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Autore: Dony_chan    12/02/2012    6 recensioni
Una one-shot saltata in testa d’improvviso che si trasforma in una fan fiction a più capitoli. Mi sorprendo, alle volte! Questa storia si concentra sui protagonisti di Detective Conan, in un mondo dove l’Organizzazione non è mai esistita, dove l’APTX non ha fatto nessun danno, dove le vite dei personaggi scorrono tranquille e indisturbate, e dove... bè, sta a voi scoprirlo!
Enjoy!
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Hi, nice to meet you!
2.

 

 
Ran poggiò stancamente la testa sul banco dell’aula, chiudendo gli occhi e beandosi del fresco che refrigerava la stanza. Alla fine, si erano decisi ad accendere l’aria condizionata anche al campus.
La pausa tra una lezione e l’altra era iniziata da poco, ma Ran non aveva trovato la forza per alzarsi e fare due passi per sgranchire le gambe. Il sonno le era ripiombato addosso dieci minuti dopo aver cominciato ad ascoltare il professore di letteratura tedesca, che con la sua solita voce monotona, stava introducendo ai ragazzi i nuovi autori in vista dell’esame di fine sessione.
La ragazza sentì una mano accarezzarle dolcemente i capelli, per poi iniziare a disfarle la treccia spettinata, rifacendola da capo. Ran non alzò lo sguardo, sapendo già di chi si trattasse.
“Dovevate tornare prima. Come ho fatto io” si sentì sgridare delicatamente. “E non sareste arrivate in ritardo e non sareste addormentate!”.
Ran aprì un occhio e la fissò colpevole. “Hai ragione” disse con un filo di voce. Avrebbe voluto girare la testa e sprofondare in un lungo sonno, ma sapeva bene che, di lì a venti minuti, sarebbe iniziata la seconda parte della lezione di letteratura, e che sarebbe dovuta stare sveglia e attenta a prendere più appunti possibili.
L’esame si stava avvicinando, e Ran riconosceva il familiare crampo allo stomaco che le nasceva improvvisamente al solo pensiero di dover affrontare un’intera interrogazione completamente in lingua straniera.
Con l’inglese non se la cavava affatto male, era la lingua che preferiva, ed anche in francese si sapeva destreggiare, ma il tedesco era sempre stato il suo tallone d’Achille. Il suono duro della lingua era il punto debole comune di tutti gli studenti giapponesi, ma se si trattava di interpretarlo non aveva grossi problemi.
La facoltà di lingue straniere era stata la sfida più grande che lei stessa si fosse mai posta. Voleva sempre dare il meglio di sé, mettersi alla prova, e superare quegli ostacoli che tutti le dicevano essere insuperabili. Chiunque le ponesse la domanda sul perché quella scelta azzardata, lei rispondeva così. Ma questa non era l’unica motivazione.
Ran aveva sempre sognato di fare l’interprete. Non l’aveva mai svelato a nessuno, nascondendo dietro ad una mezza verità il vero motivo per cui aveva scelto un’università tanto difficile. Lo considerava il suo piccolo segreto. Temeva che gli altri non la potessero capire, convinti che, con il titolo pluripremiato di campionessa di karate qual era, il suo destino fosse già segnato. Tutti la vedevano come la grande promessa del karate giovanile giapponese, come l’atleta modello, come l’imbattibile. Ma lei non era solo questo. Il karate era una parte importante della sua vita, questo non lo metteva in dubbio, ma pensarsi solamente come atleta non la faceva sentire piena. Soddisfatta.
A riempire quel vuoto c’erano i suoi amici, la sua famiglia. Ma ciò che la completava definitivamente era il suo sogno.
E Shun.
La ragazza sorrise ad occhi chiusi, beandosi del ricordo della piacevole – e inaspettata – visita mattutina del suo fidanzato.
Se solo potesse tornare indietro, ai tempi del liceo, ed avvisarsi che di lì a qualche anno si sarebbe messa insieme a Shun Onijiri, ragazzo mediamente carino, ma schivo e impacciato, non ci avrebbe creduto. Nemmeno se avesse visto una foto di loro due insieme.
Shun era stato suo compagno di classe dal primo anno, e rimasto tale fino agli inizi del terzo, quando si era fatto coraggio ed aveva iniziato a parlare con lei. Insieme agli amici della classe risultava un ragazzo allegro e solare, ma quando chiacchierava con Ran diventava sempre rosso e goffo. Inciampava, balbettava, sudava freddo e non riusciva mai a guardarla negli occhi.
Erano stati messi in coppia per dirigere il club sportivo di quel primo e ultimo semestre, lei per quanto riguardava la squadra di Karate, lui per il gruppo di basket, di cui era il capitano.
Con sorpresa di Ran, Shun aveva preso regolarmente l’abitudine di aspettarla dopo l’orario di lezione per dirigersi in palestra insieme, ed avevano cominciato a conoscersi meglio parlando dello sport, unico legame concreto tra di loro.
Nel giro di un paio di mesi la loro amicizia si era un po’ rafforzata, ma a causa di un infortunio da parte del giovane, i loro pomeriggi assieme dissiparono ben presto. Ran riprese la sua vita scolastica di sempre, salutandolo ogni qual volta lo incrociava in classe o nei corridoi. Ma null’altro di più. E sembrava che anche lui si fosse arreso, capendo che ad una come Ran non ci sarebbe mai potuto arrivare.
Il cambiamento tra i due avvenne pochi mesi prima della fine della scuola. Sonoko aveva organizzato un party di Natale nella sua sontuosa casa, invitando tutti i compagni di classe per festeggiare per l’ultima volta la ricorrenza tutti insieme. Era stata una serata piacevole e divertente, che non ebbe eventi speciali fino alla sua conclusione. Un compagno di classe delle due ragazze, Jiro Musumechi, si era confessato apertamente a Ran, chiedendole di uscire con lui almeno per una volta.
Era un tipo piuttosto scorbutico e plateale, che amava circondarsi di più ragazze alla volta, e che guardava la gente dall’alto in basso prima di rivolgerli anche solo un saluto.
Ran non ci mise molto a rifiutare, senza rendersi conto che facendo ciò aveva alleggerito il cuore pesante di Shun, nascosto dall’altra parte della porta preso ad origliare dalla gelosia. Fu il mattino seguente che si decise a raggiungerla per confessarsi a sua volta, senza dare peso al fatto che indossasse ancora i pantaloni del pigiama.
L’aveva fermata sul pianerottolo di casa sua, appena in tempo prima che lei uscisse, e, in ginocchio e con le gote imporporate, le aveva rivelato tutto. E le aveva chiesto di uscire.
Ran gli aveva sorriso, colpita e divertita. “Bella camicia” aveva detto trattenendo una risatina. “Se me la presti, esco con te stasera”.
Ovviamente, Shun gliela aveva ceduta subito, e, nonostante ci fossero parecchi gradi sottozero, non aveva sentito nemmeno una punta di freddo, scaldato dal viso allegro e sorridente della ragazza che aveva sempre segretamente amato.
 
 
“Ecco fatto!” trillò la voce della sua amica con un forte accento del Kansai, facendo rinvenire Ran dalle sue memorie. La giovane si rimise dritta a sedere e si tastò la treccia ben fatta che le aveva appena acconciato l’amica, che sedeva impettita sulla sua parte del lungo tavolo che percorreva in largo l’intera aula dell’università. Aveva la pelle chiarissima e i capelli corvini, raccolti in uno chignon disordinato. Indossava un paio di jeans a vita bassa, scarpe sportive e una canottiera colorata. Fece guizzare i suoi occhioni verde smeraldo verso l’ingresso dell’aula, da dove stava rientrando una Sonoko piuttosto scocciata.
La giovane ereditiera si lasciò cadere pesantemente all’altro lato di Ran, gettando la chiavetta delle macchinette sul banco e scostandosi gli occhiali da sole dal viso per la prima volta, mostrando alle amiche due chiazze scure che le contornavano gli occhi. Questi erano rossi e lacrimanti, ed imploravano di essere chiusi per riposarsi, ma non sapevano che avrebbero dovuto resistere aperti per almeno altre tre ore di lezione.
Sonoko prese svelta lo specchietto dalla sua borsa e si diede un’occhiata disgustata, per poi chiudere e lanciare anche quello sul banco, facendolo cadere rovinosamente sul pavimento. Era di pessimo umore, quel giorno, nonostante la sera prima fosse sembrata la persona più felice sulla faccia della terra.
Si accorse degli sguardi cupi che le due amiche le avevano rivolto non appena lei aveva scoperto gli occhi, quindi non ci mise molto a far ricadere gli occhiali da sole sul suo viso e mettere su un’espressione annoiata. Non voleva l’attenzione sulle chiazze scure sotto i suoi occhi, non aveva avuto il tempo di coprirle per bene con il trucco, quella mattina.
“Alle macchinette non c’è un bel niente!” sbuffò, cercando di inviare una conversazione. Ran la stava ancora fissando in silenzio, mentre la sua amica stava per aprire bocca e parlare, quasi sicuramente per rimproverarla per aver fatto le ore piccole.
“Kazuha, chiudi quella boccaccia” le mormorò acida, pentendosi un secondo dopo. L’interpellata non fiatò, ma scosse la testa e si rimise seduta compostamente, aprendo il libro di letteratura tedesca e cominciando a riordinare gli appunti.
Ran fulminò con gli occhi Sonoko, le passò sgraziatamente la mela che si era portata come spuntino veloce e recuperò la chiavetta sul banco.
“E questa?” le domandò Sonoko interrogativa.
Ran si alzò e superò Kazuha, avviandosi verso la porta dell’aula. “Mangiala tu, io vado a prenderti un caffè!” le rispose senza voltarsi, ed uscì.
I corridoi erano ancora parecchio affollati di studenti che si beavano la pausa, mentre altri dei piani superiori erano scesi per sgranchirsi le gambe e per rovistare tra le loro macchinette, avendo le loro rotte.
Ran si avvicinò al distributore di bevande e inserì la chiavetta dell’amica. Vedendo il suo riflesso sul vetro della macchinetta, notò che stringeva ancora in una mano il suo cellulare completamente andato distrutto. Se l’era così tanto presa, che si era dimenticata di averlo tenuto morbosamente nella mano dall’inizio della pausa fino a quel momento.
Accidenti, che doveva fare? Suo padre sarebbe andato su tutte le furie vedendolo ridotto in quelle condizioni. Le aveva appena comperato quel nuovo modello solo perché quello precedente si rifiutava di inviare e ricevere messaggi, altrimenti, se fosse stato per lui, poteva anche tenersi quel vecchio modello obsoleto.
Ran strinse forte il pugno libero, dando una pacca non molto affettuosa al distributore ronzante. Se beccava quell’automobilista in giro, glielo avrebbe fatto ricomprare a lui.
Sapeva, nel profondo, che quell’uomo o quella donna non c’entrava un bel niente, ma la colpa doveva darla a qualcuno e per il momento quello era il capro espiatorio.
Senza indugiare oltre, seleziono la bevanda per la sua amica, scorgendo un secondo dopo un’ombra scura dietro di lei.
Si voltò, ed incrociò lo sguardo di un ragazzo mai visto. Quello abbassò lo sguardo un istante dopo sulla sua mano, precisamente su quella che teneva il cellulare malconcio, e assunse un’espressione colpevole.
“Oh” lo sentì mormorare.
Il ragazzo alzò di nuovo lo sguardo, prendendo a strofinarsi la nuca con una mano, sorridendo imbarazzato. “Non dirmi che sono stato io” aggiunse con una mezza risatina.
Il giovane riaprì gli occhi, mostrando a Ran due iridi azzurre come l’oceano, e che la fecero rimanere ferma incantata a fissarle fino a che il bip della macchinetta non l’avvertì che il caffè era pronto per essere prelevato.
Ran rinsavì e scosse la testa, sentendosi stupida. Chissà che stava pensando, quel tipo, vedendola lì imbambolata a fissarlo. Sperò che non pensasse che lei fosse scema.
“Mi dispiace. Non pensavo di aver fatto un danno del genere” continuò il ragazzo, diventando serio.
Ran sbarrò gli occhi, arretrando di un passo. Gli puntò l’indice contro, sentendo la sua espressione cambiare e diventare ostile. “Tu!” sputò fuori, sentendo la voce incrinata.
Il giovane inclinò la testa di lato, avvertendo un filo di panico. Quella ragazza emanava un’aura non molto amichevole nei suoi confronti.
“Tu sei il ragazzo di stamattina! Tu sei quello che mi ha schiantata a terra!” ricordò Ran, facendo tornare alla mente il viso accaldato e frettoloso del ragazzo che quella stessa mattina l’aveva fatta finire gambe all’aria.
“Bè, io non userei esattamente quel termine...” si intromise lui, ammutolendo un secondo dopo. Gli occhi chiari di Ran mandavano scintille, e nel contempo la presa su quello che era il suo cellulare si fece ancora più forte.
“Tu sei quello che mi ha fatto volare il telefono in strada!” completò la ragazza, fissandolo truce. Ecco, ora aveva un nuovo capro espiatorio. Quel ragazzo le avrebbe ricomperato un cellulare nuovo, con le buone o con le cattive.
“Non l’ho mica fatto apposta!” si difese il ragazzo, assumendo un’aria offesa, come se Ran lo avesse insultato.
La ragazza rimase muta a fissarlo in cagnesco, per poi chiudere gli occhi e lasciarsi andare ad un sospiro. Si strinse nelle spalle, rivolgendogli uno sguardo di scuse. Non era da lei andare così in escandescenza, ma non ci aveva più visto quando lo aveva riconosciuto.
Tutta colpa dello stress per gli esami.
“Hai ragione, scusa” ammise, cosa che colpì il ragazzo. Era pronto a difendersi fino alla morte non appena aveva incontrato lo sguardo irato della giovane, ma a quanto pareva lei aveva ceduto. E aveva capito.
“Non è da me” aggiunse Ran, abbassandosi e recuperando il caffè per Sonoko. Doveva chiedere scusa al ragazzo ancora una volta per l’ira che gli aveva rivolto, e poi sbrigarsi per tornare in aula prima che la pausa finisse.
Stava per voltarsi e ricominciare a parlare, quando vide il giovane infilare qualche monetina nel distributore, ricaricando così la chiavetta.
La tolse con calma e gliela porse, sorridendo bonariamente.
Ran la prese, stupita, e lo fissò interrogativa.
“Il caffè te l’ho offerto io, d’accordo? Per farmi perdonare” le disse, ammiccando. “Lo so che non vale esattamente come un cellulare, ma ti prego di accettare” concluse il ragazzo, buttando un’occhiata al suo orologio un secondo dopo. Strabuzzò gli occhi, notando che era estremamente in ritardo e si voltò per risalire il corridoio e sparire nella sua aula.
Alzò una mano in cenno di saluto verso Ran, che si affrettò a seguirlo, correndo meglio che poteva per non spargere il caffè a terra.
Si fermò prima delle scale, notando che il ragazzo apparteneva alla facoltà del terzo piano.
“Ehi!” lo richiamò prima che questo sparisse dietro l’angolo. “Come ti chiami?”.
Il ragazzo si voltò e ammiccò una seconda volta. “Mi chiamo Shinichi! Shinichi Kudo”.
 
 
Ran tornò in aula camminando come un automa. Quel ragazzo l’aveva davvero sorpresa, pagandole il caffè per rimediare al piccolo incidente di quella mattina. Si sentiva in colpa, forse l’aveva un po’ spaventato con la sua collera.
Scosse la testa, raggiungendo le sue amiche un attimo prima che il professore di tedesco rientrasse in aula addentando ancora il suo panino imbottito.
Porse a Sonoko il caffè e la chiavetta, accarezzandole un secondo dopo la testa, sorridendole. Sapeva che quello che aveva passato non era affatto un bel periodo, e che la rottura con il suo ex ragazzo non era stata una passeggiata, ma le era veramente sembrato che la sua amica si fosse ripresa. Si sbagliava, e lo poteva riscontrare nei drastici cambi di umore della ragazza.
Sospirò, sperando che arrivasse anche per lei il ragazzo giusto, e che finalmente il suo cuore si potesse riappacificare con se stesso.
Il professore si schiarì la voce, risistemandosi alla cattedra e riaccendendo il proiettore per far scorrere le slide della lezione, mentre con la sua voce soporifera e annoiata riprendeva a spiegare Goethe e le sue opere.
Ran riaprì il suo quaderno degli appunti, recuperando la penna e guardando con un filo di invidia la sua amica Kazuha che, senza distrazioni, stava copiando a macchinetta ciò che usciva dalla bocca del professore. Le si avvicinò all’orecchio, sussurrandole: “Mi fai copiare, poi?”.
Kazuha la guardò storta, per poi sciogliersi in un sorriso arrendevole. “E va bene. Ma cerca di stare attenta anche tu”.
Ran promise, incrociando le dita dietro alla schiena, ed un secondo dopo, quando la sua amica si rimise a scrivere, poggiò la testa sul tavolo e chiuse gli occhi.
Prima di sprofondare in un lieve sonno, le tornarono alla mente gli occhi azzurri del ragazzo delle macchinette, e si stupì lei stessa.
 
Shinichi... Shinichi Kudo
 
 
Il ragazzo starnutì silenziosamente, sfregandosi poi il naso. Strano, gli era parso di non essere raffreddato, in quei giorni. Forse era colpa dei condizionatori a palla che erano accesi per tutto il campus, che rendevano nettamente il contrasto con la temperatura elevate al di fuori dell’edificio.
Si sistemò la matita sul labbro superiore, racchiudendola sotto il suo naso, e si perse a guardare fuori dalla finestra.
Il pomeriggio era appena iniziato, e la giornata si prospettava calda e soleggiante, perfetta per una scorrazzata in città assieme agli amici. Aveva una voglia matta di mandare subito un messaggio al suo migliore amico, per tirarlo fuori da quel buco dove lavorava tutti i santi giorni, e invitarlo a fare un giro in moto. Ma sapeva che, appena finita la lezione, si sarebbe dovuto rintanare di nuovo al chiuso, stavolta a casa sua, per mettersi a studiare in vista dell’esame che, di lì a due settimane, avrebbe dovuto sostenere.
Il suo viso scivolò fino a far scontrare la fronte con il tavolo freddo dell’aula, e si sforzò di non chiudere gli occhi e addormentarsi. Non erano rare le volte che si abbandonava nelle braccia di Morfeo mentre era a lezione, ma quella volta doveva convincersi a rimanere con gli occhi ben aperti e le orecchie attente. O ne andava della sua media scolastica.
Sbuffò rumorosamente, beccandosi parecchie occhiatacce dai suoi vicini di seduta e si concentrò sulla professoressa che stava spiegando la lezione. Era una donna di circa trent’anni, con capelli biondi, fisico snello e labbra carnose. Era il sogno proibito di tutti i ragazzi che stavano rinchiusi in quell’aula. Compreso Shinichi.
Era bella da morire, e la sua voce melliflua usciva incantevole da quelle labbra magnetiche. Shinichi si sarebbe perso la lezione rimanendo incantato ad ammirarla, se solo non fosse stato per la camicia che indossava quel giorno. Era di un azzurro chiarissimo, che gli riportò alla mente gli occhi della ragazza delle macchinette.
Era capace di tenere una perfetta faccia da poker, nelle evenienze, e con lei lo aveva fatto. Ma, dentro di sé, quegli occhi l’avevano catturato come api sul miele e difficilmente era riuscivo a non rimanere a fissarla incantato.
Non voleva passare per maniaco. L’aveva già fatta infuriare abbastanza, e sembrava il tipo di ragazza che sapeva stenderti a suon di calci e pugni. Sicuramente praticava qualche sport, la sua corporatura era slanciata, ma allo stesso tempo muscolosa. I glutei, non aveva potuto evitare di sbirciare quando si era trovato alle sue spalle, erano sodi, perfetti, e aveva le spalle minute, ma forti.
E poi quegli occhi... Dio, li avrebbe guardati per giorni interi senza stancarsi! Erano così puri e profondi, così inaccessibili e sfuggevoli. Voleva scavare a fondo il suo sguardo, voleva arrivare a lei, e non si sapeva spiegare il perché.
Shinichi sentì le guancie accaldate e scosse violentemente la testa, scompigliandosi ancora di più i capelli disordinati.
Ma che pensieri stava facendo? Non erano da lui! Quella ragazza lo aveva scombussolato un po’, ma nulla di più. Doveva darci un taglio e smetterla di pensare a quegli occhi insofferenti. Lui non c’entrava nulla con lei, si erano solo scontrati... capita. Punto, fine. Non l’avrebbe neanche mai più incrociata, data l’immensità dell’Ateneo. Era stato un caso ritrovarla alle macchinette dopo il piccolo incidente della mattina.
Si passò una mano sul viso stanco, controllando poi l’orologio. Aveva ancora un’ora di lezione. Forse, avrebbe dovuto concentrarsi.
 
 
L’ora passò tranquilla e senza pensieri strani che affollassero la mente di Shinichi. Il ragazzo era riuscito a prendere gli appunti necessari per lo studio individuale che avrebbe cominciato una volta raggiunta casa sua, e, stiracchiandosi, si diresse fuori dall’aula assieme ai compagni di corso.
Scese le scale con le mani affondate nei jeans, e si impegnò con tutto se stesso per ignorare il distributore di bibite che si trovava al termine del secondo piano e che voleva riportargli alla mente la ragazza di quella mattina.
Lui sapeva come raggirare certi pensieri, e sorrise trionfante alla macchinetta ronzante quando gli passò accanto, ricevendo un paio di occhiate curiose da due ragazze che stavano chiacchierando lì accanto.
Shinichi, rosso come un peperone, abbassò la testa e si affrettò all’uscita senza concedere ai suoi occhi di staccarsi dai lacci delle sue scarpe sportive. Uscì nella calura pomeridiana senza un lamento, ed attraversò il piccolo cortile dell’Ateneo con passo rapido.
 
Solo quando sarò fuori di qui potrò alzare lo sguardo...
 
si ripeté nella mente con ostinazione e, quando con la coda dell’occhio individuò il cancello, con un enorme sorriso trionfante Shinichi rialzò il volto davanti a sé... per poi arrestare il passo, e sbiancare.
“Ehi, ciao, ragazzo della macchinetta” lo salutò una voce allegra.
Era lei. La ragazza della macchinetta.
Se ne stava appoggiata al cancello dell’università, le braccia incrociate, la borsa abbandonata per terra e un sorriso tutto per lui.
Shinichi spostò lo sguardo dai suoi occhi al suo viso, per contemplarla meglio. Voleva articolare una frase di senso compiuto, ma la sua lingua era immobile, restia a collaborare.
La ragazza sorrise e si avvicinò, recuperando la borsa da terra e sistemandosela su una spalla.
“O forse dovrei dire Shinichi. Il caffè che mi hai offerto oggi non era per me, in realtà” disse pacatamente. Possibile che fosse solo lui quello agitato?
“Ti spiace se me ne offri un altro?” aggiunse lei, alzando una mano all’altezza del viso, mostrandogli il cellulare rovinato.
Shinichi si lasciò scappare un sorriso, sentendosi in trappola. Si accostò a lei, uscendo assieme dal cancello dell’università. “Ma certo”.
 

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Ciaooo! I’m back ^^
Allora, allora.. in questo capitolo si capiscono un po’ più di cose, ma devo ammettere che altre sono ancora sconosciute a me stessa.. Santo cielo, speriamo che mi arrivi l’illuminazione dall’alto!
Che mi dite? :) Voglio sapere tutto quello che vi passa per la testa, mi raccomando! :)
Intanto ringrazio quelle buone anime che hanno commentato il primo capitolo : Sherry Myano, Yume98, Shine_, _Flami_, withoutrules, 88roxina94, myellin e izumi_!
E grazie anche a chi ha inserito la fan fiction tra le seguite: 88roxina94, arianna20331, izumi_, M e l y C h a n, myellin, VSRB, withoutrules, Yume98 e _Flami_!
Grazie anche a chi ha letto soltanto!!
Ci vediamo al treee!
 
Dony_chan 
  
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