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Autore: Kagome    10/04/2004    7 recensioni
Scendendo nel pozzo infuriata nera, Kagome si ritrova in un posto diverso da quello a cui è abituata. Come mai si trova lì? Riuscirà a tornare indietro? E soprattutto... perché sono tutti così misteriosi? Che è successo?
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ritorno al Futuro

Scritta da Giulia “Kagome”

Nota Legale:

Inuyasha e i personaggi della serie non appartengono a me ma a Rumiko Takahashi. Questa fic è scritta per il solo piacere di farlo e non ci guadagno un centesimo, quindi non rompete :P

Inuyasha manga © 1996 Takahashi Rumiko, Shogakukan.

Inuyasha anime © 2000 Takahashi Rumiko, Sunrise, YTV

Introduzione:

Dunque, dunque… questa in realtà era un’idea che mi frullava per la testa da parecchio tempo, ma solo ora ho trovato un momento per scriverla. Spero vi divertirete a leggerla come io mi sono divertita a comporla e a immaginarla :D

Per quanto riguarda il punto in cui questa storia si piazza nel manga… beh è un po’ difficile stabilirlo. Ho cercato di renderla il meno specifica possibile, almeno per quanto riguarda fatti e avvenimenti DEL MANGA, in modo da non dare spoiler. Quindi diciamo che l’inizio è da inserire in un punto imprecisato del manga dopo l’arrivo di Kôga.

"Ciao": frase parlata

[Ciao]: frase pensata.

I flashback sono evidenziati nella versione *.doc in corsivo, in quella *.txt con la dicitura *FLASHBACK* e *FINE FLASHBACK*

Ah ultima nota: questa FF non ha assolutamente niente a che fare con i tre film di Robert Zdemekis.

 

 

 

Ritorno al Futuro

“Kagome, dannata, possibile che quei tuoi test o come diavolo si chiamano sono così importanti?”

“Certo che lo sono, da essi dipende il mio futuro. Ma che può saperne un essere zotico e ignorante come te!”

“Essere zotirante a chi?!?”

“Ho detto ZOTICO e IGNORANTE! Che ce le hai a fare le orecchie da cane se sei sordo!”

Erano alle solite. Come sempre Kagome e Inuyasha stavano litigando. Lei doveva tornare nel futuro per un test, e lui non voleva farla andare perché lo riteneva uno stupido spreco di tempo.

“Yawn… Quei due finiranno mai di litigare?” il piccolo kitsune(14) si stropicciò gli occhi e rassettò la coda con le manine. Si era addormentato cullato dal calmo respiro di Kirara e l’incrementare degli urli aveva finito col destarlo. Non capiva per quale ragione Kagome dovesse andare sempre via, lontano da loro, ma se per lei era importante il piccolo non si sarebbe mai sognato di dirle niente… tranne di tornare presto. Invece Inuyasha sembrava così ottuso!

“Shippô, tu sei troppo piccolo per capire queste cose.” Lo redarguì Miroku. Sango annuì, ma subito dopo sentì qualcosa che viscidamente si insinuava sul suo sedere e iniziava a palparla. L’intervallo tra il sentire quel fastidioso tocco e lo strizzare con un pizzico micidiale la mano colpevole del monaco fu talmente breve che Miroku si lasciò sfuggire un gemito di dolore.

“Hôshi-sama(13)… sempre a pensare a cose sconce eh? Non ti stanchi mai?” La ragazza lo guardava irata, i suoi begli occhi colmi di sdegno, le braccia incrociate, il dito della mano destra che tamburellava nervoso sul braccio.

Il giovane monaco sorrise, massaggiandosi la mano arrossata dal pizzico. Sullo sfondo della radura, vicino al pozzo magico, i due litiganti sembravano incrementare le urla sempre di più. Miroku si sistemò meglio sul sasso che aveva scelto come sedile, e alzò lo sguardo al cielo, cercando di ricordare i metodi di meditazione zen che il suo maestro gli aveva insegnato. Finché si trattava di spiare una scenetta romantica non l’avrebbe mai fatto, ma ascoltare una noiosa e ripetitiva litigata non era proprio il massimo…

In pochi attimi, le urla dei due compagni furono solo un lontano ricordo e il monaco iniziò a rilassarsi. Notò con la coda dell’occhio un lieve fruscio in un cespuglio accanto a loro. Voltò lo sguardo in quella direzione. Ancora qualche momento, e un coniglio ne sgusciò fuori: dopo essersi fermato a osservarli, quasi attonito, continuò la sua rapida corsa per tuffarsi nel cespuglio poco più avanti. Gli uccellini cinguettavano e si rincorrevano in rapidi inseguimenti d’amore.

[Almeno loro hanno trovato qualcuno d’amare…] rifletté il giovane monaco mentre il suo sguardo si posava, traditore, sulla bella sterminatrice di yôkai(17) che lo affiancava.

Il giovane amava tutto di quella meravigliosa fanciulla. Non solo il suo aspetto, ma anche la fierezza del suo carattere, la sua caparbietà, la sua forza di volontà. La ragazza sorrideva parlando con il piccolo Shippô e accarezzando la sua yôkai-lince, Kirara, che manifestava sonoramente il proprio apprezzamento con caratteristici miagolii. Poche persone sarebbero state in grado di sorridere e continuare la propria vita dopo quello che aveva dovuto passare lei… Miroku ammirava sinceramente il suo coraggio.

[Ma… c’è qualcosa di più. Non si tratta solo di questo. E’ anche il suo carattere, e ovviamente la sua bellezza. E soprattutto… una forza d’animo così grande forse potrebbe riuscire a resistere al fatto che io…] lo sguardo del monaco continuava ad accarezzare le sinuose forme della ragazza. A passare in rivista quei morbidi e lucenti capelli castani, che avrebbe tanto desiderato accarezzare, quel meraviglioso e scultoreo corpo che avrebbe voluto… [Ma no, che mi salta in mente?] si riscosse subito, arrossendo un po’ per quello che la sua immaginazione aveva potuto partorire. Si, la ragazza aveva ragione, la sua testa era piena di sconcezze.

Quasi avesse seguito il filo dei suoi pensieri, Sango si voltò, e restarono a fissarsi per un lunghissimo istante. Fu lei ad abbassare lo sguardo per prima, arrossendo lievemente e causando un sorriso divertito al giovane monaco. Ma dopo un attimo la loro attenzione fu di nuovo attratta dal magro spettacolo che i loro amici stavano dando. Kagome aveva preso a urlare, all’improvviso, come se Inuyasha avesse tentato di ucciderla.

“PROVA A RIPETERLO SE NE HAI IL CORAGGIO!”

“Lo ripeto quante volte mi pare: non è che vuoi tornare nel futuro per motivi differenti da quelli che ci hai sempre detto?”

“Ma che dici? Come ti permetti di insinuare una cosa del genere?”

“Perché allora sei scattata subito come una molla appena te l’ho chiesto? Che per caso c’è un altro essere simile a quel lupaccio schifoso nel tuo tempo?”

Kagome ebbe un sussulto. Di fronte ai suoi occhi apparve, fugace, l’immagine di un ragazzo dai corti capelli castano-rossi, con indosso una divisa scolastica della sua scuola. [Hôjô-kun…] pensò mentre le sue guance si infiammavano per l’imbarazzo.

“Sei uno screanzato! Come puoi venirmi a fare la predica così? Kôga-kun è un ragazzo tanto dolce e gentile, tu invece sei un bifolco maleducato e saccente. Io me ne vado! E NON cercare di seguirmi, o ti sbatto giù per così tante volte che ci metterai un mese per ritornare in piedi!”

“Figurati, chi ti vuole… ma vedi di non rivenire più da queste parti, perché appena sarai tornata nel tuo amato futuro noi ce ne andremo di qui, e non ci troverai ritornando tra tre giorni!”

“Non preoccuparti, non tornerò… non me ne frega niente né di te né di questa maledetta Shikon no Tama(23)!” Kagome si avviò ad ampie falcate verso il pozzo magico, furiosa come non mai. Non si accorse che alla sua risposta un sussulto aveva scosso il petto dell’hanyô(17). Non si era accorta della rapida occhiata colma di timore che quegli occhi dorati le avevano lanciato.

No, Inuyasha non sarebbe mai cambiato. Non la considerava altro che uno ‘Shikon detector’, un ripiego utile solo quando Kikyô non era nelle vicinanze e buona solo a trovare i frammenti.

[E io che mi ero illusa mi volesse un po’ di bene… invece è solo un maledetto bastardo! Geloso di Kôga-kun… Ma figurati! Come se me ne importasse qualcosa! Scommetto che sarebbe geloso anche di Hôjô-kun se ne venisse mai a conoscenza. Inuyasha no BAKA(21)!]

Si fermò davanti all’entrata del pozzo, colta all’improvviso da un dubbio… si girò a osservare di sottecchi l’hanyô, e vide che lui si girava il più rapidamente possibile, quasi imbarazzato. [Però… se è geloso… non si può essere gelosi di qualcuno a cui non si tiene…] restò a fissare il ragazzo per un po’, dubbiosa. Non sapeva più che cosa pensare, da un lato voleva andarsene perché il test di fine trimestre era vicino. In fondo Naraku si era nascosto, per l’ennesima volta, e non c’era ragione per lei di rimanere lì. Però… però d’altro canto non avrebbe voluto separarsi da lui.

“Beh? Che ci fai lì impalata? Te ne vai si o no?” Kagome sbuffò, già pentita di aver avuto quell’attimo di esitazione. Ma quando incrociò lo sguardo dell’hanyô, questi era tutt’altro che felice nel vedere il suo disprezzo.

[Chi lo capisce è bravo…] pensò lei, infastidita, mentre si arrampicava sul bordo del pozzo. [ma chissà che cosa mi riserverà il futuro… anche se non mi vuole con sé, io so bene ciò che provo per lui… vorrei tanto che un giorno decidesse di vivere al mio fianco invece di morire con Kikyô… Sarebbe così bello poter sapere…]

“Vuoi andartene? Siamo ansiosi di rimetterci in marcia… sei così imbecille che non riesci nemmeno a fare una cosa tanto semplice? Vuoi che ti aiuti io?” Lo sguardo che Kagome gli lanciò lo spaventò a morte. Quella ragazza quando si infuriava aveva il potere di terrorizzarlo. Inuyasha si nascose dietro una pietra mentre Kagome finalmente spariva, urlando “Se è questo che vuoi, a mai più rivederci, Inuyasha!”

[Brutto bastardo… e io che mi preoccupavo per lui! Voglio andarmene il più lontano possibile da quel cretino! Non me ne frega più niente. Se proprio vuole morire con quella… che lo faccia senza rovinare la vita a me!]

La ragazza atterrò dolcemente sullo stretto e buio pavimento del pozzo, tremante per la collera. Notò subito un paio di particolari strani… la scaletta che suo nonno aveva messo per aiutarla a tornare in cima non era al suo solito posto. [Quel birbante di Sôta deve aver combinato qualcosa. Ma quando lo becco mi sente…] pensò, ancora irritata. Inoltre l’aria aveva un odore diverso… come di chiuso. Era pesante, e per un attimo Kagome si sentì soffocare.

Per fortuna questo l’aiutò a calmarsi, e si guardò attorno. Il fondo del pozzo non aveva quasi più traccia di umidità, il terreno era come friabile.

La scaletta non era nemmeno stata spostata, era proprio scomparsa. Però c’erano ancora delle vecchie radici ai lati, stranamente secche: aggrappandosi ad esse, la ragazza raggiunse la superficie. Quello che vide la lasciò sconcertata.

Il piccolo chiostro dell’hokora(18) era stato chiuso, la porta era sbarrata e non sembravano esserci vie di uscita visibili. Ma non fu questo che attirò subito la sua attenzione: l’edificio che conteneva il pozzo non era più quello che ricordava. Non era realizzato in legno, bensì in un materiale che, a prima vista, somigliava a cemento. La ragazza si avvicinò, per osservarlo meglio: non sembrava quasi cemento, era poroso…

“Possibile che il nonno abbia fatto abbattere e ricostruire l’hokora? Eppure sono stata via appena una settimana!” pensò ad alta voce, stupita.

Il suo primo istinto fu quello di urlare per richiamare l’attenzione e farsi aprire la porta. Ma la stranezza del particolare le bloccò il grido sul nascere… com’era possibile che suo nonno sprangasse la porta dell’hokora, ben sapendo che lei poteva uscire dal pozzo da un momento all’altro?

[E poi… questa costruzione è strana. Non sembra fatta di recente, deve avere come minimo dieci anni, se non di più. Com’è possibile? Una settimana fa, quando sono tornata da Inuyasha, c’era ancora la vecchia hokora di legno…] Mille dubbi si fecero strada per la sua mente. Possibile che… fosse capitata nel posto sbagliato? Forse quel pozzo poteva trasferire le persone anche in altri luoghi? Ma allora poteva pure non trovarsi in Giappone…

Un brivido percorse la sua schiena al pensiero. Aveva sì desiderato di trovarsi il più lontano possibile dall’hanyô, ma essere approdata chissà dove… magari in un luogo dell’emisfero opposto rispetto a quello in cui viveva, le dava un senso di malessere. Sentì un rivolgimento nello stomaco… sola, senza uno yen né un documento d’identità… come sarebbe tornata a casa?

Osservò il pozzo con risolutezza [Se hai potuto portarmi qui, potrai anche riportarmi a casa, vero?] pensò mentre si avvicinava, decisa, al bordo. Saltò dentro, e rimase alcuni lunghissimi attimi sul fondo, con gli occhi chiusi. Poi lentamente aprì le palpebre e guardò in alto, sperando di rivedere il cielo del Sengoku Jidai, o almeno il soffitto di legno e la scaletta che le confermassero che era tornata a casa. Ma invece sulla sua testa troneggiava ancora il grigio soffitto di cemento, e della scaletta nemmeno l’ombra.

Il cuore le andò in tumulto: possibile? Non funzionava più? Il pozzo non l’avrebbe più trasportata indietro nel tempo?

Il petto le faceva male, provava un dolore quasi fisico mentre le lacrime scendevano sulle sue guance, e lei non osava frenare il loro percorso [Inuyasha…] pensava tra i singhiozzi.

No, non era vero… non era possibile! Che quello sciagurato avesse piazzato di nuovo un albero nel pozzo per impedirle di tornare indietro?

[Assurdo… quella volta non fu tanto l’albero a impedirmi di tornare, ma l’assenza della Shikon no Tama. Adesso invece ho alcuni frammenti della sfera con me… quindi non dovrei aver problemi!]

Che cosa poteva essere successo allora? Possibile che il suo desiderio di non vedere più Inuyasha avesse sigillato il pozzo? No, doveva esserci un’altra ragione, quante volte era tornata nel suo tempo furiosa per il comportamento dell’hanyô? Non si era mai trovata in una situazione simile…

[Però… tutte le altre volte mi ero sfogata in modo diverso: sbattendolo per terra o camminando a lungo verso il pozzo mi ero calmata. Così invece… maledizione vuoi vedere che è davvero colpa mia? Inuyasha…] mentre rifletteva, la ragazza si aggrappò di nuovo alle radici di edera e risalì nell’hokora.

La porta era sbarrata e non c’era niente all’interno dell’abitacolo. Diverse ragnatele alle pareti facevano capire che, sicuramente, quel posto era in piedi da parecchio.

Kagome si guardò attorno, cercando di trovare una via di fuga. L’hokora era illuminato da una tenue luce, quindi non poteva essere chiuso del tutto. Notò all’improvviso una finestrella, quasi in posizione strategica per consentire l’uscita. Era chiusa, ma non sprangata.

La ragazza tentò di aprire le imposte, ma sembravano incollate: la ruggine aveva serrato quasi del tutto i cardini. Ci mise una buona mezz’ora, ma finalmente riuscì ad aprirle. La ventata d’aria fresca fu come un balsamo per il suo viso, che ormai grondava di sudore. Tenne gli occhi chiusi: erano abituati all’oscurità dell’hokora e l’improvvisa luce l’aveva quasi accecata. Facendo perno sulle braccia, si issò contro la finestrella e riuscì a saltare fuori. Arrivata con un tonfo sul pavimento, sospirò pesantemente: era libera!

Ci mise un attimo per riaprire gli occhi… non voleva vedere. Non voleva rendersi conto di trovarsi chissà dove, lontana dalla sua famiglia… magari dall’altra parte del mondo rispetto al Giappone.

Poi, però, fu costretta a tornare alla realtà; aprì gli occhi e, molto lentamente, si voltò. Il suo cuore in tumulto quasi si fermò davanti allo spettacolo che si presentò dinanzi a sé.

“Ma… non è possibile!” disse con un grido soffocato, guardandosi attorno con stupore.

Il luogo dove si trovava era molto simile al tempio scintoista nel quale era nata. Poteva riconoscere la vecchia casa… si trovava esattamente dove avrebbe dovuto essere. E anche il Goshinboku(22) era sempre al suo posto.

[Però… è strano. Il Goshinboku è più alto, la casa è di un colore diverso…] la ragazza iniziò a camminare, sorpresa, nel cortile del tempio. Sembrava che navigasse in un sogno: la sua casa non era più sua. Che posto era mai quello?

All’improvviso, udì un rumore di passi provenire dalla scalinata che conduceva allo spiazzo. Si guardò intorno, come una ladra, cercando un nascondiglio, e si mise dietro un cespuglio… appena in tempo. Saltellando allegramente, una ragazza dai lunghi capelli corvini aveva appena salito l’ultimo scalino della gradinata, e si incamminava verso la casa.

Indossava un’uniforme scolastica un po’ particolare, diversa dalle solite. Non che fosse qualcosa di più di una blusa e di una minigonna… ma la foggia con cui era realizzata non somigliava alla moda che Kagome poteva ricordare.

“Aspettami, Ki-chan!” una voce maschile risuonò nell’aria. La ragazzina si fermò, e si voltò verso la scalinata. Presto comparve un ragazzo che avrebbe dovuto avere la sua età… forse al massimo un paio d’anni in più e, terminati di salire tutti i gradini, si fermò un attimo a prendere fiato.

“Oni-chan, che smidollato che sei… non riesci ancora a salire tutti i gradini senza doverti riposare subito dopo? Oba-chan(10) non sarà per niente contenta…” gli occhi di lei evidenziavano il suo biasimo.

“Ma Ki-chan! Sei tu che sei troppo veloce… io non ce la faccio ad arrancare dietro di te!” il giovane stava ancora ansimando.

“Ma dai… sei un uomo, dovresti superarmi in ogni attività sportiva… non hai scuse, Oni-chan!”

“E non mi chiamare Oni-chan! Non sono tuo fratello!(1)”

“Ma Onigumo… non posso farci niente se ti chiami così…” scherzò lei, mostrandogli la lingua.

Kagome sobbalzò: Onigumo? Non era un nome molto comune…

“Kikyô… non mi prendere in giro, dannata!”

“Ah, adesso sono Kikyô eh? Quando non vuoi che io usi un diminutivo mi chiami col mio nome intero… Oni-chan sei proprio una frana…”

“Maledetta, se ti prendo…” il giovane sembrava aver perso la pazienza, la ragazza prese l’iniziativa, cominciando a correre verso l’abitazione.

“Vediamo se mi raggiungi!” i due si allontanarono ridendo, come due bimbi di prima elementare, ma lo sguardo di Kagome non li seguì.

Caduta in ginocchio nell’udire quel nome, la ragazza non aveva avuto bisogno di udire altro… Kikyô? Che ci faceva una persona di nome Kikyô a casa sua?

Se quella era veramente casa sua… non ci capiva più niente, che cosa era successo?

[Quei due ragazzi indossavano divise scolastiche completamente diverse da quelle a cui sono abituata. Non è possibile che la moda sia cambiata così tanto, e che io non me ne sia accorta… vabbè che vado e vengo da un’altra epoca, ma per strada ci cammino…]

Un terribile dubbio stava iniziando ad assalire il cervello di Kagome. Quella era veramente casa sua? Onigumo e Kikyô… le coincidenze della vita potevano essere strane, sicuramente stranissime… ma le sembrava assurdo che due persone chiamate così si conoscessero e vivessero assieme… per caso.

Con gli occhi ancora corrucciati dalla preoccupazione, si alzò in piedi e riassettò la gonna della divisa. Voleva, DOVEVA controllare.

Prese a correre verso la scalinata, poi scese tutti i gradini con grande rapidità e continuò dritta per la strada principale, quasi senza guardarsi intorno. Quando raggiunse un punto abbastanza distante dal tempio, si fermò, ansimando, e diede un’occhiata attorno a sé.

La strada che aveva imparato a percorrere, era molto diversa da quanto ricordasse. C’erano più alberi, molto più curati, che rallegravano con il loro verde il grigio asfalto, i marciapiedi erano più larghi, e diverse costruzioni di vecchio stampo che ricordava, erano scomparse. Kagome non riusciva a capacitarsene: sapeva perfettamente quante storie le famiglie che ci vivevano avevano sempre fatto perché non fossero demolite… com’era possibile che fossero scomparse da un giorno all’altro?

La ragazza camminava smarrita, mentre alcune persone la squadravano con biasimo: tutti i passanti erano abbigliati in maniera buffa… o era lei ad essere buffa? La stavano osservando come se stessero vedendo un fantasma!

C’erano alcune ragazzine che rientravano da scuola, indossavano la stessa divisa della Kikyô che aveva visto poco prima. Chissà a quale istituto appartenevano… e le automobili… e i mezzi pubblici! Da quando in qua c’era una fermata della metropolitana sotto casa sua? Da quando in qua quei palazzi così alti… e con affissi i maxi-schermi, si trovavano non al centro di Tôkyô bensì a quattro passi dal tempio?

“Matrix 5, a partire dal dieci maggio 2015, disponibile in DVD” questa scritta campeggiava su uno dei maxi-schermi che facevano bella mostra su un grattacielo.

[2015? Come 2015!] Gli occhi di Kagome si allargarono per lo stupore, e il suo viso sbiancò di colpo. Se qualcuno l’avesse punta con uno spillo non le sarebbe uscito un goccio di sangue.

Questo voleva dire che… era nel futuro? Il pozzo l’aveva fatta arrivare diciott’anni oltre la sua era? Perché mai? E ora… non funzionava più. Lei si trovava in questa nuova epoca… senza un documento, senza una famiglia, senza una casa…

[La mia famiglia esiste, ma come posso tornarvi? Non è più mia…] I volti della gente divertita roteavano vorticosamente. Le automobili di nuova fattura, i palazzi, lo smog, i rumori a cui non era abituata… si sentiva soffocare.

“Signorina, che cosa ci fa qui? A che scuola appartiene, come mai non è in classe?” La voce dell’ispettore scolastico la riscosse. Maledizione, e ora che cosa poteva fare? Mica poteva spiegargli di essere andata avanti nel tempo!

“Ehm, veramente io…”

“Non ricordo scuole che abbiano una divisa simile alla sua… qual è il suo istituto, e come mai non è in classe. Risponda!”

Le vene sulle tempie di Kagome iniziarono a pulsare, mentre i suoi occhi inorriditi passavano in rivista il volto dell’uomo che la stava interrogando: era in un bel pasticcio. Quest’ispettore avrebbe potuto portarla alla centrale di polizia. Senza un documento e senza una vera identità si sarebbe ritrovata in prigione…

[No, non voglio! Voglio tornare a casa mia!] la ragazza prese a correre all’improvviso. Notò con una parte dei suoi sensi che l’uomo non demordeva, e dopo averle urlato di fermarsi aveva iniziato a inseguirla. Corse più velocemente. Cercò di infilarsi per stradine e vicoli che nemmeno lei conosceva. Alla rinfusa. Ormai non avrebbe più saputo dire dove si trovava.

Cartelloni pubblicitari, traffico, facce curiose. Tutti la scrutavano. La giudicavano. La urtavano facendola vacillare. Le allegre musiche dei negozi, i rumori della città… tutto assunse un’aria terrificante.

Voleva andare a casa. Ma dov’era la sua casa? Chi era lei? Cosa avrebbe potuto fare per sopravvivere in quella situazione? Sarebbe sopravvissuta? Le lacrime cominciarono a scorrerle sulle guance, unendosi alle gocce di sudore che le imperlavano la fronte, mentre un senso di costrizione le pesava sullo stomaco. Era al limite… non avrebbe potuto correre ancora a lungo.

Si guardò dietro, rendendosi conto che l’uomo non la seguiva più. Rallentò la corsa, lentamente, e poi prese a camminare con un certo ritmo. Ma all’improvviso andò a sbattere contro qualcuno e cadde.

“Oh, mi scusi io…” alzò gli occhi verso la persona che aveva urtato, e il panico l’assalì: era di nuovo quell’ispettore. Probabilmente conosceva una scorciatoia e l’aveva preceduta senza che lei se ne rendesse conto.

“Ora mi vuoi dire a che istituto sei iscritta? Signorina, è inutile farmi questo bel faccino… Mi hai anche costretto a correre. Ti farò un rapporto di quelli che ricorderai per tutta la vita, vedrai…”

“Ecco, no, è che… io, cioè…” il mondo stava crollando addosso a Kagome. Vedeva avvicinarsi pericolosamente il momento in cui l’uomo l’avrebbe condotta al più vicino commissariato… che disastro!

“Ehm… signor ispettore? Posso parlarle un attimo?” la matura e cortese voce maschile costrinse l’uomo e la sua preda a voltarsi. Il volto di Kagome sbiancò un attimo, ma subito il cuore prese a batterle all’impazzata. L’uomo che aveva di fronte somigliava in maniera incredibile a… no, era impossibile non poteva essere lui… che ci faceva lì?

“Mi dica, hôshi-sama.”

“Mi scuso con lei per questo terribile incidente. La ragazza era sotto ma mia responsabilità. Me l’ha affidata una mia conoscente di Okinawa, ma io non sono arrivato in tempo alla stazione e lei si deve essere ritrovata da sola, sperduta… in mezzo a una città che non conosceva. La ringrazio per aver fatto tutto questo baccano o non l’avrei mai vista fra la gente.”

[Stazione?] Kagome si guardò intorno. In effetti erano vicino alla stazione centrale di Tôkyô… non ricordava che si trovasse così vicino al tempio [Probabilmente l’hanno spostata…] dedusse. Doveva smetterla di pensare alla sua epoca. Ora si trovava nel duemilaquindici! Duemilaquindici, ancora non ci credeva! E Miroku era dinanzi a lei…

“Oh capisco Hôshi-sama… ecco perché quella strana divisa. A Okinawa la moda deve essere un po’ retrò… mi sembra una divisa di vent’anni fa, ricordo che…”

“Non si preoccupi signor ispettore. Come potrà capire la ragazza è piuttosto impaurita in questo momento. Mi piacerebbe continuare la conversazione con lei, ma sarebbe preferibile che io conduca la mia ospite al Tempio Higurashi.”

“Certo Hôshi-sama, ha perfettamente ragione, mi scusi…” l’uomo sorrideva a occhi chiusi, nervosamente, appoggiando una mano dietro la nuca e inchinandosi svariate volte. Si vedeva che era piuttosto imbarazzato. Si scusò di nuovo con Kagome, aiutandola a rialzarsi e poi si accomiatò dai due, assicurando a Miroku che sarebbe passato a comprare un talismano al tempio, perché sua nonna era piuttosto malata.

Miroku attese che l’uomo girasse l’angolo, continuando a sorridere, poi assunse un’aria molto seria e si voltò a guardare Kagome.

“Benvenuta nel futuro, Kagome-chan. Ti dispiace se ti chiamo così? Ormai sarebbe un po’ sciocco per me salutarti con un altro appellativo.”

“Oh no, no… nessun problema Miroku-sama…” la ragazza continuava a fissare il monaco con un’espressione sorpresa e preoccupata allo stesso tempo. Indubbiamente era molto semplice riconoscerlo, non era cambiato moltissimo. Ma guardandolo con attenzione, Kagome notò qualche filo grigio intravedersi tra i suoi capelli, sempre legati dietro la nuca nel solito codino, e i tratti che non erano più quelli di un teen-ager. Indossava un kariginu composto dall’haori bianco e hakama blu, i tradizionali abiti dei sacerdoti buddisti del suo tempo: anche il nonno usava indossarli, ricordò. “Ma come mai…” iniziò a chiedere.

“Shhhhh… aspetta. Sono sicuro che sarai molto curiosa di sapere perché io mi trovi qui, ma penso che dovremmo discuterne a casa, davanti a una bella tazza di tè. Che ne dici, ti va?” le sorrideva.

“Beh, veramente…” una parte del cervello di Kagome si rendeva perfettamente conto che il monaco non aveva tutti i torti, anzi… non erano cose da discutere in mezzo alla strada quelle. Però… la curiosità era tanta e anche il sollievo. Notò di sfuggita che la mano del monaco non era più coperta con il rosario protettivo. Inoltre pareva aver abbandonato il suo bastone sacro. E il suo arrivo era stato molto più che tempestivo: sembrava quasi che la stesse aspettando sul serio tanto era arrivato a fagiolo…

Poi la sentì. Qualcosa. Sul suo sedere. Ci mise un attimo per collegare la presenza di Miroku, le sue abitudini lascive e quella mano, ma l’intervallo tra accorgersene e schiaffeggiare il monaco fu molto ravvicinato. Miroku sorrise, divertito.

“Vedo che, Sengoku Jidai o 2015… le tue abitudini non cambiano mai, Miroku-sama!” gli lanciò un’occhiata fulminante prima di girare i tacchi e incamminarsi. “In fondo hai ragione, meglio discuterne con calma al tempio.” Disse mentre con ampie falcate si avviava.

“Ano(11)…”

“Che c’è?”

“Il tempio è da quella parte, Kagome-chan.” Il monaco indicò con un sorriso divertito la parte opposta a quella verso cui la ragazza si era incamminata. Kagome arrossì… non era più capace nemmeno ad orientarsi! Persa tutta la sua boria, seguì il monaco di buon grado.

oOoOoOoOoOoOoOoOo

 

 

“Perché devo stare nascosta?” Miroku aveva condotto Kagome di nuovo al tempio Higurashi, per poi nasconderla all’interno dell’hokora.

“Cosa pensi succederebbe se gli altri ti vedessero, Kagome-chan? Kagome-sama è andata in città per una misteriosa visita… non ha voluto dire a nessuno dove stesse andando, ma io qualche sospetto ce l’ho.” Il monaco sembrò riflettere per un attimo. Poi il suo sguardo tornò a incrociare quello stupito di Kagome. “Ma come pensi che reagirebbero gli altri? Sango, Onigumo, Ki-chan…”

“A proposito… chi è QUELLA? Che ci fa a casa MIA?”

“Non alterarti, Kagome-chan…”

“E Onigumo? Chi diavolo è? Non è un nome comune da queste parti! Non sarà Naraku ritornato in vita per ingannarci?”

“Calmati, Kagome-chan…”

“No, io voglio sapere!”

“Kagome-chan, non pensi che un tè ti schiarirebbe un po’ le idee?” il monaco sembrava nervoso. Osservava sempre attorno a sé, come se cercasse disperatamente una via di fuga. Per fortuna Kagome gli consentì di andare a preparare il tè: era ancora stanca per la corsa, e avrebbe dato qualunque cosa per un goccio d’acqua.

Miroku si diresse, pensieroso, verso casa. [Kagome-chan, so bene che sei curiosa di sapere tutto quello che è successo. Mi dispiace tenertene all’oscuro, ma non posso evitarlo. Mi dispiace davvero…]

“Tadaima!(2)” disse varcando la soglia, mentre si toglieva i sandali e li appoggiava sul pavimento all’entrata di casa.

“Oh, okaeri nasai(3), oji-chan(7)!” l’allegra voce di Kikyô risuonò per l’abitazione. La ragazza gli corse incontro, gli prese le mani tra le sue e lo fece muovere in una frenetica giravolta. Il monaco aveva l’aria un po’ confusa quando finalmente lo mollò.

“Ki-chan, non crescerai mai tu… ma sono scherzi da fare a un povero monaco?”

“Oji-chan, non fare lo gnorri. So bene che se ti avessi abbracciato come fanno tutti e non ti avessi preso per le mani, me le avresti spalmate sul sedere…”

Il sorriso del monaco si fece nervoso [Sagace la ragazzina] pensò mentre rideva. Kikyô non sembrava essere disposta a ridere.

“Okaeri nasai, tô-san(4).”

“Oh, tadaima, Onigumo…” l’uomo assunse all’improvviso un’aria corrucciata. Quel ragazzo riusciva a comportarsi sempre in maniera irrispettosa. Tese la mano verso di lui, con aria di attesa. “Mostrami la tua pagella.”

Onigumo sospirò… nemmeno prendendolo in giro era riuscito a fargli dimenticare che oggi c’era la consegna. Il ragazzo assunse un’aria afflitta, e alzò i tacchi per salire in camera sua. Subito dopo, tornò con in mano un piccolo computer portatile.

Il padre lo aprì, cercando di ricordarsi come funzionava quel marchingegno… per lui, abituato alla semplicità del Sengoku Jidai, era stato quasi un trauma scoprire quanto la tecnologia influenzasse gli esseri umani in quell’epoca.

Il ragazzo iniziò a sperare che il padre non sarebbe riuscito a leggere i suoi voti… ma sfortunatamente Kikyô lo aiutò, aprendo il palmare e digitando il codice. Onigumo la prese a male. La stizza dell’occhiata che le lanciò non lasciava dubbi al riguardo.

La ragazza gli fece una linguaccia, ma quando gli occhi del monaco si posarono su di lui, le gambe di Onigumo divennero di gelatina.

“Tô… Chichi-ue(5)… po… posso spiegare…”

“Sono ‘Chichi-ue’ solo quando ti conviene eh? Onigumo che cos’è questo 30/100 in storia? E quel 45/100 in matematica?” gli occhi di Miroku lanciavano fiamme. “Quante volte devo ripeterti di smetterla di guardare le ragazze e pensare a studiare?”

“Tô-san… ma a me le ragazze non interessano… sei tu quello che viene sempre sgridato da Ofukuro(6)…” nell’udire il modo chiaramente irrispettoso con cui Onigumo gli stava parlando il sangue di Miroku ribollì. Ma purtroppo il figlio aveva detto il vero: non era lui il pervertito di famiglia… Sango lo sgridava continuamente perché, anche dopo essersi sposato con lei, non era ancora riuscito a scollare le mani di dosso a ogni bella fanciulla che incontrasse.

* E meno male che non chiedi più a nessuna di partorire tuo figlio! * al ricordo della solita esclamazione di sua moglie, Miroku non poté fare altro che sorridere. Ma subito tornò a rabbuiarsi [Quando Sango torna dalla Dôjô dovrò farle un bel discorso su questo scapestrato…] decise.

“Ciò non toglie, Onigumo, che da oggi fino alla fine del prossimo trimestre la tua Play Station 4 è sequestrata… devi impegnarti nello studio se vuoi realizzarti un giorno!”

“Ma tô…”

“Niente ma! Dritto in camera tua e non fiatare!”

Mentre il ragazzo, mestamente, si girava e si incamminava verso la sua stanza, Miroku si affrettò in cucina e mise a scaldare l’acqua per il tè.

“Come mai prepari il tè, oji-chan?”

“Sto aspettando ospiti, Ki-chan.”

“Si tratta forse della ragazza con la strana divisa? Chi è oji-chan?” questa affermazione strappò un moto di meraviglia al monaco: Kikyô era davvero una ragazza particolare. Chissà come aveva fatto a capire che…

“Già, chi diavolo è? Mi è sembrata familiare…” Miroku si voltò verso il suo nuovo interlocutore, sospirando. Non si potevano proprio tenere segreti in quella famiglia.

“Tadaima!” la voce di Kagome risuonò nell’abitacolo.

“Oh ciao… sei tornata finalmente…” il giovane uomo in tenuta da combattimento bianca fissò la donna con aria annoiata. Aveva le braccia incrociate al petto e con la schiena si appoggiava a un lato della porta, mentre con il piede faceva perno su quello opposto.

“Che bel modo di dare il bentornato a casa, tesoro…” Kagome guardò storto l’uomo che la fissava dalla porta, e che all’improvviso aveva scansato il piede, per lasciar passare la furia che correva verso di lei, e che la travolse subito dopo.

“Oka-san(8)!” Kagome sorrise, stretta nell’abbraccio affettuoso della figlia.

“Ciao, Ki-chan! Meno male che qualcuno mi saluta con gioia…” il sarcasmo della frase non era sconosciuto dalla persona a cui era rivolto.

“Okaeri nasai oka-san!” Kikyô tese verso la madre il piccolo palmare che conteneva i suoi giudizi. Kagome sorrise all’entusiasmo della figlia. Notò con piacere che questa volta aveva raggiunto la sufficienza anche in inglese. La sua allegria doveva esser dovuta a questo risultato.

“Brava, Kikyô… sono davvero contenta.” Il sorriso della ragazzina fu come un dono. La donna si tolse le scarpe ed entrò in cucina. Teneva in mano uno strano incarto, che attirava la curiosità di tutti. Ma momentaneamente Kikyô decise che c’erano cose più importanti da dire.

“Sai oka-san, oji-chan ha visite…”

“Davvero? E chi sarebbe?”

“Una ragazza… penso abbia la mia stessa età. L’ho sentita dentro l’hokora sigillato.” Kikyô vide un lampo di preoccupazione passare per gli occhi della madre. Si rabbuiò subito, ma Miroku non le lasciò tempo di fare ulteriori domande.

“Kagome-sama, devo parlarti.”

“Non è uno yôkai vero?”

“No, non preoccuparti.”

La donna sospirò. Per un attimo aveva temuto che qualche yôkai fosse riuscito a superare il sigillo che lei e Miroku avevano messo al pozzo diciassette anni prima.

“E allora chi…?”

“Ecco vedi, è che…”

“Prego, entra pure.” La cortese voce di Sango risuonò nell’ingresso. Miroku si alzò, sperando che la sua consorte non avesse portato qualche sua amica in visita… proprio quel giorno. Ma i suoi occhi si allargarono quando vide Kagome-chan, che si toglieva educatamente le scarpe prima di entrare.

“Miroku…” Lo sguardo di Sango esprimeva un po’ di biasimo, ma non così tanto come quello che normalmente sfoggiava dopo i suoi pizzichi micidiali. “come hai potuto farla rimanere fuori, nell’hokora? Kirara l’ha fiutata subito, e meno male! Saremmo stati molto scortesi a non farla entrare, in fondo è casa sua…”

Miroku sospirò. Kikyô si sporse dalla porta della cucina, e poco sopra di le fece capolino il volto della madre. Kagome fissò se stessa con stupore.

“Allora avevo capito bene… oji-chan, che fai ti porti le fidanzatine nell’hokora(9)?” la ragazzina guardò male il monaco, mentre il volto di Miroku e Sango diventava violaceo.

“Ma che cosa stai dicendo, Ki-chan?” urlò lui. “Come ti saltano in mente certe idee?” gridò di rimando lei. “Eeeeeeh?” fu l’esclamazione di Kagome, più rossa di entrambi.

“Che diavolo ci fai tu qui?” sbottò l’uomo in tenuta da combattimento, staccandosi dalla porta. Avrebbe voluto parlare di più, ma la Kagome adulta gli si accostò e lo cinse alla vita con le braccia, sussurrandogli qualcosa all’orecchio.

Tesoro, non è ben educato assillare questa ragazza di domande sull’uscio di casa… perché non entri? Puoi accomodarti in soggiorno, se vuoi!” la donna fece strada alla se stessa del passato, guidandola nella nuova disposizione delle stanze fino all’ampio soggiorno. Lì le diede un cuscino, e la fece mettere seduta sul tatami.

[Tesoro? Quell’uomo… è mio marito?] Kagome-chan guardava la persona dai corti capelli scuri. Aveva indubbiamente qualcosa di familiare… ma non riusciva a capire chi fosse. Indossava un corto kimono bianco e dei calzoni dello stesso colore, tenuta che di solito si usa per le arti marziali. Infatti sfoggiava una cintura nera alla vita. Aveva un’espressione a metà tra l’annoiato e l’incavolato, e questo poteva renderlo simile a Inuyasha.

Ma… anche se non propriamente gentilissimo non le era sembrato che parlasse esattamente come l’hanyô… e poi come mai era umano? E quella Kikyô… chi era? Aveva chiamato Miroku-sama oji-chan… che fosse una familiare del monaco? Oppure era la Kikyô del passato ritornata in vita? E se avevano usato lo Shikon no Tama per riportarla in vita… che ne era di Inuyasha?

Miroku, Ki-chan e Kagome si misero seduti vicino a lei, sui cuscini del soggiorno. L’uomo misterioso si era di nuovo piazzato contro la cornice della porta, con un piede sul lato opposto. All’improvviso lo scansò, per far entrare Sango con il vassoio del tè, poi lo rimise dove stava.

“Bene, ora che non manca più nessuno all’appello, possiamo parlare.” Sbottò Miroku.

“Ma… Onigumo?” chiese Sango scrutando il monaco con curiosità. Miroku le passò uno strano oggetto, che Kagome classificò come un’agenda elettronica, o qualcosa di simile. Sango azionò il meccanismo, aiutata da Ki-chan, e strabuzzò gli occhi. “Che cosa sono questi brutti voti?” chiese alterandosi: probabilmente era una pagella scolastica del futuro.

“E’ quello che gli ho chiesto anch’io, ma non ha saputo darmi una ragione valida. L’ho mandato in camera sua in punizione, e ci resterà fino a nuove istruzioni.” Sango annuì con il capo, Kikyô parve voler dire qualcosa in difesa dell’amico, ma l’occhiataccia di Miroku le bloccò le parole sul nascere.

“Dunque dicevo… ora siamo tutti qui riuniti e si può finalmente parlare.” Riprese il discorso Miroku. “Oggi, mentre pulivo il giardino, ho visto Kagome-chan sgaiattolare fuori dalla finestrella dell’hokora. L’ho seguita e l’ho tolta dagli impicci in cui si era andata a cacciare.” Il monaco raccontò brevemente l’incontro di Kagome-chan con l’ispettore scolastico. Poi vide che Kikyô la stava scrutando. Ricordò che al nome ‘Kagome-chan’ la ragazza era sobbalzata per lo stupore.

“Si, Ki-chan. Quella che hai davanti è tua madre quando aveva la tua età. Non so come abbia fatto ad arrivare, ma ora è qui, e dobbiamo aiutarla.”

“Mia madre?” disse la ragazza stupita, mentre i suoi occhi passavano rapidamente dalla mamma alla strana ragazza dalla divisa fuori moda. “Mia figlia?” Kagome-chan strabuzzò gli occhi. Questa davvero non se l’aspettava. Sua figlia? KIKYÔ?

“Come posso aver dato a mia figlia il nome di… di… QUELLA????” rifletté a voce alta, alzandosi in piedi. La Kagome del futuro sorrise.

“Ti spiegheremo, con calma. Ora rimettiti seduta, Kagome-chan.” La ragazza arrossì, imbarazzata dal suo stesso comportamento. Non riusciva più a guardare Kikyô negli occhi… la sua giovane figlia del futuro la stava fissando, sconcertata.

“Vedi Kagome-chan… dopo l’ultima battaglia Sango ed io abbiamo deciso di venire nel futuro. In fondo Sango non aveva parenti in vita, purtroppo, e io preferivo stare con voi che con il mio vecchio maestro. Ci siamo sposati e ora abbiamo un figlio, Onigumo.”

“Come mai proprio Onigumo?”

“Questo non posso dirtelo, Kagome-chan.” Disse il monaco dopo un attimo di riflessione. Sango lo guardò meravigliata, ma quasi immediatamente comprese le sue ragioni.

“Però… Onigumo era il ladro innamorato di Kikyô che aveva creato Naraku… o no? Miroku-sama, dovresti odiare quel nome… tuo nonno e tuo padre sono morti a causa sua…”

Miroku sospirò. Kagome-chan aveva perfettamente ragione, con la conoscenza dei fatti che poteva avere. I suoi pensieri andarono al passato, a quella giornata di diciott’anni prima che aveva segnato il loro destino.

Erano finalmente riusciti a mettere alle strette Naraku. Lottando tutti assieme l’avevano quasi completamente distrutto. A nulla era valso il nuovo corpo che era riuscito a costruire nel monte Hakurei: certo, li aveva messi in difficoltà, e aveva procurato non pochi problemi. Ma alla fine la forza del gruppo era riuscita a sopraffarlo.

Naraku osservava Kikyô la quale, assieme a Kagome, aveva creato una barriera tutt’intorno, per impedirgli di fuggire.

“Tu, maledetta. Credi davvero di riuscire a sconfiggermi? L’altra volta sei scampata per poco dal morire di nuovo.”

“Il mio unico compito e scopo, in questo mondo, è quello di distruggere te, Naraku. Non posso andarmene in pace prima di averti ucciso con le mie stesse mani.” La donna gli puntava contro un arco, pronta a scagliare l’ennesima freccia spirituale, mentre dal lato opposto, Kagome sembrava il suo specchio, assieme al piccolo Shippô. Il gruppo aveva ormai formato un cerchio attorno al corpo straziato di Naraku, ed erano tutti pronti ad attaccarlo per dargli il colpo di grazia.

“Hehehehe, Kikyô… guardati. Non ti reggi più in piedi. Il corpo che quella strega ti ha costruito è ormai quasi in frantumi. Come speri di potermi distruggere in queste condizioni? Non credi sia meglio arrendersi e ottenere in cambio una morte rapida?”

“Naraku, dannato… Kikyô non morirà di nuovo per colpa tua! Sarò io a vendicarla, ad ogni costo!” Inuyasha era al limite. Non si accorse che quelle parole avevano ferito qualcuno, dall’altra parte del corpo del loro avversario, peggio di quanto lo stesso Naraku avrebbe mai potuto fare. E non si accorse nemmeno che l’arco di Kikyô aveva cambiato bersaglio. La freccia dell’hama che gli passò a pochi centimetri dal volto lo colse di sorpresa. Si voltò a guardare la miko, sconcertato.

“Kikyô… perché…” iniziò a balbettare. “Inuyasha. Non ti permetto di rischiare la vita per questa vendetta. La tua vita appartiene a me. Solo io posso decidere quando devi morire.” Lo rabbonì lei, gli occhi duri e freddi, la voce gelida, la seconda freccia pronta a scoccare.

“Come vuoi…” lo sguardo del ragazzo si abbassò al suolo. Decise di lasciare a Kikyô la possibilità di vendicarsi da sola. Ma se qualcosa fosse andato storto, non se lo sarebbe mai perdonato.

“Hehehehe… Kikyô… che cosa vorresti fare, dimmi? Colpirmi con una freccia? Lo sai che le tue non hanno più un grande potere.” Ma l’hanyô sussultò quando l’ennesimo dardo di Kikyô lo sfiorò.

“La prossima volta non sbaglierò mira, Naraku!” l’arco di Kikyô si tese di nuovo, ma nessuno si accorse che la sacerdotessa aveva vacillato un istante.

[Maledizione… questo corpo sta collassando. Ormai ho perso tutte le anime che mi aiutavano a muovermi, e anche focalizzare è diventato difficile.] La vista della miko era annebbiata. Avrebbe dovuto concentrare tutto il suo spirito purificatore in un unico colpo e tentare di trafiggere Naraku.

[Non voglio morire prima di averlo ucciso! E’ lo scopo che mi sono prefissa quando ho continuato a vivere… e devo assolutamente riuscirci! Un solo colpo, uno solo…] la donna barcollò più vistosamente. L’occhiata di trionfo di Naraku fu peggio di una pugnalata.

“Kikyô… non riesci quasi più a camminare vero? Sento la tua forza spirituale diminuire… non potrai uccidermi, nemmeno colpendomi!”

In quel momento, l’arco di Kikyô scoccò l’ultima freccia. La donna vide che colpiva Naraku, proprio al centro del petto… producendo una luce accecante. Si accasciò al suolo.

“Maledizione, com’è possibile che avesse ancora tutto questo potere!” urlò Naraku mentre qualcosa in lui si spezzava. Si vide il corpo dell’hanyô come aprirsi, e al suo interno, barcollando e con una freccia piantata nel cuore, uscirne un uomo.

“Mus… no… Onigumo!” fu il grido soffocato di Inuyasha. L’uomo incespicò, cadde, e la freccia che gli aveva trapassato il cuore si insinuò ancora più profondamente dentro il suo corpo, fuoriuscendo dalla scapola. Ma si sollevò, quasi caparbiamente e continuò a trascinarsi verso un punto preciso. Il ragazzo si voltò e vide anche lui la sacerdotessa, in terra.

“Kikyô!” urlò nuovamente, correndo verso il corpo martoriato della giovane donna.

“Inu… ya… sha…” balbettò lei mentre l’hanyô si chinava a sorreggerla e la guardava, con angoscia.

“Kikyô… tu… starai bene vero? Non morirai?”

“Inuyasha… la tua è preoccupazione per me o…” un gemito di dolore sfuggì dalla gola della miko. “oppure paura, per la promessa che mi hai fatto?”

“Ma che dici? Ti ho mai…” l’hanyô la guardava sdegnato.

“Però… io sto morendo Inuyasha. Io muoio… e leggo solo apprensione nei tuoi occhi.” Il ragazzo sussultò alle parole appena sussurrate della donna.

“Che cosa intendi dire, Kikyô?”

“Io sto morendo, e tu sei preoccupato. Non sei triste. Io…” la donna alzò con enorme fatica la mano, avvicinandola al volto di Inuyasha. “Io… non ti ho mai visto piangere per me.”

“Che diavolo c’entra questo ora?”

“Nulla Inuyasha, nulla…” la mano della miko si posò di nuovo sul terreno. Onigumo intanto era arrivato fin lì e si era accasciato accanto a lei.

“Kikyô. Io… non volevo ucciderti. Io…” fu l’ultimo rantolo dell’uomo. La miko si voltò verso di lui, e gli sorrise, con notevole sforzo.

“Lo so Onigumo… i tuoi sentimenti non erano puri, ma so che non avresti voluto uccidermi. Anzi, grazie alla tua volontà all’interno di Naraku, sono riuscita a distruggerlo.” La donna parlava con un filo di voce. Si sentiva che ogni parola le costava molta fatica.Il corpo di Onigumo fu scosso da un fremito, poi si rilassò: la freccia di Kikyô aveva compiuto la sua opera.

“IO NON SONO ANCORA MORTO!” Una voce tuonò dietro di loro. Kikyô spalancò gli occhi, sentendo un’aura maligna che si avvicinava a velocità sorprendente.

Si voltò a osservare Naraku, e comprese: l’hanyô aveva bisogno del suo collante. Anche se morto, Onigumo era pur sempre un ‘pezzo’ necessario al corpo di quel mostro.

Kagome lanciò un’altra freccia, che bloccò per un attimo la corsa del loro avversario, staccandogli un braccio.

[Non ti permetterò di avvicinarti ad Onigumo!] pensò la miko, e creò, con le sue forze residue, una barriera nella quale proteggere l’uomo, Inuyasha e lei. Naraku tentò di sfondarla, ma non riuscì a farvi neanche una breccia.

“Inuyasha… ti prego, devi finirlo. Io non resisterò ancora a lungo.” Disse la miko guardando l’hanyô dolcemente. Il ragazzo la posò con delicatezza al suolo e uscì dalla sua barriera protettiva.

“Naraku, dannato. E’ giunta l’ora della resa dei conti. Adesso…” osservò con disprezzo l’essere che aveva davanti. Il corpo, diviso a metà dalla freccia di Kikyô, stava iniziando a scomporsi nei tanti yôkai che l’avevano formato. Inuyasha sussultò: ma certo! Ecco perché Kikyô aveva creato quella barriera! Naraku aveva ancora bisogno di Onigumo! Checché ne dicesse, era sempre un essere imperfetto.

“Si, adesso è giunta l’ora della tua fine!” continuò la frase Kagome, dietro al mostro. La ragazza scagliò l’ennesima freccia, che stavolta si conficcò nella parte posteriore dell’agglomerato di yôkai che li fronteggiava. Un urlo di dolore percorse il mostro.

Inuyasha sorrise sprezzante. Sfoderò Tessaiga, e si concentrò sulle onde di energia sprigionate da Naraku.

[Si, la vedo! Vedo l’aura maligna… posso distruggerlo ora!] il ragazzo chiuse gli occhi un secondo e si concentrò.

“Non mi sconfiggerai tanto facilmente, Inuyasha!” l’essere si avventò verso di lui, ma era troppo tardi.

Tessaiga iniziò a brillare, mentre l’hanyô piazzava un unico fendente:

“BAHURYUHA!!!!!!!(19)” Un’enorme energia attraversò la spada e andò a colpire in pieno l’accozzaglia di corpi che gli si stava avventando contro. Un urlo agghiacciante, un lampo… poi più nulla. In terra erano rimasti solo alcuni pezzi di corpo senza vita.

L’essere che aveva rovinato l’esistenza di tutti era finalmente stato distrutto.

“E’… morto?” Inuyasha osservava di fronte a sé con aria incredula mentre Tessaiga gli scivolava dalle mani. Il clangore della spada che cadeva in terra fu un triste eco alle sue parole.

“E’… proprio morto…” confermò il monaco togliendo il sigillo alla mano che ora non aveva più il kazana.

“Si! Non sento più la sua presenza!” Kagome piangeva dalla gioia. Corse verso Inuyasha e lo abbracciò. L’hanyô ricambiò, confuso e sollevato.

“Finalmente…” un sussurro giunse al sensibile orecchio dell’hanyô. Si voltò verso la voce, e ricordò che Kikyô era ancora lì, in terra, morente.

Si staccò dall’abbraccio di Kagome e corse verso la miko, sorreggendola di nuovo.

“Finalmente il mio compito su questa terra si è concluso, Inuyasha.” Gli occhi della donna incontrarono quelli ansiosi dell’hanyô. “Anche Onigumo ormai non c’è più… ed è giunto il momento per me di tornare nel posto dal quale sono stata evocata.” La donna sussultò per il dolore. Avrebbe dovuto sbrigarsi: ogni parola le succhiava il minuscolo residuo di forze che le era rimasto.

“Bene Kikyô… Io…” la mano della miko gli si posò sulle labbra, chiudendole.

“Shhhhh…. Non dire niente. Io… non voglio più che tu muoia con me.” Il lampo che vide passare negli occhi dell’hanyô fu peggio di una pugnalata.

“Inuyasha… in questi mesi ho potuto vivere esperienze nuove, e riflettere.” La mano della miko gli accarezzò una guancia, poi ricadde di nuovo in terra, quasi senza forze.

“Sul monte Hakurei, il vecchio eremita è morto tra le mie braccia. Mi ha detto…” un nuovo gemito di dolore attraversò il suo corpo, storpiando il bel volto della miko in una smorfia di dolore. Doveva sbrigarsi, non aveva più molto tempo.

“Mi ha detto cose che mi hanno fatto pensare. Sono felice che tu voglia mantenere la tua promessa fino in fondo, ma io...”

“Ho capito… che il mio tempo è finito, il tuo no. Tu devi continuare a vivere anche per me, Inuyasha. Continua a vivere per me… con me.” Gli occhi della miko si rivolsero a Kagome, per un attimo senza fine. Poi si chiusero. Un ultimo fremito la percorse, poi si vide qualcosa fuoriuscire dal corpo di argilla ormai quasi distrutto, e rientrare nella ragazza in divisa scolastica.

Una lacrima, silenziosa, corse sulla guancia di Inuyasha: Kikyô… il suo primo amore… era morta. Lo aveva perdonato, lo aveva lasciato vivere.

Alzò lo sguardo, e notò che i suoi compagni avevano gli occhi lucidi. In fondo avevano temuto così tanto la sacerdotessa… ma lei si era sacrificata per salvare tutti.

Il silenzio calò sul gruppo, mentre le lacrime che l’hanyô non aveva mai versato per la miko finalmente erano libere di scorrere. Inuyasha abbracciò il corpo di Kikyô. I suoi singhiozzi erano l’unico suono che rompeva la pace di quella foresta distrutta.

“Vedi, Kagome-chan… sono molte le ragioni che…” disse Miroku tentando di calmarla.

“Allora perché non me le spieghi, queste ragioni, Miroku-sama? Io non posso scoprirle da me…” gli occhi della giovane Kagome erano supplichevoli.

All’improvviso l’orologio che faceva bella mostra di sé in un angolo del salotto prese a rintoccare l’ora: erano le sei.

Ki-chan si voltò un attimo a guardare la porta, dove il padre era appoggiato, pensieroso. Anche l’uomo si riscosse, all’improvviso, come se avesse percepito qualcosa che non andava.

Kikyô si voltò, cercando di non farsi notare dagli altri, ma il padre non era dello stesso avviso. L’uomo attese qualche secondo, con aria piuttosto contrariata, poi spalancò la porta scorrevole, rivelando la ragione del suo nervosismo. Il giovane Onigumo si bloccò, e iniziò a sudare freddo.

“ONIGUMO! Dove pensi di andare?” La gelida voce di Sango fece tremare il ragazzo come un bimbo delle elementari.

“O… ofukuro… Ehm… io… cioè…” prese a balbettare, cercando di nascondere qualche cosa dietro la schiena.

“Dove volevi andare, Onigumo?” Miroku era ancora più seccato. Non solo non aveva obbedito a un suo ordine, ma continuava a parlare senza dargli il dovuto rispetto. Sango si alzò e si avvicinò al figlio, con aria di attesa.

“Ecco… mi ha chiamato Hishida-kun al cellulare… pare che sua sorella…” non poté continuare il suo discorso. Lo schiaffo della madre lo colse di sorpresa, facendogli cadere il casco, che nascondeva dietro la schiena.

“Non ti azzardare mai più a inventare scuse per non obbedire agli ordini di tuo padre!”

“Non sto inventando niente, Shiori-chan ha avuto un incidente, mi ha chiesto di andare all’ospedale!” i due genitori si guardarono preoccupati. Conoscevano bene la sorella di Hishida-kun, e questa notizia li aveva lasciati sconvolti.

“Onigumo, resta il fatto che tu sei in punizione. Andremo noi all’ospedale a vedere come sta Shiori-san. Ci scusate, non è vero?”

Nessuno ebbe qualcosa in contrario. L’uomo che Kagome aveva sposato si offerse di accompagnare Miroku e Sango, e loro accettarono volentieri. Probabilmente l’uomo aveva una macchina più veloce, pensò Kagome-chan.

Anche Kikyô decise di seguirli, e dopo qualche minuto il gruppo se ne andò, e lei si ritrovò sola con la se stessa del futuro e Onigumo.

“Tzk… Tô-san… maledizione a lui! Perché è sempre così… così…” una mano sulla spalla lo bloccò. Si voltò e vide per la prima volta Kagome-chan, che gli sorrideva.

[Si preoccupa per la sorella di un amico… non è Naraku tornato in vita, in fondo. E poi… è il figlio di Miroku. Non può essere cattivo.] pensava la ragazza.

Il giovane arrossì e si girò dall’altra parte.

[Chi è questa ragazza? Somiglia a Kikyô…] pensava lui, mentre i battiti del suo cuore aumentavano.

“Che c’è, che vuoi?” chiese cercando di fare lo sbruffone e di nascondere il viso arrossito.

“Miroku-sama è una brava persona, Onigumo-kun. Si preoccupa per te…” La ragazza sorrideva… quel sorriso era maledettamente simile a quello di Kikyô e i battiti più rapidi del suo cuore gli davano fastidio.

“Che cavolo te ne frega?” sbottò. Però il suo volto aveva cambiato colore nel sentirle dire ‘Onigumo-kun’. Kikyô lo trattava sempre come un bambino… certo, erano come fratelli, ma lui…

“Hai ragione, non mi importa…” la ragazza sembrò rabbuiarsi, e Onigumo si sentì mancare il terreno sotto i piedi. Non voleva ferirla, maledizione!

“N… no… è che… cioè…” iniziò a guardare con enorme interesse le sue dita, mentre il volto si imporporava. Kagome-chan sorrise di nuovo.

“Kagome-chan, io vado un attimo a comprare qualcosa in più per la cena. Ci pensi tu a tener compagnia a Onigumo? Noto che avete fatto amicizia.” Kagome sorrideva ai due ragazzi con lo stesso e identico sorriso di Kagome-chan. La ragazzina annuì, e la donna si avviò verso le scale.

“A… aspetta.” Kagome si girò alla voce di se stessa da giovane.

“Si, che c’è?”

“Ecco… prima Miroku-sama ha detto che eravamo tutti riuniti nella sala… però…” il suo sguardo sprofondò sul pavimento e le sue guance si infiammarono. Voleva… doveva sapere! “Però… ma… manca qualcuno…”

Lo sguardo della Kagome adulta si rabbuiò, e i suoi occhi divennero così tristi che Kagome-chan ebbe un sussulto.

“Che… che cosa gli è successo? Devi dirmelo…” il cuore batteva all’impazzata. Non voleva, non poteva credere al brutto presentimento che stava avendo. Inuyasha… era morto? E quell’uomo che lei aveva sposato. Il padre di Kikyô. CHI era?

“E’ troppo lungo da spiegare ora, Kagome-chan. Ti prego, attendi che gli altri siano tornati, ci penserà Miroku-sama a raccontarti tutto…” la donna si affrettò a indossare le scarpe, e uscì di tutta fretta. Ora era il turno di Kagome-chan di schioccare la lingua e assumere un’espressione stizzita.

“Ti chiami Kagome?” chiese Onigumo, stupito.

“Si, che male c’è, Onigumo-kun?”

“Nulla… solo che somigli molto a Kagome obachan.”

“Ecco… è una lunga storia…” iniziò lei, confusa.

“E somigli anche molto a… Ki-chan…” il giovane divenne paonazzo.

“Ano… Onigumo-kun… non è che, per caso… ti piace Kikyô-san?” il volto del ragazzo divenne più rosso di quanto Kagome potesse immaginare. Lei ridacchiò, divertita.

“Ma… che cosa dici… cioè… io…”

“Ma va lah… smettila di fare tutte queste scene, si vede lontano un miglio che ti piace! Che ne dici di raccontarmi tutto?” lo rassicurò lei appioppandogli un paio di pacche dietro la schiena. Lo guardava con occhi MOLTO interessati… ma il ragazzo non se ne accorse.

[Ahi! Devo spiegare a questa tipa che le botte così forti fanno male…] pensò, sempre più confuso. “Ehm… cioè… sei sicura? Cioè, non…”

“Non preoccuparti, giuro solennemente di non dire niente…” per essere più convincente chiuse gli occhi e mise una mano sul cuore. In realtà fremeva dalla voglia di sapere… il ragazzo la fissò, un po’ dubbioso. Gli occhi castani, così simili a quelli di Miroku la scrutavano un po’ torvi.

“Ok, voglio crederti…” concluse, e si rilassò un po’. Le sorrise, e in quel momento Kagome si rese conto di quanto assomigliasse a Sango. Aveva la stessa espressione luminosa, ed era davvero un bel ragazzo. “Comunque è un po’ imbarazzante parlare con te di Ki-chan… le somigli così tanto che sembra io mi stia dichiarando… non mi sento ancora pronto a una situazione del genere! Io…”

“Non preoccuparti, non devi dirmelo se non vuoi… pensavo solo che forse ti avrebbe fatto bene discuterne con qualcuno!” mormorò lei, cercando di camuffare la delusione. Ma Onigumo decise che, in fondo, poteva fidarsi.

I due ragazzi iniziarono a parlare, piuttosto animatamente. Era da molto tempo che lui aveva iniziato a sentire Kikyô come più di un’amica. Kagome sorrise a quest’idea… Onigumo… innamorato di Kikyô… beh, questa volta almeno il suo sentimento sembrava puro.

[Devo finirla di pensare al passato. Questo è un ragazzo tanto dolce. Non è un mostro! Le vuole bene davvero, guarda come gli si illuminano gli occhi quando parla di Kikyô…] il volto di Kagome si rallegrò [Forse dovrei cercare di aiutarlo! Si! Agenzia matrimoniale Kagome, operazione Onigumo!] la ragazza sognava tra sé e sé, immaginando i due finalmente sposi.

Intanto, l’oggetto delle sue fantasie aveva continuato a parlare, ignaro di tutti i piani che la ragazza stava architettando.

Quando si era accorto di provare qualcosa per Kikyô, tutto era cambiato per lui. Non era riuscito più a concentrarsi… e i suoi voti erano calati. Inoltre lei sembrava considerarlo sempre come un fratello. E questo gli dava fastidio.

“Ma come faccio a dirlo a tô-san?” sbottò lui fissandola. “Se lui scoprisse una cosa del genere lo verrebbe sapere tutta la casa nel giro di cinque minuti di orologio…”

“E’ diventato così chiacchierone Miroku-sama?” chiese Kagome meravigliata. Normalmente il monaco non si faceva mai i fatti degli altri. Ma non riuscì a sentire la risposta. La porta di casa si aprì rumorosamente, e una trafelata Kikyô apparve di fronte a loro.

“Ki-chan… che succede?” “Oni-chan…” ansimò lei “Ti prego, corri all’ospedale… Shiori-san… Hishida-kun…” il ragazzo le si avvicinò, preoccupato e la guidò su uno dei cuscini del salotto.

“Non preoccuparti, io vado… tu riposati!” [Se un persona come Ki-chan è così stanca vuol dire che ha davvero corso a perdifiato… devo sbrigarmi!] le due ragazze seguirono con lo sguardo il giovane che si affrettava a prendere il casco del motorino e correva fuori. Kikyô sospirò, sollevata, nel sentire il rumore dello scooter che si allontanava.

“Vuoi un sorso d’acqua?” chiese Kagome osservandola ansimare ancora. “La casa ha una disposizione un po’ diversa da quando ci abitavo io… ma la cucina ho visto dov’è.” La ragazza non la guardò, ma fece cenno di si. Lei si affrettò a portarle da bere. [Che occasione! Siamo sole… e potrei sondare il terreno per Onigumo! Si! Agenzia matrimoniale Kagome atto secondo!] pensava mentre riempiva il bicchiere. Ma tornata sui suoi passi, la sua energia si smontò.

Kikyô bevve l’acqua e posò il bicchiere, dopodiché non accennò a muoversi. Il silenzio che avvolgeva le due ragazze era imbarazzante, solo il sordo ticchettio dell’orologio ricordava il lento scorrere del tempo.

“A… ano…” Kagome avrebbe voluto iniziare a parlare, ma Kikyô continuava a non volerla nemmeno degnare di un’occhiata. Attese un altro po’.

Dieci minuti… [Nemmeno un movimento.]

Un quarto d’ora… [Inizio a odiare quell’orologio…]

Mezz’ora… [Non ne posso più!]

“Ano… Kikyô-san… per caso ti ho fatto qualcosa?” chiese un po’ dubbiosa.

“Nulla in particolare.” Disse lei, sbirciandola da dietro la frangia.

“Eppure… non so, l’aria sembra come… pesante…” ragionò Kagome ad alta voce.

Che cosa poteva aver fatto di male? Kikyô sembrava a disagio con lei… Ma certo! Probabilmente era imbarazzata perché si trovava di fronte sua madre… alla sua stessa età?

“…” Kikyô sembrava sempre sbirciarla da dietro la frangia, mentre il ticchettio dell’orologio era diventato ancora più fastidioso. La tensione nell’aria si poteva tagliare col coltello. La sua futura figlia sembrava un po’ nervosa.

Kagome-chan decise di fare un tentativo per sbloccare la situazione: continuando così non sarebbe arrivata a niente.

“Che… che ne dici… di fare una partita a dama? Così passiamo il tempo…” propose. Ma proprio in quel momento la porta di casa si aprì.

“Tadaima!” la voce della Kagome adulta risuonò per l’ingresso. Kagome-chan osservò stupita Kikyô: la ragazza non si mosse, continuava a stare seduta, con la testa appoggiata sul polso e gli occhi che fissavano il muro dall’altra parte della stanza, come se non avesse sentito.

“Oh, eravate qui allora… Ki-chan dov’è andato Onigumo?”

“Shiori-san è molto grave, e Oji-chan gli ha dato il permesso di andare all’ospedale.” Rispose lei, atona, osservando sempre il muro. La madre sembrava meravigliata dal suo comportamento.

“Ki-chan? Mi aiuti a sistemare la spesa?” chiese, cercando di ottenere una reazione. Stancamente la ragazza si alzò in piedi e si avvicinò alla madre, senza guardarla. Prese una busta e si allontanò verso la cucina.

“Kikyô… che succede? Non puoi essere solo preoccupata per Shiori… non ti sei mai comportata così.” La ragazza lasciò andare la busta della spesa, che piombò sul pavimento, e si girò. Quando i suoi occhi incontrarono quelli della madre, la Kagome del futuro sobbalzò: erano freddi e… pieni di rancore…

“Oka-san… tu… mi odii?” fu la domanda di Ki-chan.

“Ki… Kikyô… come puoi pensare che io…” la madre era visibilmente scioccata, il cuore di Kagome-chan aumentò i battiti.

“Quella ragazza… è te stessa quando avevi la mia età. Prima, quando ha parlato, ha detto qualcosa che riguardava me… e sembrava essere molto arrabbiata. Se tu odiavi ‘quella’ Kikyô… perché mi hai chiamata come lei? Tu mi odii?” le lacrime scorrevano dagli occhi della ragazza, e iniziarono a scorrere anche da quelli di Kagome-chan. Che stupida era stata… altro che agenzie matrimoniali, non ne combinava una giusta! Era tutta colpa sua, perché non se ne stava zitta?

“No, non è così Kikyô-san…” iniziò a rispondere. “Non è come credi, Ki-chan!” disse allo stesso tempo la Kagome adulta.

“Non è come credo? Come può non essere come credo? Se tu odiavi quella Kikyô che cosa puoi provare chiamandomi con quel nome ogni giorno?” il volto della ragazza era rosso, i pugni stretti, il corpo teso peggio di una corda di violino.

“Kagome-chan non sa che cosa è successo. Ho le mie ragioni per averti dato questo nome… io non ti odio affatto bambina, come non odiavo l’altra Kikyô. E nemmeno Kagome-chan… è solo gelosa.”

“Gelosa?”

“Si, gelosa. Perché una persona molto importante per lei non faceva altro che pensare a Kikyô… e non a lei. Ma non la odia affatto…”

“Una persona molto importante per me… ma non per te?” la frase di Kagome-chan colse Kagome alla sprovvista. “Come hai potuto…” la ragazza si alzò dal cuscino sul quale era accoccolata, e guardò fisso il terreno. Le lacrime che avevano iniziato a scendere alla frase di Kikyô continuarono a bagnare le sue guance, sempre più numerose. “Come hai potuto sposarti ed essere felice senza di lui?”

“Lui chi?” Kagome-chan sussultò alla voce maschile che le aveva rivolto la domanda. Alzò gli occhi, e si asciugò le lacrime per guardare il volto di chi le aveva parlato. Era Miroku… non si era accorta che erano tutti rientrati, mancava solo Onigumo all’appello. Probabilmente il ragazzo era rimasto con il suo amico all’ospedale.

Miroku, Sango, e l’uomo in divisa da combattimento la fissavano, allibiti.

“Lei sa benissimo di chi sto parlando! Prima gliel’ho domandato, e ha fatto una faccia così triste da non lasciare dubbi! Come hai potuto sposarti se gli è successo qualcosa? COME?”

[Maledizione, vuoi vedere che…] Kagome iniziò a sudare freddo, ma si avvicinò a Kagome-chan e le suggerì dolcemente di rimettersi seduta.

“NO! Voglio sapere che cosa gli è successo!” la ragazza schiaffeggiò la mano che tentava di calmarla e fissò la donna con ribrezzo.

“Cazzo lo vuoi capire che è morto? E’ morto per proteggerti va bene? E che male c’è se noi ci siamo sposati dopo? Mica potevamo compiangerlo in eterno!” il suo futuro marito la fissava con biasimo. Quella smorfia le era familiare… ma chi…

“E’ morto…” Kagome-chan iniziò a guardare fisso il pavimento.

“Si, è morto… purtroppo…” Kagome stava massaggiandosi la mano che Kagome-chan aveva colpito, il suo volto sembrava molto triste. “Però…”

“Però un CORNO! Io… Io non potrei… non vorrei… stare con qualcuno che non sia lui. Come hai potuto sposare un altro quando Inuyasha è morto? E’ morto con quella vero? E come hai potuto chiamare tua figlia come lei? Ti odio!” urlò, senza accorgersi della sorpresa di tutti alle sue parole. Fece per fuggir via… ma qualcuno la bloccò.

“Lasciami! Lasciami voglio andarmene! Non so chi tu sia… Kôga-kun? Hôjô-kun? Chi diavolo sei? Non ti voglio! Io voglio Inuyasha! Farò di tutto per evitare che lui muoia!”

“Dannazione Kagome! Vuoi darti una calmata?” urlò l’uomo scuotendola, ma ottenne solo l’effetto inverso e la ragazza iniziò a scalciare e a cercare di graffiarlo.

“Lasciami brutto…”

Non poté continuare. Lo schiaffo di lui la colse di sorpresa, e si bloccò. Lei lo fissò inorridita mentre le lacrime continuavano a rigarle il volto.

“Keh… possibile che quando attacchi con le crisi isteriche non la pianti più? Non hai capito un cazzo di quello che è successo… ma non ti do torto, quel deficiente di Miroku si diverte a fare il misterioso…” l’uomo l’aveva mollata e ora la guardava fisso, con le braccia incrociate. Sembrava seccato, ma anche preoccupato per lei.

“Non… ho capito…?”

“Già, non hai capito, Kagome-chan.” disse di rimando Miroku. Ma si affrettò a cambiare discorso. “Però ora abbiamo cose più importanti di cui discutere. Kagome-sama…” il monaco si rivolse alla donna adulta. “Shiori-san… è stata aggredita.”

“Aggredita? Oddio…” Kagome sussultò, e abbassò gli occhi, in segno di rispetto. “Ma perché dovremmo occuparcene noi?”

“Le ferite erano… quelle di uno yôkai.” Si intromise suo marito. Gli occhi di Kagome si allargarono.

“Ma io… credevo che non ci fossero più yôkai in questo tempo da quando abbiamo sigillato il pozzo e lo Shikon…” gli occhi del gruppo si spostarono verso Kagome-chan, che iniziò a sentirsi in imbarazzo.

“A… no… che… perché mi fissate?”

“Kagome-chan, per caso hai un pezzo della sfera con te?” chiese Sango.

“S… si… eccola…” la ragazza prese dalla tasca della gonna una boccetta contenente alcuni pezzi della sfera degli Shikon, quelli che avevano raccolto fino ad allora. L’uomo in tenuta da combattimento li fissò con aria triste.

“Dunque… ecco il motivo. Non pensavo che avrei mai più rivisto la sfera da quel giorno…” disse con malinconia.

[Hôjô-kun non può essere: sa tutto della sfera. A meno che non si sia ritrovato anche lui invischiato in questo casino… ma ne dubito ingenuo com’è…] Kagome stava rimuginando. Non riusciva a capire chi fosse l’uomo che aveva sposato. [E poi il linguaggio che ha usato era volgare… Hôjô-kun non avrebbe mai parlato così… Inoltre Hôjô-kun era castano… ma non è questo il vero problema. Chi può essere?] I suoi occhi si allargarono [Ko… Kôga-kun? Uhm… non è che gli somigli molto… però… i capelli neri ci sono… e gli occhi se fosse diventato umano potrebbero anche essere di quel colore…]

“Kagome…” l’uomo la fissò con sospetto, gli occhi ridotti a due piccole fessure. “Si può sapere a che cosa stai pensando?”

“Nu… nulla… è che… Kôga-kun…” provò a dire. Gli occhi di lui si allargarono.

“COME CAZZO PUOI AVERMI SCAMBIATO PER QUEL LUPASTRO, CRETINA!” urlò, ma la sua voce fu coperta da un rumore fortissimo. Il gruppo uscì in giardino, e inorridì: uno yôkai mantide aveva distrutto il muro di cinta.

[Ha detto qualcosa… non ho sentito…] pensava Kagome. Ma nel contempo il cuore batteva a mille alla vista del mostro che li fronteggiava.

“Kuzo(15)… meglio se vado a prendere…” iniziò a dire l’uomo. Ma un arto dello yôkai-mantide si alzò, e si avvicinò pericolosamente a Kagome-chan.

“KAGOME!!!” urlò lui, e si gettò addosso alla ragazza per proteggerla. La parte acuminata dell’arto dello yôkai lo colpì alla schiena.

“Chikusho(16)…” bestemmiò.

“Otô-san! Tutto bene?” urlò Kikyô avvicinandosi, inorridita di fronte al sangue che macchiava il retro della casacca del padre.

“Kikyô! Allontanati e mettiti al riparo!” l’uomo cercava di mostrarsi sicuro, ma in realtà ansimava. [Maledizione… sto sforzandomi troppo per mantenere l’aspetto umano… però Miroku ha ragione… e non posso prendere Tessaiga… se lo facessi sarebbe ovvio…]

“Shi… kon… no… Ta… ma…” mormorava il mostro. “Datemi lo Shikon no tama…”

“Tzk… per una cosa del genere ha quasi ucciso la povera Shiori-san!” pensò ad alta voce Miroku. “Maledetto… se solo avessi ancora il kazana…”

“Sei impazzito Miroku? Già una volta uno yôkai mantide ti aveva quasi ammazzato! Se tu avessi ancora il kazana non potresti in ogni caso usarlo!” disse Sango. La sua voce mostrava preoccupazione.

“Sango ha ragione Miroku… stai indietro, ormai è inutile fingere…” sbottò Inuyasha fissando Kagome-chan con amarezza. “Preparati dannato! Ora inizia il bello…” l’hanyô scrocchiò le dita e si lanciò verso il mostro [Forse se mi trasformo mentre corro riesco a non farmi vedere] pensò osservando di sfuggita Kagome. Quell’occhiata fu il suo errore. Non notò la zampa del mostro che gli si avvicinava da tergo.

“Otô-saaaaan!!!!!” l’urlo di Kikyô coprì quasi quello del padre, colpito alla schiena dallo yôkai mantide. Nel momento in cui l’aveva colpito la trasformazione di facciata dell’hanyô era scomparsa, i suoi capelli erano tornati d’argento, le mani artigliate, gli occhi, spalancati, erano di nuovo color ambra.

Ma Kagome-chan non se ne accorse: la sua attenzione era focalizzata su Kikyô… che aveva iniziato a risplendere, furiosa.

“Tu…” gli occhi della ragazza lanciavano fiamme mentre ai lati della testa iniziavano a intravedersi delle orecchie… canine? “Tu… hai osato ferire mio padre! NON SOPRAVVIVERAI A QUESTO!!!!!” urlò. Il sangue si ghiacciò nelle vene di Kagome-chan. Quella ragazza… era un hanyô? Ma allora…

Cadde in ginocchio, e quasi non seguì il successivo combattimento. Con una mossa fulminea la ragazza si avventò contro il mostro e lo distrusse in un sol colpo, esattamente come avrebbe fatto Inuyasha. Quella sua artigliata era così dolorosamente simile al Sankon Tessô. Fu un attimo: l’attacco di Kikyô, una luce accecante… lo yôkai mantide era ora in mille pezzi, mentre la sua futura figlia si era accasciata al suolo, in mezzo ai suoi resti. Sembrava esausta.

[Ma allora… suo padre era proprio lui? Ma se è morto… vuol dire che abbiamo avuto una figlia prima che morisse? Oppure… quell’uomo…] la ragazza cercò con lo sguardo l’uomo ferito dalla mantide. Kikyô si era ripresa, e lo stava aiutando a rialzarsi. Suo marito era un essere umano… non c’erano dubbi.

Ma se era Inuyasha, o Kôga-kun… era diventato umano con lo Shikon no Tama? E com’era possibile che Kikyô fosse un hanyô se lui non era più uno yôkai? Che mal di testa…

“Ki-chan… ma come?” chiese Kagome sbalordita.

“Non lo so, oka-san. Nel momento in cui otô-san è stato colpito ho sentito una terribile forza esplodermi dentro, non capisco neppure io che m’è successo.” La ragazza stava tremando. Le orecchie erano scomparse, era tornata ad essere la stessa Kikyô di sempre.

“Sapevamo che era possibile, Kagome…” disse l’uomo, che la figlia aveva aiutato a sedere.

“Si, c’era la possibilità, ma non ne eravamo sicuri, il suo aspetto lasciava molti dubbi in proposito.”

“Pare che i dubbi fossero infondati…” Inuyasha osservò Kikyô con affetto. “Grazie Ki-chan. Lo sai che mi hai salvato la vita eh?”

“Otô-san… tu sei ferito, bisogna chiamare un dottore…”

“No non preoccuparti, ci penserà la mamma a prendersi cura di me…”

“Già, davvero, Ki-chan. E poi tuo padre non è ferito gravemente.” Concluse Miroku con sicurezza. “Comunque, Kagome-sama penso che la nostra ospite desideri tornare nel suo tempo. Potresti aiutarmi a riaprire il sigillo del pozzo?”

I due si incamminarono verso l’hokora, mentre una sempre più frastornata Kagome avrebbe avuto mille domande a cui dare una risposta.

“Sango-san… almeno tu vuoi spiegarmi? Io non ci capisco più niente. Lui ha detto ‘E’ morto’. Se non si tratta di Inuyasha, CHI è? Kôga-kun? Come mai Kikyô è un hanyô? Se è diventa…” la mano di Sango si posò sulla sua bocca. La donna le sorrideva, cercando di incuterle sicurezza. Le appoggiò le mani sulle spalle e le si mise di fronte, guardandola dolcemente.

“Kagome-chan, è inutile che me lo chiedi. Non posso risponderti.”

“Ma perché? Perché?”

“La felicità spesso comporta il sacrificio di qualcosa a cui si tiene. Se tu venissi a sapere per filo e per segno quello che è successo, potresti cercare di cambiarlo.” Gli occhi di Sango si incupirono.

“Io… prometto che non modificherò niente! Però ditemelo, non ce la faccio…”

“Non possiamo. E’ già troppo quello che nostro malgrado hai potuto capire… se ti dicessimo qualche cosa di più rischieremmo di rovinare la nostra felicità.”

“Però, se questa felicità si potesse ottenere anche senza sacrifici…” iniziò Kagome-chan. Sango scosse la testa, tristemente.

“Purtroppo tutte le scelte sono dolorose, Kagome-chan. Quando Naraku ingannò me e la mia gente… se l’avessi saputo… ovviamente avrei impedito che i miei cari morissero. Ma in questo modo…” il suo sguardo corse in direzione dell’hokora, dove Miroku stava discutendo con Kagome. “in questo modo non avrei mai incontrato voi… e non avrei mai trovato lui, mi capisci Kagome-chan? Volevo troppo bene a chi è morto per non fare di tutto per salvarli.”

Kagome-chan annuì, e si diresse, silenziosamente, verso l’hokora.

“Mirai no oka-san…(12)” la voce di Kikyô la fece girare. “Perdonami per averti frainteso…”

“No, perdonami tu Kikyô… io non ti odio. Tua madre ha ragione, non odio nemmeno l’altra Kikyô… sono solo gelosa… perché Inuyasha pensa solo a lei, e non a me. Non badare alle mie parole di prima.” La ragazza annuì, mentre gli occhi dell’uomo seduto lì accanto la fissarono, con malinconia. Kagome-chan lo osservò, per un lungo momento, poi si incamminò verso l’hokora.

Pochi secondi, una grande luce… Inuyasha si alzò, apparentemente ristabilito.

“Pare che gli anni non diminuiscano la tua capacità di guarigione, Inuyasha.” Concluse Sango, sollevata.

“Keh… quello era solo un graffio… se fossi stato umano ora sarei all’ospedale in condizioni precarie, ma per me non era niente.” L’uomo si era avvicinato all’hokora, per constatare con i suoi occhi che Kagome-chan fosse andata via.

“Si, se n’è andata, Inuyasha. Puoi rilassarti.” La voce di Miroku lo tranquillizzò. Lentamente lasciò che il suo vero aspetto tornasse a mostrarsi. Ricordava ancora benissimo il giorno in cui Kaede-baba gli aveva insegnato come fare, per fingersi un essere umano. La ringraziò di nuovo, mentalmente.

“Capisco le tue ragioni Miroku… ma per poco quella mantide del cazzo non ci faceva fuori per mantenere il segreto.”

“Lo so bene, Inuyasha… ma se Kagome-chan avesse saputo, avrebbe tentato di salvarlo.”

“E chi ci dice che…”

“Non ce lo dice nessuno… ma anche un singolo cambiamento tra passato e futuro può mutare radicalmente gli avvenimenti successivi. Non possiamo sapere che sarebbe successo…”

“Però… io non volevo che morisse. Mi sono sentito così impotente quando…”

“Inuyasha… non pensi che sia giunto il momento di usare questa?” Miroku si avvicinò all’hanyô, che ancora teneva tra le braccia il corpo straziato di Kikyô. Gli consegnò la sfera, ormai completa.

“La Shikon no Tama… per colpa di questo gioiello…” il ragazzo lo prese in mano. Si, doveva impedirgli di causare altre disgrazie. Non voleva che procurasse altro dolore… e l’unico modo per evitarlo era…

[Io desidero… essere una persona normale… per quelli a cui voglio bene. Vivere una vita normale, con la donna che amo.] il suo sguardo cadde su Kagome mentre si concentrava su questo pensiero con tutto se stesso. Chiuse gli occhi, e una luce accecante lo avvolse. Ma quando li riaprì, vide che tutti lo fissavano con stupore.

“Ano… Inuyasha… che cosa hai desiderato?”

“Di essere una persona normale…” rispose lui, stupefatto. Osservò le sue mani… erano ancora provviste di artigli. “Perché non ha funzionato?”

“Io… che cosa hai pensato esattamente?” anche il monaco era sbalordito. Inuyasha osservò la sfera: si era ridotta di dimensioni, ed era diventata quasi bianca. Era cambiata! Ma perché LUI era rimasto uguale?

“Di essere una persona normale per quelli a cui voglio bene… e di vivere una vita normale…” il volto dell’hanyô cambio colore “con la donna che amo…” diede una rapida occhiata a Kagome e notò che anche il suo viso era diventato paonazzo a quelle parole.

“Probabilmente la Shikon no Tama ha esaudito il tuo desiderio.” Concluse Miroku.

“Ma come? Sono ancora un hanyô!” le braccia di Inuyasha tremavano per la rabbia, mentre i pugni si stringevano con tutta la forza che gli era rimasta.

“Inuyasha… tu per noi SEI GIA’ una persona normale. Hanyô, yôkai o umano… a noi non importa.” Lo sguardo di Sango era di una dolcezza unica. Il ragazzo iniziò a fissare il pavimento, imbarazzato. Non ci aveva pensato, o per meglio dire non aveva *voluto* crederci… che loro l’accettassero veramente per quello che era, senza remore.

“Però… la seconda parte…”

“Probabilmente il gioiello ha solo fatto in modo che tu potessi condurre una vita normale, senza trasformarti completamente in un umano.”

“Ma… come potrò vivere con Kagome e sposarla, se resto così?” chiese lui. Si accorse subito dopo di quello che aveva detto, e il colore della sua faccia si confuse con quello del suo kariginu. Lei era ferma, come paralizzata.

“Tu… vuoi vivere con me, Inuyasha?”[Vuole sposarmi? Ho capito bene?] senza guardarla l’hanyô annuì. Lacrime di gioia iniziarono a scendere dagli occhi di Kagome, mentre correva ad abbracciarlo.Il piccolo Shippô, felice, saltellava dalla testa dell’uno alle spalle dell’altra, strappando a tutti un sorriso.

Restarono per un po’ così, uniti. L’hanyô, quasi con timore, circondò con le braccia le spalle della ragazza che aveva capito di amare, quella ragazza che era stata per lui un’amica, una confidente… una casa. Si, la sua casa… quella che non aveva mai avuto.

Poi Kagome si alzò, e iniziò ad incamminarsi verso Shippô-chan. Il cucciolo aveva cominciato a correre in direzione del villaggio di Kaede e, allegramente, li incitava a sbrigarsi. La ragazza sorrise, e il suo sguardo cadde sul corpo della giovane miko, adagiato in terra accanto al cadavere di Onigumo.

“Inuyasha. Che ne dici di scavare una fossa per loro due? Oppure vuoi portare almeno lei al villaggio di Kaede?”

“Si… penso che la riporterò al villaggio… merita di stare lì non trovi?” gli occhi del ragazzo erano di nuovo fissi al suolo, tristi. Decisero assieme di riportare prima Kikyô al villaggio, e poi di tornare a seppellire Onigumo: in fondo se non fosse uscito dal corpo di Naraku non l’avrebbero mai distrutto… glielo dovevano.

Con delicatezza Inuyasha prese il corpo della donna che aveva amato sulle spalle, e si incamminò per raggiungere Kagome.

Ma all’improvviso si udì un sibilo.

“KAGOME!!!! ATTENTA!!!!” Un tentacolo si avvicinava a velocità supersonica alla ragazza. Lei non fece in tempo a girarsi, e si accovacciò a terra, cercando di coprirsi, urlando.

“Ti proteggo io, Kagome!” Il piccolo Shippô si frappose tra il tentacolo e lei “Kitsune bi!(20)” ma il fuoco fatuo non fu abbastanza potente…

“SHIPPÔ-CHAN!!!!!””Shippô!” in pochi attimi, tutto il gruppo fu accanto a Kagome, mentre Sango distruggeva con hiraikotsu l’ultimo rimasuglio di quello che era stato Naraku.

“Tzk… per colpa di questo…”

“Shippô-chan! Parlami…” gli occhi della ragazza in divisa scolastica erano pieni di lacrime mentre tentava di far riprendere i sensi al kitsune. Il corpicino del piccolo era abbandonato, quasi senza vita, ma sembrava respirare ancora. Anche Inuyasha cercava di farlo riprendere. Non si era mai reso conto di quanto amasse quel cucciolo… ed ora era troppo tardi.

“Kagome…” Shippô aprì gli occhi, e parlò a fatica. La macchia rossa sul petto si allargava sempre più. “perché sei triste? Sono stato bravo, ti ho salvata…”

“Si, Shippô-chan…”

“Sono riuscito a proteggerti… questo vuol dire che sono grande, vero?”

“Sei grande, si…” la ragazza gli accarezzava dolcemente il viso mentre parlava: il piccolo impallidiva sempre più. “Starai bene, Shippô-chan... ah no, Shippô-kun. Una cosa del genere non può uccidere uno yôkai forte come te, vero?”

“Kagome… sono un cucciolo, ma non sono mica stupido…” la mano della ragazza scivolò dalla guancia, mentre si chinava a piangere abbracciandolo. “Non fare così, io sono contento… però… devi promettermi una cosa, e anche tu Inuyasha.”

“Che?” pure l’hanyô aveva gli occhi lucidi. Non era stato in grado di proteggere Kagome. E per colpa sua ora Shippô… un piccolo che aveva tutta la vita davanti a sé…

“Io… voglio rinascere come figlio di Kagome. Quindi vedi di farla felice va bene? Non mi va di avere una mamma triste.”

L’hanyô allargò gli occhi a quella semplice richiesta. Annuì, e strinse più forte il pugno che conteneva la sfera, desiderando con tutto se stesso che il sogno di Shippô si avverasse.

“Miroku…”

“Si?”

“Anche tu devi promettermi una cosa…” la vocina di Shippô era sempre più flebile, quasi un sussurro.

“Dimmi.” Il monaco non riusciva più a parlare, il groppo alla gola era troppo forte. Anche lui voleva molto bene al piccolo kitsune.

“Devi promettermi che non farai più piangere Sango, che ti metterai con lei.”

“Shippô-chan…” l’interessata arrossì e distolse lo sguardo.

“Sango, non fare così… perfino io so che ti piace Miroku.”la ragazza arrossi ancora di più, e lanciò una breve occhiata al monaco. Shippô sorrise.

Anche Miroku, ora, sembrava imbarazzato. Avrebbe voluto spezzare la tensione con una delle sue solite toccatine… ma si contenne: non era il momento di scherzare. Annuì molto seriamente al piccolo Shippô, che sembrò più sereno.

“Kagome…” sussurrò il kitsune. La ragazza si avvicinò, cercando di ascoltare quello che avrebbe voluto dirle. Ma nient’altro uscì dalle labbra del cucciolo.

Miroku recitò una preghiera a Buddha e gli chiuse gli occhi, che erano rimasti fissi su Kagome.

Le due ragazze scoppiarono in lacrime. Il monaco intonò un canto funebre, con voce malferma, mentre l’hanyô sbatteva il pugno per terra e si alzava per allontanarsi. Voleva apparire stizzito, ma le sue labbra stavano tremando.

“Non è stata colpa tua, Inuyasha…” Kagome gli mise le braccia intorno al collo, da dietro, cercando di consolarlo. Anche per lei il ricordo era ancora troppo doloroso.

“Ma… se io avessi fatto più attenzione…” una mano della donna gli chiuse le labbra. Avvicinando la bocca al suo orecchio, gli sussurrò:

“Smettila di caricarti sulle spalle le colpe di tutti. Non è stata colpa tua, non avresti potuto fare niente, nemmeno volendo…”

“Però… lui voleva rinascere come tuo figlio. Io ho sperato che il suo sogno si avverasse e quando ho aperto la mano con la sfera, non l’ho più trovata. Pensavo che si fosse distrutta per esaudire il suo desiderio… e invece…”

“Beh, ci ha messo qualche anno in più del previsto, però…” la donna sciolse il suo abbraccio, e si mise di fronte a lui, mostrandogli un sorriso obliquo.

“Che cosa intendi dire, Kagome?”

“Kagome-sama, oggi sei andata a fare una misteriosa visita… e quando sei tornata avevi un incarto strano in mano. Con tutto il subbuglio causato da Kagome-chan me ne ero scordato. Non sarà che…”

La donna sorrise di nuovo e mise una mano sul ventre, guardando di sottecchi Inuyasha. Il volto del marito cambiò colore.

“Vuoi dire che…”

“Esattamente!” il sorriso si fece più radioso mentre lui la prendeva in braccio facendole fare una giravolta, e poi l’abbracciava, cautamente. “Quindi vedi di mantenere la tua promessa… tô-chan…”

oOoOoOoOoOoOoOoOo

 

Kagome-chan stette per un po’ con gli occhi chiusi, sul fondo del pozzo. Aveva quasi paura ad aprirli… e se non fosse tornata nel suo tempo, o nel periodo Sengoku? Se fosse arrivata ancora una volta nel periodo sbagliato? Che ne sarebbe stato di lei?

“Inuyasha, non pensi che potremmo almeno andare a fare un giro di perlustrazione qui nei dintorni?”

“Già… credo anche io che dovremmo farlo, in fondo Kagome-chan non è mai stata via per meno di tre giorni.”

“Baaaaaah… quella scema… non che me ne freghi niente di lei però… non mi va di muovermi, ecco.”

“Inuyasha… dì la verità, vorresti andare nel futuro da Kagome e riportarla qui…”

Le voci dei suoi amici risuonavano dalla superficie. Quindi era tornata… e nell’epoca Sengoku! Non aveva sbagliato di nuovo…

I battiti del cuore di Kagome aumentarono rapidamente. Inuyasha aveva detto che se ne sarebbe andato via subito… e invece era ancora lì ad aspettarla. La botta che aveva seguito il commento del kitsune e il pianto subito successivo non lasciavano dubbi sulla reazione dell’hanyô, ma a lei non importava.

Quasi con urgenza si aggrappò ai rampicanti che adornavano il pozzo, e uscì allo scoperto. Il cucciolo smise subito di piangere.

“Kagome, sei tornata!”

“Hai fatto presto stavolta, Kagome-sama!”

“Ma non avevi quel test del cavolo? Keh… non abbiamo manco fatto in tempo a muoverci che sei tornata…” l’hanyô non la guardava, e appariva seccato, ma gli occhi di Kagome si riempirono di lacrime.

[E’ di nuovo davanti a me… è vivo. E’ il solito scemo di sempre… ma è davanti a me.] il ragazzo si voltò a guardarla e rimase come sconcertato mentre lei gli volava tra le braccia. Piangeva… ma erano lacrime di gioia.

“Kagome… ma… che…?”

[Non so che cosa mi riservi il futuro, e francamente non m’importa. So soltanto che, qualunque cosa accada… qualunque… voglio stare al tuo fianco, Inuyasha!]

 

 

 

 

 

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Nota dell’Autrice:

Dunque, dunque… Posso FINALMENTE dire di aver finito due fanfics! Sono così contenta!

Che ne dite, vi è piaciuta?

Adesso devo tradurre in inglese il 2° capitolo di Kagomirò e anche questa storia. Poi mi dedicherò al cap. 8 di AITR, so bene che lo state aspettando con ansia, e poi al cap. 10 di Desiderio.

Ma capirete… questa storiella, anche se breve, la DOVEVO scrivere!

Attendo con ANSIA i vostri commenti in materia, spero di riceverne tanti ^_^

Spero vi sia piaciuto leggerla come è piaciuto a me scriverla.

Fino al prossimo appuntamento… ja ne!

Note e dizionarietto:

(1) in giapponese “fratellone” si dice proprio Oniichan (che suona uguale a Onichan, soprattutto se qualcuno per scherzare pronuncia la i più allungata ;))

(2) Tadaima vuol dire “Sono tornato”. E’ quello che i giapponesi dicono sempre rientrando in casa.

(3) Okaeri Nasai, o Okaeri e basta vuol dire “Bentornato”. E’ la comune risposta, rispettivamente cortese e colloquiale, al “Tadaima”

(4) Tô-san vuol dire papà. E’ una forma molto colloquiale e un po’ irrispettosa. Per questa ragione Miroku si altera con il figlio che non gli ha portato il dovuto rispetto.

(5) Chichi-ue è la forma più rispettosa di chiamare il padre. E’ quello che Miroku si aspettava di sentire da parte del figlio. Un’altra forma rispettosa, ma meno di Chichi-ue è Otô-san (la o all’inizio della parola è indice di rispetto). Al tempo di Miroku (sengoku jidai) i figli chiamavano il padre SEMPRE chichi-ue, e la madre SEMPRE haha-ue, a meno che non volessero essere offensivi. Oggigiorno chichi-ue si usa solo in casi rarissimi ed è + comune usare otô-san, tô-san o tô-chan (infantile) per il padre, oka-san e ofukuro per la madre.

(6) Ofukuro vuol dire mamma diletta, letteralmente. In passato indicava un rapporto affettivo più diretto con la madre che con il padre. Quindi detto da una persona che ha avuto accanto sia il padre che la madre è offensivo nei riguardi del padre. Oggigiorno però si usa più per indicare la “mamma” in linguaggio colloquiale, senza doppi sensi.

(7) Oji-chan = zio, zietto, uomo più grande, fratello maggiore molto più anziano. Da non confondere con Ojii-chan = nonno, nonnino (ebbene si, una i in più fa una grossa differenza ^^;)

(8) Oka-san = Mamma

(9) E’ usanza piuttosto comune per gli uomini giapponesi maturi quella di avere delle ragazze liceali che vengono pagate per intrattenerli in ogni modo. Queste accompagnatrici possono anche essere utilizzate come prostitute. Lo fanno principalmente per soldi.

(10) Come per Ojichan, anche in questo caso Obachan vuol dire zia, Obaachan vuol dire nonnina.

(11) Ano = Ehm. Non c’entrano niente gli ani, no… (per chi non l’avesse capito, vuol dire proprio “Ehm”)

(12) Mirai no Oka-san = mamma del futuro.

(13) Hôshi-sama = venerabile monaco, è il modo in cui Sango si rivolge a Miroku.

(14) kitsune = volpe.

(15) kuzo = merda.

(16) chikusho = maledizione (in realtà vorrebbe dire proprio ‘cazzo’… è un’imprecazione che l’hanyô dice ogni cinque minuti normalmente, soprattutto quando combatte. Inuyasha è sempre molto fine)

(17) yôkai, hanyô = demone, mezzo-demone

(18) hokora = è il nome giapponese del chiostro nel quale si trova il pozzo.

(19) “Bahuryuha”: questo è un piccolo spoiler per chi legge il manga di Inuyasha versione Star Comics. Il “Kaze no Kizu” (o taglio del vento, non ricordo come l’ha tradotto la Star) non è il colpo più potente di Tessaiga, ma ce n’è un altro, che Inuyasha scopre solo in seguito, grazie a Tôtôsai. Si tratta proprio del Bahuryuha. E’ un colpo che Inuyasha può lanciare solo quando lo yôki (potere spirituale) del suo avversario è molto elevato e quindi lui può vederlo, perché la magia della spada si unisce con quella dello yôkai che fronteggia, purificandolo e distruggendolo dall’interno. Per questo motivo Kagome ha lanciato la freccia da tergo. In quel modo l’aura di Naraku si è sprigionata e Inuyasha ha potuto vederla.

(20) “Kitsune bi” = fuoco fatuo

(21) Inuyasha no baka = Scemo di un Inuyasha

(22) Goshinboku = albero sacro. Quello a cui Kikyô aveva appeso Inuyasha per 50 anni.

(23) Shikon no Tama = sfera dei quattro spiriti

Vorrei sottolineare che il manga di Inuyasha è lungi dall’essere terminato in Giappone, e che il contenuto dei flashback è una mia invenzione.

   
 
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