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Autore: Kary91    18/02/2012    19 recensioni
Sono trascorsi quasi trent'anni da quando abbiamo incontrato per la prima volta Elena Gilbert e i fratelli Salvatore.
A Mystic Falls molte cose sono cambiate da allora; i ragazzi sono cresciuti, gli adulti invecchiati. Nuove generazioni di adolescenti portano il cognome delle famiglie fondatrici, eppure certi dettagli hanno concluso per rimanere in circolazione nella vita di ogni giorno destinati a ripetersi all'infinito ; in un modo o nell'altro la storia si ripete e Caroline Forbes di questo è al corrente, nel momento in cui decide di tornare a Mystic Falls:questa volta per restare.
***
“…Hai presente quando eravamo piccoli e io cercavo di farti cagare sotto, raccontandoti storie di cadaveri sanguinolenti e orripilanti mostri succhia-sangue?”
Jeffrey assunse un’espressione perplessa.
“Me lo ricordo fin troppo bene, direi…”
“Ricordi anche quando cercavo di convincerti che mio padre fosse un lupo mannaro?”
“Per via di quella storia, avevo incominciato ad andare nel panico ogni volta che rimanevo da solo in una stanza con lui…”
“…E se ti dicessi che non tutte le stronzate che dicevo da bambino fossero effettivamente delle balle?”
“Ti risponderei che bevi troppo.”
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elena Gilbert, Jeremy Gilbert, Matt Donovan, Nuovo personaggio, Tyler Lockwood
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'It calls me home.'
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Chapter 6.

Smells like teen spirit.

Apritemi, sono io.

Busso alla porta di tutte le scale,

ma nessuno mi vede.

Perché i bambini morti,

 nessuno riesce a vederli.

 

La bambina di Hiroshima. Nazim Hikmet

 

 

 

Oliver annuì lentamente, esaminando con attenzione i lineamenti della ragazza di fronte a lui; era bella, esattamente come gli aveva suggerito la fotografia: gli occhi scuri dal taglio particolare sembravano sorridergli allo stesso modo delle labbra.

 

“Non capisco.” ammise infine, mettendosi a sedere. A giudicare dall’aspetto, la ragazza doveva avere più o meno la sua età. E allora, come era possibile che esistesse una sua foto risalente per lo meno a una ventina di anni prima?

 

“Mi dispiace di esserti piombata in camera così.” ammise la giovane con un sorriso. I suoi occhi si sgranarono, quasi stesse cercando di analizzare con cura ogni dettaglio dell’aspetto di Oliver.

 

“In realtà, non capisco nemmeno con esattezza che cosa possa essere successo.” aggiunse.

 

“Sei reale?” il ragazzo si decise infine a domandare, con un pizzico di esitazione nel tono di voce.

 

“Insomma, sei… vera?”

 

Perché incominciava a pensare che Mason potesse averci visto giusto, con lui; dopo tutto quel disegnare, e  ritirarsi tra i suoi pensieri, forse stava veramente incominciando ad ammattire.

La ragazza fece un passo indietro. Si morse un labbro, quasi si fosse accorta solo in quel momento della situazione che si stava andando a creare. Sospirò.

 

“Giudica tu stesso.” propose infine, tendendo un braccio in direzione del ragazzo. Le sue dita fecero per sfiorargli la fronte, ma quel contatto non avvenne mai. La mano della ragazza scese ad appoggiarsi su una spalla di Oliver, ma lui non sentì nulla. Lei era lì, di fronte a lui, eppure il suo tocco era incorporeo.

 

Era come un ologramma, come fumo.

 

Come un fantasma.

 

“Sei spaventato?” domandò poi, non osando ad avvicinarsi di più. Oliver si sfregò gli occhi con aria stanca, confuso e insonnolito al tempo stesso.

 

‘Sto ancora sognando’, considerò fra sé avvicinandosi le ginocchia al petto: non che ci fosse un’altra spiegazione plausibile.

 

“No.” ammise in tono di voce pacato, esaminando con attenzione il volto della ragazza.

 

“Sei molto bella.” aggiunse semplicemente, come se quel fatto bastasse a privarlo di qualsiasi tipo di inquietudine. 

 

Sapeva che non avrebbe dovuto essere così; una presenza del genere in camera sua – una sconosciuta, un fantasma o addirittura un’allucinazione – avrebbe dovuto turbarlo, ma saperlo non era abbastanza per convincersi ad avere paura. Dopotutto, parte di lui era ancora convinta di trovarsi nel bel mezzo di un sogno bizzarro.

 

Per di più, Oliver non era mai stato il genere di persona che si lasciava impressionare facilmente.

Era sempre stato indicato come il ragazzo insolito - quello calmo, insolitamente calmo. Era il giovane distratto che poteva camminare per ore in silenzio, immerso nel traffico confusionario dei suoi pensieri. E quando riemergeva, si sorprendeva sempre a sorridere. Oliver aveva un modo tutto suo di guardarsi attorno, di farsi un’idea sulle cose, sulle persone che lo circondavano. Per questo, la presenza di quella ragazza – reale o immaginaria che fosse – lo incuriosiva, più che spaventarlo. Dopotutto erano settimane che la sua mente rimuginava sulla fotografia trovata in soffitta, spingendolo a domandarsi chi fosse quella ragazza, come si chiamasse. Se vivesse a Mystic Falls o magari a Denver, la città in cui i genitori di Oliver si erano conosciuti.

 

“Ti ringrazio.” la giovane gli sorrise, e si decise finalmente ad avvicinarsi ancora, “Sono Annabelle.” Rivelò, sedendosi sul bordo del letto.

 

Oliver aggrottò appena le sopracciglia, osservandola con attenzione.

 

“Sei… un fantasma o un’allucinazione?” domandò ancora appoggiandosi gli avambracci sulle ginocchia. Anna soppesò le sue parole per un attimo.

 

“Diciamo la prima.” ammise infine, ricambiando con dolcezza il suo sguardo. Oliver tentennò.

 

“Quindi se sei qui…” cercò di capire sistemandosi meglio contro lo schienale del letto, “ …è per portare a termine qualcosa che hai lasciato in sospeso quando eri in vita?”

 

Annabelle rise. Il ragazzo arrossì appena, sorridendo a sua volta.

 

“Forse ho visto un po’ troppe volte Casper, da piccolo.” si giustificò dando una scrollata di spalle.

 

“In realtà, io vivo qui.” gli spiegò la ragazza, appoggiando la mano sul copriletto.

 

“È un po’ complicato da spiegare; ma è come se facessi parte del vostro mondo, solo che nessuno può vedermi. Nessuno a parte mia madre.”**

 

“È un fantasma anche lei?” domandò Oliver con aria incuriosita. La ragazza annuì, tornando ad osservare l’album da disegno ancora aperto sul letto.

 

“Questo l’hai fatto tu, vero?” chiese poi, sfiorando la pagina con tenerezza.

 

“Hai lo stesso talento di Jeremy.”

 

“È per il disegno che riesco a vederti?” tentò ancora Oliver, deciso a cercare di sciogliere un po’ dei dubbi che si erano ingarbugliati nella sua testa. Anna denegò con il capo.

 

“No, non funziona così.”

 

“E allora, come funziona?” Anna sospirò, distogliendo lo sguardo dal blocco da disegno.

 

“Non so dirti come mai tu riesca a vedermi; ma per me e tuo padre era una sorta di “spingere” e “tirare”. Se io “spingevo”, cercando di mettermi in contatto con lui, era sufficiente che lui “tirasse”, affinché potesse vedermi. Se pensava a me, quando io pensavo a lui, eravamo in grado di parlarci.” **

 

Oliver rimuginò fra sé per qualche secondo, attirandosi nuovamente le ginocchia al petto.

 

“Ti stavo sognando, prima.” si ricordò. “Ti ho sognato, e poi sei comparsa.”

 

Anna gli sorrise, ma questa volta lo fece in maniera malinconica, e in quel frangente al ragazzo non sembrò più una coetanea. Per un attimo, gli ricordò più una donna che una ragazzina.

 

“Stavi pensando a mio padre?” domandò in quel momento Oliver, aggrottando di nuovo le sopracciglia. “Magari è quello che ti ha portato qui.”

 

Anna non rispose subito; quello che stava succedendo era qualcosa di insolito anche per lei. Non le era mai capitato che qualcuno riuscisse a vederla, al di fuori del periodo in cui aveva potuto comunicare con Jeremy. Ed erano passati ormai più di vent’anni, da allora.

 

“Può darsi.” concluse infine.

 

“In realtà è da un po’ di giorni che cercavo di mettermi in contatto con lui. Ti ricordi la lattina, alla partita di hockey? Quando si è rovesciata da sola.” rivelò. Oliver annuì lentamente.

 

“Me lo ricordo…  sei stata tu?”

 

“C’è di nuovo qualcosa che non va a Mystic Falls.” lo interruppe Anna con aria d’un tratto apprensiva, “Tu e la tua famiglia dovete fare attenzione.”

 

“Che cosa intendi dire? Aspetta, hai detto ‘di nuovo’?”

 

Oliver tornò ad osservarla con aria confusa. Annabelle scosse il capo in fretta.

 

“Forse non avrei dovuto incominciare il discorso.” aggiunse.

 

Oliver tirò indietro il capo, per appoggiare la nuca alla parete. Non gli piaceva insistere, quando intuiva che qualcosa voleva essergli mantenuta segreta.

 

“Se non puoi parlarne con me, dovresti almeno discuterne con papà.” propose. L’espressione di Anna si intristì leggermente.

 

“Non posso parlare con Jeremy; non riesco più a comunicare con lui.”

 

“Non ti seguo.” ammise il giovane, nuovamente confuso.

 

“Avevo capito che papà fosse l’unico con cui eri in grado di…”

 

“Questo una volta.” lo interruppe Anna.

 

“Ti ricordi? È un “tira” e “spingi”. Non posso mettermi in contatto con Jeremy, se tuo padre non cerca di fare la stessa cosa.”

 

Oliver fece mente locale.

 

“Forse potrei provare a…” incominciò, ma Anna lo interruppe con aria d’un tratto apprensiva.

 

“No.” obiettò, scuotendo il capo.

 

“Deve continuare ad essere così. Oliver, è importante che tu non dica nulla a tuo padre, di quello che è successo.”

 

Il ragazzo le rivolse un’occhiata pensierosa.

 

“Hai detto che volevi metterlo in guardia da qualcosa.” le ricordò in tono di voce pacato.

 

Annabelle aprì bocca per rispondergli, un rumore di passi proveniente dal corridoio la costrinse a voltarsi.

 

“Oliver?” Jeremy chiamò a bassa voce, fuori dalla stanza del ragazzo.

 

“Non dirgli nulla!”

 

Il sussurro di Annabelle lo fece voltare nuovamente verso destra, ma non fece in tempo a muoversi che la ragazza era scomparsa. Con aria perplessa, il ragazzo tornò a guardare di fronte a sé, mentre la porta della sua camera si apriva lentamente. Oliver si affrettò a chiudere il blocco da disegno ancora aperto sul suo letto.

 

“Olive, sei ancora sveglio?” lo interrogò il padre, affacciandosi nella stanza, “Mi è sembrato di sentirti parlare.”

 

“Chiedevo se fossi tu nel corridoio.” spiegò il ragazzo con aria incredibilmente tranquilla, tornando a infilarsi sotto le coperte, “Stai bene, papà?” aggiunse poi.

 

Jeremy gli rivolse un’occhiata interrogativa, poi scosse il capo con aria insonnolita.

 

“Io? Oh, sì, mi ha svegliato un incubo. Ogni tanto mi capita, lo sai.” confessò aprendo un po’ di più la porta per poter osservare meglio il figlio.

 

Sorrise, lasciandosi poi sfuggire un sospiro. Era da qualche notte che i suoi sogni si erano fatti più agitati del solito, incupiti, forse, dagli strani comportamenti della bussola di Jonathan Gilbert. A Jeremy sembrava impossibile che la sola Caroline riuscisse a indirizzare l’ago della bussola così in fretta per luoghi diversi del quadrante. Eppure in quel momento si sentì d’un tratto tranquillo, contagiato dall’espressione rilassata del figlio minore.

 

“Hai bisogno di parlare?” domandò ancora Oliver, mettendosi nuovamente a sedere. Jeremy lo fissò ancora per qualche secondo, ma poi si mise a ridere.

 

“Sbaglio o sono io il papà, tra i due? Va tutto bene, Ol. Torna a dormire.” lo rassicurò, sorridendogli un’ultima volta.

 

Oliver ricambiò il sorriso, tornando a rifugiarsi sotto le coperte.

 

“Buonanotte, pa’.” lo salutò,mentre l’uomo chiudeva la porta. Attese in silenzio che i suoi passi si fossero allontanati, prima di aprire gli occhi, cercando di riconoscere il profilo degli oggetti che popolavano la sua stanza.

 

“Puoi restare, se vuoi.” mormorò al nulla, avvertendo tuttavia il sonno, premere con insistenza sulle sue palpebre.

 

E nonostante il silenzio cercasse di suggerirgli che fosse solo, sorrise, immaginando due occhi scuri che gli sorridevano nel buio.

 

 

 

***

“Questo weekend, lago?”

Xander fece capolino di fianco a Caroline, mentre la ragazza selezionava i libri di testo dall’armadietto.

“È un po’ di tempo che non ci andiamo.”

“La casa sul lago?” Caroline domandò, approfittando della sua presenza per passargli lo zainetto. Con le mani libere, fece pressione sulla pila di fogli in un ripiano alto, cercando di farceli stare tutti, “Questo armadietto si è fatto troppo piccolo!” borbottò.

“Forse prima o poi dovresti deciderti a farci un po’ d’ordine, che dici?” commentò il ragazzo, indicando con un dito i mille fogli che minacciavano di scivolare a terra.

“Sta parlando ‘Mr Pulizia’.” lo rimbeccò la ragazza. “Il tuo sarà pieno di biscotti e patatine, quindi non rompere.” aggiunse, dandogli di gomito; Xander ridacchiò.

“Touchè.” ammise, arrendendosi.

“Comunque, è veramente da sacco di tempo che non andiamo più alla casa sul lago.” notò poi la giovane, riuscendo infine a chiudere lo sportello dell’armadietto. Recuperò il suo zaino dalle mani di Xander e gli scoccò un’occhiata esitante.

“Da quando…”

“...da quando quest’estate, per due settimane di fila, mi hai tirato bidone – per inciso, grazie Care.”

Terminò la frase per lei il ragazzo, portandosi le braccia sul petto. La ragazza rise.

“È stato un periodo un po’ incasinato, quello.” si difese, sfilandogli via il polsino dal braccio per giocarci. Xander fece una smorfia.

“Macché, è solo che dovevi uscire con quel tizio rosso di capelli. Tra l’altro, che fine ha fatto?”  aggiunse con aria vagamente incuriosita, “Tutto a un tratto hai smesso di uscirci e non so nemmeno il perché.”

Caroline diede una scrollata di spalle, restituendo il polsino al suo proprietario.

“ Era appiccicoso…” commentò, arricciando il naso; Xander roteò gli occhi, pur accennando a un sorrisetto.

“Oh, certo, appiccicoso. Sei difficile, bella mia.”

“Ma non è vero!” si lamentò la ragazza, mettendo il broncio.

“Cosa, non è vero? Questo era appiccicoso. Quello prima invece l’hai mollato perché ‘si interessava troppo poco’, fa’ un po’ tu…”

“Non è vero!” ripeté una seconda volta la ragazza puntandogli l’indice contro il petto.

“Quello prima, l’ho lasciato perché non gli piacevano i miei fratelli e, dico io, noi Lockwood siamo una confezione formato famiglia: prendi uno di noi e ti trovi tutti quanti gli altri nel pacchetto, cane compreso. Voler bene a Ricki e Mase è un requisito minimo!” annunciò, facendogli il segno della vittoria, per poi aggiungere:

“Tu ci ami tutti quanti, vero, Xander bello?”

Gli diede un buffetto sulla guancia, e il ragazzo arretrò con il capo ridacchiando.

“Tutti tranne te, guarda un po’.” scherzò, allontanando le mani dell’amica che stavano già puntando alla sua cresta.

“Non sono neanche le nove di mattina, non osare a toccarmi i capelli o giuro che ti chiudo nell’armadietto.” la minacciò, “Lo svuoto e poi ti ci chiudo dentro.”

“Xan, tu eri geloso?” domandò improvvisamente Caroline scoccandogli un’occhiatina maliziosa. Alexander ricambiò il suo sguardo, confuso.

“Geloso? E perché?” obiettò, grattandosi la testa. La ragazza gli diede un pugnetto sulla spalla.

“Sveglia! Quest’estate, bidonato per due volte di fila, la casa sul lago e il rosso di capelli. Din din din! Alexander, accendi il cervello, sono quasi le nove e tu stai ancora dormendo!”

“Va bene, va bene, adesso ho capito, adesso…” le rispose in fretta il ragazzo, cercando di placare il fiume di parole di Caroline. “Certo che ero geloso.” ammise poi tranquillamente, tornando a intrecciare le dita dietro la nuca.

“Niente più hockey domenicale con la mia migliore amica, per colpa di Ron Weasley. Mi eri mancata, no?”

Caroline aprì la bocca per rispondergli, ma stranamente, si trovò a corto di parole. Si accorse anche di essere arrossita, ma non riuscì a trovare un motivo valido che potesse giustificare quella reazione.

“Anche tu mi eri mancato, Xander bello.” ammise infine, scoccandogli poi un bacio sulla guancia. “Allora questo week end lago?” aggiunse allegramente.  Xander allargò le braccia.

“E lago sia!” confermò. Il sorriso di Caroline si estese.

“Uh, i piccioncini vanno al lago!”

Il commento ironico di Mase, comportò il solito inarcarsi di sopracciglio da parte di entrambi i ragazzi.

“Per l’ultima volta, Mase, non attacca.” commentò Xander, mentre il giovane Lockwood esibiva un sorrisetto sghembo nella loro direzione.

“Se non attacca, come mai Caroline è arrossita?” commentò, accennando con il capo alla sorella. La ragazza lo fulminò con lo sguardo.

“Ma sciocchezze, mica è arrossita!” sbottò immediatamente Alexander, accigliandosi.

“È… che ha caldo.” buttò lì scoccando un’occhiata di sottecchi alla ragazza. Caroline gli rivolse un’occhiata perplessa.

“Caldo?” obiettò. Il giovane diede una scrollata di spalle.

Mase sghignazzò.

“Chissà chi è che la fa accaldare così…” aggiunse, sfuggendo poi allo scatto repentino di Xander.

“Mascalzone! Se ti prendo…” annunciò il giovane Gilbert ridacchiando, prima di incominciare a rincorrerlo per i corridoi.

“…non l’ho preso.” fu costretto ad ammettere qualche minuto più tardi, quando tornò indietro. Caroline gli diede un colpetto sulla spalla.

“Ci penso io.” annunciò con aria decisa, strofinandosi un pugno sul palmo della mano.

“A casa non mi scappa.”

“Ma poi, perché sei arrossita?” domandò a quel punto Xander, rivolgendole un’occhiata interdetta. Caroline sgranò gli occhi.

“Ma non sono arrossita!” si difese, infilandosi poi lo zaino sulle spalle quando avvertì il trillo della campanella. Xander la fissò con aria interrogativa.

“Avevo caldo…”  specificò con un sorrisetto divertito, prima di arruffargli in fretta i capelli.

“La cresta, maledetta!” si lamentò il ragazzo, mentre la ragazza fuggiva in direzione dell’aula di chimica. Si affrettò a sistemarsi il crestino, imbronciandosi, mentre l’amica si allontanava ridendo.

Ron Weasley, però, non aveva dei capelli fighi quanto i miei, eh?” le gridò ancora dietro abbandonando il broncio per un cipiglio soddisfatto. Caroline scosse il capo con aria divertita, mentre il suo sguardo individuava Bethany in mezzo alla calca di studenti.

Quando, un paio di minuti dopo prese posto accanto all’amica in classe, stava ancora sorridendo.

Dall’altra parte del corridoio, Mason si stava avviando in direzione del suo armadietto; ogni tanto, il suo sguardo saettava verso l’ingresso per cercare Oliver, ma a Mase fu chiaro fin da subito che l’amico si sarebbe presentato all’ultimo anche quel mattino. Quando fu a pochi passi dalla segreteria si fermò, riconoscendo in una delle coetanee che gli dava le spalle la stessa ragazza a che si era intromessa nella sua lite con il tizio più grande, un paio di giorni prima. Ancora una volta le scoccò un’occhiata perplessa, domandandosi in silenzio come mai avesse incominciato a trovarsela ovunque, nonostante fosse più che sicuro di non averla mai incontrata a scuola prima di quella settimana.

C’erano poi altri dubbi, diversi punti di domanda che erano rimasti perfino quando aveva cercato, senza tuttavia trovare il coraggio di insistere, di parlarne con suo padre.

Sbuffando, attraversò il corridoio: la ragazza sembrava completamente assorta nei suoi pensieri, ma non appena Mase le fu abbastanza vicino, sembrò accorgersi della sua presenza e si voltò verso di lui.

“Mason!” lo riconobbe, accennando a un sorriso allegro. In realtà, Caroline aveva sperato di passare inosservata quel mattino. Aveva promesso a Tyler che l’avrebbe aiutato a tenere d’occhio il figlio, ed era davvero intenzionata a farlo, ma non aveva immaginato che lui e il giovane Lockwood avrebbero concluso per incontrarsi direttamente una seconda volta.

“Chi sei?” le domandò spiccio il ragazzo a quel punto, scrutandola con diffidenza. “Conosci mio padre, conosci me, ma io non conosco te.”

La vampira gli concesse un’ultima rapida occhiata, prima di arretrare di qualche passo in direzione degli armadietti.

“Mi chiamo Caroline.” Si presentò nel mentre, trafficando con uno dei lucchetti.

“Caroline come mia sorella?” domandò ancora Mason, aggrottando le sopracciglia. La ragazza sorrise.

“Beh, se tua sorella si chiama Caroline, sì.” confermò, suscitando l’irritazione del suo interlocutore. Il giovanotto roteò gli occhi.

“Come mai conosci mio padre?” domandò infine. Caroline sospirò.

“La tua famiglia è in buoni rapporti con la mia….”  Rivelò, cercando di rimanere sul vago. Mase inarcò un sopracciglio, appoggiandosi poi una spalla all’armadietto.

“…E ?” insistette. Caroline esitò. Infine sorrise.

“…Se non ti rispondo, ti metterai a fare a botte con me?” domandò infine, con una punta di divertimento nello sguardo. Mason sembrò accigliarsi.

“Io non picchio le donne.” Sbottò, subito dopo. Caroline lo scrutò sorpresa per qualche secondo prima di scoppiare a ridere. Quella reazione, contribuì a marcare l’espressione infastidita del ragazzo.

 “Non c’è niente da ridere.” borbottò a quel punto. La vampira gli sorrise.

“Scusami, mi sei sembrato buffo.” ammise infine. Mason ebbe l’ impressione che lo stesse prendendo in giro.

 “…E comunque, hai torto: io non conosco te.” aggiunse poi Caroline, superandolo, per proseguire lungo il corridoio. Mason appoggiò anche l’altra spalla all’armadietto e incrociò le braccia sul petto.

“So come ti chiami, e mi pare che ti riesca bene attaccar briga e metterti nei guai, ma questo è tutto quello che so.”

“Perché sei sempre ovunque?” buttò lì in risposta il ragazzo, inseguendola con lo sguardo: Caroline aveva già incominciato ad allontanarsi.

“Ne riparliamo un’altra volta!” gli gridò dietro con un ultimo sorriso, prima di dirigersi verso l’uscita dell’edificio. Mason sbuffò, decidendosi finalmente a sollevare la schiena dall’armadietto.

“Eccomi!” la voce allegra di Oliver, lo raggiunse alle sue spalle. Il ragazzo lo stava osservando con le mani in tasca e un’aria rilassata, nonostante le guance rosse e i capelli scompigliati suggerissero che doveva aver corso per riuscire ad arrivare in orario. Oliver scoccò una rapida occhiata all’orologio e infine gli sorrise.

“Non male, mancano ancora due o tre minuti prima che il prof faccia il mio nome durante l’appello.” commentò. “Andiamo?” propose infine.

Mase accennò a un sorrisetto divertito, prima di decidersi a rilassare i lineamenti sul suo volto.

“Muoviamoci, va’. ” approvò dandogli una pacca sulla spalla, prima di incamminarsi per il corridoio in compagnia di Oliver.

 

***

“Mi faccia capire bene. Fell…”

Gregory Lester fece aderire la schiena alla sedia e rivolse allo sceriffo un’occhiata perplessa.

“…Mi sta forse dicendo che mi ritiene responsabile per la scomparsa del professor Finn?”

“Non ho mai detto una cosa simile.” lo corresse frettolosamente l’altro uomo, voltandosi in direzione di Leanne: la donna annuì.

“Trovo semplicemente sospetto il fatto che il professore abbia smesso di insegnare poco prima del suo trasferimento, e che sia scomparso dopo il suo arrivo. Durante i nostri primi incontri, Gregory, mi era sembrato veramente disposto a tutto, pur di entrare a far parte del Consiglio, e di stabilirsi permanentemente qui, a Mystic Falls.”

“Idiozie.” Lester commentò in tono di voce asciutto, trafficando con il pacchetto di sigarette che teneva nel taschino. “Non ho niente a che vedere, con la scomparsa di Finn. Se ho accettato questo lavoro come supplente, è perché da anni avevo intenzione di trasferirmi a Mystic Falls, per poter continuare le mie ricerche. Non ho bisogno di lavorare.” aggiunse. “Ma insegnare mi piace. E la storia è utile, per rinfrescare la mente di chi è alla ricerca di qualcosa. E questo…” si interruppe, per recuperare il diario di Jonathan Gilbert che aveva adagiato sul tavolino di fronte a lui. “…Mi riporta al motivo per cui ho chiesto di incontrarvi questo pomeriggio.”

La sua attenzione si spostò verso Leanne, che gli sorrise.

 “Leanne, l’altro giorno mi ha raccontato delle ricerche di cui si stava occupando il signor Forbes. Mi diceva che sono state proprio quelle ricerche, a mettervi a conoscenza dei lupi mannari.”

La donna annuì.

“Il fascicolo che ho trovato e che poi in seguito ho mostrato allo sceriffo, parlava di impulsi e di istinti, nelle creature sovrannaturali." spiegò Leanne. "A quanto ho capito leggendo la documentazione, Bill stava cercando di trovare un modo per tenere a bada questi impulsi, nel vampiro. Voleva escogitare un sistema che potesse controllare tutto ciò che è inumano in queste creature. Nella ricerca, inoltre, accennava appunto anche ai lupi mannari.”

Fell annuì, come a voler confermare le parole della donna. L’espressione di Lester si fece più concentrata.

“Mi ha anche detto che in questo fascicolo, il cognome “Lockwood” viene menzionato più volte, nella parte di ricerca.” domandò l'uomo. “E che questo vi ha spinti a pensare, che la famiglia in questione potesse avere in qualche modo a che fare con i licantropi.”

“Nel fascicolo non viene accennato a nulla di più specifico, a riguardo.” proseguì Leanne. “Si parla solo della maledizione che lega alcune famiglie a una seconda natura sovrannaturale, e viene spiegato in quale modo essa si innesca.” si fermò per un attimo, prima di specificare, “Tramite omicidio.”

Lester annuì più volte, passandosi un pollice sulle labbra con aria pensierosa.

“Nulla di più riguardo ai Lockwood, tuttavia.” riprese poi la donna. “Viene solo citato il loro nome più volte, a lato di alcuni paragrafi. Non c’è alcun collegamento diretto.”

 “In questo diario…” incominciò a quel punto Lester, prendendo in mano il libricino.

“…Oltre agli scritti e ai disegni di Jonathan Gilbert, ho trovato in alcuni punti, le annotazioni di un successore più recente, nella discendenza. Un certo John…” specificò, porgendo il volume allo sceriffo che lo prese, con una leggera titubanza.

“C’è una pagina, una delle ultime, in cui Jonathan Gilbert descrive un congegno particolare: un dispositivo che ha progettato lui stesso, un arma da utilizzare contro i vampiri. Il congegno ha un raggio di azione di circa cinque isolati, ed è in grado di emettere un suono a una frequenza non udibile dagli essere umani, ma percepibile dai vampiri. Un suono che avrebbe il potere di stordirli, rendendoli così individuabili.”

“Chiedo scusa, Gregory, ma abbiamo ribadito più volte, che per quanto riguarda i vampiri…”

Lester interruppe Fell con un cenno della mano, prima di riprendere il suo discorso.

“Accanto allo specchietto sul congegno, John Gilbert ha annotato delle osservazioni,ed è lì che voglio arrivare. Si parla per lo più di un episodio verificatosi all’incirca venticinque anni fa. Probabilmente ne sarete a conoscenza: il giorno della festa dei Fondatori, un gruppo di vampiri ha teso un agguato alle famiglie fondatrici e il Consiglio ha attivato il dispositivo per individuarli e rinchiuderli. Dopodiché, è stato appiccato un incendio all’edificio in cui erano imprigionati. Ma a morire, non furono solo vampiri, quel pomeriggio.” Aggiunse, indicando con il dito le annotazioni a penna di John Gilbert, a un angolo del diario.

“Richard Lockwood, all’epoca sindaco di Mystic Falls e membro del Consiglio, ha reagito all’innescamento del dispositivo, proprio come i vampiri. Si è sentito male, accusando un dolore alla testa, eppure la verbena non ha avuto alcun effetto su di lui. Lockwood è stato rinchiuso assieme agli altri vampiri ed è morto nell’incendio. Ritornando alle ricerche di Bill Forbes, e collegando quello che viene detto lì, alle annotazioni di Jonathan Gilbert, ho pensato...”

“Ha pensato che Richard Lockwood potesse essere un lupo mannaro.” affermò Leanne, accennando a un sorrisetto interessato. Lester annuì lentamente.

“Ha reagito al dispositivo, ma non alla verbena.” riprese il discorso l’uomo. “Questo ci porterebbe a pensare che Lockwood non fosse un semplice essere umano, ma nemmeno un vampiro. Nelle sue ricerche, Forbes si è concentrato tanto sui vampiri, quando sui licantropi, legando entrambi a un certo tipo di impulsi soprannaturali. Se hanno istinti simili, forse è lo stesso anche per le debolezze. Forse, quel dispositivo potrebbe seriamente essere utilizzato come arma contro i lupi mannari…”

“…E potrebbe indicarci se i Lockwood portino effettivamente nel sangue la maledizione, come abbiamo supposto noi.” concluse per lui Leanne. 

Fell sospirò.

“Sono mesi, che li teniamo d’occhio e non ne abbiamo ancora ricavato nulla.” sbottò. Prese il diario di Gilbert dalle mani di Leanne e incominciò a leggiucchiare le annotazioni a penna.

“Lester, per caso in questo diario, viene menzionato che fine abbia fatto questo congegno?” domandò poi, tornando a rivolgersi al professore. L’uomo lo osservò per qualche istante, prima di annuire.

“John Gilbert scrive che quando è tornato a recuperare il dispositivo, non l’ha più trovato al suo posto. Non sa chi l’abbia preso, ma in fondo alla pagina, ha scribacchiato in fretta un nome: probabilmente - e a rigor di logica, come teoria, la sua funzionerebbe parecchio - aveva dei sospetti.”

Fell, sollevò il diario e analizzò il lembo a fondo pagina, prima di sorridere appena.

“Carol Lockwood.” Lesse, annuendo poi più volte.  “Deve aver recuperato il congegno per proteggere il resto della sua famiglia.” Ipotizzò. “Ma sinceramente, dubito che una donna anziana come la signora Lockwood tenga in casa un oggetto simile.”

“Probabilmente, l’ha passato al figlio.” commentò Leanne, che fino a quel momento era stata particolarmente silenziosa. “E dunque, potrebbe trovarsi ancora alla villa dei Lockwood.”

Lester annuì di nuovo; volse lo sguardo in direzione di Fell che stava ancora analizzando il diario di Gilbert con attenzione; un insolito brillio di decisione aveva fatto capolino nel suo sguardo.

***

“Papà, chi è la bionda che si è messa in mezzo alla mia lite, il giorno della partita?”

Mason domandò per l’ennesima volta, facendo ingresso in cucina. Tyler rivolse un’occhiata scocciata al figlio, prima di indirizzare il suo sguardo in direzione della moglie; Lydia rivolse una rapida occhiata al marito e quello sguardo sembrò rilassare appena l’espressione sul volto dell’uomo.

“È figlia di amici di famiglia. Mi pareva di avertene già parlato.” Commentò Tyler, mentre il ragazzo prendeva posto accanto a lui.

“Caroline è la nipote di Liz Forbes, Mase.” gli venne in aiuto Lydia. “È venuta a stare da noi durante l’anno scolastico, perché i genitori sono fuori città per lavoro.”

Il ragazzo inarcò un sopracciglio.

“...e il motivo per cui lei e papà si squadravano con aria tanto strana?” insistette, voltandosi in direzione della donna. Tyler fece per dire qualcosa, ma si bloccò quasi subito.

“Beh, Caroline somiglia molto a sua madre.” spiegò in tono di voce tranquillo Lydia, sistemando poi un paio di ciuffi ribelli sulla fronte del figlio. Mason la lasciò fare, seppur con riluttanza.

“E con sua madre, una volta, tuo padre ci usciva.” concluse la donna, sorridendo poi del cipiglio pensieroso che aveva fatto capolino sul volto del ragazzo. “Altre domande?” domandò, guardandolo diritto negli occhi. Il figlio sostenne lo sguardo deciso, ma Lydia non mostrò alcun cedimento.

“Sì.” Ribattè infine Mason, rivolgendole un’occhiata furba. “Come mai si chiama come mia sorella?” domandò, indirizzando poi lo guardo verso il padre, che sbuffò.

“Mase, che cos’è, un interrogatorio, questo?” si lamentò.

“Il nome ‘Caroline’ l’abbiamo scelto perché piaceva molto a entrambi, e perché ricorda il nome di tua nonna Carol.” proseguì Lydia in tono di voce asciutto. “La stessa cosa vale per il tuo, sapientone.” lo rimbeccò, poi. “Mason è un bel nome, così come Richard.”

Il ragazzo sbuffò e balzò giù dallo sgabello.

“Bah.” commentò con aria poco convinta, prima di allontanarsi in direzione del corridoio. Mentre il ragazzo abbandonava la cucina, il telefono squillò e Lydia si affrettò a rispondere.

“Caroline, Xander al telefono!” gridò poi, mentre il suo sguardo si posava con apprensione sul marito.

“Ho preso la chiamata da sopra, ma’, attacca pure!” la voce squillante di Caroline si mescolò a quella di Mason.

“Ma che cazzo, Caroline, mi hai messo sottosopra la camera!” esclamò il più giovane dei fratelli Lockwood.

“Le parole, fratellino!” la voce scherzosa di Ricki, si frappose a quella dei due ragazzi.

Lydia sospirò.

“Caroline, sappi che non esci di qui finché non avrai messo in ordine la tua stanza. Non si riesce nemmeno a camminare, là dentro.” esclamò, tornando a sedere. “Diglielo pure al tuo Xander bello.”

“Siiii!”

La risposta annoiata della figlia la raggiunse dal piano di sopra. Lydia scoppiò a ridere e tornò a focalizzare la sua attenzione sul marito.

“Mase la smetterà di assillarti così.” lo rassicurò, sfiorandogli il collo con tenerezza. “È solo curioso.”

“C’è qualcosa in Caroline che lo turba.” obiettò Tyler, passandosi poi una mano sul volto. “Ha capito che gli nascondo qualcosa.”

“È solo troppo sveglio, e altrettanto diffidente.” lo rassicurò la donna, sorridendogli con dolcezza. “È un peccato che ogni tanto si dimentichi di mettere in funzione quella bella testolina che si ritrova.”

Tyler sospirò, “Quella è sicuramente colpa mia.” commentò l’uomo, accennando un sorrisetto amaro. “Padre spaccone, figlio spaccone.”

“Il padre spaccone è rinsavito, però. A Mase serve solo un po’ di tempo.” commentò Lydia, accarezzandogli il capo. Tyler sbuffò.

“Mi pare di avergliene dato in abbondanza, di tempo. Non può andare avanti così.” sbottò, appoggiando le mani sul tavolo. “Con quella di domenica, siamo a tre scazzottate in un mese, e per motivazioni ridicole.”

“Tyler, ma che ti aspetti?” Lydia obiettò ricambiando il suo sguardo decisa, pur mantenendo un tono di voce pacato. “È un adolescente.”

“Richard e Caroline…”

“Richard e Caroline non sono Mason.” lo interruppe con gentilezza la moglie.

“Tyler, ascolta.” incominciò poi, prima di scoccare un’occhiata apprensiva in direzione delle scale.

Dal piano di sopra, la parlantina inestinguibile di Caroline li raggiungeva a malapena attutita, indice che la ragazza fosse ancora al telefono con Xander.

“So che sei preoccupato per la maledizione. E so che credi che i tuoi figli siano al sicuro, finché non provocheranno accidentalmente la morte di qualcuno; ma in realtà non è così.”

Tyler appoggiò la fronte tra il pollice e l’indice, dirigendo poi il proprio sguardo stanco in direzione di Lydia.

“Io li vedo, Ty. C’è qualcosa del lupo in ognuno di loro; Ricki era schivo, da bambino. Caroline ha fatto a botte con i suoi compagni di classe maschi un sacco di volte, quando era piccola, ma tutti e due si sono calmati crescendo; e ho il sospetto che centri qualcosa lo sport.”

Il marito le rivolse un’occhiata interrogativa e la donna annuì.

“Tutti e tre hanno un’indole aggressiva, Tyler. Proprio come te; Ricki e Caroline fanno sport sin da quando erano piccoli, hanno trovato la loro valvola di sfogo. Sono poi entrambi chiacchieroni fino all’inverosimile, e se hanno qualcosa che non va, te la tirano fuori senza far problemi: questo li aiuta. Mason, però, non è così. Lui non fa sport, non sa come sfogarsi, parla poco ed è sempre nervoso. È normale che dia di matto in quella maniera per la minima provocazione.”

“E quindi, secondo te, dovrei lasciarlo stare? Fargli fare il cavolo che vuole?” sbottò Tyler, alzando la voce. Lydia lo squadrò con aria decisa.

“No.” si limitò a rispondere. “Ma gli devi dare del tempo. Più tempo.”

Tyler sbuffò. Prese in mano il cellulare e diede un’occhiata alle chiamate perse, giusto per fare qualcosa, ma alla fine lo abbandonò malamente sul tavolo, e prese a far ciondolare il capo.

“Non lo so.” borbottò infine, passandosi una mano fra i capelli. “Non lo so.”

“Hai detto che Caroline lo sta tenendo d’occhio, no?” gli ricordò poi Lydia, accarezzandogli una spalla. “Ti ha aiutato molto quando eri giovane, magari sarà lo stesso anche per Mase.”

“Non è solo per Mase che sono preoccupato.” ammise infine Tyler; scoccò un’occhiata nervosa alla finestra che dava sul giardino. “Ricki mi ha detto di aver visto lo sceriffo appostato fuori da casa nostra. Mia madre viene interrogata di continuo da Fell, nella speranza che le sfugga qualche dettaglio sospetto. È anziana ed è stanca. Non posso permettere che si faccia carico di tutto questo.”

Lydia lo osservò a lungo, prima di appoggiargli una mano sull’avambraccio.

“Tyler, se davvero sta succedendo qualcosa troveremo una soluzione per mettere di nuovo tutto a tacere.” Lo rassicurò; aveva un tono di voce dolce, ma deciso. “Siamo andati avanti per vent’anni senza difficoltà, tornerà a essere così.”

L’uomo non rispose. Lydia si chinò per sfiorare il mento del marito e lo volse verso di sé, in maniera da poterlo guardare negli occhi.

“Ehi…” lo richiamò, sorridendogli. Tyler ricambiò il suo sguardo.

“Lydia?” incominciò poi, analizzando le iridi chiare della donna. Quando la squadrava a lungo non riusciva a fare a meno di notare quanto sua moglie e sua figlia si assomigliassero; non era solo per via del colore dei capelli e degli occhi. Caroline e Lydia avevano lo stesso modo di sorridere, la stessa aria solare e luminosa. Avevano qualcosa di raggiante nello sguardo, che né Tyler, né i due figli maschi, erano mai stati in grado di eguagliare. Ed erano entrambe in grado di tenergli testa senza mai cedere, o alzare il tono di voce. Poche donne, prima di loro, ci erano riuscite.

“Che cosa c’è?” domandò infine la moglie, tornando a sedersi di fianco a lui. Tyler si guardò le mani con aria stanca.

“Ti rendevi conto dello schifo che ti stava per rovinare addosso, quando hai deciso di sposarmi?” chiese infine, tornando ad osservarla. Lydia lo fissò interdetta per un attimo, ma infine abbozzò un sorriso.

“All’inizio avevo paura.” ammise. “I motivi sono tanti; mi hai raccontato di tutti gli orrori legati a questa cittadina e Mystic Falls mi metteva in soggezione; sì, avevo paura. Sapevo che non ti avrei mai lasciato, eppure faticavo a sentirmi al sicuro…”

“E poi?” domandò in quel momento Tyler, senza guardarla negli occhi. “Cosa è cambiato, da allora?” Lydia estese il suo sorriso.

“…e poi è arrivato Ricki.” rivelò, con aria divertita. “E non ho dormito per i tre mesi successivi alla sua nascita. Quando incominciò a muovere i primi passi, fu perfino peggio. Improvvisamente, mi trovavo a dover gestire una casa, un lavoro, un marito lupo mannaro e un bambino iperattivo, e credimi…” si mise a ridere, riuscendo a strappare al marito un accenno di un sorriso. “…non avevo più tempo per avere paura.” ammise con dolcezza. “E poi ci fu Caroline...”

 “…che tu eri convinta fosse maschio.” le ricordò il marito. Lydia gli diede un colpetto sulla spalla.

“Non era possibile pensare il contrario!” obiettò. “Calciava come una furia! Da neonata, però,devo dire che è stata molto più tranquilla di Ricki.” ammise.

“Caroline è stata praticamente una bambola, da piccolissima. Ma poi si è resa conto che i maschietti sono molto più divertenti delle femmine, e ha deciso di diventare scavezzacollo come loro.” proseguì Tyler.

“E poi abbiamo avuto Mason.” Aggiunse infine Lydia. L’uomo, sospirò.

“La vigilia di Natale.” precisò. Tacque per un attimo, prima di aggiungere: “C’era anche la luna piena.”

Istintivamente, si passò una mano sul collo, quasi a rievocare le sofferenze che il suo corpo aveva patito quella sera, sedici anni prima. Erano gli stessi dolori che avrebbe continuato a sopportare ogni mese, ma in quella particolare notte, gli erano parsi ancor più terribili e ingiusti. Aveva fretta di sfilarseli di dosso. Voleva svegliarsi al richiamo della luce mattutina e dimenticarsi dell’atrocità di quella notte, sorridendo al bambino addormentato che lo attendeva tra le braccia di sua moglie.

“Con Mason ho avuto finalmente un po’ di tregua.” commentò infine Lydia, sorridendo divertita. “Tranne quando spariva, ovviamente.” aggiunse. Tyler denegò con il capo, sorridendo al passato di quei ricordi.

“Sembrano passate epoche.” commentò infine, distendendosi sulla sedia, con aria più rilassata.

Lydia tornò ad alzarsi in piedi.

“I tuoi figli sono cresciuti.” dichiarò con un sorriso. “Sono cambiati, solo per diventare un po’ più simili a te. Metteranno sempre la loro famiglia al primo posto… e sai una cosa?” aggiunse. “…in fondo, in quanto membro adulto del branco, credo di aver voce in capitolo in queste faccende tanto quanto te.”

Tyler inarcò appena un sopracciglio e la moglie si mise a ridere, prima di tornare ad osservarlo con dolcezza.

“Perciò, ti dico che mai permetterei a qualcuno di infastidire la mia famiglia.” aggiunse. “Ogni madre farebbe di tutto pur di avere i propri figli al sicuro. Figuriamoci una mamma lupo!”

Tyler scosse il capo con aria divertita, rivolgendole un sorriso non più tirato. La moglie si chinò per baciarlo. “Perciò, cerca di stare tranquillo.” riprese infine, scoccandogli un’occhiata d’intesa. “Hai capito, Tyler?”

L’uomo rise, passandosi una mano sotto il mento.

“Ho capito, Lydia, ho capito.”  mormorò, prima di attirarla a sé e baciarla di nuovo, sfilandole via di mano lo strofinaccio che la donna aveva tenuto in mano durante l’intera conversazione.

In altro occasioni un discorso come quello della moglie l’avrebbe fatto solo innervosire. Non c’era giorno in cui non finiva per domandarsi se le cose potessero d’un tratto complicarsi per tutti loro. Per sé stesso e per la sua famiglia. Convincersi che la forza di volontà di sua moglie potesse bastare a tenere tutti loro al sicuro, sarebbe stato ridicolo. Ridicolo e impossibile.

Eppure, con Lydia, quei discorsi c’erano. E Tyler la ascoltava ogni volta con un sorriso genuino, apprezzandola e amandola. La maledizione ancorata al sangue dei Lockwood era inattaccabile, eppure lui si sforzava di crederle, ammaliato dalla fiducia che la donna riponeva nella sua famiglia.

Immaginava che in fondo era per quello che alla fine si era innamorato di lei. Immaginava che da qualche parte, probabilmente, ci dovesse essere una Lydia per ogni persona come lui. Per chi era un po’ spaccone, per l’uomo orgoglioso, per lo sfrontato o il codardo. Il codardo che era stato in passato.

Ogni tanto, si sorprendeva a domandarsi se anche Mason, un giorno, avrebbe avuto al suo fianco una donna come lei. Glielo augurava in silenzio, qualche volta, osservandolo leggere o studiare, nella tranquillità quasi innaturale della sua stanza.

In quei momenti, gli capitava anche di chiedersi dove lui stesso sarebbe andato a finire, se non avesse trovato Lydia: la risposta era sempre la stessa. E ogni volta, faceva più male delle notti di luna piena.

  So when hard times have found you

and your fears surround you
Wrap my love around you,

 you're never alone

Never alone. Lady Antebellum

***

“Dunque, ricapitolando...”

Vicki incrociò le gambe sulla trapunta e si lasciò cadere sul letto.

“Tu e Mase stavate discutendo come vostro solito.” incominciò, analizzando lentamente la situazione. “Mason aveva in mano una lattina. Poi, la lattina è esplosa e lui si è trovato a fare la doccia nella coca cola – tra l’altro, ma perché queste cose succedono sempre quando io non sono nei paraggi? – il punto, però, è un altro. Quello che stai cercando di dirmi è che sei convinta di essere stata tu a far starnutire la lattina E per farlo, avresti usato la…”

Si interruppe, inarcando appena un sopracciglio. Autumn si affrettò ad intervenire.

“Non dire quella parola, non dire quella parola!” sbottò.

“…magia.” terminò Victoria, accennando un sorrisetto. L’amica sbuffò, sedendosi a sua volta sul letto.

“Ogni volta che ci penso mi sento davvero una stupida, perciò gradirei tanto se potessimo per lo meno evitare di pronunciare quel termine.” obiettò. Victoria si tirò a sedere in fretta, tornando ad incrociare le gambe.

“Forse lo sei.” commentò. “Forse sei un po’ stupida. Io lo sono tanto e spesso, ma non mi va di vergognarmene. Non riuscirò mai a capire come mai la gente vada fuori di testa, per ogni singola figuraccia.”

“Perché è così che dovrebbe essere, Vic.” ribattè Autumn con aria stanca, abituata alle stranezze della sua migliore amica. Victoria aveva sempre avuto un modo tutto suo di misurare il mondo e non perdeva mai occasione per diffondere il suo punto di vista. “Solo tu non hai problemi a metterti in ridicolo.”

Vicki diede una scrollata di spalle.

“Ci sono dei vantaggi anche quando il mondo ti crede mezza matta.” obiettò, spostando nuovamente il ciuffo di capelli che era scivolato sui suoi occhi. “Nessuno da accontentare, nessuno da deludere. Bah, solo Oliver mi capisce.”

“Oliver è praticamente un santo.” ribattè Autumn, rivolgendole un’occhiata critica. “Altrimenti non mi spiego come faccia a passare, ogni giorno, tutto quel tempo assieme a Mase.”

“È il mio cuginetto.” aggiunse Vicki con tenerezza, sorridendo. “Oliver capisce tutti.”

“Tornando al discorso di prima…” Autumn tentò di recuperare la conversazione precedente a quella divagazione.  L’amica si cinse le ginocchia con le braccia e annuì.

“Giusto. La magia.” aggiunse, con aria vagamente divertita. Autumn la incenerì con lo sguardo.

“Scusami.” commentò Victoria. “Volevo dire, la: ‘inserire parolina incriminata qui’. Senti, sei assolutamente convinta che il prurito alle mani non avesse a che fare con qualche strana forma di allergia? O magari, avevi solo voglia di tirare un ceffone a Mase…”

“Non è che devi credermi per forza, Vic.” la interruppe Autumn in tono di voce secco. “Io non ti ho creduta nemmeno per un istante, quando mi hai detto che avesti conquistato Ricki prima del tuo diciannovesimo compleanno.”

Victoria sbatté le ciglia più volte, per poi roteare gli occhi.

“Non mi sto sforzando, Autumn.” ribattè infine, in tono di voce asciutto. Per un attimo, la sua espressione si fece seria. “Puoi anche darmi della stupida – sai che non me la prenderò – ma io ti credo. In fondo, non è che abbia molte altre alternative, dopo averti visto in lacrime l’altro giorno. Ti credo, o almeno, credo all’idea che tu sia convinta di aver aizzato una lattina contro Mase. Non credo alla ‘inserire parolina incriminata qui’, né penso che arriverò mai a farlo, ma so che qualcosa è successo, perché lo credi tu. E se voglio aiutarti, perché voglio farlo – sei la mia migliore amica –…”

“Vic, ti prego…” la supplicò Autumn appoggiandosi i polpastrelli sulle tempie. “…parla senza incisi, mi sto perdendo.”

Victoria sospirò.

“Quello che intendevo dire io, è questo.” riprese con più calma, prendendo posto di fianco all’amica. “Se davvero sei convinta che ci sia del– a sto giro passamelo, per favore – del ‘magico’, nel modo in cui quella lattina è esplosa, di sicuro c’è stato qualcosa che ti ha portato a crederlo. E se vogliamo arrivare a farti dimenticare di questa idea assurda, dobbiamo prima riuscire a capire da che cosa sia nata. Non ti viene in mente nulla che possa averti spinto a pensare alla magia? Magari c’è qualcosa che ti hanno detto, o qualcosa che hai visto in passato… Un episodio strano, che ti è capitato, non lo so…”

Autumn impiegò qualche secondo prima di smettere di tenere il sopracciglio inarcato. Sospirò, facendo mente locale, alla ricerca di qualcosa che potesse esserle utile.

“Da bambini, Julian parlava sempre di magia.” buttò lì infine, sentendosi ogni secondo più stupida. “Era convinto di essere uno stregone.”

Vicki sollevò le braccia, in cenno di trionfo.

“Perfetto! Allora iniziamo con il chiamare lui.” annunciò, allungandosi per recuperare il cellulare di Autumn. L’amica lo recuperò in fretta.

“Ma sei impazzita?” esclamò basita, infilandosi in tasca l’aggeggio. “Mi prenderà per matta!”

Victoria fece per ribattere, ma la ragazza la bloccò subito.

“Sì, lo so che stai per dire, e no, non condivido la tua filosofia del “siamo tutti stupidi”, quindi negativo. Non farò la figura dell’idiota con mio fratello.”  l’amica sbuffò, tornando poi a sedere sul letto.

“Va bene!” annunciò infine, incrociando le gambe sulla trapunta. Con uno scatto fulmineo, recuperò il cellulare dalla tasca dell’amica e lo sollevò. “Allora lo chiamo io.”

Autumn si oppose, cercando di sfilarle il telefono di mano. Victoria balzò a terra, molto più agile dell’amica, per via degli anni di ginnastica ritmica che si portava dietro sin da bambina.

“Vicki, smettila, dai!” si oppose l’altra ragazza. Ma Vicki aveva già recuperato il numero di Julian e aveva premuto il tasto di chiamata, tamburellando con le dita sulla porta.

“Sta squillando.” comunicò. Autumn la freddò con lo sguardo, limitandosi poi tuttavia a tornare a sedersi, accavallando le gambe con aria furibonda.

“…e comunque, riguardo a quello che hai detto prima su Ricki…” aggiunse Vicki, mentre attendeva che Julian rispondesse. “… non ho ancora compiuto diciannove anni. Tutto può ancora succedere.”

Distolse lo sguardo da Autumn, che finì per lasciarsi sfuggire un sorrisetto.

“Come vuoi.” ribattè, mentre lo sguardo di Vicki tornava a farsi vivace e la ragazza incominciava a parlare.

“Julian, ciao! No, sono Vicki. Ascoltami, io e ‘tumn ti dobbiamo fare una domanda. È molto folle, ma davvero importante.” a quel punto fece una smorfia e sbatté le palpebre un paio di volte, prima di proseguire. “Sì, lo so che tutto ciò che ha a che fare con me è folle, ma questo batte tutto, te lo giuro. Ok, allora hai tempo per parlarne un attimo?”

Autumn si mordicchiò il labbro e tornò a posarsi le mani sulle tempie, mentre ascoltava la conversazione. Non aveva idea di come Julian stesse reagendo a quell’interrogatorio insolito, ma lo stomaco le si aggrovigliò comunque, quando la parola ‘magia’ fuoriuscì con naturalezza fuori dalla bocca di Victoria. Sollevò il capo, solo quando si accorse che l’amica la stava osservando.

“Domani sera, hai detto?” stava domandando la ragazza rivolta a Julian, improvvisamente titubante. Autumn aggrottò le sopracciglia. “Hai detto che non puoi prima, vero? Va bene domani sera, allora.” un sorriso catturò le labbra della giovane. “Ci sentiamo e grazie!”

Chiuse la chiamata e lanciò il cellulare dell’amica sul letto. Autumn le scoccò un’occhiataccia, riappropriarsene, ma poi la scrutò con aria interrogativa.

“Ha detto che ci chiama domani sera con calma e vedremo di capirci bene qualcosa. Mi ha anche chiesto se ne avevi parlato con tua madre.” spiegò Victoria, raggiungendo l’altra giovane.

Autumn la osservò con stupore.

“No, ovvio che non gliene ho parlato.” ribattè, secca. “Ti ha detto solo questo? Non ti ha chiesto se avevi bevuto, non ha controllato il calendario per assicurarsi che non fosse il primo d’Aprile, non si è messo a ridere?”

Vicki rievocò per un istante la conversazione appena avuta con il ragazzo.

“In realtà mi è sembrato piuttosto serio.” rispose infine “Forse anche a lui è capitato qualcosa di simile al tuo episodio con la lattina. Ad ogni modo, ne scopriremo di più domani sera.”

Autumn le rivolse un’occhiata penetrante, incrociando le braccia sul petto.

“Vicki, domani sera c’è la serata pre-partenza di Ricki e Jeff al grill.”  le ricordò, inarcando pericolosamente un sopracciglio. “Ne parli ininterrottamente da due giorni.”

Victoria le diede le spalle, incominciando a trafficare con la sua borsa.

“Può darsi, ma noi resteremo qui a improvvisarci stregoni assieme a tuo fratello.” dichiarò con fermezza. “Magari, organizzeremo una seduta spiritica. Che dici, evochiamo il fantasma di Michael Jackson? Ho sempre sognato di vederlo ballare thriller dal vivo!” aggiunse, improvvisando qualche passo della coreografia.

Autumn roteò gli occhi, mentre l’amica incominciava a ballarle attorno.  Alla fine si arrese, e si mise a ridere.

“Sul serio, Vic, puoi andare alla festa se vuoi.” la rassicurò. “Con Julian posso parlarci tranquillamente da sola.”

Questa volta fu Vicki a squadrarla con un sopracciglio inarcato.

“’Tumn, ho detto che ci sarei stata e quindi ci sarò.” dichiarò con aria decisa, prima di tornare a trafficare con la sua borsetta. “Alla festa, magari, ci facciamo un salto dopo.” aggiunse poi. “Ricki ubriaco è qualcosa di terribilmente divertente da vedere.”

“Quando mai, per te, Ricki non è divertente?” la canzonò l’amica, pur continuando a sorridere.

“Grazie, Vic.” mormorò infine, concedendo alla ragazza un sorriso carico di gratitudine. Victoria ricambiò il sorriso, cingendole le spalle con un braccio.

“Dovere.” dichiarò con aria seria, prima di mettersi a ridere.

 

***

Julian si affrettò a riporre il cellulare nella tasca, accelerando il passo. Stentò a imboccare la strada corretta per il pub, ancora frastornato per via della telefonata appena ricevuta. Vicki l’aveva chiamato per parlargli di sua sorella: e sua sorella, a quanto pareva, sembrava avere in comune con lui molto più di quanto entrambi avessero mai pensato: era davvero, una strega anche lei?

Julian decise di non pensarci, almeno per il momento. Il suo turno di lavoro al pub incominciava alle sei in punto ed era già in ritardo di cinque minuti. Si affrettò ad infilarsi nel locale e si diresse verso la cucina, quando qualcuno attirò la sua attenzione, costringendolo a fermarsi; in disparte, seduto a uno degli ultimi tavoli, aveva individuato il professor Ringle.

Il ragazzo rabbrividì, sfilandosi il giubbotto. Continuò a tenere d’occhio l’insegnate per qualche minuto, analizzandolo con attenzione. Sperava di poter individuare qualche indizio che sostenesse o smentisse la teoria che aveva formulato il giorno dell’esame; ci doveva pur essere un modo per accorgersi se Ringle fosse effettivamente uno stregone. Ancora una volta, Julian rimbeccò in silenzio sua madre per avergli precluso la possibilità di studiare a fondo tutto ciò che comportava il suo dono. Bonnie gli aveva spiegato molto sul motivo per cui era uno stregone. Gli aveva raccontato dei Bennet, di cosa significava avere dei poteri. Tanta teoria e nulla di pratico. Si era sempre rifiutata di aiutarlo a costruire qualcosa attorno a quello che sentiva, di spingerlo ad esercitare ciò che avrebbe dovuto rifluire in lui, in maniera naturale. Tutto ciò che sapeva fare, in termini di magia, lo aveva appreso dal grimorio della sua bisnonna. Ne aveva lette alcune pagine di nascosto e nonostante avesse sospettato più volte che sua madre fosse a conoscenza di quel dettaglio, Bonnie non gliene aveva mai parlato.

Da quando si era trasferito a Richmond, i segreti legati al suo dono contenuti in quel libro, erano una delle cose che aveva rimpianto più in assoluto.

Assorto com’era dai suoi pensieri, Julian non si accorse subito della ragazza che gli aveva da poco rivolto alla parola.

“Ehi, dico a te!”

La giovane sbottò, picchiettandogli sulla spalla con la mano. Julian smise di osservare Ringle e si voltò. La ragazza che gli aveva rivolto la parola aveva un’aria conosciuta: era bassina, capelli e occhi scuri, aria anonima, ma tutto sommato, carina. Sgranò appena gli occhi, nel rievocare dove l’avesse incontrato prima di allora: era la tizia che aveva avuto al suo fianco durante l’esame di chimica, il giorno in cui aveva fatto partire l’allarme anti incendio. La ‘rosicchia matite’. La secchiona.

“Sei tu quello che doveva incominciare il turno dieci minuti fa? Mi stanno facendo servire anche i tuoi tavoli, quindi gradirei se ti spicciassi a prendere il tuo posto.” Commentò lei, squadrandolo con aria truce. Solo in quel momento Julian notò il grembiule che la ragazza aveva addosso. Lavoravano assieme? Eppure era sicuro di non averla mai vista, prima di quel giorno, al pub.

“Ti chiedo scusa!” le gridò, al di sopra delle voci dei presenti. “Vado subito a cambiarmi. Per caso sei nuova?”

Chiese, sbirciando sulla sua divisa per individuare il nome cucito sulla camicia. La ragazza annuì in fretta, affrettandosi poi a recuperare una forchetta che uno dei clienti aveva fatto cadere. L’espressione di Julian si ammorbidì.

“Beh, piacere di conoscerti, allora.” dichiarò con gentilezza. “Io sono Julian, e tu sei… Diana?”

Azzardò, spiando il nome sulla divisa della giovane. La ragazza si accigliò, scoccando un’occhiata rapida alle lettere stampate sulla sua spalla.

“C’è scritto Damian.” lo corresse scuotendo il capo con aria scocciata. “Mi ha prestato la camicia uno dei camerieri, non ho ancora nulla.”

“Giusto!” Julian si batté una mano sulla fronte, sorridendo a mo di scusa. “E allora, posso sapere il tuo nome?” domandò.  La ragazza sbuffò.

“Possiamo rimandare le domande a dopo, per favore? Devo lavorare.” commentò, affrettandosi a raggiungere uno dei suoi tavoli. Julian la osservò con un accenno di smorfia, infastidito dall’atteggiamento scontroso della ragazza. La prossima volta, decise, ci avrebbe pensato due volte prima di cercare di mostrarsi disponibile con una nuova arrivata.

“Arielle!” esclamò in quel momento il gestore del locale, rivolgendosi alla giovane. “Quando hai finito con il tavolo nove, passa all’undici. Morgan non è ancora arrivato.”

Julian rabbrividì.

“Sono qui, Caleb!” si affrettò a rispondere, sorridendo a mo’ di scusa, quando la giovane riversò l’ennesima occhiataccia su di lui.

“È un bel nome, Arielle.” tentò ancora, affrettandosi a recuperare la sua camicia dallo zaino.

“Mi chiamo Aria…” sbottò la ragazza, dirigendosi verso il tavolo che teoricamente sarebbe dovuto aspettare a lui. Julian inarcò un sopracciglio con aria perplessa.

“Sono dislessico, non sordo!” le gridò dietro con un accenno di sorriso. “Lui ti ha chiamato Arielle!”

La ragazza si limitò ad ignorarlo. Roteando gli occhi, Julian raggiunse il bagno per cambiarsi la camicia, senza dimenticarsi tuttavia di scoccare un’occhiata furtiva al professor Ringle: scattò all’indietro sorpreso, quando si accorse che lo sguardo del professore era puntato proprio su di lui.

C’era decisamente qualcosa che non andava in lui, pensò. Ma quando intercettò l’ennesima occhiata assassina di Arielle, si convinse a lasciar perdere le sue considerazioni, per correre a prepararsi.

 

***

 

Ricki ammonticchiò una manciata di calzini spaiati sul copriletto. Si diede un’occhiata attorno, alla ricerca di qualche maglietta dispersa per la camera e sbuffò, facendosi strada in mezzo a zainetti e cappotti di tutte le taglie abbandonati alla rinfusa sul pavimento.

“Sorella, sei stata in camera mia, vero?” esclamò a voce alta cercando di raggiungere il suo borsone da viaggio. Inciampò in una racchetta da tennis e la calciò di lato. Sbuffò una seconda volta, prima di inciampare nuovamente, questa volta sul suo stesso borsone.

“Caroline?”

“Nooooo!” 

L’esclamazione annoiata di sua sorella lo raggiunse dalla camera adiacente. Il ragazzo roteò gli occhi con aria rassegnata.

“Come no, c’è un porcile in camera mia, quindi o sei stata tu, o sei stata tu. E il cane che ci fa in casa?”  aggiunse poi sorpreso, riconoscendo un musetto peloso che spuntava dall’uscio della porta. Silver, il cane di famiglia, osservava il padrone con aria curiosa, comodamente accoccolata sul pavimento.

“Cucciolotta!” esclamò addolcendosi, raggiungendo l’animale. “Ma lo sai che non puoi stare qui, la mamma sclera se ti trova in casa. Chi ti ha fatto entrare?” aggiunse con un sorrisetto divertito, grattando il capo del cane.

 “Ma chi vuoi che sia stato?” il commento strascicato di Mason lo raggiunse dal corridoio.

“Caroline!” ripeté una seconda volta Ricki, questa volta a voce più alta.

“Arrivo!” ribattè spazientita la ragazza. “Sto preparando il borsone!” aggiunse.

“Stai via per il weekend?” domandò il fratello mentre Caroline faceva ingresso in camera sua. Ricki schioccò le dita.

“Adesso, si spiega il campo di battaglia!” esclamò.

“In questa casa non si trova mai niente” si lamentò la ragazza mettendosi a frugare nell’armadio del maggiore. “Dove diavolo sono le mazze da hockey?”

“In camera mia, no di certo.” commentò il fratello, lasciandosi cadere pigramente sul letto.

“Come mai hai fatto entrare il cane?” chiese poi, facendo cenno a Silver di raggiungerlo. La creatura si acquattò sul tappeto e annusò a lungo la mano del padrone, prima di arrendersi alle sue carezze. Caroline diede una scrollata di spalle.

“Sei stato qui una settimana e l’hai a malapena calcolata. Devi rimediare, a cominciare da ora.” commentò indicandolo con aria minacciosa. Ricki sollevò le mani in cenno di resa.

“Hai ragione, sono stato davvero un padroncino cattivo. Vorrà dire che alla festa di domani sera al grill, Silver verrà con me al posto tuo. Se non altro è più ordinata di te.”

Caroline lasciò perdere la sua ricerca e si lasciò cadere a sua volta sul letto del fratello maggiore.

“Mi dispiace non esserci domani!” si scusò, mettendo il broncio. “Era la festa di arrivederci per te e Jeff!”

“Vai al lago con Xander?” domandò il fratello. Caroline annuì.

“Non ci andavamo più da secoli.” si giustificò. “Ti dispiace?”

“Nah.” Ricki la rassicurò stiracchiandosi pigramente sul materasso.

“Tanto torno presto.”

“Ma domenica pomeriggio ti accompagnerò all’aeroporto, e per tutto il tragitto ti terrò il muso.” gli assicurò la sorella, con un cipiglio serio.

“Come da routine!” confermò Richard circondando le spalle della ragazza con un braccio. Sospirò.

“Massì, fra meno di un mese è Natale e sarò di nuovo a casa.” commentò, accarezzandole il capo. Caroline si strinse a lui.

“Dovevi proprio scegliere una scuola così lontana? Fratello cattivo!” si lamentò in tono di voce infantile. Ricki sorrise.

“Lo sai che sono un idiotone… ma prima o poi ne farò pure una giusta, no? E senti, a proposito di idiotoni…”  aggiunse, abbassando lievemente il tono di voce. “Ricordati di dare una sbirciata a quell’adorabile cretino di nostro fratello, di tanto in tanto. Due sbirciate. Ma fai anche tre…”

“Lo tengo d’occhio, non preoccuparti per quello.” lo rassicurò. 

“Caroline!” la voce di Tyler li raggiunse dal corridoio. “Che cos’è tutto quel casino in camera tua?” domandò, per poi sgranare gli occhi nell’individuare la confusione che regnava sovrana nella stanza del suo primogenito.

“Eh, questa è opera mia.” mentì Ricki esibendo un sorrisetto schietto.

“Non trovavo la roba per il lago!” si difese invece Caroline. Il padre la fulminò con lo sguardo.

“No, Caroline, sono settimane che quella camera è uno schifo, quindi adesso ti muovi e cerchi di farla diventare quanto meno vivibile. E il cane…” aggiunse spostando l’occhiataccia in direzione di Silver, che come vide il padrone, si affrettò a trotterellargli allegramente incontro. Caroline annuì con aria esasperata.

“Sì, lo so.” dichiarò. “È troppo grande e troppo peloso e non deve stare in casa, alla mamma dà fastidio. Caroline! Portalo fuori!” aggiunse, imitando la voce grossa del padre. Si incamminò in direzione del corridoio guidando Silver, mentre il padre la squadrava con aria irritata.

“Questo tono di voce non mi piace!” aggiunse l’uomo, alzando la voce.

“Hai ragione, scusa!” la figlia gli gridò dal corridoio. Tyler sbuffò, spostando poi il suo sguardo in direzione del suo primogenito.

“Rick, posso parlarti?” chiese, decidendosi finalmente ad abbandonare l’uscio della stanza per raggiungere il figlio. Ricki gli diede una pacca sulla spalla.

“E parliamo, papà!” esclamò allegramente, circondandogli le spalle con un braccio. Tyler inarcò un sopracciglio, prima di scuotere il capo sorridendo.

“Che figlio cretino che ho.” commentò; Ricki fece una smorfia.

“Già, un perfetto idiota. Ne parlavo giusto prima con Caroline.” si trovò d’accordo. “Non so proprio da chi potrei aver pres… Ahi, eddai papà, questo era forte!” si lamentò, quando lo scappellotto del padre gli colpì la nuca. Tyler ridacchiò, placcando il figlio per riuscire a rifilargliene un secondo.

“Come va, papà?” domandò infine Ricki, quando la lite scherzosa tra padre e figlio si estinse. “Da quando sono tornato non ci siamo ancora fatti una delle nostre belle chiacchierate.”

Tyler si sistemò i capelli scrutandolo con aria pensierosa; sospirò, denegando appena con il capo.

“È per lo sceriffo?” domandò il figlio, improvvisamente con aria meno giocosa, chinandosi in avanti. Il padre sospirò una seconda volta.

“Tu non ci devi neanche pensare allo sceriffo. Quelle sono cose mie, okay?” gli ricordò in tono di voce pacato, deciso a non coinvolgere Ricki in quel tipo di faccenda. “Sono preoccupato per Mason.” giustificò infine i suoi tentennamenti, allargando le braccia.

“Lo so.” confermò Ricki. “Sono preoccupato anch’io.”

“È che pensavo…” Tyler interruppe a metà la fase, come se avesse cambiato idea. Si esaminò le mani con attenzione e infine si costrinse a proseguire. “Pensavo che forse dovrei iniziare ad accennargli qualcosa sulla maledizione.” ammise.

Ricki denegò con il capo prima ancora che avesse il tempo di aggiungere altro.

“Va messo in guardia.” continuò ugualmente Tyler. “Continua a lasciarsi provocare per cazzate, e se si ostina a fare lo spaccone in quel modo, finirà che…”

“Papà, no.” Ricki dissentì pacatamente, ma parlò in tono di voce deciso. “È di Mason, che stiamo parlando. Mase, quello che balbettava. Quello che ha paura di tutto; Mase, il piccolo di casa, ricordi? Non ha nemmeno sedici anni, papà, non puoi lasciargli addosso una preoccupazione del genere e sperare che...”

“Tu eri ancora più giovane di lui quando sei venuto a sapere della maledizione.” ribattè secco il padre, scoccandogli un’occhiata severa.

“Bella forza.” commentò Ricki con fare ironico. “Papà, io ti avevo visto.” gli ricordò poi. “Non è che ci fossero poi altre alternative…”

Tyler non rispose; intrecciò le dita e chinò il capo verso il basso. Ricordò con nervosismo l’espressione terrorizzata del suo primogenito, nel momento in cui lo aveva scoperto incatenato in una cripta. Erano anni che Ricki insisteva per accompagnarlo lungo un tratto di tragitto verso i boschi, i pomeriggi che precedevano le notti di luna piena. Ma mai prima di quel giorno aveva osato disobbedire al padre, oltrepassando quel confine oltre al quale non gli era concesso proseguire: inseguendo Tyler fino alla cripta.

“Ti fa male…” domandò in quel momento, voltandosi in direzione del figlio. “…fa male essere a conoscenza di tutto questo?”

Ricki sostenne lo sguardo del padre con aria decisa, prima di dare una scrollata di spalle.

“No.” convenne infine. “Non ho paura, papà. Se lo hai affrontato tu, posso affrontarlo anch’io. Ma Mason…” il ragazzo sospirò, passandosi una mano fra i capelli. “Non dirgli nulla. È ancora troppo presto, per lui.” concluse. Il padre gli scoccò un’occhiata poco convinta, ma alla fine annuì.

“Papà?” domandò a quel punto Richard, posandogli una mano sulla spalla. “La mamma e Matt ti accompagnano ancora ogni mese a turno, vero?” domandò.

Il padre inarcò un sopracciglio con aria critica: non c’era bisogno di aggiungere a cosa si stesse riferendo; Tyler aveva capito benissimo.

“Sei stato tu a organizzare questa tiritera, vero?” realizzò in quel momento. “Dio, che roba, Ricki, sei proprio…”

“Doveva esserci qualcuno a cui passare il testimone, mentre ero via.” si difese il giovanotto battendosi un pugno sul petto. “Vorrei poterti accompagnare ancora io, però.” aggiunse. “Come una volta.”

Tyler fece per ribattere, quando un ricordo improvviso lo sfiorò, strappandogli un sorriso.

“Che c’è?” domandò il figlio, rivolgendogli un’occhiata perplessa. Il padre scosse il capo con un cipiglio divertito.

“Stavo ripensando a quel marmocchio impestato, che strepitava, perché voleva venire ad ‘aspettare la luna assieme a me’.” ammise,con aria improvvisamente meno rigida.

“Ogni maledetto mese.” precisò. Ricki fischiò.

“Uh, i bei tempi andati…” commentò, concedendosi poi un sorrisetto sghembo. “È cresciuto bene, quel marmocchio!” aggiunse, passandosi orgoglioso le unghie sulla maglietta. “Ammettilo, tuo figlio è un fenomeno.” concluse poi, sorridendogli candidamente. Il padre ridacchiò.

“Sì, un fenomeno da baraccone.” commentò, dandogli una pacca sulla nuca.

“Ma basta!” mugugnò il ragazzo, massaggiandosi il capo. “Quando non avrò più la testa, chi torturerai al posto mio?”

“Ehi, Rick…” incominciò in quel momento Tyler, sollevandosi dal letto. Lo osservò a lungo, scuotendo poi il capo con aria a metà tra il divertito e il rassegnato. Ricki si alzò a sua volta.

“Ok.” Esclamò, posando le mani sulle spalle del padre. “Concentrati: puoi farcela. “‘Ehi Rick’ che cosa?’ ‘Sei un cretino?’ Lo so. ‘Hai due calzini di colore diverso addosso?’ So anche questo, è colpa di Silver, me ne ha rosicchiati una decina. Ringraziamo la cara sorellina, per questo, visto che il cane l’ha fatto entrare lei.”

Tyler incrociò le braccia sul petto, ascoltandolo blaterare. Tra lui e Ricki difficilmente passavano parole d’affetto, nonostante entrambi dimostrassero in continuazione di avere perennemente bisogno l’uno dell’altro. Ricki era il figlio con cui Tyler era sempre stato più severo. Quello che riprendeva più duramente, forse perché sin da piccolo era sempre stato il più movimentato, forse perché sapeva che con lui poteva permetterselo. Ricki era il solo con cui, di tanto in tanto, gli era capitato di alzare le mani. Da bambino, avevano anche passato dei brutti momenti; Ricki era uno di quei bambini impossibili, che non riescono a stare fermi nemmeno un attimo. Il genere di ragazzino che non va matto per le dichiarazioni di affetto, per le coccole e i vezzeggiamenti.

Eppure, Ricki era sempre stato, e continuava a essere, quello dei tre figli con cui Tyler aveva un legame più saldo. Averlo al suo fianco lo faceva sentire più sicuro, forse per via della vicinanza che c’era sempre stata fra di loro nei momenti antecedenti alla luna piena. E Richard Junior, il bambino che non amava le dimostrazioni di affetto, era cambiato molto crescendo, diventando un giovane uomo tremendamente solare, con un amore incondizionato nei confronti della sua famiglia.

Se Tyler dopo vent’anni ancora faticava a manifestar a voce alta quello che provava nei suoi confronti, Ricki aveva imparato a non curarsene: gli bastava guardarlo negli occhi per intuire quello che suo padre avrebbe voluto dirgli. Dal rimprovero, alle parole affettuose, Richard sapeva sempre come interpretare le occhiate del padre, anche quando non c’erano parole a sottolineare ciò che intendeva comunicargli.

“Diciamo che come al solito faccio tutto da solo, va.” affermò infine Ricki sorridendogli con fare canzonatorio. “Sì, anche io te ne voglio. E sì, anche io sono orgoglioso di te.” pronunciò improvvisando un’aria solenne, dando poi una serie di pacche sulla spalla al padre. Tyler lo scansò, ridacchiando.

“Cretino.” mugugnò. Improvvisamente, si mise ad arruffandogli i capelli, come faceva sempre quando Ricki era bambino Anche il ragazzo si mise a ridere.

“Non ti erano mancate per niente le mie sparate, vero?” domandò, dandogli poi un pugnetto sulla spalla. Tyler scosse il capo, deciso.

“Per niente.” commentò, rivolgendogli poi un sorrisetto beffardo. Ma quando il figlio incrociò il suo sguardo, intuì all’istante che stava pensando a qualcosa di completamente opposto.

You think
they won't understand
So you don't reach out your hand for them

 Until they'll pull and reach for you.

Family comes first. Whitney Houston

** Quello che dice Anna è stato rubacchiato al dialogo tra Jeremy e Anna nell’ episodio 3x04

Nota dell’autrice.

Anzitutto, l’angoletto annunci:

1.            Anche questo mese ho piazzato su un piccolo spin off di questo racconto, questa volta dedicato a un povero Mase con  l’influenza e a Caroline (Forbes) nel ruolo di ‘mammina’. Una cosina così, per sorridere un po’. S’intitola Fever.

2.            Il dialogo tra Ricki e Tyler a proposito di Ricki da bambino che andava ad aspettare la luna con il padre, si rifa a un missing moment intitolato appunto Waiting for the moon, che è un po’ un approfondimento di quello che siete andati a leggere oggi, quindi se vi capitasse di darci un’occhiata, mi farebbe davvero tantissimo piacere!

Passiamo ora al polpettone.

 

Buondì! *esulta, perchè è riuscita ad aggiornare entro il mese*

Siete pronti per il polpettone nel polpettone? Ma sì, che lo siete! E allora, cominciamo!

Anzitutto, ho notato che in questo capitolo sono riuscita finalmente a dare un po’ di spazio ai miei quattro personaggi preferiti: Ricki, Oliver, Vicki e Julian. E quindi sono felice. <3 E poi, come al solito ringrazio la Mary bella, perché è coccola e beta sempre con amore <3

Dunque, uhm, cacchio, questo capitolo era davvero lungo D: Mi perdonate, vero? Ad ogni modo, capitolo di transizione. Di conseguenza, a livello di svolgimento dei fatti in questa sesta parte non è successo un granché, ma ho deciso che avevo bisogno di focalizzarmi per un attimo sulla famiglia Lockwood, che è un po’ la protagonista di questa storia assieme a Caroline (Forbes). Ma andiamo per ordine.

Nella prima parte del capitolo, abbiamo finalmente il primo mistero svelato; come molti di voi avevano indovinato, la ragazza misteriosa di Oliver era proprio Anna. So che alcuni di voi sono delusi da questo risvolto, e vi dirò, in realtà all’inizio Annabelle non era contemplata nel quadro. Ma avevo bisogno di creare uno storyline per Oliver, e al tempo stesso mi serviva un collegamento che accennasse al‘the other side’ per qualcosa che si vedrà alla fine di questa fan fiction, e così ho pensato ad Anna. Vi premetto che non ci sarà nessun risvolto amoroso, tra lei e Oliver. Mi sembrava più corretto così, e non volevo esagerare con i parallelismi tra ciò che è successo in passato e ciò che sta succedendo ora. *parte la musichetta di Casper*

Andando avanti, passiamo alla scenetta Xanderine, con la partecipazione straordinaria di Ron Weasley (tra l’altro, nulla contro l’adorabile Ronnino, ma ho pensato che ‘Ron Weasley’ potesse essere più da Xander , rispetto a ‘pel di carota’ o qualche altro appellativo del genere) e del fessacchiotto Mase, sempre nei paraggi, quando c’è da fare cupido. Che succederà al lago? Bah, non so, vedremo!

Proseguendo oltre, abbiamo il Consiglio: auch.

E poi, altro stacco: Tyler, Mason, e finalmente, la prima introduzione di mammaLydia <3 Non so se sono riuscita a renderla come volevo. Ho un’immagine precisa in testa di questa donna dolce e affettuosa, ma anche decisa e combattiva. Scopriamo qui che Lydia è al corrente di tutto ciò che ha a che fare con il sovrannaturale, dei vampiri, della maledizione dei Lockwood, e di ciò che ha significato Caroline per Tyler in passato. Mi ha fatto un po’ dannare questa scena. Era delicata, e ci tenevo a renderla bene. Mi rendo conto, che questo Tyler adulto è piuttosto diverso da quello che siamo abituati a conoscere dalla serie tv, ma tenendo conto del trascorrere degli anni, è solo così che riesco a immaginarmelo.

Dopodiché, ci sono Vicki e Autumn. Vicki <3 è la prima volta che la vediamo interagire un po’ più a lungo con gli altri personaggi, e finalmente scopriamo qualcosa in più su di lei. Beh, ovviamente è mezza svitata,ma non è che gli altri siano messi molto meglio <3 Scherzi a parte, Vicki non ha la simpatia di alcuni di voi, ma c’è ancora davvero tanto in suo proposito che va scoperto. Credo che dal prossimo capitolo il suo personaggio incomincerà a prendere forma per quello che è veramente. Come avevo anticipato in pagina facebook, ho deciso che ‘Tumn e Vicki sarebbero state migliori amiche, molto prima che spuntasse fuori che lo erano anche le loro nonne (Miranda e Abby), oltre che le loro mamme.

E poi abbiamo il ritorno di Julian – e del professore creepy - con una nuova – anche se non proprio – arrivata: la rosicchia matite secchiona, alias Aria. Vi assicuro che è un po’ più carina di quello che abbiamo visto oggi, evidentemente era nervosa per il suo primo giorno di lavoro - Julian, in realtà,mi sta dicendo che era proprio fuori di melone,altro che nervosa -. Ad ogni modo, la ritroveremo più avanti nella storia, così come Julian.

Il capitolo si chiude con la mia scena preferita: Ricki e papà. Come avrete già intuito, questa storia fa parecchio perno sul concetto di famiglia, sul rapporto genitori-figli e quello tra fratelli. C’è ancora tanto in cantiere per i Lockwood.

Ma passiamo alla parte più interessante del polpettone (c’è una parte interessante? D: D: D: ) ovvero, cosa aspettarsi dal prossimo capitolo? DI TUTTO. MWAHAHAHA.

.. Non è vero.

Però, posso dirvi che in un certo senso sarà davvero un capitolo di svolta. Ciò che è importante succede solo alla fine, ma mette le basi, per quello che andrà a svilupparsi negli episodi successivi.

Dopo questa piccola sbirciata al prossimo capitolo, direi che posso chiudere il polpettone. Potete arrotolarlo, mangiarvelo, o darlo al cane, come preferite. Gna, ma a proposito di cane: mi stavo dimenticando della sesta Lockwood e voi non mi dite nulla? Oggi abbiamo conosciuto pure Silver! La più in gamba della famiglia, non c’è che dire u_ù

Ultimo accenno alla citazione e poi fuggo. La citazione iniziale è tratta da una poesia che ho sentito recitare molte volte, e che quindi mi è rimasta impressa. Forse è stato un po’ indelicato inserirla, ma proprio perché così delicati, quei versi mi hanno sempre riportato un po’ ad Anna, e a questo suo “essere sola”, perché nessuno può vederla.

Basta, mi eclisso, vi sbacio tutti per bene e me ne vado in letargo di nuovo. Ringrazio tutte le splendide personcine che nell’ultimo mese hanno recensito. Mi state dando una gioia immensa <3 Grazie in particolare, alle nuove arrivate, è sempre emozionante vedere nuove persone che seguono questa storia e i miei sgangherati pargoletti! Come sempre, per informazioni, spoiler, le domande più disparate, e imbarazzanti, aneddoti nonché vita,morte e miracoli di questi nove fessacchiotti, li trovate QUI.

 

Un abbraccio grande!

Laura

   
 
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