Capitolo 18
Chiamò
l’ascensore, ma non riuscì ad
aspettare che arrivasse: usò le scale, salendo i gradini a due a due.
Quando il
cellulare era squillato,
mentre si trovava dall’ammiraglio, un’ora dopo aver lasciato Mac e
Teresa in
tribunale, aveva risposto quasi di malavoglia. Non voleva essere
disturbato,
perché desiderava tornare a casa al più presto, per gustare una cena
tranquilla
con sua moglie e con un’amica, prima di salutarla e mettere
definitivamente una
pietra sopra a quel caso che l’aveva coinvolto in maniera tanto
personale.
Spalancò la
porta di servizio e si
ritrovò, a distanza di soli dieci giorni, di nuovo in una sala
d’aspetto
dell’ospedale. E ritrovò immutate le stesse sensazioni d’ansia e di
paura.
Sperava solo che la situazione non finisse come la volta precedente.
Quando aveva
risposto al telefono, la
voce di Teresa Coulter l’aveva colto di sorpresa: perché lo chiamava?
Non era
andata a casa con Sarah?
“Harm, sono in
ospedale. Ho
accompagnato Mac…”. Non aveva atteso che terminasse la frase: si era
alzato,
aveva farfugliato qualcosa all’ammiraglio ed era corso in macchina il
più
rapidamente possibile. Ricordò d’aver maledetto più volte di non essere
alla
guida di un F-14, anziché di un’auto…
“Teresa…” quasi
non riusciva a
pronunciare il suo nome, quando la vide.
“Vai, è oltre
quella porta. Ti sta
aspettando” gli disse, con una voce dolce, quasi materna. Una voce che
si
accorgeva di usare solo con lui.
“Ma… sta bene? “
“Starà meglio
tra poco.”
“E’… è il
bambino?”
“Certo che è il
bambino! Cosa credevi
che fosse?”
“Temevo si fosse
sentita male, che
fosse caduta… Ma, non è troppo presto, per il bambino? Sarebbe dovuto
nascere
fra 15 giorni…”
“Si vede che è
ansioso di conoscervi.
Ora vai, ha bisogno di te.”
“Grazie,
Teresa”, le disse,
abbracciandola.
Il capitano
Coulter restò in piedi a
lungo, nello stesso posto, persa nel ricordo di quell’abbraccio. Poi,
come
ritornando alla realtà, s’incamminò verso l’ascensore e uscì
dall’ospedale.