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Autore: TheMask    17/02/2012    3 recensioni
Questa storia è nata per un'amica, e solo in un secondo momento ho pensato di pubblicarla. Spero sarà di vostro gradimento.
Lupa Nera
Estratto dai prossimi capitoli:
Perché legarsi alle persone, quando sai che presto o tardi, o ti tradiranno o moriranno, o se ne andranno? In questo luogo l’amicizia non esiste, è impossibile. Convivenza, tolleranza, rassegnazione in stile “se non c’è niente di meglio mi accontento”, questo lo capirei. Ma … amicizia… è una parola che qui non si una neanche più… scomparsa dal vocabolario. Qui non ci sono amici.
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beyond Birthday, Matt, Mello, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Ecco il secondo chappy di questa ff!

Lasciatemi un segno, anche di disprezzo, che attesti il fatto che ci siate passati si vi va! :)

Mina 

Mi alzai dal tavolo e buttai gli avanzi e le cartacce nel cestino, per poi mettere il vassoio sopra gli altri sporchi. La ragazza, dopo avermi estorto il nome, aveva mantenuto ciò che detto, e era stata sulle sue per il resto del pranzo. E io l’aveva molto apprezzato devo dire. Salii le scale marmoree, e arrivai al mio piano. Solo allora mi accorsi che mi aveva seguito.
“Dovete avere tutti delle gambe e dei polmoni assurdi qua dentro!- esclamò ansimando- ma non c’è un cappio di ascensore?!”
“Un che?”
“Un ascensore!”
“No, ma com’è che l’hai chiamato?”
“Ah… cappio… sai, io non dico le parolacce…”
“Uh..”
Mi fermai, seriamente preoccupato che avesse intenzione di venire in camera mia.
“Ma… ti hanno detto a che piano è la tua stanza?” le chiesi.
“Ah! Ma allora non parli solo a monosillabi! Comunque si, Roger mi ha dato un foglietto con scritto tutto credo…” disse frugandosi nelle tasche con aria incerta.
Dopo un’accurata ricerca, eccola spiegare un foglio delle dimensioni di un post-it, piegato all’inverosimile. Lo lisciò un po’ con le mani e lo avvicinò agli occhi, per decifrare le parole quasi completamente illeggibili.
“Piano 15… st… stanza… dev’essere un… un… 345… si… o 46…”
“Dev’essere 345, la 346 è la mia”
“Ah grazie, allora credo che andrò a mettere via la mia roba!”
“Io veramente non ho fatto nulla…” ci tenni a precisare. Solo che lei non parve minimamente farci caso.
“Allora… dopo mi porti a fare un giro?”
Parlava come fosse in un college… in carcere era! Che aveva da essere tutta propositiva e allegra?! Comunque sia, non potei fare a meno di accettare, avendo ormai appreso che quello che voleva lo otteneva.
“Beh, allora busso fra mezz’oretta! Ciao!”
“Mmmh… ” le risposi, chiudendomi la porta dietro le spalle. Mi ci appoggiai e alzai gli occhi al celo. Dopodiché mi sedetti sul davanzale interno della finestra, chiusa, a guardare ancora una volta in basso. La strada era un filo grigio, di quelli lasciati in giro dai gatti, con tanti piccoli puntolini di diversi colori che la percorrevano in tutta la sua lunghezza. Le persone non si poteva pensare di distinguerle da quell’altezza. Sbuffai. Sarei dovuto rimanere in quel poso di merda per tutta la vita. Avrei visto passare gli altri come una persona particolarmente longeva si vede morire davanti gli altri. Se non avevo un amico li, era anche per questo. Non volevo legarmi a nessuno, anche per altri motivi, ma non è il momento adatto per parlarne. Mi alzai, e camminai avanti e indietro per la stanza. Poi mi fermai, e tesi l’orecchio.
“MA SANTI GIAVELLOTTI!!!”
Udii, affievolito dalla parete. Alzai nuovamente gli occhi al celo.
“MIFFULO DI UN CARICATORE DEL CAVOLO!!! MA DOVE L’HO MESSOOOOO!!!!????’”
La nuova arrivata si stava sistemando. Mi sedetti poi sul letto. Mi sentivo come un animale in gabbia: costantemente sorvegliato e costretto a reprimere le proprie voglie, i propri desideri, i propri sogni, le proprie realtà, il proprio modo di essere… per sempre. Per quanto mi sforzassi di distrarmi quelle parole mi rimbombavano in testa come insormontabili macigni non sono oscurabili allo sguardo di chi vi è legato davanti. Mi alzai. Andai ancora avanti e indietro. Guardai fuori dalla finestra. Accarezzai con lo sguardo la lucentezza di Lost Breath, ma non la impugnai, non ancora. Lei era l’unica cosa che mi salvava dal delirio assoluto. Non appena sentivo di non farcela più, la prendevo e le trasmettevo tutto, perché lei lo trasmettesse al mondo per me. Anche lei era un animale in gabbia. Ma lei poteva diventare pazza eccome. Sorrisi al suo ricordo. Certo, non mi avevano lasciato l’amplificatore, ma lei c’era, e bastava. Mi incantai a guardarla. Era una Ibanez, nera come la pupilla di un gatto, e potente più di un ciclone. Appesa al muro luccicava ai solitari raggi di sole, ammiccandomi provocante. Mi avvicinai, vinto, alzai la mano e la accarezzai, togliendo il pulviscolo che vi si era intrappolato.
Tock tock
“Avanti” risposi al suono poco convinto.
Subito la porta venne aperta da una mano energica.
“Ciao Beyond, come va? Allora, mi porti a vedere sto posto?”
“BB”
“Cosa?” non capì lei.
“Chiamami solo BB. Comunque, dove vuoi andare? Siamo in un carcere, non in un college” le risposi, come sempre atono, esplicando i pensieri di poco prima.
“Boh… fammi conoscere i tuoi amici!”
La guardai un po’ sperso. Io non avevo amici. Che si aspettava? Non si vedeva che ero molto poco propenso a conoscere persone?
“Senti. Non so cosa ti aspetti di trovare qui, ma io evidentemente non sono la persona che pensi. Fai pure amicizia, tu, ma lasciami stare, d’accordo? Io non mi faccio amici. Io vivo da solo. Così è.. quasi sempre stato. E così sempre sarà”
“Muoviti! Dai!” si limitò a rispondermi, senza dare minimamente peso alle mie parole.
“Ma ti ho detto che..”
“Ho detto di muoverti BB, su.”
Sospirai. Testarda. Cocciuta. Rompiscatole. Uscii,e mi avviai alla camera di Mello. Lei mi seguì, standomi di fianco. Era un po’ più bassa di me, io avevo 19 anni e lei 17 in effetti....
Percorso il corridoio, salii due piani di scale, e mi fermai alla camera 516. Lei si apprestò a bussare, ma prima che potesse farlo, aprii la porta con bruschezza, ed entrai. Mello stava picchiandosi col migliore amico, Matt, ma sentendo la porta aprirsi si ristabilì a una velocità esorbitante, rimettendosi in piedi mentre diceva una cosa come “Non-stiamo-facendo-niente-lo-giro-può-testimoniare!”, indicando Matt. Io alzai il sopracciglio. Appena collegò il fatto che si trattava di me, mi lanciò uno sguardo stupito e interrogativo.
“Che ci fai qui BB?”
Sbuffai e mi scostai, mostrando Eloin ai due. Lei li osservò bene, dopodiché fece un passo avanti e esclamò, tendendo la mano:
“Piacere, io sono Eloin, BB mi sta portando a conoscere i suoi amici- e qui ci fu uno scambio di sguardi nei quali Mello mi guardò più stupito e divertito e malizioso di un procione, che ricambiai con uno di odio, impotenza e minaccia- voi chi siete?”
Matt si tirò su, tentando di ricomporsi un minimo, e raddrizzandosi gli strani occhiali arancioni che aveva sempre addosso, e salutò con la mano.
“Io sono Matt! Ho sentito che sei un haker anche tu!”
“Già! ” esclamò lei allegramente, stringendogli la mano con energia.
“Aehm… io invece sono Mello.” Disse l’altro già disinteressato, senza tendere la mano, bensì dirigendosi alla finestra, per guardare fuori.
“Ciao! Che nomi strani che avete tutti.”
“Già… fra poco ne avrai uno anche tu.” Rispose quasi divertito Mello.
“In che senso?”
“Lascia perdere.” Rispose lui.
“BB, vieni un momento, giacchè sei qui ti faccio vedere il progetto di cui ti ho parlato, per il nanetto.”
Io alzai gi occhi cielo, chiedendomi perché cazzo ero li.
“Non credo.” Risolsi infine, uscendo dalla stanza, e avviandomi alla mia.
“Ma che ha?” sentì dire Eloin, dispiaciuta.
“Bah.. è fatto così” rispose Matt.
Sapevo che lasciarla sola con quei due era sbagliato: Mello era un pervertito scazzoso, Matt gli andava dietro, con l’aggiunta di una puzza di nicotina tale da stordire. Ma per me, era già tanto, davvero.  Una volta tornato in camera ritornai davanti a Lost Brath.
“Ciao piccola” le sussurrai, specchiandomi nel suo splendore.
Ma no. Non ancora.
Mi allontanai da lei, resistendo alla tentazione, e mi sedetti sul letto, guardando il pavimento.
Sentii dei rumori provenire dalla camera di fianco, la 457. Urla. Folli urla. Un’altra crisi di nervi. Mi alzai, teso. Tonfi, altre urla, stavolta di spavento. In quella camera erano in due, come Mello e Matt. In due. Assassino e ladra. In due. Stavo per accorrere, neanche sapevo bene se per aiutare la vittima o per dar manforte all’altro. Ma una serie di passi salirono le scale correndo. Quattro persone o cinque. Una entrò in camera sua, lo vide in piedi fermo e richiuse la porta. A chiave. Gli altri erano già la. Ma. Lui lo sapeva. Era troppo tardi. Altre urla, pazze urla trionfali. Passi. Imposizioni a voce dura. Non mancava mai posto in quel carcere. Ogni giorno se ne liberavano alcuni. Sucidi, assassinii, crisi, erano all’ordine del giorno. Non ci si stupiva se qualcuno scompariva. Non si diceva nulla. Nessuno diceva una parola su quelle persone, ma era come se centinaia di persone lo urlassero con tutta la loro forza. Una risata da pazzo. Ancora passi, rumori. Qualcuno aprì la sua porta. uscii. Mi guardai  intorno. A terra, una piccola scia di sangue imbrattava il cemento del pavimento. Entrai nella 457. Non feci una piega. Lei giaceva a terra, coperta di sangue, morta. La camera era uno sfacelo. La sua faccia era irriconoscibile, un pastrugno di sangue, suo e non . La pelle della morte. Osservai tutto. Uscii e tornai in camera. Sbattei la porta dietro di me. Afferrai Lost Breath violentemente, e suonarla fu come picchiare qualcuno di colpevole all’orrore del Wammy’s Carcere, fu come dare coscienza alle persone di cosa accadeva li dentro, fu come liberare tutti, fu come fare l’amore con una donna, fu come affondare un pugnale nella carne, fu come immobilizzare tutti nelle peggiori azioni commesse, e mostrarsi al mondo.  Poi aprii gli occhi, la riappesi, e mi lasciai cadere a terra, appoggiato al letto, chinando la testa. Qualcuno si sedette di fianco a me, ma nono lo percepii. Ma quando quel qualcuno mi toccò, alzai la testa di scatto. Era Eloin. Mi alzai.
“Ciao” dissi controllando la voce.
“Ciao… suoni fantasticamente.”
  
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