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Autore: teabox    15/02/2012    10 recensioni
Molly amava passare tempo con Sherlock. Davvero. Anche se spesso questo equivaleva a trovarsi in mezzo a situazioni strane e discorsi imbarazzanti.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota: grazie mille per i commenti gentilissimi e per esservi fermati a leggere!
Non so bene cosa pensare di questo capitolo, quindi lo lascio a voi sperando che sia okay.
Domani sono in viaggio tutto il giorno, quindi non avrò modo di mettere l'ultimo capitolo fino a dopodomani. Nel frattempo, ancora mille grazie per la vostra gentilezza!

*

*

*

La scoperta di un nuovo modo in cui Sherlock pronunciava il suo nome veniva sempre accolta da Molly con lo stesso entusiasmo di una brillante rivelazione scientifica.
Generalmente in quei casi Molly prendeva un foglio di carta e annotava quali lettere Sherlock avesse particolarmente stressato, l’inflessione nella pronuncia, il tono della voce, l’idea implicata.
Altre persone collezionavano francobolli, Molly Hooper collezionava il suo nome.

*

«Dactylopius coccus
«Eh?», replicò Molly non troppo brillantemente.
Sherlock era intento ad esaminare un campione di sangue al microscopio. «Cocciniglia del carminio. E’ un insetto.»
«Oh», disse lei esitando un istante, prima di tornare a mettersi il rossetto. Aveva un appuntamento, quella sera, e aveva permesso a Sherlock di entrare nel laboratorio solo dopo la debita promessa che non l’avrebbe fatta ritardare.
«E’ un parassita sessile. Incapace di movimento», continuò Sherlock senza staccare gli occhi dal microscopio.
Molly interruppe di nuovo quello che stava facendo. Era ufficialmente confusa. «E’ nel campione di sangue che stai analizzando?»
Sherlock alzò la testa e le rivolse uno di quei suoi strani sorrisi. «No davvero, Molly. E’ sulle tue labbra. Per essere precisi, l’acido che l’insetto produce. Lo estraggono dal corpo o dalle uova della cocciniglia e, tra le altre cose, lo usano come colorante per i rossetti. Pensavo lo sapessi.»
Per un istante o due Molly, incapace di fare o dire nulla, si limitò a fissare Sherlock. Quindi, molto lentamente, spostò lo sguardo sul rossetto che teneva ancora in mano. Deglutì. Lo chiuse con attenzione e lo ripose nella borsa. «Devo andare in bagno.»
«Ma sbrigati, o finirai per essere in ritardo per il tuo appuntamento», esclamò Sherlock con un tono di voce che sembrava leggermente divertito.

Per il resto della serata Molly non riuscì a fare altro che pensare a parassiti, uova di parassiti e acido di parassiti.
L’appuntamento fu un disastro.

*

«Trascorrerà la serata a raccontarti della sua ex-moglie, dicendo ancora “mia moglie”, per poi correggersi con una risata imbarazzata e qualche scusa patetica.»
Molly aveva fatto due errori. Primo: aveva detto a Sherlock che aveva un nuovo appuntamento. Secondo: gli aveva detto che usciva con un cardiologo del Barts. «Non sai nemmeno chi è», cercò di difendersi.
«Ah, Molly Hooper», replicò lui in quel tono sarcastico che sembrava sempre implicare un “lascia che ti illumini”. «E’ ovvio che so chi è. Ed è altrettanto ovvio che succederà esattamente quello che ti ho appena detto. Si è separato dalla moglie da meno di un mese, e non perché lui lo volesse, ma perché lei lo ha lasciato.»
«E tu come fai a saperlo?»
«La settimana scorsa è passato dall’appartamento. Voleva che indagassi su sua moglie. Ridicolo. Non è nemmeno morta, dov’è il divertimento?»
«Quindi...secondo te dovrei cancellare l’appuntamento?», domandò Molly con una nota di incertezza nella voce.
«Secondo me dovresti evitare questa cosa degli appuntamenti in generale. Non mi sembra che stia funzionando troppo bene per te. Ma fai quello che vuoi. E se quello che vuoi include passare due ore ad ascoltare un uomo parlare di quanto ami ancora la sua ex-moglie, di quanto sia perfetta e di come proprio non capisca come possa averlo abbandonato...allora vai, Molly Hooper. Vai e divertiti
Molly rimase in silenzio per un momento. «Non lo stai dicendo solo perché vuoi che ti aiuti con queste analisi stasera?»
Sherlock la guardò allibito. «Davvero, Molly. Non farei mai una cosa del genere.»
Molly non ne era del tutto sicura.
Cancellò comunque l’appuntamento.

*

La sera in cui Sherlock Holmes fece ritorno all’appartamento annunciando di aver baciato Molly Hooper, John quasi si strozzò con la birra che stava bevendo.

Quella stessa sera, quando Molly Hooper era entrata nel suo appartamento e aveva detto a Toby di aver baciato Sherlock Holmes, il gatto aveva a mala pena alzato la testa.

*

I particolari non erano mai stati rivelati. Persone erano morte per molto meno, aveva fatto notare Sherlock.
In generale la colpa fu data ad uno sgabello, in un classico esempio di “posto sbagliato al momento giusto”. O viceversa.
Si disse che Molly fosse inciampata. Si disse che Molly si fosse lanciata nelle braccia di Sherlock. Si disse anche che Sherlock non avesse fatto molto. E, forse, fra tutte le cose che si dissero, questa fu l’unica ad avvicinarsi un po’ alla verità.

*

Molly stava in piedi su di uno sgabello.
Non che trovasse la cosa particolarmente piacevole, stava solo cercando di aiutare Sherlock con un esperimento. Danni subiti da un cellulare caduto da una data altezza. Sperava sinceramente che il telefono che stavano usando per il test non fosse quello di John.
«Ferma così, Molly.»
Molly non si sarebbe mossa comunque. Era già un miracolo che non fosse ancora caduta da quel accidenti di sgabello.
«Ora alza il braccio ancora un po’», le disse Sherlock misurando l’altezza.
Molly cercò di fare del suo meglio.
«E ora...lascia!»
Aprì la mano e un istante più tardi sentì il rumore sordo del cellulare cadere sul pavimento. «Com’è andata?»
Sherlock raccolse il telefono e lo osservò. «Bene.»
Meno male, pensò lei sollevata. Non credeva che l’avrebbe voluto fare di nuovo. Si piegò con cautela sulle ginocchia e sul punto di muovere un piede, sentì la mano di Sherlock chiudersi sul suo braccio.
Stupidamente, Molly sussultò al contatto. Lo sgabello traballò. Lei perse l’equilibrio. Sherlock l’afferrò. Entrambi si trovarono per terra.

Le servì un attimo per capire cosa stesse fissando. Le labbra di Sherlock. Oh, pensò.
Le servì un altro attimo per capire dove fosse caduta. Esattamente sopra Sherlock. Oh, pensò di nuovo.
Anni di costosa educazione superiore e questo era il meglio che il suo cervello riusciva a produrre.
«Molly?»
La voce di Sherlock vibrò attraverso il suo corpo. Era una sensazione strana. Piacevole.
«Oddio, scusa, mi sposto subito», disse lei irrimediabilmente imbarazzata. «Ti ho fatto male?»
Inginocchiata al suo fianco, Molly guardò Sherlock mettersi seduto e portarsi una mano alla nuca. «Sto bene.»
«Peccato che l’esperimento non fosse sui danni subiti da una persona caduta da una data altezza», disse lei ridendo. Poi si ricordò, realizzò la gaffe e si portò le mani alla bocca. «Oddio, scusa. Non volevo dire...non volevo ricordarti...»
Sherlock, ancora intento a massaggiarsi la nuca, la guardò infastidito. «E’ decisamente improduttivo coprirsi la bocca con le mani quando si sta parlando. Soprattutto se vuoi che l’altra persona capisca quello che stai dicendo.»
Molly abbassò le mani. «Scusa.»
«Nessun problema», replicò lui con un mezzo sospiro.
Molly, sentendosi impacciata seduta in mezzo al laboratorio accanto ad un Sherlock che aveva travolto per terra, si alzò velocemente e raddrizzò il camice. Quando notò che anche Sherlock stava alzandosi, gli offrì una mano e lui, dopo un attimo di esitazione, decise di accettarla.
Il suo errore fu di non aver tenuto conto del cronico entusiasmo di Molly Hooper.

Così Molly lo aiutò ad alzarsi, ma lo fece con troppo slancio. E quando Sherlock si trovò in piedi, Molly stava ancora tirandolo per il braccio. Per un attimo ci fu una piccola confusione di braccia e gambe. Quindi, si ritrovarono intrappolati in un goffo abbraccio.
«Molly Hooper», esclamò Sherlock quasi esasperato. «Cosa accidenti-»
Abbassò lo sguardo e si pietrificò. Pupille dilatate, bocca socchiusa, rossore diffuso sulle guance.
Avrebbe voluto allontanarsi. Avrebbe voluto davvero. Non gli piaceva addentrarsi in territori sconosciuti senza un’adeguata preparazione. E quella situazione era La Madre dei territori sconosciuti per Sherlock.
Ma semplicemente non riuscì a farlo. O non abbastanza velocemente.
Avvertì Molly alzarsi sulle punte dei piedi e vide il suo viso avvicinarsi, gli occhi aperti ma il respiro trattenuto. Sentì una delle mani stringersi un po’ di più. Avvertì l’altra scivolare sul petto. Sentì la delicatezza e la morbidezza delle sue labbra. Un breve, veloce momento di abbandono.

Poi Molly Hooper si rese conto di quello che aveva fatto.

In breve successione: si staccò da Sherlock mortificata. Si portò una mano alla bocca e mormorò uno “scusa”. Abbassò la mano e mormorò di nuovo “scusa”. Aggiunse quindi un “oddio”. Arretrò di un paio di passi. Allungò un braccio in direzione di Sherlock. Cambiò idea e abbassò il braccio. Disse qualcosa che suonò come “cosahofattooddiocosahofatto”. Quindi, finalmente, decise di tacere.
Con grande sollievo di Sherlock.

Il silenzio, tuttavia, si rivelò imbarazzante. E scomodo. Sherlock si schiarì la voce. «Penso che sia ora di andare a casa.»
Molly annuì. «Sì. Giusto. Andiamo.» Arrossì imbarazzata. «Voglio dire, ognuno a casa sua. Non insieme. Non nella stessa casa. Tu vai al tuo appartamento, io vado al mio. Separati. Totalmente separati.»
«Esattamente, Molly Hooper», replicò lui innervosito.
«Esattamente.» Molly esitò ancora un istante, come se volesse aggiungere qualcosa - e Sherlock davvero non vedeva cos’altro si potesse aggiungere a quel punto - quindi cambiò idea e si tolse il camice velocemente. Raccolse le sue cose e raggiunse Sherlock alla porta del laboratorio.
Uscirono dall’ospedale senza scambiarsi nemmeno una parola e fu solo sul marciapiede, sul punto di andare ognuno per la sua strada, che Molly tornò a rivolgersi a Sherlock.
«Nessuno lo deve sapere», dichiarò, piuttosto inaspettatamente.
Sherlock alzò appena un sopracciglio. «Ovviamente.»
Molly sembrò rilassarsi. Era ancora visibilmente imbarazzata, ma non molto più del solito. «Allora...buona serata.»
Sherlock non rispose, ma Molly non si era comunque fermata ad aspettare una risposta.

*

Entrando nel 221B, quella sera, Sherlock non disse “buona sera, John” o “cosa c’è da mangiare, John”. No. Sherlock disse “ho baciato Molly Hooper”.
Forse avrebbe dovuto aspettare che John finisse la sua birra, pensò poi in un secondo momento, ma la sensibilità tempistica non era mai stata il suo forte.

*

Toby non era sembrato particolarmente impressionato. Era un gatto, del resto.
Molly avrebbe dovuto imparare da lui.

*

«Maturità emotiva di un cucchiaino da tè», mormorò Molly.
«I cucchiaini da tè non hanno maturità emotiva», le fece presente Sherlock.
Molly arrossì. «L’ho detto ad alta voce? Immagino di sì. Be’, comunque è proprio quello il punto. Nessuna maturità emotiva. Voglio dire, nemmeno un po’. Pensa ch-»
«Molly.»
«Oh. Lo sto facendo di nuovo, giusto?»
«Giusto», rispose Sherlock pacatamente.
Molly smise di parlare e si concentrò sulla capsula di Petri che le stava davanti. Una coltura di batteri. Oh gioia, pensò sarcastica. Perché era capace di sarcasmo, solo che nessuno sembrava capirlo. Con la coda dell’occhio guardò Sherlock. Dopo “l’incidente” si era aspettata che Sherlock iniziasse ad evitarla, o quanto meno l’insorgere di alcuni momenti di imbarazzo. Invece non era successo nulla del genere. Era disorientata.
«Chi ha la maturità emotiva di un cucchiaino da tè?», domandò all’improvviso Sherlock.
Molly, pipetta in mano e pronta a dare l’assalto ai batteri, si girò stupita a guardarlo. «La persona con cui sono uscita ieri sera.»
Sherlock le passò un vetrino senza muovere gli occhi da un altro che teneva in mano. «Ah. Ancora questa cosa degli appuntamenti.»
«E’ normale», replicò lei piccata.
Sherlock non provò nemmeno a mascherare il sarcasmo. «E’ normale che metà degli appuntamenti non vadano oltre il primo, e che l’altra metà vengano cancellati anche prima che inizino?»
Molly abbandonò pipetta e batteri. Incrociò le braccia, invece. «Be’, vengono cancellati per colpa tua
«Oh, vedo», replicò lui continuando con il sarcasmo. «Stai dicendo che la mia esistenza influenza la tua vita sentimentale.»
«Esattamente», replicò lei soddisfatta. La soddisfazione scomparve nell’istante in cui si accorse di quello che aveva detto. «No. Non era questo quello...voglio dire, tu non influenzi...non in quel senso. Cioè, non la mia vita sentimentale.»
Sherlock le passò un altro vetrino. «Se mi basassi soltanto sul numero di appuntamenti che accetti, dovrei trovarmi d’accordo con la tua inadeguata osservazione.»
«Mi piace uscire. Gli esseri umani sono animali sociali, Sherlock Holmes.»
«Apparentemente, Molly Hooper.»

*

Il quadro era magnifico, nulla da dire. E anche il racconto di Sherlock su come fosse riuscito ad ottenere il permesso dal British Museum per sottoporlo a certe analisi era affascinante e divertente. Quindi non era che Molly non volesse ascoltare. Aveva semplicemente altro per la testa. Ed era quel genere di "altro" che rimaneva costantemente sullo sfondo di tutto il resto, come un leggero mal di denti o un piccolo mal di testa. Fastidioso. Impossibile da ignorare.
Doveva fare qualcosa. Doveva sapere. Doveva chiederglielo. 
«Ti ha dato fastidio?», domandò allora velocemente, prima di cambiare idea.
Sherlock la guardò sorpreso. «Cosa, chiedere l'aiuto di Mycroft? Non più delle altre volte.»
«No, no. Non quello.»
«Allora di cosa stai parlando? Stai bene, Molly? Oggi sembri più strana del solito.»
Molly sorrise nervosamente. «Sto bene, grazie. Sì, comunque, mi riferivo...mi riferivo, sai, al bacio. Ecco. Se ti ha dato fastidio. Mi chiedevo.»
Sherlock alzò appena un sopracciglio. «Ah.»
Molly aspettò per qualche istante che aggiungesse dell'altro, ma quando si rese conto che non l'avrebbe fatto, cercò di coprire l'imbarazzo con una risata troppo allegra. «Domanda sciocca, scusami.»
«Stavo pensando», replicò Sherlock lentamente.
Molly si fece silenziosa e attese.
«Non penso che mi abbia dato fastidio», disse Sherlock alla fine.
Lei si morse un labbro. Aveva molte altre domande che avrebbe voluto chiedergli - com'è stato? Ti è piaciuto? E la più ridicola di tutte, posso farlo di nuovo? - ma le tenne per se stessa. Istinto di preservazione, si disse. E comunque sentiva che quella risposta era già un successo. A modo suo. Forse.

  
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