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Autore: _Pulse_    17/02/2012    1 recensioni
Una volta usciti dall’acqua, ancora placcata da i due Jonas, il terzo si avvicinò e passò due asciugamani ai fratelli.
«Tante grazie!», gridai, fuori di me.
«Non iniziare a lagnarti! Vieni qui con me!», gridò il più piccolo, attirandomi a sé e avvolgendomi nel suo asciugamano con lui. Rimasi piacevolmente sorpresa da quel gesto e mi arresi al fatto che ormai non mi restava altro da fare che seguirli e scoprire che cosa volevano da me.
Genere: Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Joe Jonas, Kevin Jonas, Nick Jonas, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 19

 

Lentamente ripresi in mano le redini della mia vita.
Tornai a scuola, nonostante le evidenti difficoltà che dovevo affrontare per recuperare la parte del programma che avevo perso, e promisi a me stessa che, scoppiasse la dimensione in cui mi trovavo, avrei passato l’anno scolastico.
Tutte le volte che lo studio me lo permetteva tornavo nell’altra dimensione per stare vicina alle persone che attendevano per il loro ritorno a casa e per verificare come procedevano i lavori per la costruzione dell’edificio che sarebbe diventato l’aeroporto dimensionale, del quale ci sarebbe stata l’inaugurazione tra poche settimane.

A questo proposito mi resi conto che serviva uno spazio non solo per la partenza, ma anche per l’atterraggio nell’altra dimensione, quindi io e i miei genitori ci impegnammo a cercare il posto adatto, fino a quando non decidemmo di utilizzare la nostra cantina, nella quale iniziammo a fare una ristrutturazione totale, creando anche un tunnel – proprio ciò che odiavo – per far sbucare le persone teletrasportate nella metropolitana, un luogo piuttosto affollato nel quale nessuno si sarebbe mai accorto di nulla. Da lì, poi, sarebbero tornati a casa da soli.

Sapevo fin da subito che il lavoro da fare sarebbe stato tanto e molto dispendioso d’energie, almeno fino a quando non mi fossi abituata del tutto a teletrasportare molte persone per più volte al giorno, ma non avevo paura e non mi sarei tirata indietro per nessun motivo al mondo.

Oltre a tutti questi impegni, feci di tutto per vedere più o meno regolarmente Nick, il quale, assieme ai suoi fratelli, era stato quasi rinchiuso nello studio di registrazione dalla sua casa discografica, per scrivere le canzoni del nuovo album, che sarebbe uscito in contemporanea al loro ritorno sulla scena musicale, fino ad allora rimasto segreto.
Aveva davvero pochissimo tempo libero, come sua madre mi aveva preannunciato, ma grazie al mio dono – che non mi era mai sembrato così utile – riuscivo a passare un po’ di tempo con lui quasi ogni sera, prima che si addormentasse come un sasso con la testa sulla mia spalla, mentre ci raccontavamo le nostre giornate.

Era davvero dura tener fede a tutti gli impegni presi e non demoralizzarsi vivendo una relazione così influenzata dal lavoro di Nick, ma la mia determinazione era tanta e l’amore per Nick ancora maggiore. Ci stavamo impegnando, anche opponendoci contro tutti coloro che potevano ostacolarci, e ci stavamo riuscendo perfettamente.
Per esempio, quando Nick riuscì ad ottenere un giorno libero dalla casa discografica non ci pensò due volte a passarlo con me.

 

Arrivò a casa mia quasi all’improvviso, senza nemmeno darmi il tempo di capire cosa stesse succedendo mi avvicinò al viso due biglietti e, prendendoli fra le mani, mi accorsi che – purtroppo per me – non si era dimenticato della promessa fatta.

«Due biglietti per la partita degli Yankees», esclamai senza troppa convinzione. Mi ripresi velocemente, per paura di veder scomparire quel bellissimo sorriso dal suo volto, e provai a mostrarmi al settimo cielo.
«Wow, è fantastico! Ma come hai fatto a trovarli, avevo sentito che erano quasi finiti tutti!».

«Un modo io lo trovo sempre», mi sussurrò all’orecchio con tono suadente, facendomi avvampare.

«Che cosa, tesoro?», mi domandò mia madre dal tavolo della cucina, dove stava ricontrollando gli articoli che avrebbe pubblicato sul giornale per cui lavorava.

«Vado con Nick a vedere la partita degli Yankees!», gridai di rimando, sperando ardentemente che non dicesse qualche cavolata che avrebbe compromesso tutto.
Ovviamente, nessuno ascoltò le mie preghiere silenziose.

«Tesoro, ma tu hai sempre detto che…».

«Che non vedevo l’ora di andare a vedere gli Yankees con Nick!», gridai più forte per sovrastare la sua voce, girandomi e guardandola in modo eloquente.

«Oh sì, puoi scommetterci», disse allora, per poi tornare a guardare i propri scarabocchi, borbottando tra sé.

Mi voltai di nuovo verso Nick e gli sorrisi smagliante. «Vado a cambiarmi, ci metto due secondi. Aspettami qui».

Corsi su in camera mia, mi misi le mani nei capelli e poi sospirai per calmarmi: infondo avrei passato un’intera giornata con Nick, non sarebbe stata poi la fine del mondo se da qualche altra parte o ad una partita di baseball!

Mi cambiai in fretta, arraffai la prima borsa che mi capitò sotto il naso e la riempii con le cose essenziali, poi galoppai giù dalle scale, sorridendo a Nick che mi aspettava seduto sul divano.
Sperai che, una volta rimasta sola, mia madre non avesse rovinato tutto, ma dalla sua espressione non riuscii a capirlo e continuai nella mia farsa a fin di bene.

«Sono pronta!».

Uscimmo di casa e Nick mi aprì la portiera come un vero cavaliere, io entrai in auto e lo vidi mentre faceva il giro per mettersi al posto di guida. Nel frattempo guardai i biglietti che ancora stringevo in mano e mi accorsi che aveva preso i posti migliori, a pochissimi metri dal campo.

«Ti saranno costati una fortuna», biascicai, guardandolo con la coda dell’occhio.

«No, io sono abbonato, ho lo sconto!».

«Oh…», mi portai una mano di fronte alla bocca e scoppiai a ridere. «Certo, avrei dovuto immaginarlo».

In quei mesi passare del tempo con lui era diventato così raro che solo stare in auto insieme, a cantare a squarciagola le canzoni che passavano alla radio, era già fantastico ai miei occhi.
Tanto che non pensai più a dove eravamo diretti e per un po’ mi dimenticai del baseball, godendomi semplicemente quel momento.

Quando arrivammo, fu quasi uno shock. Quasi, perché Nick non mi diede nemmeno il tempo per capire come mi sentissi al solo pensiero che avrei dovuto fingere di divertirmi e di capirci qualcosa: mi prese semplicemente per mano e mi trascinò dentro lo stadio in cui si sarebbe svolto l’incontro.
Mi fece sedere al mio posto e subito se ne andò per comprare da bere e da mangiare, dicendomi che non aveva voglia di aspettare l’omino dei panini, come lo chiamava lui. Così rimasi sola, seduta così vicina al campo da sembrare di esserci finita dentro e da aver paura che una palla da baseball mi arrivasse dritta in faccia.
Sentii delle voci sotto di me e mi alzai per vedere come fosse possibile, solo allora mi resi conto che eravamo proprio sopra la panchina degli Yankees!

«Oh mio Dio, altro che marito ossessionato! È pazzo, è pazzo», dissi a mezza voce, sbalordita.

Quando tornò con un paio di sandwich e due bibite, lo guardai fisso negli occhi con la forte tentazione di dirgli in faccia quello che avevo pensato, ma ancora una volta il suo sorriso mi impedì di farlo.
Così gli presi dalle mani il mio panino e la mia lattina di aranciata e scalai di un posto per farlo sedere.

La partita ebbe inizio una decina di minuti dopo e quando Nick vide i giocatori degli Yankees correre verso il diamante e posizionarsi, si alzò in piedi ed iniziò ad incitarli. Io, rossa di imbarazzo per le persone dietro di noi, lo presi per un braccio e con la forza lo feci sedere di nuovo al suo posto.
Nick all’inizio mi guardò contrariato, poi ridacchiò e mi strinse in un abbraccio inaspettato.

«Sono così felice di essere qui con te…», mi disse e mi prese il volto fra le mani per guardarmi negli occhi, poi tirò fuori un cappellino dallo zainetto che si era portato dietro. Feci solo in tempo a vederne il colore e il famosissimo simbolo bianco in rilievo – le iniziali dei NY Yankees – perché me lo mise subito in testa, per poi soffermarsi a guardare come mi stava.

«Ti dona! Il blu è il tuo colore!», esclamò, poi tutto felice si voltò a vedere la sua squadra del cuore che, essendo fuori casa, aveva la possibilità di attaccare per prima e quindi di giocare il primo inning.

Durante tutto il corso della partita, Nick si soffermò spesso a spiegarmi tutto ciò che accadeva in campo ed ad elencarmi ogni ruolo dei giocatori, anche se io non gli chiedevo mai niente.
Pian piano iniziai ad appassionarmi io stessa, a fargli le domande più strane che mi venissero in mente, ma lui rispondeva sempre sorridendo. Con il suo entusiasmo riuscì persino a farmi pregare che gli avversari sbagliassero il tiro o venissero eliminati e a farmi scattare in piedi come una molla insieme a lui quando gli Yankees vincevano un inning.
Il suo era stato un vero e proprio miracolo: mai e poi mai avrei pensato che sarebbe riuscito a farmi piacere il baseball!

Quando la partita terminò, uscimmo dallo stadio ancora euforici per la vittoria dei nostri beniamini, ricordandoci ancora tutti i colpi che erano riusciti a fare, tra cui ben quattro fuoricampo.

«Grazie per essere venuta con me», disse Nick una volta seduto al volante, con una mano sulle chiavi nel cruscotto e gli occhi fissi nei miei. Stavo per rispondergli dicendo che era stato un piacere, che mi ero divertita tantissimo, ma lui non mi lasciò nemmeno iniziare e aggiunse: «Nonostante il baseball non ti piaccia».

Sgranai gli occhi ed ebbi paura che il mento mi fosse finito in grembo, talmente tanta era stata la sorpresa. «E tu… tu come fai a saperlo?», balbettai.

Nick accennò un sorriso. «L’ho capito subito, dalla prima volta in cui ne abbiamo parlato. Avrei voluto dirtelo, ma tu recitavi così bene che mi sembrava un peccato interromperti!».

Abbassai lo sguardo, unendo le mani sulle gambe. «Mi dispiace», mugugnai, davvero mortificata. «È che a te il baseball piace così tanto… non volevo farti rimanere male, così mi sono detta che una piccola bugia a fin di bene non avrebbe fatto male a nessuno, ma poi le cose mi sono sfuggite di mano e…».

Nick però si lasciò andare ad una leggera risata. «Amore, non sono arrabbiato. L’ho capito subito che non avevi cattive intenzioni e devo dire che mi sono anche divertito guardandoti nei panni di una tifosa!».

«Pff, simpaticone», gli tirai un pugnetto sulla spalla e risi anche io. «So che me ne pentirò, ma… non ho finto per tutto il tempo, oggi. Il baseball non è poi tanto male, anzi… mi sono divertita davvero! E il merito è tutto tuo».

Il sorriso di Nick si allargò a dismisura e mi attirò a sé per baciarmi sulle labbra.
«Allora per Natale regalo l’abbonamento anche a te!».

«Non ci provare, Nicholas Jerry Jonas!», gridai, col viso paonazzo. Lui rise e rimase lì per un po’, appoggiato con il mento alla mia spalla. Sentivo il suo respiro fra i capelli, sulla pelle del collo, e pensai che lui era la cosa più bella che mi fosse mai capitata.

«Resti a cena da me?», gli domandai in un sussurro.

«Se non sono di disturbo…».

«Questo mai».

 

***

 

Il Natale fu alle porte in modo quasi inaspettato, un po’ perché quei mesi impegnativi e difficili volarono e un po’ perché il clima della cittadina in cui vivevo e della villa Jonas sul promontorio a picco sul mare nell’altra dimensione non mi facevano ricordare per nulla il Natale, che dalla mia smisurata passione per i film lo collegavo sempre a un clima rigido e alla neve.

La mia famiglia fu invitata a casa dei Jonas per la cena della Vigilia di Natale e in teoria sarebbe dovuta venire anche la famiglia di Ale, ma alla fine venne soltanto lei perché gli altri avevano già accettato di andare alla cena organizzata dai suoi nonni, con cui la mia migliore amica non aveva proprio buoni rapporti per un motivo che non avevo mai saputo.

Sta di fatto che ci trovammo tutti ad Hollywood, nell’enorme villa dei genitori di Nick, Joe e Kevin, e purtroppo venni a sapere che i Jonas Brothers sarebbero arrivati leggermente in ritardo perché si erano dovuti fermare più del previsto allo studio di registrazione.

Seduta in uno dei due bovindi presenti sulla facciata della villa, nella speranza di vedere i fari della loro auto illuminare il vialetto fino al garage, ancora mi chiedevo perché dovevano lavorare anche la Vigilia di Natale. Mi era quasi inconcepibile.

Intanto ascoltavo la musica con le cuffiette dell’mp3 nelle orecchie. Mi piaceva lasciarmi cullare dalla voce di Nick quando lui non era con me. Le canzoni in cui lui cantava da solo, quelle con un tono più blues, mi piacevano di più, ma questo non l’avrei mai detto agli altri due Jonas: si sarebbero offesi a morte!
Nick era così trasparente per quanto riguardava le emozioni e soprattutto nelle sue canzoni esse si potevano leggere come fossero state scritte sotto ogni nota. Per esempio sapevo che tra le canzoni che amavo di più ce n’era qualcuna che era stata scritta e dedicata a suo tempo a delle ragazze che erano venute evidentemente prima di me, ma non mi importava: ascoltare quelle canzoni era un piacere, perché potevo guardare ed immergermi direttamente nell’anima di Nick.

Ale mi vide seduta lì da sola, con un’espressione demoralizzata e triste sul viso, e corse a tirarmi su di morale. Non so come sperasse di riuscirci, visto che strappandomi una cuffia dall’orecchio aveva commesso un atto punibile con l’abbandono in un’altra dimensione, ma si sarebbe inventata sicuramente qualcosa.

«Su col morale, è Natale!», mi strillò nell’orecchio, per poi sedersi al mio fianco con un visetto angelico che non la rappresentava per niente.

«Vorrei soltanto che fossero già qui», borbottai.

«Anche io, cosa credi! Solo che non faccio la depressa come te! Se Nick ti vedesse così preferirebbe di gran lunga tornare in studio!».

Riuscì a farmi scappare una risata e mentalmente la ringraziai per questo. Senza di lei come avrei fatto?

Sentii il cellulare vibrarmi tra le dita e il cuore cominciò a pomparmi più velocemente il sangue nelle vene, facendomi quasi venire caldo.

«È Nick?», mi domandò Ale. «Ti si sono illuminati gli occhi all’improvviso!».

«Sì, è lui», risposi raggiante. «Gli avevo detto di farmi uno squillo quando era qua vicino».

«Bene, allora è fatta! Finalmente si mangia!».

Come faceva a pensare al cibo? Solo all’idea di vedere Nick a me si era chiuso lo stomaco, già stracolmo di farfalline!

Ale alitò sul vetro della finestra alle sue spalle e con il dito disegnò un cuore, dentro il quale poi comparvero le luci dei fari che avevo sperato di vedere fino a qualche minuto prima. Erano arrivati!

Mi alzai e di corsa raggiunsi la parte opposta del salotto, da cui potevo vedere l’ingresso, stando attenta a non inciampare nel mio vestito verde, lo stesso che avevo messo per gioco la prima volta che mi ero ritrovata rinchiusa nella villa dei Jonas, che avevo indossato alla festa organizzata da Charlotte e le altre due cheerleader e che non avevo proprio potuto fare a meno di portare nella mia dimensione: ormai ci ero fin troppo affezionata e sapevo che anche Nick vi era legato, tanto che avevo pensato di indossarlo di nuovo per fargli una sorpresa. Infondo sarebbe stato il nostro primo Natale insieme… doveva essere speciale.

Sentii i loro genitori accoglierli appena entrati, sentii anche Ale e mio fratello salutarli, e infine sentii Nick che chiedeva: «Ma Ary dov’è?».

Abbassai lo sguardo, trovando molto interessanti le mie mani che tremavano leggermente sui ricami floreali color argento del corpetto. Quando ebbi la forza di risollevarlo, incontrai subito quello di Nick, che si teneva con una mano alla parete, sulla soglia del salotto. Riconobbi quella sua espressione vagamente stupita e finalmente sorrisi, sistemandomi il ciuffo di capelli bianchi dietro l’orecchio.

Nick mi venne vicino e mi prese le mani nelle sue fredde, portandosele sul petto. Non aveva mai smesso di fissarmi negli occhi e pensai che se avesse continuato così sarei morta entro la fine di quella serata.

«Sei bellissima», mi sussurrò, ancora un po’ spaesato.

Ridacchiai e gli passai una mano fra i capelli ricci, scostandoglieli dalla fronte. «Tu lo sei sempre, anche quando lavori troppo».

«È colpa tua se lavoro troppo, sai?».

«Mia? Che cosa c’entro io?».

«Penso sempre a te, in ogni minuto, in ogni secondo, e non riesco mai a concentrarmi abbastanza. Dobbiamo sempre registrare una decina di volte prima che venga bene».

Gli posai l’indice sulla punta del naso e scossi il capo lievemente. «Vorresti per caso che ti consoli?».

«No», appoggiò la fronte alla mia. «Io amo pensarti, anche se questo va a discapito del mio lavoro… in un certo senso».

Corrugai la fronte. «Che cosa vuoi dire?».

«Lo scoprirai quando uscirà il nuovo album».
Detto questo, finalmente mi baciò, posando le mani sulla mia schiena e spingendomi contro il suo petto.

«Piccioncini, quando siete pronti eh!», gridò Ale dall’enorme cucina, dove si erano riuniti già tutti per iniziare quella benedetta cena.

«Sarà meglio andare», gli dissi ridacchiando, accarezzandogli le labbra con due dita.

«Va bene, ma dopo riprendiamo da dove siamo rimasti», mi sussurrò all’orecchio, dandomi poi un bacio sul collo. 

 

 

La cena andò benissimo, la mia famiglia e quella dei Jonas, per quanto fossero diverse per stili di vita ed abitudini, avevano subito fatto amicizia, tanto che per esempio mio fratello e Frankie, il più giovane dei Jonas, non facevano altro che parlare e discutere di videogiochi.
Dovetti anche fare i complimenti a Denise, perché non avevo mai mangiato così bene in vita mia. Ovviamente questo non glielo dissi davanti a tutti, perché sapevo che mia madre altrimenti si sarebbe offesa a morte e, poverina, le avrei dato ragione! Ma se io ero così imbranata in cucina, dovevo pur aver preso da qualcuno…

Quando finimmo di cenare, ci spostammo tutti in salotto ad aspettare la mezzanotte per andare alla Messa di Natale.

Raggiunsi Ale e Joe che si erano seduti sul tappeto, proprio accanto al grande albero di Natale pieno di luci, e feci segno a Nick di mettersi vicino a noi, ma lui mi sorrise e indicò la cucina con un cenno del capo, dicendo: «Torno subito».

Sapevo cosa doveva fare e, anche se un po’ riluttante, mi alzai per seguirlo. Lo trovai seduto al tavolo, sparecchiato da una parte per permettergli di fare più comodamente quell’operazione che mi metteva sempre un sacco d’ansia. Sua madre era seduta al suo fianco e sembrava tranquilla quanto lui.
Mi avvicinai e gli posai una mano sulla spalla.

«Ehi, c’è qualcosa che non va?», mi chiese, vedendomi così pallida e preoccupata.

«No, niente… voglio vedere».

Nick accennò un sorriso divertito. «Non scherzare Ary, non hai mai voluto vedere perché ti impressioni… Guarda, anche adesso, sembra che tu debba svenire da un momento all’altro e non ho ancora fatto niente!».

«Lo so, ma… voglio superare questa cosa, perché, insomma… fa parte della tua vita e voglio starti vicino».

Con la coda dell’occhio vidi sua madre sorridere addolcita con le mani sulle labbra, poi si alzò e mi indicò il suo posto.
«Lo lascio nelle tue mani, allora».

Annuii, anche se stavo tremando.
Mi sedetti al suo fianco e guardai sua madre uscire dalla cucina, lasciandoci soli. Posai lo sguardo sul macchinario elettronico che serviva per controllare il livello glicemico nel sangue, il pungidito e, nella scatoletta accanto, le siringhe con le dosi di insulina.
Mi portai una mano sulla fronte e lo guardai sconsolata.

«Dev’essere orribile», mormorai con le lacrime agli occhi.

«Ma no, non è vero», mi sorrise dolcemente e mi passò una mano sulla guancia. «È solo questione di abitudine. Adesso calmati».

Chiusi gli occhi e respirai profondamente per calmarmi, poi mi concentrai di nuovo sui vari strumenti di misurazione.
«Vai, sono pronta».

«Mi prometti di non svenire?».
Annuii, anche se non ero del tutto sicura di riuscire a mantenere quella promessa.

«Okay, allora». Nick iniziò, avvicinando l’indice al pungidito. «Per prima cosa devo prendere una goccia di sangue». Lo guardai trattenendo il fiato, ma durò davvero pochissimo e non mi fece vedere nulla, quando posò quella goccia nel misuratore elettronico. Dopo qualche secondo sullo schermo comparve un numero e Nick si sporse verso di me per farmi vedere meglio.

«In questo caso sono dentro la norma, non ho bisogno di fare l’iniezione per adesso».

«Okay, bene», risposi sollevata.

«Sarà per la prossima volta, così imparerai a farmi l’iniezione».

Mi portai di nuovo la mano sulla fronte, sentendo la testa riempirsi d’aria solo al pensiero. «Una cosa alla volta».

Nick ridacchiò e mi posò un bacio sulla fronte. «Stavo scherzando, amore. Adesso, prendi quell’agenda nera e la penna che hai di fianco al braccio e scrivi quello che ti dico io».

Presi fra le mani l’agendina e la osservai, sfogliandola velocemente. Riconobbi subito la sua scrittura. Ogni giorno c’erano scritti numeri simili a quello comparso sullo schermo del macchinario.
Tolsi il tappo alla penna e in modo ordinato, copiando lo schema che aveva usato il giorno precedente, annotai i risultati della glicemia ottenuti e ciò che aveva mangiato in maniera particolare.

«Questo serve per controllare i cambiamenti della glicemia e, nel caso ci fossero cose strane, chiamare il diabetologo», mi spiegò.

«Uhm, capito».

«Perfetto. Abbiamo finito, raggiungiamo gli altri».

«Di già?», domandai stupita.

Lui ridacchiò. «Di solito è l’iniezione che porta via un po’ di tempo, ma se si tratta solo di un controllo è molto veloce. Tu stai bene?».

«Sì, tutto a posto. E… grazie».

«E di che cosa?». Sistemò tutto nella sua valigetta e mi avvolse un braccio intorno alle spalle, portandomi in salotto dagli altri.

Aspettammo tutti insieme la mezzanotte, sfogliando valanghe di album fotografici dei piccoli Jonas Brothers. Io e Ale fummo sul punto di scoppiare a ridere o a piangere diverse volte: erano così teneri e dalle facce simpatiche!
Nick, poi, era qualcosa di spettacolare. Non avevo mai visto un bambino più bello di lui.

Rimasi ad osservare una sua foto, doveva avere circa dieci anni, un po’ più a lungo del previsto e tutti se ne accorsero.

«Vuoi voltare pagina o no?», mi domandò Joe, piuttosto irritato: gli dava fastidio non essere al centro dell’attenzione come al solito, a quel vanitoso!

«Sì, io…».

Nick rise intenerito e mi avvolse il collo con le braccia, baciandomi sui capelli.

Un flash mi colpì all’improvviso e sollevando lo sguardo vidi il padre dei fratelli Jonas munito di macchina fotografica.
Alla mia espressione quasi sconvolta, rispose: «Dovremo pure completare questo album! Fatene una migliore, quella di prima non credo sia venuta… bene», ridacchiò ed io avvampai.

Nick accostò il viso al mio ed io mi sforzai di sorridere, ma alla fine fui costretta a farlo perché mi fece il solletico con la mano posata sul mio fianco. Mi accorsi che anche mentre ridevamo insieme, minacciandoci con i cuscini del divano, il suo papà aveva continuato a scattare foto. Ero proprio curiosa di vederle, a quel punto.

Poi toccò a Joe ed Ale, che si erano esibiti in un photoshoot di boccacce, e pose davvero da oscar, e alla fine toccò a Kevin e Danielle, i due sposini.
L’avevo conosciuta per la prima volta quella sera e a malapena ci eravamo rivolte la parola, ma da come mi guardava sembrava che trasudasse gratitudine da tutti i pori, come se le avessi salvato la vita e fosse in eterno debito con me. Non riuscivo nemmeno immaginare quanto avesse sofferto quando suo marito – come suonava strano! – era scomparso e non sapevo se sapesse tutta la verità, ma non c’era davvero bisogno che mi ringraziasse e speravo di averglielo fatto capire con un sorriso.

«È quasi mezzanotte, sarà meglio iniziare ad avviarci verso la chiesa», disse la madre dei Jonas.

Nick annuì e si alzò, trascinandomi su con sé e guardandomi intensamente negli occhi per un attimo. Non capii ciò che mi volesse dire, ma lo scoprii poco più tardi, con enorme sorpresa e gioia.

«Prima di andare, però, vorrei fare una cosa», dichiarò. Tutti rimasero sbigottiti a quelle parole e calò un silenzio di tomba, tanto che mi parve di sentire in maniera fin troppo forte il cuore battermi nella cassa toracica.
Nick si inginocchiò di fronte a me, tenendomi una mano nella sua, e con l’altra tirò fuori dalla tasca della giacca elegante un piccolo cofanetto di velluto blu.

«Arianna McEagle», disse con voce incerta, anche lui emozionato, ma sorridente.
Arrossii nel sentir pronunciare il mio cognome da lui – era così strano! – e il cuore mi batté ancora più forte nel petto, come se volesse fuggire per tuffarsi di fianco a quello di Nick.
«Mi vuoi sposare?».

Credetti di svenire, ma poi mi ricordai quella volta sulla spiaggia, quando per la prima volta me lo aveva chiesto e io avevo accettato, e mi calmai. Chiusi gli occhi, mentre un morbido sorriso mi incurvava le labbra all’insù. Quando li riaprii, lucidi di lacrime, mi inginocchiai di fronte a lui per incatenare perfettamente lo sguardo al suo, lasciandolo un po’ sorpreso.

«Ne sarei onorata», sussurrai, per poi gettargli le braccia al collo e stringerlo forte.

Lui incominciò a ridere, come quella prima volta, e le statue dei nostri familiari ed amici finalmente si mossero, animati da una gioia che scosse anche i loro cuori. Il padre di Nick incominciò di nuovo a fare foto a raffica, girandoci intorno come un vero e proprio paparazzo, Ale iniziò a lanciare urletti d’eccitazione, Joe iniziò a gridare perché Nick non l’aveva avvertito, mia madre scoppiò a piangere come una fontana, mio padre provava a consolarla e mio fratello ancora non sapeva bene cosa fare e si guardava intorno spaesato.

Nick mi prese il viso fra le mani e mi posò vari baci a stampo sulle labbra, poi concentrò la sua attenzione sul cofanetto che teneva in mano.
«Non hai nemmeno guardato l’anello», disse, mettendo su un falso broncio.

«Scusa, ma pensavo ad altro in quel momento!», risposi, sentendo anche io quella felicità incontenibile che spingeva in qualche modo per fuoriuscire dal mio corpo: con una risata, un pianto, un urlo, non importava. Optai comunque per la risata e Nick si unì a me, contagiato.

Quando ci calmammo abbastanza, aprì il cofanetto e me ne mostrò il contenuto. Era un semplice anello d’argento, con un diamante incastonato al centro, ed era bellissimo proprio per questo.
Lo tirò fuori dalla custodia con cautela e me lo infilò al dito, leggermente commosso.

«Oh su, non fare così!», lo rimproverai dolcemente, accarezzandogli le guance. «Nick, è meraviglioso. Tu, sei meraviglioso. E ti amo più della mia stessa vita».

Nick non rispose, annuì soltanto con la testa, e capii che ricambiava tutto ciò che avevo detto. Sapeva che se avrebbe aperto bocca gli sarebbe scappato un singhiozzo, quindi aveva preferito evitare. Lo accolsi tra le braccia e lo cullai, fino a che non si sfogò un poco.

«Scusa», mi disse subito, spazzando via le lacrime dal viso. «Ma tu mi fai proprio un brutto effetto».

«Ah, è così?! Beh, posso sempre fare in tempo a rimangiarmi tutto quello che ho –!». Mi tappò la bocca con un bacio e tutti quelli intorno a noi si misero ad applaudire, ora che l’entusiasmo era un po’ scemato.

«Non vorrei proprio fare la guastafeste», disse Denise con la voce rotta dal pianto: anche lei, come mia madre, s’era lasciata andare all’emotività. «Ma siamo in ritardo per la Messa!».

Io e Nick ci guardammo negli occhi per un istante e fu come vedere il futuro: entrambi sapevamo esattamente che questo sarebbe stato un nuovo inizio per noi e per quanto difficile potesse essere, noi ce l’avremmo fatta sicuramente.

 

***

Conclusa la Messa di Natale, ci ritrovammo tutti nel piazzale della chiesa, al freddo della notte e coi visi illuminati solo dalle luminarie appese ai lampioni che costeggiavano le strada.
Ci scambiammo tutti gli auguri, dandoci baci e abbracci e rabbrividendo ogni volta che ci allontanavamo da un corpo caldo per passare ad un altro.

Ale fu l’ultima che incontrai e lei mi gettò le braccia al collo, stringendomi fortissimo e tirandomi un po’ in disparte per parlare.
«Tu lo sapevi che te lo avrebbe chiesto, vero? Non dire di no, perché sono sicura che tu non ti saresti mai comportata con tanta tranquillità se non avessi saputo nulla!».

«Okay, lo ammetto», ridacchiai. «Me lo aveva già chiesto, forse anche più di una volta… ma l’ultima volta è stata dopo il mio ricovero in ospedale, quando siamo rimasti soli nella villa dei Jonas nell’altra dimensione».

«E per quale assurdo motivo non mi hai detto niente?!», strillò a bassa voce, picchiandomi sul braccio.

Io risi ancora. «Neanche Nick ha avvisato qualcuno, perché te la prendi solo con me?».

«Perché tu sei la mia migliore amica e credevo che una cosa del genere fosse una di quelle da dire assolutamente fra migliori amiche!», ribadì il concetto un paio di volte, facendomi roteare gli occhi verso il cielo scuro.

«Okay, mi dispiace infinitamente. Posso farmi perdonare in qualche modo?».

I suoi occhi si illuminarono all’improvviso. «Sarò la damigella d’onore?».

«Certo».

Lanciò un gridolino e mi gettò di nuovo le braccia al collo. «Sei perdonata, allora!».

«Perfetto», dissi, divertita. «Allora torniamo dagli altri».

«No, aspetta!», mi prese per il braccio e mi trascinò di nuovo a sé. «Ti devo chiedere una cosa!».

«Che cosa?».

«Io, ecco…Giusto per non fare figure di cacca, anche se credo di averne già fatta una…».

Con la fronte aggrottata, le presi le mani nelle mie e dissi con calma: «Spiegati meglio Ale!».

«Vedi, un paio di settimane fa, tipo… Joe ed io siamo usciti e quando mi ha accompagnato a casa, sfruttando il fatto che in casa non ci fossero i miei genitori, gli ho chiesto se voleva entrare, ma lui…».

Un sorriso più che divertito comparì sulle mie labbra. «Ha… gentilmente rifiutato?».

«Non ridere Ary, ci sono rimasta veramente male! Ma non gli ho chiesto il motivo: mi vergognavo troppo per quello che era successo. Quella sera ho fatto delle ricerche e mi chiedevo se allora…».

Avevo già capito dove voleva andare a parare, ma vederla in difficoltà con quell’argomento in cui si era sempre destreggiata alla grande era davvero uno spasso!
«Cosa?», domandai.

«Allora è vera quella storia, che loro non…».
La guardai di traverso, fingendo ancora di non capire. 
«Sì, loro non… Dai, hai capito! Per via di quell’anello…».

«L’anello della purezza, dici?».

Lei mi guardò in modo eloquente e scoppiai definitivamente a ridere.
«Quindi è vero?!», esclamò a voce fin troppo alta e con un tono che sembrava quasi scandalizzato. «Fino al matrimonio loro non…».

Annuii col capo, senza nemmeno immaginare come sarebbero andate a finire le cose…

«Non ci posso credere… Ma quindi tu e Nick ancora non…!».

Il mio viso perse immediatamente colore, nonostante facesse così freddo da renderlo arrossato, e il sorriso che avevo avuto fino a quel momento scomparve.
Le gettai in fretta una mano sulla bocca, per farla tacere, e i suoi occhi si illuminarono ancora di più, tanto da potervi leggere dentro: “E ora chi è che ride?!”

Si liberò dalla mia stretta, sogghignò e disse: «Secondo me è per questo che te lo sposi, altroché. Così almeno potete finalmente…!».
Rossa fino alle punte dei capelli, ma con sguardo severo, provai di nuovo ad azzittirla contro la sua volontà, ma lei si divincolò e mi lanciò uno sguardo di sfida.

«Non mi guardare così, lo sai perfettamente che stai sparando un sacco di cavolate!», sbottai. «Io ho detto di sì a Nick perché lo amo e voglio passare tutta la vita con lui, non di certo per quello che dici tu, sciocca!».

Ale sollevò improvvisamente gli occhi ed ebbi un brutto presentimento. Lentamente mi voltai e alle mie spalle c’era proprio Nick, che mi sorrise dolcemente.

«T-tu… da quanto sei qui?», balbettai.

«Quanto basta», disse chinandosi sul mio viso, per posarmi un lieve bacio sulle labbra.

Il freddo sparì in un attimo, stretta fra le sue braccia, e non avrei mai voluto farne a meno, ma Nick mi prese per mano e mi portò dalle nostre famiglie.

«Andiamo, tesoro?», mi domandò mia madre, guardando dolcemente anche Nick. «Si sta facendo davvero tardi e ho detto a Denise che saremmo molto felici se domani venissero loro a pranzo da noi!».

«Stai scherzando?». Ero praticamente sconvolta: mia madre e la cucina erano proprio incompatibili!

«Certo che no!».

«Allora cucina papà, spero!».

Mia madre mise su un broncio, facendo sorridere Nick, che mi guardò: chissà, forse aveva notato qualche somiglianza fra noi due.

Mio padre avvolse un braccio intorno alle sue spalle e la strinse a sé. «Se io sarò lo chef, tua madre sarà il mio primo cuoco».
A quelle parole mamma si addolcì e distolsi lo sguardo: mi faceva troppo strano vederli scambiarsi quelle smancerie!
Nick non sembrava avere quel tipo di problema e li guardava quasi al settimo cielo. Avrei pagato oro per sapere a che cosa stesse pensando, ma forse ce l’avevo davanti agli occhi la risposta: al futuro.

Le nostre famiglie si salutarono ancora una volta ed io sussurrai a Nick qualche parola nell’orecchio prima di baciarlo sulle labbra e raggiungere i miei genitori, mio fratello e Ale.
Salimmo in auto e la mia migliore amica, seduta al mio fianco, mi pizzicò il braccio.

«Vai da Nick, dopo?», mi chiese a bassa voce.
Annuii, raggiante, e lei sbuffò afflosciandosi sul sedile. «Quanto invidio te e il tuo –!».

«Perché, Ale? Sono sicura che anche Joe prima o poi ti chiederà di sposarlo!», disse mia madre, con le labbra arricciate in un sorrisino.

Ale avvampò, negando agitando le mani di fronte al petto. «Non ci tengo a sposarmi così giovane!».

Sorrisi, pensando che anche io la prima volta avevo reagito in quel modo ed ora al dito portavo un anello di fidanzamento.

Una volta accompagnata Ale, tornammo a casa anche noi. Ci augurammo la buona notte e ognuno si rintanò nella propria stanza.

Sdraiata sul mio letto, al buio e nel silenzio che regnava in tutta la casa, continuai a guardare l’anello che portavo all’anulare della mano sinistra fino a quando non fui sicura che tutti stessero dormendo. Allora chiusi gli occhi.
Pochi secondi dopo, con espressione serena sul viso, mi strinsi alla schiena di Nick, sotto alle coperte.

«Hai fatto presto», mi sussurrò, voltandosi ed abbracciandomi. «Meglio così, iniziavi già a mancarmi».

Sorrisi, soffocando una risata leggera sulla sua gola. «Io stento ancora a credere che diventerò tua moglie».

Fissò gli occhi nei miei e mi scostò il ciuffo di capelli bianchi dalla fronte. «E perché mai?».

«Perché mi vedo ancora troppo giovane… mai avrei immaginato di sposarmi così presto. Tutti quelli che mi conoscono penseranno che sarà un matrimonio riparatore, o dettato dal fatto che tu sei famoso. Non so se riuscirò a sopportarlo».

«Scommetto invece che ci riuscirai benissimo, perché sai qual è la verità». Dopo qualche secondo di silenzio, ridacchiò.

«Perché ridi?».

«Ti immagini un marmocchio tutto nostro? Sarebbe uno spasso!».

«Nick, per piacere, una cosa alla volta!», dissi scandalizzata, portandomi due dita sugli occhi. Non eravamo ancora sposati e già pensava ad un bambino! Era malato, decisamente.
«Piuttosto, a quando le nozze?», domandai. «Dovremmo decidere una data…».

Nick si voltò a guardare il soffitto, facendomi posare la testa sulla sua spalla. «Da quello che ho capito, dopo l’uscita del nuovo CD ci sarà un periodo di promozione, un paio di mesi, e poi un piccolo tour mondiale…».

«Scusa, ma come fa un tour mondiale ad essere piccolo?».

Lui rise lievemente e mi posò un bacio sulle labbra. «L’estate prossima? Verso giugno, magari, così non è troppo caldo».

«Giugno… Subito dopo gli esami? Riuscirò a stare a dietro alla scuola, alla dimensione parallela, a te, al matrimonio…».

«Se vuoi possiamo anche posticipare, per me non…».

«No, giugno mi piace come mese», risposi con un sorriso. «E ce la farò, devo farcela».

«Così mi piaci», sussurrò ad un soffio dalle mie labbra.

Gli presi il viso fra le mani ed annullai la distanza tra noi. Mentre mi baciava fece scorrere la mano sul mio fianco, sfiorandomi la pelle e provocandomi mille brividi, e raggiunse la mia mano sinistra, su cui trovò l’anello che mi aveva regalato.

«Mi sono riscattato dall’altra volta?», mi chiese, posando la fronte contro la mia.

«Oh sì, decisamente… hai fatto tutto proprio in stile Nicholas Jerry Jonas».

Ci sorridemmo e stretti in un abbraccio ci addormentammo.

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Ciao a tutti! :D
Beh, questo è un altro capitolo molto dolce e, come dire... non si può non essere contenti per Nick e Ary, che stanno per veder realizzato il loro sogno d'amore, nonostante le tante difficoltà e il lavoro di Nick! *-* Sono proprio una bella coppia, si completano!
Voi che ne pensate? Come al solito sono ansiosa di conoscere il vostro giudizio, negativo o positivo che sia ;)
Ringrazio chi ha letto e commentato lo scorso capitolo, ossia ___Unbroken e Chiare_skyscraper :)

Al prossimo capitolo, che... accidenti, è l'ultimo! D: Ma in compenso sarà un po' più lunghetto :)
Allora ciao! Vostra, _Pulse_

   
 
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