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Autore: nadya94    15/02/2012    2 recensioni
Questa è la mia prima ff quindi sarei davvero felice se mi deste dei consigli su come migliorare. Ho deciso di scrivere riguardo a questa coppia magnifica, Robert e Kristen, con le dovute modifiche! Spero vi piaccia!
"Ma dove trovarla? In fin dei conti sapevo solo il suo nome. Ma perchè mi interessava tanto? L'avevo vista una sola volta e non sapevo nulla del suo carattere, nulla di nulla": ragionamento con il cervello.
"Devo trovarla": ragionamento con il cuore.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kristen Stewart, Robert Pattinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Et voilà, ecco il quarrto capitolo! Non vi anticipo nulla, ma devo dirvi che mi ha dato molte soddisfazioni! Vabbè NO SPOILER! :) Un grazie megagalattico a Fede, Lalla, Alex e a Marty, che ha scritto la prima recensione!!! Grazie per avermi appggiato fin dall'inizio!!  


“Cercheremo un’armonia,
sorridenti, fra le braccia,
anche se siamo diversi
come due gocce d’acqua”
W. Szymborska



Pov Kristen

Ero agitata, presa da un timore freddo ed insolito. Come se aspettassi qualcosa ed allo stesso tempo volessi sfuggirne. Sapevo precisamente di chi era la colpa. Sbuffai, impensierita e scocciata: ma perché doveva essere tutto così difficile? Perché dovevo lasciare che invadesse il mio mondo e ne sconvolgesse quella che io volevo sembrasse tranquillità?
Ma i suoi occhi erano così..cercavo di trovare una parola, un aggettivo in grado di qualificarli, ma sembrava una missione impossibile.
“Allora, che ne dici di un cambio di posto?” irruppe lui, il soggetto dei miei pensieri, catapultandomi improvvisamente nella realtà. Indossava jeans comodi e una camicetta nera, su cui aveva abbinato una delle sue felpone. Bhè, una cosa almeno l’avevamo in comune!
E adesso? Potevo mai inventarmi una scusa? La mia compagna di banco, Ashley, si era già seduta al posto di Robert e non potevo semplicemente dirgli di trovarsi un altro posto, perciò, a malincuore, gli risposi con un gesto automatico del capo. Sembrava impacciato, forse non doveva sentirsi molto a suo agio. Mi sentii colpevole.
 “Cavolo Kris, è l’unica persona con cui non ti senti male, sai che soffre anche lui, quindi non essere così cinica!”
“Sono contenta di rivederti” sorrisi e mi rispose di rimando con un sorrisone che avrei definito “eye to eye” e che mi fece letteralmente infiammare le guance.
“Anche io. Non sai quanto. Allora, come vai a Spagnolo? Perché devo confessarti che sono una vera frana! Dovrai sopportare ogni cretinata che dirò!”
“Ah, mi dispiace deluderti ma non sono proprio quel che si suol dire una cima!  Piuttosto mi limito a seguire la lezione in classe, o almeno quando riesco a non distrarmi”
“Per la faccia della prof? Non ti sembra molto simile a quella di un topo?”
“Già! Pensavo esattamente la stessa cosa! Un topo invecchiato!”
Scoppiammo entrambi in fragorose risate e sembravamo non poter essare più in grado di smettere. Era bello sentire il suono della mia risata, non l1ascoltavo da tempo. Era la prima volta che la consideravo giusta enon inopportuna, sbagliata. Era una sensazione straordinaria. Non so come facesse, ma riusciva a risvegliare parti di me che credevo ormai assopite per sempre, nascoste dalla foschia netta ed asfissiante del dolore.
Doveva avere qualche potere magico, sospettai.
Intanto, dopo averci richiamati all’ordine, la prof iniziò spedita la sua lezione, mentre noi ridevamo silenziosi per le buffe espressioni che ricorrevano sul suo volto. L’ora passò in un baleno ed era anche l’ultima della giornata, per cui mi alzai al suono della campanella e feci per prendere lo zaino ed andarmene a casa, ma..Mentre pensavo a ciò, mi prese la mano deliberatamente. I miei pensieri si fermarono per qualche secondo. Aveva mani calde, delicate al tocco, che avvolgevano le mie in una presa rassicurante e forte, ma allo stesso tempo  non tanto forte da impedire che io mi allontanassi da quel contatto. Temeva la mia reazione e non voleva obbligarmi ad un gesto che io non volevo compiere.
In realtà, non so perché, la mia mano rimase nella sua per molti secondi, poi, spaventata per il fatto che non me ne fossi quasi resa conto, la ritrassi, ma ormai era troppo tardi. La mia pelle, quella che era stata a contatto con la sua, sembrava bruciare. Lui, fingendo di non aver visto nulla, mi chiese: “Posso accompagnarti a casa?”
“E’ lontano da qui, Rob”risposi secca.
“Non è un problema, mi piace camminare e non poi non voglio tornare subito a casa, quindi permettimi di accompagnarti, per favore” e mi lanciò uno sguardo così dolce da spezzarmi il fiato. Come potevo dire di no?!
“Okay, se proprio ci tieni”
Ci avviammo lungo la strada, mantenendo le distanze di sicurezza. Era silenzioso ed alquanto pensieroso, tanto che pensai che forse si era offeso per la risposta secca che gli avevo rivolto prima. Così, ero indecisa tra due opzioni: Chiedergli scusa o far finta di nulla? Optai per la prima scelta e mi ritrovai alla ricerca di una scusa plausibile per il mio comportamento distaccato nei suoi confronti. Ma cosa avrei potuto dire? Che non era mia intenzione? Che non sarebbe ricapitato? Che mi dispiaceva?
“Ho notato che ami stare in disparte o mi sbaglio?” chiese, affrontando la questione a viso aperto.
“Ehm, no, non sbagli di molto”   Ti prego, sorvoliamo, pensai, pregando che sapesse leggere il pensiero.
“Bhè, mi sembra strano sai? Sei una delle persone più simpatiche che conosco e dovresti avere una sfilza di amici. Amici veri, non conoscenti” puntualizzò, eliminando un possibile appiglio su cui di solito facevo conto.
“Prima li avevo. Ora non è che non posso averli, non voglio”. Sperai che captasse che non volevo parlarne e che per me la questione era chiusa, ma probabilmente le mie erano solo vane speranze.
“E..non sei intenzionata a parlarne. Però a me farebbe piacere sapere cosa ti turba, anche perché io mi sento molto meglio da quando mi sono confidato con te. Vorrei che anche tu ti sentissi meglio quando stai con me”
“Io..forse un giorno. Non me la sento adesso, niente di personale”. Sperai ancora che non scorgesse i miei occhi lucidi, ma qualcosa dalla sua espressione mi fece capire che li aveva visti e fin troppo bene.
“Mi dispiace, sono uno stupido. Non volevo ferirti, scusa. Va tutto bene. Puoi fidarti di me”.
Mi fermò e mi strinse in un altro dei suoi magnifici abbracci. Era così rilassante stare accanto a lui, poter appoggiare il capo sul suo petto ed ascoltare i battiti frenetici del suo cuore, frenetici come il mio. Era così semplice, in questo modo, fingere di essre una persona normale, con problemi normali, pensieri normali. Fu per questo che non mi allontanai, non feci nulle per indietreggiare. Semplicemente lasciai che il suo calore pervadesse il gelo che albergava in me e mi riscaldasse l’anima.
All’improvviso mi sollevò il mento con un dito e sentii le sue labbra posarsi sulle mie. Era delicato, mi stava dando la possibilità di ritrarmi, magari di dargli anche un ceffone per essere stato così insolente. Valutai la possibilità di un tale gesto, am non riuscivo a ragionare lucidamente, non quando le sue mani esploravano il mio visi, trepidanti e in attesa, avvolgendolo in modo protettivo e rassicurante. Mi abbandonai completamente alle mie sensazioni: Il bacio si fece via via sempre più appassionato, le nostre lingue si intersecavano tra di loro creando un labirinto di emozioni che non avevo mai provato prima, mentre le sue mani scendevano ad accarezzare dolcemente la schiena.
Sentii che non avrei resistito a lungo.
“Devo andare!” quasi gli urlai addosso e mi allontanai di scatto, sgusciando via dalle sue braccia.

 
Pov Robert

Erano passati giorni da quando l’avevo baciata.Baciata…non riuscivo a crederci: ogni volta che ci pensavo sentivo una fitta allo stomaco, una sensazione che mi faceva sorridere senza un motivo logico, sensato. Era stato stupendo, dolce e soprattutto ina spettato. Mai avrei immaginato cosa sarebbe stato baciare le sue carezzevoli labbra, mai mi sarei aspettato che il mio cuore qvesse potuto battere ad una simile velocità. Sembrava che stesse per prendere il volo all’interno del mio petto. Le avevo accarezzato piano il viso, esplorandolo come un cieco che riesce dopo molto a vedere la luce. In realtà mi sembrava di essere proprio così: lei era diventata la mia luce, aveva rischiarato le mie buie giornate aveva dato un senso ad esse. Non sarei più riuscito a sentrmi così completo se non accanto a lei. Sapevo però che reo atato troppo affrettato: lei era scappata da me, come se avesse avuto paura. Diamine, se ci pensavo mi veniva un groppo in gola; ero stato insensibile, non volevo che si allontanasse da me. Volevo conoscerla a fondo ed allo stesso tempo farmi conoscere da lei: non aveva senso aver paura di ciò che si stava creando tra noi, perché era la cosa più splendida che fosse accaduta nella mia vita. Dopo la morte di mio padre, tutto era andato a rotoli. Avevo una famiglia felice,amavo i miei genitori profondamente, ma a partire dall’incidente tutto cambiò. Mia madre iniziò ad evitarmi: non perché non volesse vedermi, ma per non rendermi visibile il suo dolore. Ma come avrei potuto non vederlo? Nei suoi occhi si rifletteva lo stesso dolore che rifulgeva nei miei. Mi consideravo un’incapace, perché non riuscivo mai a trovare una parola adatta, una semplice carezza, per farle capire che poteva appoggiarsi ame, che avevo le spalle forti per entrambi. Ma non ci riuscivo. Non mi sarei lasciato scappare la possibilità di essere felice, non questa volta.
Il problema adesso era un altro: dal venerdi in cui avevo baciato Kris, non ero più riuscito a vederla. Era scomparsa: all’inizio avevo pensato che non avevo fatto caso a lei, dato che non avevamo gli stessi corsi. L’aspettavo ogni giorno fuori, all’uscita della scuola, ma di lei nessuna traccia. Incominciai a preoccuparmi: non poteva assentarsi per un’intera settimana solo per evitarmi! No, c’era qualcosa sotto. Era malata? E se era grave? Magari avrei dovuto andare a casa sua. Mi arrovellavo il cervello, in cerca di una soluzione: che fare? Non volevo essere precipitoso di nuovo, avrei rischiato di allontanarla ancora di più. Decisi di aspettare fino al venerdi successivo: se fosse venuta le avrei chiesto scusa seduta stante, altrimenti sarei andato a cercarla. Finalmente, dopo una settimana passata a rodermi dall’ansia, giunse l’ora di spagnolo. Aspettavo impaziente e guardavo fisso la porta, in attesa del suo arrivo da un momento all’altro. Mi immaginavo il suo viso, la sua espressione nel vedermi, il rossore sulle sue gote…
Ma tutto ciò rimase solo nella mia immaginazione: non venne.
Mi alzai di scatto al suono della campanella e mi diressi verso la compagna di banco di Kristen, quella a cui avevo chiesto di spostarsi al mio banco il venerdi precedente e di cui non ricordavo più il nome.
“Ciao, scusa, posso chiederti un favore?”
“Dimmi” disse, sorpresa dalla domanda.
“Sai per caso l’indirizzo di Kristen? La ragazza che si siede vicino a te?” precsai infine, notando la sua espressione disorientata.
“Ah, si ricordo! Bhè, mi sembra che debba abitare in centro, non lontano da qui. Riconosci la casa perché è l’unica ad avere un giardino sul retro. Mi dispiace di non esserti di maggiore aiuto, ma l’indirizzo proprio non lo ricordo!”.
“Grazie lo stesso” risposi sorridendo, ma dentro il mio cervello era già all’azione. Una casa con giardino sul retro, aveva detto.
Avrei setacciato l’intero centro palmo su palmo finchè non l’avrei trovata.

 
   
 
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