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Autore: Arwis     23/09/2006    5 recensioni
Solo cento passi ti separavano dalla sua porta, eppure non hai mai avuto il coraggio di bussare...
Genere: Romantico, Triste, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti e benvenuti nel secondo capitolo di “cento passi”!
Finalmente la storia sta prendendo una forma, mentre io continuo a sperimentare questo nuovo stile un po’ più conciso e incisivo del solito… Spero vi piaccia anche questo secondo capitolo!
Ci terrei a ringraziare Angel_kiss, Damynex, Frisulimite e Londonlilyt , che hanno recensito il primo capitolo! Grazie mille per i complimenti, spero di soddisfarvi anche sta volta!
Buona lettura!

Arwis



Rabbia. Perché la rabbia è tutto quello che riesci a provare, Rigel?
Chi è che odi così tanto, chi è che ti spinge a stringere i pugni a tal punto da far sanguinare i palmi?
Le strade di Faere sono buie stanotte, cieche persino alla luce delle stelle.
I tuoi passi non fanno rumore, ma i battiti del cuore sono assordanti.
Per chiunque li sappia ascoltare.
Vicoli, strade e ancora vicoli.
Curve e vie, che in pochi si possono vantare di conoscere così bene.
Ma tu ci sei cresciuta, nelle strade della capitale.
Sono la tua casa.
Ancora qualche passo, poi la meta.
Davanti a te si erge in tutta la sua magnificenza, il palazzo imperiale.
Marmi policromi, stucchi applicati ad arte.
Troppo per un uomo solo.
L’angolo accanto alla fontana, è li che hai l’appuntamento con il tuo committente.
Cali bene la ladresca sugli occhi, affinché di te sia visibile solo la bocca, seria.
Qualche passo e gli sei davanti.

- Ti aspetto da un po’. -
- Infine sono qui.-
- Ricordi dove devi eseguire il lavoro? -

Annuisci.
Sai bene dov’è che riposa ogni notte la tua vittima, sai quali sono le sue abitudini. Hai studiato per giorni il tuo obiettivo, cercando di apprendere il modo migliore per eliminarlo.
La gola, un taglio netto. Poca sofferenza, non avrà neppure il tempo di guardarti negli occhi, prima di spegnersi.

- In tal caso questo è il saldo, come pattuito. -

Il cancelliere slaccia la borsa con i soldi dalla cintura e te la porge.
Tu ne hai già un’altra legata in vita: quella che ti ha dato Marfik, meno di un’ora fa. I soldi sporchi dell’impero pesano, tra le tue mani.
Forse perché sono molti, forse perché sono intrisi della sofferenza da cui provengono.
Ma è danaro, ed è per questo che tu vivi.
Leghi la piccola bisaccia accanto a quella che ti ha lasciato Marfik e, sotto il tuo cappuccio pesante, ti sfugge un sorriso cinico.
E’ proprio vero che chi nasce ragno non può diventare farfalla.

- Domattina il consigliere Marfik di Arendal non vivrà più. -

Il cancelliere annuisce e sorride, soddisfatto.
Ma quella frase non l’hai pronunciata per lui, l’hai fatto per te.
Marfik ormai è un morto che cammina.

- Mi fido della tua abilità e discrezione. E anche l’imperatore Xaferas si fida di te.-

Ma tu, della loro fiducia, non te ne fai nulla.
Il cancelliere si volta e rientra a palazzo, come se nulla fosse successo. Le due guardie all’entrata spalancano il portone e in breve anche la schiena dell’uomo è inghiottita dal buio.
Il portone viene richiuso, e il rumore delle lance dei soldati, incrociate nuovamente, ti riscuote.
Sei stata pagata, Rigel.
Il tuo lavoro inizia ora.

Non sei che un’ombra.
Il tuo passo lungo e controllato sembra scomparso, sostituito da una corsa leggera e veloce.
Un rumore, improvviso, inaspettato.
Con un balzo, sei scomparsa.
Una prostituta cammina ridendo, con un soldato ubriaco appoggiato a se.
In fondo, non siete poi così diverse, non è vero?
Entrambe vi vendete per soldi.
La donna e l’uomo entrano in una sudicia casupola e tu, come un pipistrello, scendi dal tetto della bottega, sul quale ti eri accucciata.
La tua corsa continua, dritta fino alla porta.
QUELLA porta.
Quella a cui non hai mai avuto il coraggio di bussare, quella dove ogni mattina ti conducevano i tuoi cento passi.
Marfik.
Ma nemmeno questa volta busserai, nemmeno questa volta entrerai da quell’uscio.
Le strade sono deserte, non c’è anima viva.
D’altra parte ti trovi nei bassifondi e ormai è notte inoltrata.
Ti aggrappi ad un mattone sporgente e scali il muro dell’abitazione; passo dopo passo, mattone dopo mattone.
Nera ed esile, come il più letale degli aracnidi.
Uno slancio della gamba destra e ti trovi sospesa tra il muro, un balcone e il vuoto.
Fai forza con le braccia e sei dentro.
Un respiro profondo, due, tre.
Stai iniziando a sudare.
Afferri il pugnale con la mano destra e, con la sinistra, apri la finestra.
Un alito di vento fa svolazzare la tenda leggera del baldacchino.
Ti avvicini piano, senza peso, come un’anima, immergendoti nell’oscurità lunare della stanza.
Lui è oltre quella cortina di tessuto, che a te sembra impenetrabile.
Gli omicidi vanno affrontati a sangue freddo, Rigel, come hai sempre fatto.
E come dovresti fare anche stavolta.
Non credi sarebbe meglio se per oggi tornassi a casa, e domani affrontassi il lavoro a mente fredda?
Tuttavia l’imperatore non accetterebbe le tue mere scuse, e in primo luogo saresti tu a non riuscire a concederti il perdono.
Una mano oltre il tendaggio e lo scosti. La seta grezza scorre stra le tue mani.
Uno spicchio di luna illumina il suo viso.
La camera è fredda, ma lui è avvolto in un torpore tranquillo, sereno.
Il pugnale.
Un colpo solo e sarà fatta, finita.
Accosti la lama alla sua gola, ma lui scatta.
Marfik si solleva a sedere, storcendoti il polso, il viso contorto dalla rabbia.
Come hai fatto a farti sorprendere così, Rigel?
Tu sei la migliore sul campo, l’infallibile sicario nero!
Una lacrima solca la tua guancia, lacrima di sconfitta, lacrima di bruciante vergogna.
Perché i morti si possono contare, ma l’umiliazione non ha numeri.
Marfik continua a storcerti il polso, fino a portare la tua testa all’altezza della sua bocca.

- sapevo che saresti venuta, cagna. – mormora a denti stretti – ti apettavo. -
- in molti mi aspettavate, sta notte… -
- chi ti manda? Dimmi chi ti manda, o per tutti gli Dei ti faccio arrestare. -

Perché proprio ora ti viene da ridere?
Perché il riso lotta così per uscire dalle tue labbra?
Marfik con un gesto fulmineo ti strappa il mantello.

- Guardami negli occhi, mentre mi uccidi. Fallo se sei il sicario che dici. -

Poi ti lascia il braccio.
Il tuo respiro è agitato, pesante.
Lui ti fissa con i suoi occhi neri come la brace, i capelli scomposti e lucidi come ali di corvo.
Il suo petto si alza e si abbassa aritmicamente, anche lui è affannato.
Perché non agisci?
Perché tremi?
Marfik sorride e scuote la testa, poi scatta e ti afferra la mano destra, portando il pugnale vicino alla vena pulsante del suo collo.

- ammazzami. – sibila.

Fissi i tuoi occhi nei suoi e, mentre una seconda lacrima solca il tuo viso impassibile, premi il coltello contro la sua gola.

  
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