ottavia, e l’altro di una piccolina che si era avvicinata a me e tirava un lembo dei miei jeans.
- ChibiChibi! – mi ripeteva. Aveva i tratti orientali e all’incirca tre anni.
Non ci sapevo fare con i bambini e loro poche volte avevano simpatia per dei tipi come me.
- Ci sono dei colori qui! E nello scatolone dei giocattoli! Possiamo portare tutto nella stanza dell’arcobaleno?- chiese Ottavia a Morea e lei con un gesto della testa acconsentì. Bunny si avvicino a me, prese ChibiChibi in braccio, e appoggiando una mano sulla mia spalla mi sussurrò all’orecchio :- Lo porti tu nella stanza dell’arcobaleno, vero? – indicò con un cennò della testa lo scatolo.
Non potevo far altro che rimboccarmi le maniche: - Fammi strada e ringraziami se dopo non ti chiedo la mancia da facchino- scherzai.
La segui, i bambini erano stati più veloci di noi. Mi chiedevo che cosa avesse di tanto speciale quella stanza. La struttura che ci ospitava era più utile che attraente. Le vecchie pareti scrostate erano in tono con il pavimento pieno di buchi e coperte dalla patina del tempo. Feci mente locale sulla storia del nostro paese, la struttura doveva risalire agli anni ’60.
Ancora una volta poggiai lo scatolo a terra e mentre Morea iniziò a distribuire ad ogni bambino i giochi che esso conteneva, io rimasi rapito dallo scherzetto di colori che si diffondeva in quella stanza.
Dei piccoli cristalli traballanti ornavano le finestre catturando i pochi raggi del sole dal lato nord dell’edificio, proiettando degli arcobaleni di rosso, verde e giallo sui piccoli tavoli. Dal soffitto sembravano scendere piccole stelle di carta, sorrete da fili, mentre le pareti erano adornate di tanti disegni e specchi decorati con immagini di animali, draghi, fate.
- Benvenuto nel mio piccolo mondo! – mi disse Bunny con un sorriso.
Forse era solo una mia impressione, ma improvvisamente mi sentii pervaso da un’allegria inaspettata.
- Allora, ti piace? – mi chiese, non avevo ancora detto una parola.
- Sì. Il gioco dei colori è fantastico. Questa stanza è una piccola perla nell’intera struttura!- ammisi.
- E’ tutta opera di Bunny in realtà.- rispose Morea unendosi a noi – Tutto quello che vedi qui lo ha realizzato lei! –
- Complimenti, testolina buffa! Ottimo lavoro! –
- Oh, basta complimenti. Mi farete montare la testa.- scherzò lei e ridemmo insieme di gusto.
In quel momento Marta mi fece uno squillo sul cellulare, segnò che stava per finire il suo servizio fotografico.
- Marzio, giochiamo?- la piccola ChibiChibi ancora una volta tirò il lembo dei mie pantaloni. Reggeva in mano una bambola, dall’abbigliamento sembrava essere una guerriera.
- Senti piccoletta, mi piacerebbe tanto, ma ora devo veramente andar via.-
Mise un piccolo broncio.
Morea prese la piccola: - Marzio verrà un’altra volta a giocare con noi, va bene? – lei annuì – Vieni, andiamo a colorare un po’- si allontanò di pochi passi:- torna quando vuoi, farà piacere a loro.-
- Scusami, dovevi solo accompagnarmi ed invece ti ho trattenuto.-
- Non avevo altro da fare, stai tranquilla. Ci vediamo domani a scuola, testolina buffa.- mi voltai per andarmene quando avvertii qualcosa di morbido colpirmi la testa. Le risate dei bambini scoppiarono sonoramente.
Mi voltai per vedere chi aveva osato lanciarmi un orsacchiotto di peluche, anche se dovevo aspettarmelo.
- Ti ricordo che io ho un nome! –
- Lo so! – risposi, raccogliendo l’orsetto.
- E grazie per tutto! –
- Di niente… testolina buffa! – con un occhiolino glielo rilanciai per poi uscire.
Sorrisi per tutto il tragitto in macchina fino quando arrivai davanti allo studio del fotografo, dove Marta mi stava già aspettando fuori.
- Scusami, ho fatto tardi.-
- Dove sei stato? – mi chiese curiosa. – Ho qualcosa fuori posto? – aggiunse specchiandosi nello specchietto retrovisore – Perché continui a sorridere?- si stava irritando.
- Niente, niente! Sei perfetta. Rido perché… ho visto tanti piccoli arcobaleni.-
La notai guardare fuori dal finestrino: - Ma… non ci sono nubi di pioggia!-
Scoppiai a ridere per la sua elementare deduzione, mentre lei mi guardava con un’espressione strana.
Non ero pazzo.
Avevo capito che quello era il posto in cui piaceva stare a Bunny, quello dove anche un tipo come me poteva sentirsi felice. Avevo fatto un passo nel suo mondo, e se lei riusciva a fare una piccola differenza portando un po’ di colore nella vita di quei bambini, allora valeva la pena di esserci.
 

 




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Nda:
Sì, credete pure ai vostri occhi! Finalmente sono riuscita ad aggiornare!
Mi scuso con tutte voi che aspettavate questo capitolo da tempo, ma meglio tardi che mai! :)
Spero che vi sia piaciuto, se siete sopravvissute a leggerlo tutto!
Sinceramente questo è uno dei miei preferiti, scriverlo è stato veramente piacevole.
Per questo, aspetto le vostre opinioni e i vostri commenti!
Prima di lasciarvi però, ci tengo a dedicare questo capitolo alla mia cara amica Roberta, che con estrema gentilezza, ha realizzato una bella immagine di copertina per la storia (facendomi notare che ha disperatamente cercato le immagini degli artbook),
e soprattutto il trailer!!!
Essendo lei l'unica persona a conoscenza della trama completa e dei prossimi svolgimenti, vi avverto che contiene moltissimi SPOILER!
Se volete guardarlo, eccolo qui: http://www.youtube.com/watch?v=A78R7oDuSRI
Vi ricordo anche la mia pagina su facebook dove potrete seguirmi: http://www.facebook.com/media/albums/?id=201407829874670#!/pages/-Il-piccolo-spazio-di-miss-moonlight-/147980305296643 . Troverete tra le immagini un album in cui ho messo alcuni attori che per me rispecchiano i miei personaggi ;)
Detto questo, vi ringrazio tutti ancora una volta!
Al prossimo capitolo, amati lettori!
Debora

 

   
 
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