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Autore: Helena Corvonero    16/02/2012    2 recensioni
E' una lettera che cambia la vita di Neville. Quella da Hogwarts, che avvisa che a settembre partirà con l'Espresso verso il castello, dove riceverà un'istruzione magica. Neville teme di non farcela, non ha fiducia in sè, teme di non essere all'altezza dei genitori, sacrificati per lui.
E' la storia dell'amore reciproco tra nonna e nipote, legame che spinge il ragazzo ad andare avanti, a sperare in un futuro migliore.
*TERZA CLASSIFICATA AL CONTEST DI Mary_Whitlock 'TUTTI SIAMO STATI BAMBINI'*
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Neville Paciock
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Durante l'infanzia di Harry
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QUELLA LETTERA, PROFUMATA DI FRITTELLE E FELICITA’
 
 
La sveglia.
L’urlo della nonna.
Le persiane aperte con un colpo di bacchetta.
La mattinata di Neville Paciock iniziava esattamente come tutte le altre.
 
Dopo l’acuto e fastidioso trillo della sveglia, Neville si mise a sedere sul letto, nell’oscurità. Cercò infastidito le pantofole sotto il letto, e non trovandole si arrese ad appoggiare i piedi sul pavimento freddo.
Un brivido gli percorse la schiena.
Improvvisamente le finestre si aprirono, costringendolo a coprirsi gli occhi con la mano, a causa della luce in netto contrasto con il precedente buio.
La nonna era sulla soglia della camera, pugni sui fianchi e faccia corrucciata: “Neville, sbrigati a vestirti e raggiungimi in cucina”.
Il ragazzino rimase sbigottito dal tono serio della nonna.
Si rilassò però quando sentì la voce ammorbidirsi e aggiungere: “Ho preparato le frittelle che ti piacciono tanto.”
Neville si alzò, sfregandosi gli occhi per abituarsi alla luce e si infilò i primi vestiti che trovò buttati sul divano.
Era estate, una meravigliosa mattinata di metà luglio, e quando Neville si sedette al tavolo della cucina e guardò fuori si rammaricò davvero tanto, sapendo che l’avrebbe passata in casa e non fuori a giocare.
In casa. Già, perché lui, Neville Frank Paciock non aveva amici.
Ogni tanto balbettava, non sapeva andare sulla scopa e la nonna era così apprensiva che non lo faceva uscire se non bardato con tanto di sciarpa e cappello fatto a mano. Lo additavano e lo evitavano tutti i ragazzini del quartiere.
Non aveva amici, ma sapeva che tutto ciò sarebbe cambiato. O almeno lo sperava.
Mancava non molto al suo undicesimo compleanno e sapeva che era un’età importante, l’età che significava il suo ingresso a Hogwarts.
Il castello tanto sognato, ogni notte era descritto minuziosamente dalla nonna, che  prima di andare a dormire gli raccontava delle quattro Case, dei fondatori e della sua straordinaria bellezza.
Sapeva che lì avrebbe dovuto studiare magia; aveva anche provato ad esercitarsi, ma niente. L’unica cosa che gli ricordava che sangue magico gli scorreva nelle vene e che al momento opportuno sarebbe riuscito a fare magie straordinarie era una foto.
Una foto seppia, un po’ stropicciata, appesa nell’ingresso, in una cornice dorata.
Ci passava davanti ogni mattina, per andare in cucina, e ogni mattina la guardava, con infinito orgoglio e ammirazione: era la foto dei suoi genitori.
Due genitori di cui ricordi non aveva, tranne quella foto e qualche sporadica visita al San Mungo.
Erano usciti di senno, lo sapeva, e ogni tanto avrebbe preferito che fossero morti più che correr loro incontro con le lacrime agli occhi e venire scambiato per sconosciuto.
Eppure conosceva la storia bene quasi quanto quella di Hogwarts, sapeva la sorte che coraggiosamente i coniugi Paciock avevano affrontato per difenderlo dalla crudeltà di Voldemort e dei suoi seguaci.
E guardare quella foto, i loro volti, che sembravano fissarlo dritto negli occhi, lo infondeva di una sicurezza che nella vita quotidiana non trovava mai.
Gli ricordava chi era, chi erano loro, e chi sarebbe stato: le prodezze e il coraggio che avrebbe avuto una volta imparati gli incantesimi giusti.
Ci sperava, Neville. Con tutto il cuore.
 
Un piatto di frittelle fumanti gli fu servito davanti al naso, ma prima che riuscisse ad addentare la prima la nonna lo bloccò: “Aspetta, Neville. Devo parlarti di una cosa seria.” E dicendo questo sventolò davanti a lui una busta, aperta, con un grande timbro sopra. La lettera di Hogwarts.
Neville lasciò istintivamente cadere la frittella, già in viaggio verso la sua bocca, occhi attenti, stomaco improvvisamente chiuso.
Aveva paura.
E se in quella lettera ci fosse stato scritto che non era abbastanza bravo per entrare a Hogwarts? Se era un mandato ufficiale che gli diceva che in realtà non era un mago? Che avrebbe dovuto frequentare una scuola babbana, che non avrebbe mai potuto mettere piede nel castello?
Deglutì rumorosamente, le viscere attorcigliate; aveva una gran voglia di alzarsi e correre via, in giardino, a urlare.
Ma rimase lì, pietrificato, incapace di muovere un solo muscolo.
Nella mente appariva continuamente la foto dei suoi genitori, le loro Case, il loro amore.
Doveva farcela. Per loro. Per renderli fieri del figlio per cui avevano sacrificato la vita. Perché quella al San Mungo non era vita. Era un’esistenza piatta, senza gioia, fatta di urla e dolori.
La nonna gli prese la mano, fredda e sudata, fece un respiro e lo guardò negli occhi.
Odiava quando la nonna lo guardava così. Sembrava poter sondargli l’anima, capire tutto ciò che non andava.
Con molta calma la donna che l’aveva accudito per i precedenti dieci anni scartò la lettera e la poggiò sul tavolo, aperta.
Neville non distolse lo sguardo, rifiutandosi di guardare la lettera. Non aveva intenzione di leggere il suo possibile fallimento.
“ Neville”. Una voce ferma, un comando: “ Tesoro, leggi la lettera.”
Il ragazzo dai capelli corvini scosse la testa, negli occhi le lacrime.
“Non ce la faccio…” mugolò, già certo di essere stato rifiutato dalla scuola.
La nonna gli strinse più forte la mano.
“Ma certo che ce la fai, Neville. Ce l’abbiamo sempre fatta. Affronteremo tutto questo insieme. Renderemo fieri mamma e papà. Fidati non è difficile, ci saranno tanti altri ragazzini come te… Basta prendere il materiale giusto, ma non ti preoccupare, andremo a Diagon Alley… E sono sicura che sarai un Grifondoro, sono sicura tesoro!”
Neville non capì. Non capì le lacrime che contemporaneamente alle sue scorrevano sul volto della nonna, non capì le righe che lesse febbrilmente dopo aver sentito parole come ‘Grifondoro’ ‘Diagon Alley’ , indicanti certamente una sua accettazione.
Non capì la risata della nonna, forte e profonda, quando preso dall’entusiasmo per avercela fatta addentò una frittella così forte da far spargere tutt’intorno lo zucchero a velo, non capì i materiali da lei elencati velocemente e continuò a non capire per molto tempo, fino a che…
 
 
DUE MESI DOPO
 
 
Era settembre.
Una mattinata d’autunno ventosa e soleggiata, e a Neville parve che il profumo di castagne e funghi che c’era nella casa di campagna dove viveva lo avesse accompagnato fino a Londra.
Le foglie che calpestava facevano un rumore piacevole, così come il loro colore, probabilmente l’unica cosa che per molto tempo gli avrebbe potuto ricordare casa sua.
Quando vide l’edificio della stazione, da lontano, iniziò a sentire un groppo in gola, Aveva l’istinto di girarsi e di scappare a casa, e probabilmente l’avrebbe anche fatto se la nonna non l’avesse tenuto per mano, e con forza portato davanti alla colonna segnante i binari 9 e 10.
L’aveva tenuto per mano anche mentre attraversava il muro, occhi spalancati, certo di un forte impatto con la pietra.
Quando aveva visto l’Espresso e tutta la gente affollata attorno al binario si era sentito mancare: sapeva che non ce l’avrebbe fatta.
Si sentiva già smarrito alla stazione, insieme alla nonna, figurarsi quando sarebbe stato ad Hogwarts da solo!
Evidentemente la nonna aveva capito la sua paura – forse perché continuava a deglutire spasmodicamente o forse perché tremava come le foglie secche che aveva calpestato durante il tragitto – perché lo prese per mano, l’ultima volta, e lo condusse in un angolo poco affollato.
Gli mise le mani sulle spalle, fermando il tremore, e lo guardò negli occhi.
Disse: “Neville, sarà dura. Lo so che sei spaventato, che è pieno di gente sconosciuta, che non hai nessun amico che venga a scuola insieme a te, ma devi credermi, sarà l’esperienza più indimenticabile della tua vita. Appena salito sul treno vedrai che incontrerai amici simpatici, che ti resteranno attaccati per sempre. Poi Silente è un gran preside, se mai avrai problemi con bulli dimmelo e gliene parlerò. E poi Neville, ci scriveremo, ci scriveremo sempre, non avrai tempo di sentirti solo.
Anche perché, ti avviso, studierai un sacco: ci tengo che tu vada bene eh!”
Poi aggiunse, avvicinandosi un po’: “ E’ la scuola che hanno frequentato anche i tuoi genitori, lo sai. Ce l’hanno fatta loro, perché tu non dovresti? Ti sentirai più vicino a loro, imparerai a conoscerli meglio di quanto potresti fare restando a casa. Vivrai avventure incredibili.”
E dopo avergli stampato un commosso e rosso bacio sulla fronte lo spinse in carrozza, e continuò ad agitare la mano, fino a che la testa del nipote sparì dalla sua vista.
 

  
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