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Autore: Dony_chan    16/02/2012    6 recensioni
Una one-shot saltata in testa d’improvviso che si trasforma in una fan fiction a più capitoli. Mi sorprendo, alle volte! Questa storia si concentra sui protagonisti di Detective Conan, in un mondo dove l’Organizzazione non è mai esistita, dove l’APTX non ha fatto nessun danno, dove le vite dei personaggi scorrono tranquille e indisturbate, e dove... bè, sta a voi scoprirlo!
Enjoy!
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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** Piccola intro ** la voglia di scrivere questo capitolo mi è nata dopo aver letto gli aggiornamenti di due fan fiction a cui sono particolarmente legata: ‘Vivere d’emozioni’ e ‘Gocce di Sherry’... ragazze, continuate così, leggendovi mi rinasce la voglia di chiudermi nella mia stanza e scrivere!
Grazie!   <3
 
Buona lettura!
 
 
Hi, nice to meet you!
3.

 
 
Si chiama Ran. Ran. Si chiama... Ran

Shinichi se ne stava seduto ad al tavolino di un bar di una strada secondaria con la ragazza più affascinante che avesse mai conosciuto da vent’anni a quella parte. E si sentiva come un ragazzino alla sua prima cotta, nonostante sapesse bene che, quell’attrazione che sentiva nei confronti di lei, non era né amore né attrazione fisica.
Era affascinato dalla sua persona, lo intrigava. Era come se lo stesse invitando a scoprire una parte di lei poco alla volta, e lui si sentiva graziato di poter essere il prescelto. Almeno per quella giornata. Era una sensazione nuova, estranea, che inizialmente lo spaventò un po’. Lui era abituato ad avere un sé molto razionale, perfino nelle emozioni. Forse era proprio per questo motivo che le sue relazioni amorose erano tutte drasticamente finite prima che si potesse emotivamente coinvolgere. Non ci riusciva. L’amore era sconosciuto, per lui. Era una forza troppo cieca che, invece di attirarlo nell’abisso, lo respingeva. Lo rifiutava. Era troppo rigido e formale per una passione del genere.
Shinichi si mosse inquieto sulla sedia, iniziando a tormentare una bustina vuota e abbandonata di zucchero, quando Ran gli sorrise, a sua volta imbarazzata, e affondò il viso dietro alla tazza di tè che aveva preferito rispetto a quella di caffè.
Shinichi strinse forte la sua, serrando le labbra e pregando di non iniziare a sudare. Si ricordò che a lui il tè faceva schifo, ma sul momento non aveva saputo ordinare altro, seguendo ciò che aveva scelto Ran.
 
Ran...
 
“Allora!” lo risvegliò la ragazza, incrociando le mani sotto il mento, cominciando a studiarlo in silenzio. Vide gli occhi di lei guizzare divertiti nei suoi, passando poi ad esaminare ogni centimetro del suo viso accaldato.
Shinichi tentò di bere un sorso dalla sua tazza, per impegnare il tempo, ma il gusto dolciastro del tè gli fece fare una smorfia. Mille volte meglio il gusto amaro del caffè bollente!
Ran si accorse della sua espressione disgustata, ma trattenne una risatina. Sentiva che lui si trovava a disagio, e non voleva metterlo ulteriormente in soggezione.
Il giovane scosse vigorosamente il capo, e si lasciò andare contro il poggia schiena della sedia, mettendo le braccia  a gruccietta come era suo solito fare e si impose di parlare per primo.
Aveva la gola secca, ma le parole che uscirono dalle sue labbra suonavano sicure. Doveva riprendere il controllo di sé. “Allora? Perché mi hai invitato qui?”.
Ran inarcò le sopracciglia. “Mi pareva di avertelo detto poco fa. Mi dovevi un caffè...”, ma alle orecchie di entrambi suonava come una scusa. Le rivolse un sorriso sghembo ed inclinò la testa di lato. Si fece più vicino a lei, quasi azzerando del tutto la distanza che li separava. Si sentiva le gambe molli, ma per lo meno era seduto.
Sfoderò di nuovo la sua faccia da poker, ma vide che anche la ragazza ci sapeva fare. Rimase impassibile a guardarlo, schiudendo appena le labbra.
“Lo sai che non ci credo neanche un po’?” ammise lui, e alzò la tazza per bere un sorso della bevanda, per concludere ad effetto, ricordandosi solo un secondo dopo che stava bevendo tè.
Istintivamente, sputò di nuovo nella tazza la bevanda calda, tirando fuori la lingua e strizzando gli occhi, ed ottenne l’effetto opposto.
Voleva fare la figura di quello che con le donne ci sa fare, di quello spavaldo, ed invece era apparso come un pagliaccio.
Ran rimase impassibile solo per un altro secondo. Poi, scoppiò a ridere. Shinichi rimase fermo immobile a guardarla, non riuscendo a fare altro che ridere a sua volta. La sua risata era leggera e sonora, e le sue labbra si erano aperte in un sorriso bellissimo, da togliere il fiato. Gli occhi di lei luccicavano di una luce nuova, e si sentì sollevato. Era stanco di vederli velati.
Avrebbe riassaggiato volentieri il tè per sentirla ridere di nuovo.
Ran si asciugò una lacrima ribelle, e si impose di nuovo la compostezza, sparendo per l’ultima volta dietro alla sua tazza. Finì la sua bevanda, ripose tutto con cura sul tavolino e tornò a studiare Shinichi, che era rimasto ancora intento ad osservarla.
“In verità non lo so” rivelò rispondendo alla domanda che il ragazzo le aveva posto poco prima, poggiando il mento sul palmo della mano aperto. “Ma... mi andava. E poi... non volevo che rimanessi con l’idea che io sono una ragazza aggressiva. So essere anche dolce, sai?”.
Shinichi le sorrise, rilassandosi. Era contento che volesse ‘farsi perdonare’. Stava passando del tempo piacevole in sua compagnia, nonostante l’intera situazione gli sembrasse assurda. Non l’aveva programmata, non avrebbe mai immaginato, quella mattina, che di lì a poco più di sei ore si sarebbe ritrovato ad un tavolino di un bar a chiacchierare con una sconosciuta, ma che allo stesso tempo gli sembrava di conoscere da una vita.
“Mi piacerebbe scoprirlo” si lasciò sfuggire, e si pentì un secondo dopo della frase pronunciata. Ran rimase sorridente, ma si spostò aumentando la distanza tra i due. Fece calare una barriera tra loro, spegnendo la luce fugace che Shinichi le aveva scorto negli occhi quando si era abbandonata a quella risata liberatoria.
“Non... insomma...” iniziò a balbettare di nuovo, ma Ran scosse la testa, e lui ammutolì. La ragazza si tolse dalle spalle il cardigan giallo e lo ripose sgraziatamente all’interno della borsa, e si abbracciò, accavallando le gambe.
“Sei a Scienze Biologiche?” gli chiese curiosa, riferendosi alla facoltà che seguiva il giovane, sapendo già la risposta visto e considerato il piano dove aveva visto sparire Shinichi all’università poco dopo la pausa di metà mattina.
Shinichi si rilassò di nuovo. Stava tornando amichevole come prima, anche se si stava imponendo una certa distanza.
Il ragazzo annuì, allontanando da sé la tazza di tè, per evitare di bere altri sorsi sovrappensiero. “Sono una matricola” aggiunse poi, e la vide illuminarsi.
“Anche io! Cioè, sono una matricola anche io... ma studio...” iniziò Ran, ma venne interrotta dalla voce del ragazzo, che inaspettatamente concluse per lei la frase, senza sbagliare. “Lingue Straniere”.
Ran lo fissò strabiliata. Nel loro Ateneo c’erano esattamente cinque facoltà nello stesso campus, come aveva fatto ad indovinare la sua?
Stava per chiederglielo, ma Shinichi la anticipò di nuovo, percependo la sua domanda. “Come l’ho capito? Facile: gli unici corsi che hanno la pausa in quel preciso momento della mattinata sono la mia, quella di Lingue Straniere e quella di Economia. La facoltà di Economia è confinante con la tua, alla fine del corridoio, quindi potevi essere di quell’indirizzo, ma sul lato della tua mano destra ho notato dell’inchiostro blu, segno che la penna aveva sbavato sul foglio, e quindi che tu avevi sicuramente preso appunti a mano per parecchio tempo” spiegò il ragazzo, sorridendo ogni tanto. “E quelli della facoltà di Economia lavorano sempre a computer, senza mai prendere appunti a mano, quindi non potevi essere di quell’indirizzo”.
Ran corrugò la fronte, strabiliata. “E perché non la tua?”.
Shinichi sorrise di nuovo. “Semplice: se fossi stata nella facoltà di Scienze, sicuramente ti avrei notata prima”.
Avrebbe rimangiato le sue parole un secondo dopo averle pronunciate. Diavolo, perché era sempre così diretto e schietto nei momenti sbagliati? Perché non si mordeva la lingua, qualche volta? Perché non aveva potuto rispondere un semplice ‘ho tirato ad indovinare’?
Ma Ran non si scompose e non aggiunse nulla su quella sua ultima frase. Si sporse inconsciamente di nuovo verso di lui e ripose nuovamente il mento sul palmo della mano. “Incredibile” sussurrò, persa nello sguardo sfuggevole di lui. “Ma come diavolo hai fatto... a notare l’inchiostro sulla mia mano?”.
Shinichi arrossì compiaciuto. Si vantava spesso delle sue prodezze intuitive, ma quella volta avrebbe anche evitato di farlo. Ma glielo aveva chiesto lei, dopotutto...
“Ho un buon occhio” si sforzò di dire soltanto, sperando che il tono non fosse uscito troppo altezzoso. Doveva in parte il suo spirito critico e la sua acutezza al grande maestro Sir Arthur Conan Doyle, che lo aveva allevato e cresciuto indirettamente all’analisi deduttiva e all’osservazione meticolosa, e agli amici poliziotti di suo padre che, di tanto in tanto, erano arrivati a chiedergli consigli su casi irrisolti e complicati, aiutandolo senza che se ne rendessero conto a destreggiarsi con maggior scioltezza in codici da svelare e misteri da risolvere.
Ran, alla risposta concisa del ragazzo, rise di nuovo, facendolo sentire più leggero.
Erano lì da un quarto d’ora, ma già gli sembravano ore. Sapeva solo che, una volta rientrato a casa, studiare sarebbe diventato impossibile al solo ricordo di lei.
“Pratichi sport?” chiese lui con finta noncuranza, cosa che fece arricciare il naso a Ran, che iniziò a studiarlo sospettosa. “Mi spii, per caso? Come fai a saperlo?”.
Shinichi non era incline ad elencarle tutti i motivi che lo avevano portato a supporlo, quindi si strinse nelle spalle e scosse svogliatamente il capo, senza dare una risposta certa.
Ran si sciolse in un sorriso ed annuì. Si sporse ancora verso il tavolino, raccogliendo il viso attorno ai palmi delle mani. “Faccio karate” disse semplicemente, e lo vide sorridere a sua volta, colpito.
Shinichi corrugò la fronte un secondo dopo, facendo vagare lo sguardo sull’espressione della ragazza che aveva di fronte. “Ma non ti basta, vero?” aggiunse poi, con un tono semiconfidenziale.
Ran si irrigidì, tornando a creare la barriera che aveva percepito in precedenza. Non rispose e non aggiunse nulla. Lo guardò stranita un attimo, per poi scrollare le spalle e abbozzare un sorriso, che gli riuscì piuttosto tirato.
La ragazza cominciò a frugare nella borsa e lasciò cadere qualche spicciolo accanto ad uno Shinichi preso in contropiede. “È stato un vero piacere, Shinichi Kudo. Il tuo nome non me lo dimenticherò facilmente”.
Il ragazzo si alzò a sua volta, cercando di rimetterle in mano i soldi che aveva lasciato per pagare la sua tazza di tè, e per non farla andare via. Aveva sicuramente detto qualcosa che l’aveva turbata, e si maledì mentalmente. Perché gli sembrava di aver detto un sacco di cose stupide fino a quel momento? Voleva saperne di più su di lei, ma sembrava che Ran ne avesse abbastanza. Aveva lo sguardo fintamente tranquillo, ma non poteva sfuggirgli la sua mano destra, stretta e tremante sulla borsa.
“Devi già andare?” gli chiese, in modo che il suo tono non risultasse lamentoso.
Ran annuì, sgusciando lontano dalla mano aperta di lui con i suoi soldi. “Sì, è tardissimo, devo andare a studiare” gli rispose trafelata, uscendo di fretta dal bar.
Shinichi rimase impalato a fissare fuori dalla vetrata del locale, dove la ragazza si era fermata un attimo per salutarlo con la mano.
Forse Ran si accorse di come Shinichi ci era rimasto, a causa del suo saluto freddo, e gli concesse di rivedere ancora una volta quel sorriso sincero, che le arrivava fino agli occhi.
E Shinichi si sentì in paradiso.
 
 
Le strade di Beika erano affollatissime, e l’autobus urbano ci mise più del solito per riportare Ran a casa sua. La ragazza stava in piedi, accanto alle porte, e circondata per lo più da vecchietti loquaci che non la smettevano di tartassarla di domande circa il suo lavoro, la sua vita, i suoi genitori. Ran riuscì a mantenere una faccia tranquilla, ma dentro di sé non vedeva l’ora che la sua fermata comparisse all’angolo.
Scese nella calura quasi mezzora dopo essere salita sull’autobus, e rimase un attimo ferma sul marciapiede, con il viso rivolto verso il sole scottante, gli occhi chiusi.
 
“Ma non ti basta, vero?”
 
Ran spalancò gli occhi, sentendo un forte fastidio allo sguardo diretto con il sole, e si rimise in marcia. Quella voce che le aveva appena trapanato la mente era quella di quel ragazzo. Di Shinichi.
Poteva essere anche il ragazzo più sveglio di tutta Tokyo, ma come diavolo aveva fatto ad avere un intuizione così vera senza conoscerla? Come faceva a sapere ciò che le tormentava l’anima?
Scosse la testa, imponendosi la lucidità. Quel ragazzo aveva saputo leggerle dentro solo guardandola in faccia. Era stato il primo. E questo la turbò.
Istintivamente, cercò nella borsa il cellulare, per chiamare Shun. Lui sapeva riportarla con i piedi per terra, sapeva dissiparle ogni dubbio. Sospendeva ogni tormento che la possedeva.
Quando le sue dita si scontrarono con un oggetto freddo, le tornò alla mente l’incidente di quella mattina, e si ricordò che per il momento il suo cellulare era fuori uso.
Si guardò attorno per individuare una cabina telefonica. Aveva un disperato bisogno di sentire la voce del suo fidanzato.
 
E di farmi perdonare...
 
pensò una vocina nella sua testa, che suonava tanto come quella della sua amica Kazuha. Ran scacciò in fretta il pensiero. Non doveva farsi perdonare un bel niente. Non aveva fatto nulla di male, prendendo un tè con quel ragazzo. Avevano fatto due chiacchiere, e questo era tutto.
Non gli interessava, era stata una semplice curiosità.
Non l’avrebbe mai più rivisto al di fuori dell’università, se lo promise. Sapeva leggerle dentro, e ciò la spaventava più del fatto che Shun potesse scoprire quello che aveva fatto quel pomeriggio, sfociando nell’ennesima sfuriata di gelosia.
Arrivò correndo fin sotto casa sua, superò di fretta il pianerottolo dove stava l’agenzia investigativa di suo padre, e caracollò dentro al suo appartamento, chiudendosi la porta alle spalle e rimanendo in ascolto del suo cuore martellante a causa della corsa.
Solo quando il suo respiro era tornato regolare, Ran aveva afferrato con forza il telefono di casa e composto il numero di cellulare di Shun, che ormai sapeva a memoria.
“Pronto?” disse la voce metallica dall’altra parte, scaldando il cuore di Ran.
La ragazza chiuse gli occhi e si concentrò sul viso del fidanzato. Niente occhi color oceano, niente capelli ribelli, niente sorriso saccente.
Era Shun, quello che prendeva forma nella sua mente.
Si lasciò andare ad un sorriso, abbandonandosi sul divano.
“Ehi, ciao, sono io. Avevo voglia di sentirti”.
 
 
Il pisolino pomeridiano di Heiji Hattori era sfumato a causa del gran trambusto che era sfociato nel pianerottolo dell’agenzia di investigazioni dove lavorava part-time.
Si era destato subito, gli occhi accesi, un sorriso trionfante sulle labbra.
 
Finalmente! Era ora...
 
aveva pensato gasato come non mai, alzandosi in fretta dalla sedia dietro alla scrivania e correndo verso la porta della piccola saletta. L’aveva spalancata con un gran sorriso di benvenuto, pronto ad accogliere un ipotetico cliente venuto espressamente per chiedere il suo aiuto.
Era rimasto fermo impalato per alcuni secondi, con ancora il sorriso smagliante stampato sulle labbra, fino a quando aveva realizzato che fuori dalla porta non c’era nessuno.
Sbuffò, sentendo montare dentro una gran rabbia repressa. Nelle ultime due settimane non c’era stato un solo cliente che presentasse un vero e interessante caso da risolvere. Per lo più, nel piccolo studio di investigazioni, si recavano mariti o mogli dubbiosi della fedeltà del coniuge, che chiedevano chi timorosi chi infervorati che si facesse luce sulle uscite ‘sospette’ dei propri compagni.
E il suo superiore, quell’ex poliziotto e mezzo detective da quattro soldi e nullafacente Mouri Kogoro, lasciava al giovane quei noiosi e per nulla soddisfacenti ingaggi, mentre lui poteva starsene comodo comodo in agenzia a seguire l’ennesima corsa di cavalli. E perché no, ad accaparrarsi i clienti migliori approfittando del fatto che lui non ci fosse. Ma con la scarsa acutezza che si ritrovava, secondo Heiji non ci sarebbe voluto molto prima che i clienti se ne rendessero conto e facessero i bagagli, lasciandoli, per l’ennesima volta, a bocca asciutta. E con il conto in rosso.
Heiji si sporse oltre la porta e guardò in su, verso l’entrata dell’appartamento dove viveva il detective Mouri e sua figlia Ran.
Il ragazzo intravide di sfuggita la figura della ragazza, che entrava nel suo appartamento con il volto sconvolto e con una velocità impressionante. Gli sarebbe piaciuto fare due chiacchiere con lei, la trovava simpatica e in quei mesi in cui aveva cominciato il suo lavoro all’agenzia erano anche diventati amici. Avrebbe staccato volentieri dalla noia pomeridiana, ma qualcosa l’aveva bloccato.
Sembrava che Ran non avesse la minima voglia di fermarsi a parlare, lo aveva capito notando il suo sguardo scosso.
Non voleva impicciarsi dei suoi affari, magari aveva avuto una litigata con il fidanzato, e da quelle storie lui voleva starne alla larga, per non doversi sorbire eventuali pianti ininterrotti da parte della ragazza lesa, anche se sapeva bene che Ran non avrebbe mai reagito così.
Ma mai dire mai, questo gli aveva insegnato il lavoro di detective.
Heiji tornò dentro all’agenzia, chiudendosi la porta alle spalle ed accendendo l’aria condizionata che aveva accuratamente tenuta spenta per evitare l’aumento della bolletta di quel mese. Non ce la faceva più, in quel piccolo buco si moriva di caldo, ed era costretto da contratto ad indossare sempre pantaloni lunghi, camicia e giacca. In realtà non era certo di aver letto nel suo contratto una clausola del genere, molto probabilmente era stata una trovata del detective Mouri.
Si lasciò cadere di nuovo sulla sedia girevole e diede le spalle all’ingresso, perdendo lo sguardo nel cielo brillante che stava al di fuori della vetrata dell’agenzia. Sarebbe stata una giornata perfetta da passare fuori, e non lì dentro.
In quel momento desiderò perfino che arrivasse un cliente che lo implorasse di pedinare la moglie. Almeno avrebbe avuto la scusa di poter uscire.
Chiuse gli occhi per non essere tentato dal sole invitante, e cominciò a dondolarsi con la sedia, mentre mentalmente si ridomandava cosa ci facesse uno del suo calibro in un posto come quello.
Ad Osaka, nella sua città Natale, suo padre era il capo della polizia, e non ci avrebbe messo molto a trovare un posto decente dove far lavorare il figlio, nonostante preferisse che se la cavasse da solo. Anche Heiji preferiva arrangiarsi, trovare piano piano la sua strada senza aver bisogno di favoreggiamenti, ma nelle giornate come quella non poteva evitare di pensare a come sarebbe stato se fosse rimasto ad Osaka. A come si sarebbe sentito stimato dai suoi superiori. A come avrebbe tratto piacere nell’incastrare assassini e ladri. A come avrebbe reso fiero suo padre.
“Ah-ah” sentì annuire qualcuno da fuori. Heiji si alzò di scatto dalla sedia, il cuore a mille. Dei passi lenti salivano delicatamente le scale, attutendo quasi del tutto il rumore che le suole producevano con le piastrelle.
“Sì, finisco qua e poi sarò di ritorno... sì, a dopo” sentì proseguire la voce con un forte accento a lui familiare. Heiji mandò giù rumorosamente, cominciando ad avanzare verso la porta.
L’aprì delicatamente e fece fare capolino al di fuori solamente alla testa. Il suo respiro divenne irregolare e la sua gola diventò arida.
Non era la stessa sensazione che provava quando un cliente si recava all’agenzia. No. Era qualcosa di totalmente diverso.
Aveva riconosciuto la voce. L’avrebbe riconosciuta tra mille.
Seguì silenzioso la figura alta e snella della ragazza che stava per raggiungere il pianerottolo della residenza Mouri, un telefono cellulare abbandonato in una mano, una borsa capiente nell’altra. Quel giorno aveva i capelli legati in uno chignon, anche se lui la preferiva con la classica coda di cavallo. Le dava un’aria più sbarazzina e fresca, secondo lui.
Heiji si schiacciò più che poté contro il vetro della porta, pronto a scappare di nuovo dentro come se nulla fosse non appena lei si fosse voltata per suonare il campanello dell’appartamento della sua amica.
Non appena quella mise il piede sull’ultimo gradino, Heiji si impose di distogliere lo sguardo e tornò a rifugiarsi di nuovo nell’agenzia.
 
Ecco, pensò, lei è il motivo per cui sono qui...
 

 
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In questi giorni ho visto il quindicesimo film del nostro tonno preferito, ‘Il quarto d’ora di silenzio’, e lo special ‘Conan vs Lupin III’.. e.. O.O wooow..! :)
Allora! Che mi dite di questo chap? Sono curiosa! :)   Avete notato la comparsata finale, eh eh? Heiji e .. chi sarà MAI questa MISTERIOSA ragazza???? ^^
Mah! :)
Volevo dirvi che la storia proseguirà più o meno giorno per giorno.. quindi vedremo l’evolversi di tutte le storie (mi ripeto -.-) giorno per giorno..
Intanto ringrazio chi ha recensito il capitolo scorso: Ali4869, 88roxina94, withoutrules, izumi_, Shine_, Yume98 e _Flami_!! Grazie mille ragazze  <3
E grazie anche a quelli che hanno messo la fic tra le seguite: Ali4869, ChibiRoby  e shaula..! E chi l’ha messa nelle preferite: Ali4869 e mangaka17!
Grazie mille a tutti voi, anche a chi ha letto solamente! ^^
Vi aspetto al quarto capitolo!


Dony_chan 
  
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