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Autore: tonnoinscatola    18/02/2012    0 recensioni
Ogni eroe, o aspirante tale, deve saper cogliere al volo l'occasione di raggiungere la gloria eterna. Anche se certe missioni sembrano partire male fin dal primo momento.
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi piace condividere ciò che scrivo, anche solo per costringermi a continuare e non cedere invece alla mia proverbiale pigrizia. Questo è il frutto di due settimane di isolamento causa neve. Sì, potevo sfruttare quel tempo in modo migliore, e invece ho prodotto il primo capitolo di un racconto che ancora non so bene dove vuole andare a parare.

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Quando Jonaton lo stalliere aprì gli occhi, trovò a fissarlo una figurina incappucciata. Nei primi confusi momenti del risveglio riuscì a malapena a distinguerne i contorni, accecato dalla torcia che l’essere stringeva in mano. Torcia che, a giudicare dal dolore, doveva aver conosciuto da vicino il suo setto nasale.
« Che cosa… » biascicò a fatica portandosi una mano al volto e ritirandola sporca di sangue. L’intruso, intanto, con uno squittio spaventato, si stava lanciando verso il fondo della scuderia, dove si trovavano i cavalli migliori dal Conte.
Jonaton era confuso. Non che la sua mente brillasse già normalmente per straordinaria arguzia, aggiungendo il fatto che era appena stato svegliato dal suo placido sonno con una bastonata sul naso, ci mise qualche secondo per comprendere l’ovvio: un furto si stava compiendo sotto i suoi occhi. Dopo mesi spesi a spalare letame e a distribuire fieno era finalmente giunto il suo turno per fare l’eroe.
Con la mente piena di sogni di gloria, comprendenti per la maggior parte una grande schiera di belle ragazze, si lanciò verso l’esserino minuto che, non senza fatica, stava cercando di aprire il recinto del purosangue favorito.
Sprovvisto di una frase ad effetto efficace assalì il piccolo ladro con un ringhio degno di una pantera, cercando di bloccarlo prendendolo per un braccio. La situazione sembrava del tutto a suo favore: l‘avversario non era altro che uno scriccioletto alto sì e no la metà di lui, e sia braccia che gambe sembravano i rametti di qualche arbusto, tanto erano sottili.
Ma il ladruncolo non sembrava dello stesso parere e, con una pedata ben assestata al cancelletto che era riuscito finalmente ad aprire, lo colpi nella parte più molle della pancia. Il ragazzone si accartocciò su se stesso con un gemito flebile che appurava la sua nuova attitudine al canto corale.
Con l’agilità di un fantino esperto l’incappucciato si arrampicò sul dorso del nero purosangue che, se fino ad un momento prima si era agitato, spaventato dai rumori improvvisi, si quietò immediatamente. Approfittando del fatto che lo stalliere era ancora piegato sul cancello, la figura carezzò dolcemente il cavallo e gli sussurrò qualche cosa all’orecchio. Tra i due sembrò esserci per un momento uno sguardo d’intesa, poi con un nitrito entusiasta, la bestia uscì dal recinto dirigendosi al galoppo verso l’uscita.
Jonaton, attraverso le lacrime, li osservò allontanarsi sotto la pioggia scrosciante, mentre il grande portone della stalla sbatteva drammaticamente, spinto dal vento.
Si rialzò con una certa fatica e azzardò un paio di passi, sentendosi profondamente umiliato da quel coboldo che aveva battuto lui, due metri di ragazzone dai muscoli guizzanti. Ripensò a Mindy, la dama da compagnia della Contessina, e a come gli faceva sempre mille complimenti quando lo vedeva portare il fieno a petto nudo, scenograficamente sudato e luccicante. Con che coraggio l’avrebbe affrontata l’indomani?
“Erano in quattro, anzi cinque…” cominciò a pensare tristemente mentre chiudeva il portellone della stalla. “Erano cinque, armati ma io sono riuscito a ferire il loro capo. Ma cos’è questa puzza di bruciato?”
Quando si girò verso il recinto ormai vuoto e vide le fiamme che scoppiettavano beffarde si rese conto che avrebbe fatto meglio a trovare una scusa anche migliore.

Lo scalpiccio di zoccoli sul selciato risuonava come il rombo di un tuono. Un paio di figure ai lati della strada si affrettarono a nascondersi tra le ombre del vicolo più vicino, mentre i folletti dei lampioni si appiccicavano al vetro della loro boccia, curiosi. Ma non era semplice vedere attraverso il muro di fitta nebbia che avvolgeva perennemente il quartiere dei Porti, come a voler nascondere quel calderone di criminalità e degrado. La perenne umidità aveva trasformato i muri delle case, già grigie e semi fatiscenti, in inconsapevoli murales di muffa. Non avendo trovato nessun imbianchino abbastanza coraggioso da offrirsi di ridipingere le facciate, dal Governo si era semplicemente pensato di decretarli opere artistiche affiggendo una targhetta di ottone all’inizio della via e aggirando così il problema con molta creatività.
Improvvisamente attraverso la nube di vapore acqueo fu possibile distinguere la sagoma di una figura che pareva uscita da un racconto per bambini disobbedienti. Un possente cavaliere, dotato di uno svolazzante mantellone nero, spronava il proprio cavallo, di un prevedibile ma sempre d’effetto nero pece.
Nessun ladruncolo o borseggiatore, e in giro, anche se invisibili, ce ne erano tanti, osò fermarlo con qualche trucchetto, e persino le ombre apparivano desiderose di ritirarsi al suo passaggio.
Sembrò quasi che il viale stesso tirasse un sospiro di sollievo quando il cavallo frenò la sua corsa alla fine della strada, poco prima del molo principale, davanti ad una finestra da cui proveniva una calda luce di caminetto.
Il Nautilus era la locanda più malfamata dei Porti, e questo la rendeva automaticamente la peggiore locanda del Reame. Sull’insegna un grande mollusco minaccioso sembrava ghignare osservando i clienti che decidevano di affrontare il portoncino borchiato ed entrare nel calore e nel fumo del punto di ritrovo della peggior feccia dei regno.
I proprietari, ormai da un secolo a quella parte, si impegnavano a rendere il locale il più pittoresco possibile e adatto alla clientela altrettanto suggestiva. Scheletrici trofei di caccia alle pareti, tavoli ricavati da grandi botti ancora odoranti di vino, luci soffuse e persino un pianista che, con la sua voce rugosa, allietava le serate del Nautilus. Il misterioso cavaliere sorrise, sentendosi un po’ a casa.
Attraversò il locale salutando con un segno del capo e uno sguardo truce un paio di astanti conosciuti, diretto verso il grande bancone in mogano sul quale erano incisi una lunga serie di scheletri danzanti. Tuna, l’ostessa, lo trovava delizioso. Il cavaliere aveva individuato i suoi lunghi capelli verdi anche attraverso la coltre di fumo che poteva fare invidia alla sua parente, la nebbia esterna.
Si appoggiò al bancone con il suo miglior sorriso seducente e si concesse qualche secondo per ammirare l’ostessa, mentre questa era ancora di spalle, intenta a lucidare un paio di bottiglie.
« Puoi strofinarle quanto vuoi ma non saranno mai brillanti come i tuoi occhi » esordì con un tono basso e vibrante che aveva fatto fremere tante ragazze in giro per il Reame.
« Branimir » rispose lei come se più che un saluto fosse un’affermazione inconfutabile, un dogma assoluto. Appoggiò con un piccolo tonfo la bottiglia che aveva pulito fino a quel momento poi, dopo essersi pulita le mani sullo strofinaccio più vicino con studiata lentezza, si girò verso il cavaliere. « Mi avevano detto che eri morto »
Branimir, pur non apprezzando il ghigno con cui Tuna aveva pronunciato l’ultima frase, mantenne stoico il sorriso.
« Solo invidia. Ho giusto girato un po’ il Reame salvando donzelle, uccidendo mostri… » breve pausa aspettando una reazione di meraviglia che non ci fu « … ordinaria amministrazione »
« Immagino » rispose lei alzando un sopracciglio divertita e appoggiandosi sul bancone con le braccia incrociate. « Cosa vuoi? »
Branimir alzò elegantemente gli occhi al cielo, come se fosse stupito dei modi sbrigativi della ragazza, come se non la conoscesse da anni, come se non l’avesse afflitta da sempre con la sua corte indesiderata. Tornò a rivolgerle lo sguardo alzando anche lui un sopracciglio in maniera eloquente.
« Sai benissimo che sono qui per te » sussurrò avvicinandosi al suo viso e puntando i suoi occhi blu in quelli verde ramarro di lei. Sperava di vederla, almeno una volta nella vita, fremere, arrossire e allontanarsi da lui. Ma non era la sua sera fortunata.
« Se non fossi una fragile donna in dolce attesa verrei lì e ti schiaffeggerei. Come le altre volte »
Una vena pulsante comparve sulla fronte di Branimir e il suo sorriso si trasformò istantaneamente in un ringhio malcelato.
« Non riesco ancora a capire come tu abbia potuto preferire quel giardiniere » digrignò alzandosi dal bancone sul quale si era allungato per indicarla minaccioso. La parola giardiniere, sputata con lo stesso disprezzo che si poteva dedicare a ‘trafficante di organi’, riecheggiò in tutta la saletta. Uno dei clienti abituali, che quella scena l’aveva vista ormai qualche centinaio di volte, gli lanciò una veloce occhiata prima di tornare alle sue carte, scuotendo la testa.
Tuna ghignò non muovendosi di un millimetro.
« Per la cronaca prima di lui ti ho preferito anche il birraio, il capitano del ‘Mandolino’ e un mago di passaggio che mi voleva sposare » disse fissandolo negli occhi, decisa a difendere a spada tratta il marito che si era scelta.
Branimir sostenne lo sguardo per qualche secondo, mentre un turbinio di sentimenti contrastanti per poco non lo faceva impazzire. Alla fine, ben consapevole di non poter vincere quella battaglia, si riavvicinò al bancone e, fissando un punto in mezzo alla parete dietro di lei si dedicò alla vera ragione per cui si trovava al Nautilus. « Sono qui per Finn »
Tuna, ora con un sorriso più amichevole, si rialzò e ricominciò a lucidare la bottiglia abbandonata poco prima.
« Terza porta a sinistra » gli rispose gentilmente, sentendosi quasi in colpa per averlo trattato con tanta durezza poco prima. Quasi. « Bussa prima di entrare, e aspetta una risposta »
Il cavaliere annuì, lanciandole un’ultima occhiata da cucciolo deluso, per poi dirigersi verso le scale.

Il piano di sopra non era molto diverso da quello sotto: pareti ricoperte di pannelli in legno e alcuni trofei dall’aria sinistra intervallavano le piccole porte, anch’esse di legno. Il pavimento scricchiolava sotto il peso di Branimir, non indifferente considerati muscoli e cotta di maglia, mentre questo avanzava verso la stanza indicata. A differenza di quello che si potrebbe pensare ad usufruire delle stanze del Nautilus, più che prostitute e loro clienti, erano mercenari che preferivano organizzare i loro incontri di lavoro lontano da sguardi indiscreti. Alcuni si trattenevano un paio di giorni e poi ripartivano per chissà quale affare ai confini della legalità. Solo l’ultima stanza a sinistra, appunto, era affittata ormai da tre anni a quella parte.
Si prese un paio di secondi prima di bussare, con decisione. La risposta fu immediata, come se la persona dietro la porta avesse saputo del suo arrivo da ore e si fosse preparata adeguatamente. Il che non era del tutto improbabile, sapendo con chi aveva a che fare.
Spinse con decisione la maniglia ed entrò.
La fioca luce del corridoio illuminava solo qualche centimetro oltre la porta, il resto della stanza era immerso nell’oscurità più totale. Un clichè, certo, ma faceva sempre il suo effetto. Penetrante odore di fumo mitigato a malapena da un profumo più dolce che riconobbe subito come vino speziato.
Allungò la mano alla ricerca dell’interruttore più vicino ma, quando lo premette, la luce impiegò come minimo cinque imbarazzanti secondi prima di cominciare a brillare.
Finn, nome completo Finnguala deTorso III, ultima discendente della nobile casata dei deTorso nonché la più grande cacciatrice di taglie del Reame, era seduta scompostamente su una vecchia sedia. I piedi posati sul tavolino davanti a lei, sguardo verso la lampadina spoglia che ondeggiava sopra la sua testa.
« Nancy si addormenta, a volte. Non è molto abituata a lavorare » spiegò lei con una voce roca e scocciata. La folletta dentro la lampadina picchiettò con rabbia contro il vetro e sibilò qualche cosa nel suo linguaggio fatto di squittii e sibili. Probabilmente un conoscitore della lingua dei folletti sarebbe impallidito davanti alla sfilza di insulti che le uscirono dalla piccola bocca, per quanto mitigati dal bulbo di vetro.
Anche Branimir alzò lo sguardo verso di lei, giusto un attimo, per poi riportarlo su Finn e concederle un sorriso non troppo diverso da quello che aveva dedicato poco prima a Tuna.
« Ti vedo in forma » mentì, conoscendo bene lo sguardo annoiato della mercenaria, probabilmente a corto di lavoro da parecchio tempo. Le pareti della stanza erano state trasformate in un suo museo personale: ritagli di giornali, vecchie foto, qualche macabro trofeo galleggiante in barattoli di formaldeide, e il suo intero e vasto arsenale di armi, appese al muro con aria minacciosa. Dall’ultima volta che l’era andata a trovare si era aggiunto giusto un ritaglio, piuttosto piccolo oltretutto, che testimoniava il suo salvataggio di un rampollo di una qualche ricca famiglia dei dintorni. Questo confermava la sua ipotesi riguardo l’inattività di Finn.
« Oh, sì meravigliosamente! Sto facendo la muffa in questo buco di merda da quanto… sei mesi? » rispose lei con tagliente sarcasmo fissandolo in mezzo agli occhi, come se stesse cercando di liquefargli il cervello con la sola potenza dello sguardo. Branimir sembrava non accorgersene e continuò a fissarla con un sorriso che, ormai, virava all’ebete.
« Abbiamo tutti apprezzato il tuo salvataggio del piccolo… » indugiò qualche istante cercando di mettere a fuoco il nome del giovane scomparso. Ci mise qualche istante di troppo dato che Finn, irritata da quel finto apprezzamento, gli lanciò contro il portacenere in pietra che fino a pochi secondi prima si trovava sul tavolino.
I riflessi pronti del cavaliere gli permisero di schivare l’oggetto contundente, che rimbalzò sulla parete, prima di finire sul pavimento, ma non riuscì però ad evitare di essere investito dalla cenere svolazzante.
« Solito vecchio caratteraccio! » commentò giulivo - fin troppo per i gusti della giovane che gli scoccò un’occhiata assassina - spolverandosi le spalle del mantello. « Dovresti ringraziare il tuo vecchio amico Bran che ti porta buone notizie: un lavoro »
L’ultima parola accese un bagliore negli occhi dorati della mercenaria. Improvviso il suo viso sembrò rilassarsi abbandonando l’espressione dura, che tanto stonava con i suoi tratti infantili, per aprirsi in un sorrisetto.
« Un lavoro, eh? » commentò mentre assaporava mentalmente l’idea, come si trattasse di un dolce particolarmente gustoso. « Obiettivo, classe, compenso » chiese imperiosa, senza nemmeno preoccuparsi di dare una sfumatura interrogativa alla propria voce. Branimir ghignò prendendo un rotolo che portava legato alla cintura e lanciandoglielo.
« Una contessina, o meglio… il drago che l’ha rapita, classe uno e, tieniti forte, il compenso è il solito titolo nobiliare ma questa volta c’è l’ingresso diretto alla Sala degli Eroi » rispose mentre Finn leggeva il proclama, attenta. Alle ultime parole del ragazzo alzò la testa dal foglio e lo guardò inquisitoria. Dubitava fortemente che qualcuno stesse cercando di prenderla in giro, ma quella risposta sembrava troppo assurda per essere reale.
« La Sala degli Eroi? » chiese con un mezzo sussurro.
« Lei »
« Con tanto di busto in marmo e resoconto delle avventure? »
« Per tutti i partecipanti » confermò Branimir.
Finn abbassò lentamente il rotolo sulle proprie ginocchia e fissò il giovane come se lo vedesse in quel momento per la prima volta. Attimi di silenzio interrotti solo da Nancy che continuava a brillare e a lanciare insulti in lingua folletta.
« Branimir, sei il coglione più pomposo e pieno di sé del Reame, ma in questo momento potrei quasi provare rispetto per te e i tuoi stramaledetti contatti a corte » disse lei, alla fine, mentre un sorriso sincero le si dipingeva in viso. Gli rilanciò il rotolo senza alcuna grazia, mentre scattava in piedi e cominciava ad osservare la parete dedicata al suo armamentario.
Branimir la osservò divertito mentre sceglieva i pugnali come chiunque altro avrebbe deciso quale paio di scarpe portarsi dietro.
« In quanto missione di classe uno abbiamo diritto ad un Deus Ex Machina di livello cinque, un mago di prima categoria e quanti altri compagni desideriamo, anche se io preferirei viaggiare leggero » spiegò professionale, legandosi il proclama alla cintura, da dove lo aveva preso poco prima.
« Ah, odio i maghi » commentò con disprezzo Finn assicurandosi alla vita un cinturone di coltelli da lancio e cercando con lo sguardo la spada a cui avrebbe concesso di entrare, assieme a lei, nella Sala degli Eroi. Alla fine prese una spada leggera e dall’aria appuntita e, giusto per andare sul sicuro, un pugnale dotato di fodero applicabile ad una gamba. « Fighette piagnucolose che svaniscono in una nube di fumo quando c’è bisogno di loro. Hai già qualche idea in proposito? »
« Sì, pensavo di trattarmi bene, una volta che me lo posso permettere » rispose Branimir passando, quasi distrattamente, un dito sul vetro che incorniciava un vecchio ritagli di giornale. « E quello? » aggiunse a metà tra lo stupito e il divertito indicando un borsone di pelle che la sua compagna stava tirando fuori da sotto il tavolo.
« Non sai da quanto ho pronta la roba per andare » rispose lei mettendolo sulle spalle con un solo gesto fluido. « Andiamo? »
Branimir sorrise, soddisfatto dal suo lavoro di persuasione e divertito dalla sua burbera schiettezza. « Andiamo »

« La parte migliore è stata quando mi hai lanciato giù dalla carrozza, solo in mezzo ai goblin, ricordi? »
Branimir, una volta ricevuta la conferma che Finn avrebbe collaborato con lui, si era lanciato in una serie di rimembranze sui bei tempi passati, sulle mille avventure assieme che la ragazza si limitava a commentare con qualche grugnito sporadico. Stava quasi cominciando a meditare di gettarlo giù dalle scale che stavano scendendo e prenderei lei il comando della missione, ma i suoi pensieri omicidi vennero interrotti da un grido che proveniva dal piano di sotto.
I due si affrettarono a ridiscendere, trovandosi davanti ad uno spettacolo piuttosto frequente al Nautilus: un omone, sguainato una sorta di grosso coltello, stava minacciando qualcuno, al momento steso supino sul pavimento. Finn sentì il compagno di avventura irrigidirsi a fianco a lei, fissò la sua espressione trasudante furia eroica e, con un sospiro, si diresse verso il bancone dove Tuna continuava a pulire i bicchieri placidamente.
Branimir, tremando di rabbia, continuava a osservare la scena che si svolgeva davanti ai suoi occhi, incredulo: quel rozzo figuro stava osando minacciare con la sua sudicia arma una graziosa fanciulla dai lunghi boccoli dorati. E secondo il suo personalissimo codice d’onore non poteva esserci affronto peggiore che attentare alla salute di una donzella.
Come se avesse percepito i suoi pensieri, la sfortunata ragazza, si girò verso di lui con il labbro tremante e i profondi occhi azzurri già colmi di lacrime. Per Branimir quello sguardo valeva più di mille richieste d’aiuto e, con il cuore già colmo di fervente passione, sguainò la spada dirigendosi verso il bruto. Questo, preso ad abbaiare insulti in direzione della bionda, non fece in tempo ad accorgersi di ciò che stava accadendo attorno a lui che si trovò la lucida punta di una spada che gli premeva sotto il mento.
Con il terrore negli occhi si girò a guardare il suo assalitore, confuso dagli ultimi eventi.
« Che… cosa? » balbettò cercando con lo sguardo una spiegazione sul volto degli altri presenti.
« Vile ubriacone! Come osi avvicinare il tuo lurido coltello ad una fanciulla indifesa? »
Lo sguardo del vile ubriacone si riempì ancor più di confusione e lanciò una veloce occhiata alla sua vittima.
« Chi, Miska? »
Branimir, che stava cercando le parole giuste per continuare il suo discorso cavalleresco, si fermò mentre un vago sospetto si faceva largo nella sua mente.
« Oh, per favore! Ti sembro una fanciulla indifesa? » chiese il diretto interessato con tono di voce improvvisamente scocciato e indubbiamente maschile.
Il prode cavaliere boccheggiò un paio di volte, mentre nella sua mente i suoi progetti di matrimonio con la bella sconosciuta andavano in frantumi. Osservò gli occhi dalle lunghe ciglia dorate, il naso sottile ed elegante, le labbra rosee per poi correre velocemente verso il basso, dove la calzamaglia color palude formava un rigonfiamento ben poco muliebre.
Nel locale nessuno osava fiatare, persino il pianista aveva smesso di suonare e si stava sporgendo oltre il suo strumento, cercando di avere una migliore visione della situazione. Un tipo con un boccale di birra più grosso della sua testa nascose un risolino, un paio di nani che giocavano a carte si diedero di gomito con un ghigno sul volto.
Branimir, profondamente turbato, alternava lo sguardo tra Miska a terra e il suo carnefice che, compresa la situazione, lo osservava con un sopracciglio alzato. Non sembrava davvero gradire l’interruzione subita. In realtà cominciava a trovare scocciante quel bellimbusto, improvvisamente ammutolito, e meditava seriamente di riservare a lui lo stesso trattamento che era intenzionato a riservare alla ex donzella: un bel taglio delle orecchie.
A risolvere la situazione di stallo ci pensò un grosso boccale che, sibilando, sfiorò la testa di Branimir e andò a schiantarsi contro quella dell’omone. Questo cadde a terra con un gemito stupito e un grosso tonfo, per poi rimanere lì, immobile.
Dopo un secondo di stupore generale tutti si girarono nella direzione dalla quale era arrivato il boccale, gli occhi erano puntati verso Finn.
« Aggiungilo al mio conto, Tuna » disse lei, rompendo il silenzio, e dedicando ai presenti un’occhiata fulminante.
« Nessun problema. Anche se io me ne andrei prima che si svegli, Florence non è un tipo che va per la leggera » le consigliò Tuna stringendosi nelle spalle e continuando a pulire un bicchiere. Ordinaria amministrazione per il Nautilus. Finnguala annuì senza una parola e si diresse verso i due uomini, ancora al centro della stanza, come gelati.
« Allora, andiamo? È meglio se vieni anche tu, Miska » li esortò con tono che non ammetteva repliche.
Branimir rinfoderò la spada e, dopo aver dato una veloce occhiata a Florence steso sul pavimento, concordò mentalmente che il levare le tende in più presto possibile era la soluzione migliore.
« E cosa ce ne facciamo di… lui? » chiese poi, non del tutto convinto di voler nel suo gruppo quel tipo. Gli provocava confusione, ecco.
« Miska è un bardo, ci serve qualcuno che racconti alla Regina di come sono andate le cose, no? » rispose tranquillamente Finn, scavalcando il corpo sul pavimento e dirigendosi verso la porta. Un grugnito del bestione svenuto convinse Branimir a non questionare oltre.
Il bardo, dopo una veloce occhiata ai suoi due salvatori, senza una parola si mise in piedi e trotterellò a testa bassa dietro alla mercenaria, senza incrociare lo sguardo con nessun altro.
Rimase ancora qualche secondo poi, salutata Tuna con un cenno della testa, seguì i suoi due compagni.
« Allora, che avevi fatto questa volta, Miska? »
« A quanto pare ho il difetto di parlare troppo. Dove stiamo andando? »
« A cercare un posto dove passare la notte. E poi sembra ci serva un mago »
« Oh, io odio i maghi »
« Sì, è quello che ho detto anche io »

   
 
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