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Autore: PattyOnTheRollercoaster    19/02/2012    1 recensioni
Tess alzò lo sguardo e deglutì, mordicchiandosi un labbro, le mani giunte in grembo. «Devo dirti una cosa.»
«Sei sposata.»
«No.»
«Sei malata.»
«No.»
«Sei un uomo!»
«No!»
[...]Tess abbassò la voce e sussurrò: «Ho una figlia».
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo VII
E invece…





  Mi passai un mano sulla fronte con gli occhi chiusi e poi osservai l’uomo di fronte a me con sguardo serio. «Non posso farlo Quentin», dissi con tutta la risolutezza di cui ero capace. Poi mi alzai facendo raschiare la sedia dietro di me ne andai dalla stanza.
   «Stop!»
  Mi volsi verso quella decina di persone tutte intente a fare il loro lavoro e mi diressi verso Noburo. Stava dietro la telecamera e osservava di nuovo la scena. Era molto giovane, davvero molto giovane, ma aveva le idee chiare. Per il suo primo film aveva messo assieme con -relativamente- pochi soldi un buon cast, dei collaboratori capaci e dei set che avevano dell’incredibile. I produttori erano rimasti incantati dalla storia e non avevano esitato a metter mano ai portafogli. Immaginavo che Noburo sarebbe diventato il nuovo Tarantino franco-nipponico. Quando lo raggiunsi stava riguardando la scena con occhi concentrati, e alla fine prese in mano il copione e cominciò a scrivervi febbrilmente. «La rifacciamo!», gridò Noburo, e tutti si rimisero in posizione pronti per ricominciare. Venne poi verso di me e Ronald, che interpretava Quentin, e ci mostrò il copione che aveva modificato. «Provate a metterci queste battute.»
   Conclusione? Ci misi in tutto mezza giornata per una scena da sei minuti circa. Risultato: non male, devo ammetterlo, molto più dinamico del tentativo precedente.
   Era quasi ora di cena quando decisi di chiamare Melany per sapere se fosse ancora viva o se fosse fuggita decidendo di andare ad abitare abusivamente a Times Square, piazza di cui si era innamorata. «Mel?»
   «Ciao! Come va? Hai finito? Noi stiamo tornando in hotel, ceni con noi oggi?»
   «Sì… sì credo di si.»
   «E tutti i tuoi amici del film? Sei sicuro che non devi cenare con loro?»
   «No, ceno con te. Con voi.» Mi diressi al camerino e mi ficcai nel bagno. «Senti devo andare adesso, ci troviamo davanti all’entrata, okay?»
   «Va bene, a dopo.»
   «Ciao.»
   Levai il trucco e tolsi il costume di scena. Mezz’ora dopo stavo salutando tutti. Uscito dall’edificio chiamai un taxi e mi feci portare in hotel. Quando scesi vidi Mel venirmi incontro correndo, con il cellulare teso verso di me. «E’ Tess», disse.
   «Pronto Tess!», esclamai sorridendo automaticamente e facendo cenno ai ragazzi di entrare.
   «Ciao», salutò lei, e potevo giurare che stesse sorridendo… spero. «Come va? Come va con Mel?»
   «A posto, tutto a posto. Davvero, è brava. Sono passati solo cinque giorni, ma è brava… ancora… per ora.»
   «Ah bene. E tu, come vanno le riprese?»
  Parlai con Tess per quasi venti minuti, e quando misi giù stavano già servendoci da bere. «Chi ha ordinato la birra?», domandai con voce involontariamente acuta.
   Malachi alzò una mano, piano. «Io.»
  Alzai un sopracciglio. Non ero suo padre, dopotutto. Poteva fare come voleva. Ma perché doveva farlo quando l’unico adulto responsabile ero io? Non che con una birra ci si potesse ubriacare, ma non si sa mai. «Che avete fatto oggi?»
   Mel prese parola, entusiasta: «Siamo andati a vedere il Ponte di Brooklyn, abbiamo visto che stavano facendo un documentario, era una specie…». Lo ammetto, smisi di ascoltare poco dopo, ma solo perché ero un po’ stanco, e perché Mel ci stava mettendo più dettagli del previsto. Mangiai come se fosse l’ultima cena e rubai la birra fredda di Malachi.
   «Ben quando finisci le riprese?», domandò Melany.
   «Il 26 dovrei finirle.»
   «Però noi torniamo il 31.»
   «Sì.»
  «Pensavo una cosa», disse Melany entusiasta. «Ti va di fare un pic nic assieme a noi? A Central Park. Sei mai stato a Central Park?»
   «Hm, no…», mi pulii la faccia con il tovagliolo perché avevo la capacità di sembrare un dalmata dopo ogni pasto, e ci dirigemmo nella stanza. «Comunque devo ancora fare due cose in quei giorni, però sì, possiamo trovare un giorno libero. Che volete fare domani?»
   «Vogliamo andare all’Empire State Building, e se riusciamo anche al Rockfeller Centre», mi informò Malachi saltando vari gradini della piccola scalinata.
   «Oh!», esclamò Melany, «E quando facciamo il pic nic dobbiamo anche vedere il Guggenheim Museum.»
   Aggrottai le sopracciglia. «Non sapevo che t’interessassi d’arte.»
   «Infatti non lo faccio, ma è un museo famoso dove girano un sacco di film, e quindi ci voglio andare.»
   Misi le mani in tasca. «Anche se non capirai niente di quello che vedi?»
   Mel annuì. «E’ lì che si sono svolte centinaia di finte sparatorie dei film, e poi voglio vedere la spirale gigante.» Sbuffai una risata e continuai a camminare.
  Nei giorni seguenti Melany e Malachi se la presero con calma per visitare la città, i suoi dintorni e anche alcune città vicine. Io invece andavo parecchio di fretta con le riprese ed ero sul set tutti i giorni alle sei e mezza in punto per farmi truccare e per filmare almeno fino alle sei del pomeriggio, o forse di più.
   I giorni trascorsero abbastanza velocemente. Ogni mattina mi svegliavo presto e andavo agli studi, all’ora di pranzo chiamavo Mel per sapere dov’era, poi facevo una telefonata a Tess e infine ricominciavo fino a tardo pomeriggio. L’unica volta in cui terminai tardi fu un giorno particolarmente funesto, in cui avevo una scena notturna, per farla breve rimasi sveglio tutta la notte e riuscii a ficcarmi a letto solo alle cinque di mattina. Ma non era così grave dopotutto: mi piaceva Beyond Marshall, non assomigliava a nessun film che avevo già fatto. La sera di solito cenavo assieme a Mel e Malachi e infine crollavo sul letto, distrutto. In quei giorni ero parecchio distratto e non mi rendevo minimamente conto di cosa succedesse al di fuori del set. E’ uno dei miei difetti: vengo assorbito completamente dal lavoro, non vedo altro durante le riprese. Sono terribile quando faccio così. Quella volta in particolare si dimostrò un fatale errore.

  Era l’ultimo giorno di riprese e quella volta anche i ragazzi si erano alzati presto perché dissero che volevano passare tutta la giornata a Coney Island, al parco divertimenti.
  In quei giorni avevo notato che Melany chiedeva di continuo quando avrei avuto del tempo libero, o quando sarei riuscito a passare con loro un paio di giorni. Immaginavo che Tess ci fosse sempre per lei e forse era abituata a stare con sua madre molto spesso: in questo modo io diventavo il surrogato da viaggio, così voleva passare un po’ di tempo con me. La cosa da un certo punto di vista mi lusingava, ma in realtà la mia mente era altrove.
  «Oggi è l’ultimo giorno», dissi a Mel, «domani devo andare a fare due interviste, una nel mattino e una nel pomeriggio. Poi sarò libero come l’aria, te le prometto.»
   «D’accordo.» Mel sorrise e mise il telefono in tasca. «Ti chiamo verso mezzogiorno, okay?», disse mentre eravamo in ascensore.
   «Okay.»
   Sulla strada ci dividemmo e io presi la macchina che mi avrebbe portato sul set, questa volta all’aperto. Per il mio ultimo giorno avevo una scena abbastanza facile, non ci misi più di tanto a farla, e poi dovetti andare in sala montaggio per ridoppiare il mio personaggio in una scena che avevamo girato qualche giorno fa, anche quella fuori dagli studi. Quando terminai la mia ultimissima scena nei panni di Nicolas Roman, con tanto di morte e sangue dappertutto, salutai i membri della troupe, il cast, e tutti gli assistenti che avevo conosciuto. In più la costumista mi fece tenere i guanti da motociclista che avevo usato per un sacco di scene e che mi piacevano tanto. Non me ne sarei mai fatto nulla, non ce l’avevo neanche una Harley Davidson; imparare a guidarla per quelle due scene in cui dovevo farlo però fu più difficile del previsto: era pesantissima e io non ero mai stato su una moto. Comunque avevo avvisato Tess che quella sera a cena non ci sarei stato, io e alcuni ragazzi avevamo deciso di fare un’ultima uscita assieme, così lei si prese l’impegno di avvisare Melany al posto mio.
  Quando tornai in hotel era passata da poco la mezzanotte e mi trascinai in camera sperando di infilarmi a letto il più presto possibile. Quando entrai tuttavia scorsi Malachi accasciato malamente su uno dei divani, che guardava fuori dalla finestra con occhi spenti. «Ciao», salutai. Lui non mi degnò di uno sguardo. Non ci feci caso a proseguii diretto al bagno. Stavo per entrare e chiedere dove fosse Melany quando un rumore dall’interno me lo chiarì. Mi ritrassi un secondo con una smorfia involontaria e poi optai per un: «Mel? Sei tu?».
   «Vattene via!», la sentii esclamare.
   «Ti senti bene?»
   «No! Che domanda è?!»
   «Posso entrare?»
   Momento di esitazione. «Sì.»
  Spinsi piano la porta e trovai Melany accasciata accanto al wc. «Ti senti male?», domandai. Domanda retorica ovviamente, si vedeva che si era appena presa la prima sbronza della sua vita.
  «Sì. Sto vomitando», disse con ovvietà quasi parodistica. La sua voce era impastata di stanchezza e sconforto, i sintomi del malessere da ubriacatura.
   Nonostante la situazione quasi ridacchiai. Io non avevo bevuto tanto fino all’età di diciassette anni, ad una festa in casa di amici. Mi ero sentito male come poche volte nella mia vita e per i seguenti tre mesi non avevo bevuto niente di niente, ero disgustato. Da allora non tocco la vodka. Ma che volete? Capita all’80% della popolazione mondiale almeno una volta, di questi tempi.
   «Sì, vomiti», osservai cauto, «Lo vedo.» Mi chinai su di lei che, con gli occhi chiusi, tentò di scacciarmi debolmente con una mano.    «Vuoi che rimanga qui?» Qualcuno doveva pur farlo, se non lo faceva Malachi.
   Mel parve esitare di nuovo e fece una smorfia. «Sì.»
  Mi sedetti al suo fianco, la schiena contro la vasca da bagno che occupava una parete intera. «Come va fin ora? Hai già fatto qualcosa?»
   «Sì. Due volte.»
   «E hai ancora nausea?»
   «No, un po’ è passata… Va e viene.» Melany si portò una mano alla fronte e sussurrò qualcosa come ‘Oh Cristo’.
   «Se ti arriva il vomito… fallo, davvero», le consigliai. «E’ meglio così fidati, poi starai bene.» Passò almeno mezz’ora e siccome Mel non accusava altri sintomi mi arrischiai a portarle un bicchiere d’acqua per sciacquarsi la bocca. Lei eseguì e poi si appoggiò alla mia spalla, sospirando con gli occhi chiusi.
   «Ben», chiamò con voce sottile.
   «Sì?»
   «Mi dispiace se sono stata antipatica con te.»
   «Oh, non importa», dissi leggermente sconsolato. Il mio sogno di dormire si affievoliva sempre di più. Sperai di non dover stare a sentire Melany che mi rivelava i suoi più oscuri segreti in preda al dopo sbornia.
   «Anche a Malachi dispiace.»
   Ne dubitavo. «Già.» Rimasi un po’ in silenzio. «A proposito di Malachi: lui come sta?»
   «Bene… più o meno.» Melany cominciò a ridacchiare ad occhi chiusi, convulsamente. «E’ uno scemo, non sarebbe dovuto salire su quell’affare dopo il quarto hot dog, e dopo aver bevuto quella roba con quella… roba dentro. Gli è costata un occhio della testa», sussurrò piano.
   Mi si drizzarono i capelli sulla nuca. «Che cosa?», domandai ad alta voce voltandomi verso Mel. «Che cos’ha bevuto?»
   «Ha bevuto del vino, con dentro una cosa… che gli ha dato… coso.»
 Inutile parlare con lei, si vedeva che stava per addormentarsi, ma me la stavo facendo sotto dalla paura e dovevo sapere assolutamente che cosa fosse successo. «Chi? Cosa gli ha dato?», insistei.
   «Una cosa… una pillolina… che ne so io…»
   Mi alzai di scatto e tirai su Melany con me, che era talmente stanca che non ebbe nemmeno la forza di protestare. La trasportai di peso a letto e ve la lasciai, raggiungendo Malachi che si era spostato sul pavimento e guardava il soffitto senza dire una parola. I suoi occhi erano grandi e le pupille dilatate. Mi spaventò. «Malachi che cos’hai fatto? Che cos’hai preso?», domandai.
   Lui si volse verso di me mi guardò con occhi vacui. Poi si alzò e disse: «Niente. Niente, abbiamo solo bevuto un po’.»
  «Stronzate!», dissi in modo più duro di quanto lo volessi, «Me l’ha detto Melany.» Feci una pausa e mi passai le mani sul viso. «Senti… dimmi solo una cosa», mi inginocchiai sul pavimento e lo guardai in quegli occhi strani, «Qualsiasi cosa fosse… l’ha presa anche lei?».
   Malachi distolse lo sguardo dal mio. «No.»
  «Malachi!», lo costrinsi a guardarmi, «Davvero?», domandai serio. Tenevo gli occhi spalancati e non me ne rendevo nemmeno conto. Dentro di me ero terrorizzato, ma la confusione si era trasformata in un rumore sordo che non mi faceva capire nulla.
   Malachi si alzò infastidito. «No ti ho detto.» Mi scacciò con la mano e se ne andò dall’altra parte della stanza biascicando qualcosa come “stronzo”.
   «Che cosa?!», strillai ancora io, più incazzato di quanto volessi sembrare. In fondo, perché prendersela con uno stupido ragazzino di quindici anni?
   Raggiunsi Malachi a passi lunghi e veloci e lui si voltò. Per tutta risposta disse qualcosa a cui non diedi peso in quell’istante: «Tu non capisci un cazzo. E’ da tutto il tempo che siamo qui che si agita come una pazza per te e… è fatica sprecata, tu nemmeno te ne accorgi», aggiunse scrollando le spalle.
   In quel momento presi una decisione veloce. «Dammi il tuo cellulare.»
   Lui si volse verso di me. «Perché?»
   «Dammelo.»
   «No.»
   «Malachi, ‘sta zitto per una volta e fa quel che ti dico! Dammi il tuo cazzo di cellulare», sillabai tendendo la mano.
  Malachi pareva non aver voglia nemmeno di ribattere. Indicò con gesto molle il tavolino e biascicò un: «E’ lì, prenditelo se lo vuoi».
Non me lo feci ripetere. Lo presi e mi chiusi nel bagno, cercando il numero di casa nella rubrica. Mi rispose una voce femminile che pareva alquanto seccata. «Pronto?»
   «Pronto sono Benjamin Barnes, sono qui a New York con suo figlio Malachi.»
   Dall’altra parte c’era silenzio. Un brusio indistinto e poi: «Chi è lei?».
   Confuso, ripetei: «Sono- Sono Benjamin Barnes, ho accompagnato io vostro figlio a New York. Vostro figlio Malachi. Voi siete i suoi genitori vero? E’ qui con me, assieme alla sua ragazza Melany». Un dubbio atroce mi si insinuò sottopelle.
   «Mio figlio Malachi è a casa della sua ragazza, assieme a lei e a sua madre Tess.»
   Perfetto. «Mi spiace informarla signora… che non è così», dissi lentamente. «Io sono il fidanzato di Tess. Ho portato Melany in vacanza a New York e le ho detto che poteva invitare qualcuno se voleva. Vostro figlio è con noi al momento. Ha detto che poteva venire, ha detto… che per voi andava bene. Non ha parlato con Tess? Lei ha detto di aver parlato con la madre di Malachi, al telefono.»
   La donna dall’altra parte scambiava parole con qualcun altro. «Mi passi Malachi», disse poi con voce dura.
   «D’accordo.» Tornai nella stanza e porsi a Malachi il cellulare. «E’ tua madre», dissi con voce secca. Lui impallidì, sgranò gli occhi e mi osservò con odio. Prese il telefono e si rinchiuse nel bagno.

   Per farla breve, fu una lunga nottata.
  Scoprimmo che Tess non si era mai messa d’accordo con la madre di Malachi per telefono, ma lo aveva fatto con sua sorella maggiore, la quale aveva acconsentito a reggere il gioco a Malachi finché non fosse tornato. Il mattino dopo un uomo dai capelli bianchi e grigi vestito in giacca e cravatta venne a prendere Malachi e si scusò profondamente per tutto quel che aveva combinato. Fui certo di lasciarlo al padre quando Malachi si chiuse in un mutismo da troglodita e non ne uscì se non per dirmi di salutargli Melany. Dormii per quattro ore e alle undici ero nello studio radiofonico di Radio Live Explosive per un’intervista. Avevo lasciato un biglietto a Melany nel quale le dicevo di rimanere in camera, non preoccuparsi per l’assenza di Malachi e chiamare sua madre non appena si fosse svegliata. Avevo avvisato Tess su quel che era successo con Malachi, ma avevo glissato sul fatto che i due fossero ubriachi e uno di loro anche fatto, e Tess era rimasta perplessa e un po’ delusa. Appena dopo essere uscito dagli studi radiofonici andai a fare un’intervista con un giornalista che, per fortuna, fu abbastanza comprensibile e notò che non ero dell’umore adatto. Così tutto fu tranquillo, niente domande impegnative, e me ne tornai in hotel per le cinque del pomeriggio. Quando entrai vidi che Melany aveva ordinato da mangiare ma aveva lasciato tutto lì, poi si vede che si era rimessa a dormire, perché la trovai nel letto rannicchiata sotto le coperte. Mi gettai nel letto ad una piazza e mi addormentai all’istante.

  Quando mi svegliai vidi che Melany si era alzata e aveva fatto una doccia. Stava seduta su una delle poltrone con addosso il pigiama e guardava fuori dalla finestra con le cuffie nelle orecchie e l’asciugamano arrotolato sui capelli. Non avevo voglia di parlare con lei in quel momento, così mi infilai nel bagno senza farmi vedere e feci una doccia. Quando uscii Melany stava seduta a terra al tavolino basso. Aveva abbandonato l’asciugamano sul letto e i capelli le ricadevano umidi sulle spalle. Scarabocchiava qualcosa su un foglio, un disegno non troppo elaborato né convinto. Quando alzò gli occhi e mi vide qualcosa a metà fra l’imbarazzo e il rimorso le passò sul viso. «Ciao», disse con voce appena udibile.
   Sedetti di fronte a lei e mi appoggiai con i gomiti al tavolino di vetro. «Ciao.» Restammo un attimo in silenzio finché lei non prese parola:
   «S-senti Ben… mi dispiace un sacco per quello che è successo. Davvero. Io non lo sapevo, credevo che Malachi avesse il permesso, te lo giuro!», cominciò a dire precipitosamente.
   Le feci cenno con un braccio di calmarsi e annuii. «Lo so. Non c’è bisogno che chiedi scusa.» Sorrisi. «Come ti senti?»
  «Meglio, grazie.» Melany aggottò le sopracciglia e parve ad un tratto combattuta. «Ben, se ti chiedo una cosa… tu mi risponderai con la massima sincerità, non è vero?»
   «Sì, certo.»
   Mel prese un grosso sospiro. «Vuoi lasciare Tess?»
   Fra tutto quel che poteva chiedermi quella era l’ultima cosa che mi ero aspettato. «Cosa?», riuscii solo a domandare.
   «Rispondi», ingiunse Melany decisa.
   «Ma no», dissi io in fretta, smarrito. «Perché me lo chiedi?»
  All’improvviso parve incerta. «Io credevo che tu volessi. Quel discorso che mi hai fatto in aereo; ci ho pensato un sacco. Mi hai chiesto se io sarei rimasta vicino ad una persona a cui volevo bene, anche se mi causava problemi, e tutte quelle robe lì.» Ritrovò la sicurezza perduta. «Parlavi di Tess, non è vero?» Tentai di replicare ma lei non me ne diede il tempo. «Avanti dillo! Lo puoi dire; non mi offendo, davvero. Insomma», fece una risata sardonica che di allegro non aveva un bel niente, «tanto lo so che sono solo una gran rottura di scatole per tutti voi. Volete solo… cose semplici e niente problemi e…»
  «Melany di chi stai parlando?», la interruppi a forza prendendole le mani che continuavano a gesticolare in ampi movimenti nervosi e facendogliele abbassare.
  «Dico solo… che se vuoi lasciare Tess per colpa mia, perché sono un problema», aggiunse sottolineando le ultime due parole e liberandosi rabbiosamente dalla mia stretta, «potresti anche farlo senza venire a chiedere consiglio a me! Durante un volo in aereo!»
  «Ma io no stavo parlando di quello!» Alzai la voce anch’io per farmi sentire attraverso le sue urla senza senso. «Io non voglio lasciare Tess!»
   «Ah, e allora di cosa parlavi?!»
   «Di Malachi!»
   Il silenzio piombò nella stanza all’improvviso e Melany parve essere stata colpita da un fulmine. Si zittì completamente e rimase rigida sul posto, a guardarmi con gli occhi spalancati. Infine parve afflosciarsi e farsi più stanca. Non disse niente e non mi guardò più. Io mi spostai dalla mia posizione di fronte a lei e la affiancai, passandole una mano sulle spalle. «Melany… non voglio lasciare Tess, e se mai un giorno succederà che ci vorremmo lasciare non sarà di sicuro per colpa tua.»
   La voce di Melany tremò quando lo chiese: «Sei innamorato di lei?».
   «Sì», dissi senza esitazione. Ero sicuro che fosse una risposta adatta, che le avrebbe fatto piacere. In più era assolutamente vero e credevo che volesse solo sapere se io ero sincero con Tess. Abbassai lo sguardo verso Mel cercando segni di uno dei suoi sorrisi maligni, ma notai che grosse lacrime le solcavano il viso. Mi guardò negli occhi e quando parlò non credetti a quel che diceva.
   «E di me non sei innamorato neanche un po’?»
   Il cervello mi si era inceppato. Avevo l’impressione di essermi perso qualcosa. «Come?», domandai con voce flebile, e non riuscivo a staccare gli occhi dai suoi.
   «Ti ho chiesto», Melany mandò giù della saliva a fatica, potevo quasi sentire io stesso il groppo che le faceva male in gola, «se per caso non sei innamorato anche di me, oltre che di mamma. O se vuoi bene solo a lei, perché nessuno dei ragazzi che mamma aveva avuto fino ad ora si era interessato anche a me come hai fatto tu.» Melany fece qualche singhiozzo e continuò a parlare a fatica, gesticolando e con il viso rosso di pianto. «Tu mi chiedi come sto, cosa faccio, cosa mi piace... E nessuno oltre Tess l’aveva mai fatto, nessuno di grande, un adulto. Però quando te lo chiedo tu dici sempre che stai con me solo perché te lo ha chiesto lei, come per i c-compiti. E quindi… i-io penso che non lo fai perché ti fa piacere stare anche un po’ con me, lo f-fai solo perché te le ha chiesto lei. E credi che in fondo sarebbe meglio che io non ci fossi affatto, così potresti stare solo con Tess.» Melany terminò di parlare a fatica e subito dopo iniziò a piangere silenziosamente. Io mi sentii un idiota.
  Anche se non avrei dovuto, mi rilassai. Se inizialmente pensavo che era successo un casino, che c’era una qualche sorta di triangolo amoroso leggermente imbarazzante e anche illegittimo, mi sbagliavo. Melany aveva passato tutti questi mesi a sperare che io mi affezionassi a lei. Tutti i suoi discorsi, le domande, gli atteggiamenti che aveva con me, all’improvviso acquistarono un senso. E mi resi conto che anche ciò che avevo fatto e detto io aveva avuto un peso enorme su tutta quella faccenda. Perché mi ero interessato tanto, in fin dei conti? Forse perché volevo che avessimo un ben rapporto solo perché Tess fosse felice, o forse perché non mi andava di litigare sempre con lei e dover essere costretto a vederlo. Si, magari all’inizio era così, ma poi ovviamente mi ero affezionato a Melany. Anche se tentava sempre di farmi la guerra, anche se si agitava in continuazione. Le volevo davvero bene.
   Ma cosa voleva Mel da me? Che le dicessi che le volevo bene come a Tess, che fossi… cosa? Che diventassi suo padre? Non ne aveva mai avuto uno, come poteva passarmi per la testa che ne volesse proprio uno come me? E poi io non ero capace di farlo, non sapevo come si faceva, non ci avevo mai neanche pensato. Era una faccenda surreale, credevo che mi odiasse invece voleva solo delle attenzioni, come ogni altro ragazzo della sua età in fin dei conti. Voleva che il fidanzato di sua madre diventasse qualcosa anche per lei, solo che a lei non serviva un fidanzato, le serviva una figura paterna. Ma ti può servire dopo tutti questi anni senza? Ma io che ne sapevo? Perché non me lo aveva detto subito? La cosa si sarebbe risolta molto meglio e molto più presto. “Senti Ben, non è che ti andrebbe di mettere su un bel rapporto padre-figlia nel frattempo che mi aiuti nel tema?”, ecco, avrebbe potuto dire così. Io non sono bravo a capire queste cose non dette. Io amo Tess, è così, ma…
   In quel momento ci pensai davvero seriamente: cosa sentivo per Melany? Era solo una palla al piede per me? O magari in fondo mi stava simpatica… Era difficile scoprirlo in due minuti, ma immaginavo di doverlo fare, per lo meno per impedirle di trasformare la stanza nel Windermere.
  «Io credo che non mi sarei mai innamorato di Tess se non ci fossi stata tu.» Melany alzò gli occhi rossi e gonfi e mi osservò smarrita. «Tess è quello che è anche grazie a te, e se tu non ci fossi sarebbe una persona completamente diversa, e io forse non le avrei mai nemmeno parlato.» Feci una pausa, mi umettai le labbra. «E anche se all’inizio litigavamo, io mi diverto un sacco con te, lo sai? E’ bello aiutarti a fare i compiti e anche- anche mangiare fuori assieme e parlare. Anche se dici cose stupide o cattive… verso di me, la maggior parte delle volte.
  «Comunque sia… tu sei una persona bellissima, tu riesci a vedere sempre il meglio negli altri, e sai fare quel gioco con le mani dove sembra che ti stacchi il dito e io non lo so fare, ti piacciono un sacco di cose che piacciono anche a me. Cioè dài, mi sembra di conoscerti almeno un po’, e mi piaci! Sono felice di averti conosciuta. Sono felicissimo di aver conosciuto tutte e due, tu e tua madre. E…», sospirai e strinsi Mel più forte, come rassegnato alla dichiarazione che stavo per fare, ma diceva qualcosa di vero «sì… io amo tutte e due.»
   Melany mi strinse in uno degli abbracci più sinceri che avessi mai ricevuto.




















Buona Domenica a tutti!
Allora, questo capitolo mi sembra così drammatico che sono stata incerta se postarlo così o cambiarlo e farlo un po' più leggero. La fanfiction è già scritta, ma mi chiedevo se avessi esagerato con il dramma e se non fosse il caso di ridurlo.
Cooomunque, alla fine abbiamo scoperto che Mel in realtà si è affezionata a Ben, solo che il suo modo di fare era un po' ingannevole (non si può biasimare il povero Ben se non l'ha capito! xD).
Mah, non so... continua a sambrarmi così drammatico... Ma non vi preoccupate, nel prossimo ci risolleviamo, prometto!
Insultate pure Malachi, fate fate! Lo insulto anche io che l'ho creato xD
Un saluto a tutti,
Patrizia
   
 
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