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Autore: Anto1    16/02/2012    7 recensioni
Gabriel ha fatto la sua scelta ed è ormai a capo del Direttorio. Non risolve più casi sul paranormale e ha dei sottoposti che lavorano per lui. Ma cosa succederebbe se una persona a lui molto cara fosse direttamente minacciata? Perché continua a vedere in sogno Serventi? Cosa vuole davvero da lui? Ma soprattutto, cosa vuole dalla sua Claudia?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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“Che cosa stai dicendo, Gabriel?” chiese Alonso, corrugando la fronte.
“Sto dicendo quello che ho detto, che Claudia è in pericolo, ho visto Serventi che la teneva prigioniera… e forse… forse quel farabutto tiene prigioniera pure mia madre!” disse, dandosi un pugno sulla coscia, ma subito dopo fece una smorfia di dolore.
“Adesso calmati, stai prendendo questi incubi troppo sul serio, ragazzo. Sono preoccupato per te”, gli disse, sedendosi accanto a lui “non ti interessi delle attività del Direttorio, ti vedo spesso con un’aria abbattuta e sfinita e non tocchi cibo da giorni, di questo passo rischi la salute. E poi, da un mese vedo un vuoto nei tuoi occhi, un’assenza di vita che non ti ho mai visto; gli altri possono non essersene accorti, puoi mentire a tutti, ma non a me di certo, ragazzo mio, ti conosco troppo bene, e non dirmi che sono solo incubi, non ci credo.”
“Alonso…”
“Basta con le ciance. Il miglior modo per allontanare la depressione è parlare con un buon amico, bere un bicchiere o due di vino rosso e… ascoltare musica, tieni, ti presto il mio I-pod, così ti distrai.”
“Io…”
“Prendi!” insistette Alonso, ficcandogli a forza l’I-pod in mano.
Gabriel, nonostante la sua tristezza, sorrise. Alonso gli diede una pacca sulla spalla, ma sapeva che questo non sarebbe bastato a tirarlo su.
“Facciamo una cosa: andiamocene via per un giorno o due, vieni a stare da me, così vediamo se i tuoi incubi procedono. E poi sei troppo dimagrito, ti cucinerò un po’ di fidewa o di carne arrostita, tutto quello che vuoi, così ti rimetterai almeno fisicamente. Non preoccuparti della Congregazione per almeno qualche giorno, ok?” disse il prete, sorridendo amichevolmente.
Gabriel non seppe che dire. Alonso era l’unico amico sincero in quell’enorme palazzo bianco ipocrita, gli era stato sempre vicino, senza riserve… e ora lui era lì, proprio nel momento in cui aveva bisogno di lui. Non lo ringraziò, ma si accostò a lui e gli diede un forte abbraccio. Era come un padre per lui… il padre che tanto gli mancava.
Così, dopo essersi preso un po’ di ferie dalla Congregazione per malattia, (cosa a cui nessuno si era opposto, vedendo in volto emaciato del giovane) Gabriel trascorse l’intera giornata a casa di Alonso, assaggiando cibo esotico, giocando a scacchi (di cui era un asso), guardando programmi stupidi alla televisione e ascoltando musica a tutto volume da un grande impianto stereo. Quello fu il giorno più spensierato di Gabriel da lì ad un mese, e per alcune ore riuscì quasi a non pensare più a Claudia, ai suoi incubi, e a Serventi. Successe dopo, la sera. Erano circa le sette, e Gabriel e Alonso stavano guardando un documentario sugli animali. Gabriel era quasi steso sul divano, la pancia piena di nachos, tortillas e carne affumicata, si sentiva bene. Tutto era tranquillo. E poi accadde. Quel dolore lancinante al cervello, come un fulmine, una scarica elettrica, che in un attimo gli mozzò il fiato in gola. La vista gli si annebbiò, poi vide tutto cremisi, mentre il dolore si faceva sempre più acuto e lancinante… non riusciva a contrastarlo, non riusciva a sapere cosa gli stava succedendo, e questo gli procurò un attacco di panico, sentì come se i suoi polmoni si stessero chiudendo dall’interno. Poi la morsa si allentò, e quel sangue che lui vedeva… ma era proprio sangue? No, non poteva essere sangue, era un vestito ora, un vestito rosso fuoco, scollato, avvolto attorno al corpo più bello che avesse mai visto… Claudia stava urlando, questa volta la sentiva distintamente, urlava e chiamava il suo nome, e Serventi era dietro di lei, le bloccava i polsi, stava facendo scorrere una mano attorno al suo collo nudo…
“NOOO!!!”
“Gabriel, Gabriel! Che ti succede?!”
Gabriel aprì gli occhi. Non si era reso conto di essere svenuto. Era sul pavimento del salotto, e Alonso era inginocchiato al suo fianco, un’espressione preoccupata sul volto. Cercò di alzarsi, ma Alonso non glielo permise.
“Sta' giù. Cosa ti è preso?”
“Un altro incubo.” Rispose lui, massaggiandosi le tempie “ma non era solo quello, ovvero, non so se sia stato davvero un incubo; ho sentito come una scarica elettrica nel cervello, poi… poi mi si è annebbiata la vista, e poi… è ritornata, e ho visto Serventi, l’ho visto di nuovo, e teneva stretta Claudia… io… non so… cosa mi sta succedendo.” Rispose, frustrato.
Il vecchio prete permise all’amico di appoggiare la testa sulla sua spalla. Ora sì, anche lui era davvero preoccupato; aveva capito che quello non era solo un sogno. Serventi era ancora in circolazione, e cercava in tutti i modi di spaventare Gabriel, di attirarlo a sé, nella tela del ragno, e stava usando l’unica persona di cui Gabriel si fosse innamorato, la stava usando come un’esca per far cadere l’uomo nelle sue fauci. Serventi sapeva come attirare le sue prede. Come quelle tigri che prima stavano osservando, era un calcolatore, e appena sapeva il punto debole del suo avversario, lo colpiva, con mezzi loschi e meschini. L’unica differenza fra Serventi e le tigri era solo una: le tigri uccidevano per mangiare e per nutrire la prole, Serventi per qualcosa che ancora non sapevano, ma le sue intenzioni non erano di certo nobili. Avrebbe potuto cercare di uccidere cento persone ma non avrebbe mai catturato l’attenzione di Gabriel come se avesse cercato di uccidere lei.
D’un tratto, Alonso capi che tenere Gabriel segregato in casa sua era sbagliato, egoista e sbagliato.
“Và da lei” disse, staccandolo dall’abbraccio in cui ancora lo stringeva.
“Come?” chiese Gabriel, ancora confuso.
“Và da lei. Quella ragazza ha bisogno di te. Cercala, trovala. Gabriel, è un gioiello troppo prezioso, e come tutti gli oggetti preziosi fa gola a molti, specialmente alle persone sbagliate. L’ho capito, sai, dal primo momento che l’ho vista, ho capito perché te ne sei innamorato. E’ dolce, leale, molto bella, e soprattutto è innamorata di te. Pensa a cosa le succederebbe se Serventi venisse a scoprirlo, o forse questo lo sa già. E’ questo quello che lui vuole dirti. Ti sta avvertendo. Và da lei, trovala prima che lo faccia lui!”
Gabriel non se lo fece ripetere due volte, non ebbe un attimo di esitazione. Cinque secondi dopo, era al telefono con Claudia.
“Dove sei?”
“Gabriel, che cosa vuoi?” la sua voce era indecifrabile.
“Stai bene? Per favore, non fare domande, devo vederti, ti prego!”
“Gabriel…” questa volta c’era tristezza in quella voce, e forse impazienza.
“Dimmi dove sei!” le chiese, quasi urlando. Se ne accorse, e aggiunse un più cauto, supplichevole “ti prego”
“Sono fuori. Al bar sotto casa mia.” La voce di Claudia gli arrivava tremante, quasi spaventata.
“Non muoverti di lì!”
Chiuse la chiamata e si precipitò fuori dalla casa di Alonso, salutandolo con un cenno del capo. Appena se ne fu andato, il vecchio Gesuita si sprofondò sul divano, spense la televisione e si massaggiò le tempie.
Gabriel arrivò al luogo designato un quarto d’ora dopo. Parcheggiò la moto vicino all’entrata del bar ed entrò trafelato. Non si tolse il giubbotto di pelle, ma cercò subito con gli occhi Claudia… e vide una scena che gli gelò il sangue nelle vene: lei era seduta ad un tavolo addossato alla parete, ma non era sola: a lei si era avvicinato un uomo dai capelli castani, che aveva tutta l’aria di non volerla lasciare andare. Le si stava sedendo di fronte, e lei lo guardava con sguardo enigmatico. Gabriel non si accorse della rabbia che gli montava nel petto, non si accorse di essersi sfilato d’istinto il colletto bianco, e di essersi fatto strada nel locale affollato. Tutto quello che sapeva era che ora lo sguardo provocatorio dell’uomo e il suo sorriso sornione si stavano trasformando in una smorfia di terrore assoluto, mentre lui veniva avvolto dalle fiamme dell’inferno. Gridava, si dimenava, cercando di liberarsi da demoni invisibili, lo implorava di risparmiarlo, implorava quegli occhi azzurri che all’improvviso erano diventati bianchi e spettrali. E all’improvviso Gabriel si fermò. L’uomo ansimava, con gli occhi stralunati. Sembrava intontito. All’improvviso, se ne andò, quasi correndo. Nessuno si era accorto di nulla nel bar. Ma Claudia sì, lei sapeva. Si voltò a guardarla. Era vestita di un semplice jeans e di una maglietta nera, non troppo scollata. Se un abbigliamento così aveva attirato un uomo, cosa sarebbe successo se avesse indossato l’abito rosso che poco fa, nelle sue allucinazioni, le aveva visto addosso? Scacciò quel pensiero dalla sua mente e si accorse che Claudia lo guardava con sguardo penetrante, indagatore, ma non spaventato.
“Chi era quello?” le chiese, sedendosi.
“Un tizio che voleva approcciarmi. Perché sei qui? E che bisogno c’era di tentare di ucciderlo?” gli chiese, con un tono perentorio.
“Avresti preferito che t’importunasse e che poi…” arrossì, non riuscendo a finire la frase.
“No” rispose lei, arrossendo a sua volta. Poi, gli ripeté la domanda fatidica “perché sei qui?”
Lui sospirò, prima di rispondere. “Serventi… l’ho visto in sogno… non so se era un sogno o un’allucinazione, so solo che mi è successo due volte oggi, prima al cortile della Congregazione” lei fece una smorfia a quel nome. Gabriel finse di non vederla, e riprese a raccontare “ e poi a casa di Alonso: lui ti teneva prigioniera, in una stanza buia, e accanto a lui c’era mia madre…”
“Gabriel per favore non dire altro. Hai già fatto la tua scelta, ora non puoi più tornare indietro!”
“Come?” chiese lui, perplesso.
“Quel sogno rivela i tuoi rimorsi, Gabriel, il rimorso di non aver scelto me. Ti stai chiedendo se hai fatto la scelta sbagliata, ma sai che ora non puoi più cambiare la tua scelta. Mi dispiace. Scusa, me ne vado, se sei venuto qui per parlarmi dei tuoi problemi, rivolgiti a uno psicologo che non sia io, possibilmente assicurandoti che non s’innamori di te, e che non sia gay.”
Lei si alzò e uscì dal locale. Gabriel la seguì, e la raggiunse fuori. A pochi metri, le bloccò un braccio. Lei fece per divincolarsi, ma lui la bloccò, consapevole di farle male.
“Lasciami! Gabriel, no!” disse lei, spaventata. Quel tono gli diede un colpo al cuore. Non avrebbe mai pensato di sentire dalla sua bocca quel tono spaventato, diretto a lui, come se fosse uno stalker, uno stupratore.
“Ti prego ascoltami, non voglio farti del male. Quello che ho visto è reale!” le disse, afferrandola per le spalle e girandola verso di sé. Solo allora lei notò che si era tolto il colletto bianco.
“Gabriel, ti prego, vai via. Non rendere le cose più difficili, sto cercando di dimenticarti. Ti prego, va’ via.” C’erano lacrime nei suoi occhi ora. Gabriel le guardò scosso. Non voleva farla piangere, non voleva spaventarla. Voleva solo proteggerla. Proteggerla da altri uomini, proteggerla da amanti che non fossero lui, proteggerla da Serventi.
“Claudia” sussurrò, asciugandole le lacrime. Lei scostò quella mano. Quella mano che avrebbe così tanto voluto baciare in quel momento, che avrebbe voluto sentire sul suo cuore. Sentiva una tensione che non aveva mai sentito prima, e non era l’unica: come lei, anche lui. In quel momento, se solo lui avesse scelto lei… si sarebbe data a lui anima e corpo. Ma scostò quella tanto agognata mano, staccò il contatto visivo da quegli occhi che ancora tormentavano i suoi sogni, e corse via, piangendo, verso la sua macchina.
“Claudia!” urlò lui, disperato. E mentre guardava impotente la macchina che si allontanava, si malediceva per non averle detto di stare attenta, per non averla accompagnata a casa, per non essere entrato con lei e averla vegliata tutta la notte. Si accovacciò, urlando, e diede un pugno sull’asfalto con tutta la sua forza. C’era qualcosa nell’aria quella notte. Lo sentiva. E non prometteva niente di buono.
  
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