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Autore: soul_in the night    19/02/2012    0 recensioni
Siamo noi a scrivere il nostro destino, ma è davvero così quando si hanno solo diciotto anni e una sorellina a cui badare? Diana scapperà a Londra per fuggire da una vita che l'ha sempre fatta soffrire e lì, nella città dei suoi sogni, incontrerà i cinque angeli che la facevano piangere con le loro voci. Conoscerà l'amore e scoprirà la vera se stessa.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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L’aereo atterrò con un tonfo rassicurante sul suolo impregnato di pioggia dell’aeroporto di Londra.  Dopo due ore di volo mi sentivo intorpidita, ma anche felice, perché finalmente potevo realizzare il mio più grande sogno. Mi tolsi le cuffie dalle orecchie mentre la voce del capitano annunciava l’atterraggio; a malincuore spensi la musica che mi aveva tenuto compagnia per tutto il viaggio, ma le ultime parole che sentii, faticarono a uscire dalla mia mente: it’s gotta be you.  Avevo conosciuto da poco gli One Direction, grazie all’amore apparentemente illogico che una mia amica provava per loro. Avevo visto molte foto, ma mi ero rifiutata di farmeli piacere prima di aver ascoltato le loro canzoni: così avevo sentito le loro splendide voci e, lo ammetto, me ne ero innamorata anch’io. Avevo reso la loro musica, colonna sonora del libro che stavo cercando di scrivere, oltre che della mia vita. Grazie a loro la mia vita sembrava essere quella di una spensierata ragazzina di quindici anni. Poi però la realtà era tornata in tutta la sua durezza.
Successe il giorno del mio diciottesimo compleanno, poco più di una settimana fa. Non avevo organizzato niente, solo un’uscita in pizzeria con le mie più care amiche. Mi ero divertita come una pazza, avevo scherzato, avevo ascoltato la musica e mi ero messa a ballare nella sala privata che avevamo riservato. Stavamo facendo alcune foto quando una maledetta telefonata aveva interrotto tutto: la voce della mia sorellina, rotta dal pianto, mi pregò di tornare subito a casa. Io la ascoltai, senza farmi domande: pagai il conto e presi il primo autobus che, dal centro di Milano, portava alla periferia in cui abitavo. Arrivata in casa, sentii gli strilli della mia amata sorella e le urla dei miei genitori. O meglio, di mio padre e di quella strega che aveva cercato di prendere il posto di mia madre. La mia mamma, la mia vera mamma, ci aveva lasciati tanto tempo prima, abbandonando me e Leila a nostro padre. Lui non aveva certo tardato a trovarsi un’altra donna, che probabilmente aveva già e a cambiare radicalmente le nostre vite, facendoci trasferire dal nostro paese sulle montagne all’enorme e caotica città che è Milano. Di mio mi era rimasto veramente solo il computer, dove nascondevo le mie storie, la musica che avevo bisogno di ascoltare e tutte quelle foto che raccontavano una vita felice e passata. Quella sera, capii che non avrei sopportato ancora a lungo quella situazione. Inoltre le parole che erano volate in casa avevano contribuito a rendere più chiara la mia decisione. Bastarono pochi giorni: attingendo ai fondi che avevo messo da parte dopo la pubblicazione del mio primo libro, avevo affittato una piccola casa a Londra e mi ero pagata due biglietti aerei. Grazie ad alcuni contatti e portando alcune prove schiaccianti, ero riuscita ad ottenere l’affido temporaneo della piccola Leila, oltre che trovarmi un lavoro presso un giornale londinese. Il mio talento per la scrittura a soli diciotto anni era straordinario e per una volta fui ben felice di sfruttarlo. Iscrivere la mia sorellina a una scuola inglese, assistenza linguistica compresa, in confronto fu più difficile che poter portarla via con me. Molte tra le persone che mi conoscevano, mi chiesero il perché di una scelta così drastica. La risposta fu semplice: volevo ricordare a Leila le nostre origini. Sì, perché nostra madre era inglese, nata in una cittadina di poche centinaia di abitanti chiamata Holmes Chapel. Dal canto mio avevo scelto Londra perché, nonostante fosse troppo affollata per i miei gusti, mi avrebbe offerto molte più possibilità di lavoro.
-Sveglia, tesoro, siamo arrivate-.
Scossi dolcemente le spalle della bambina, cercando di svegliarla. Lei aprì i suoi occhi castani, ancora appiccicati dal sonno. Assomigliava terribilmente a mio padre, non come me: io ero tutta mia madre. Avevo lunghi capelli neri e occhi color nebbia; la mia pelle era pallida, quasi diafana, per quello non mi piaceva il caldo sole italiano: mi bruciavo anche solo dopo due minuti. Ero alta e magra, atletica, benché preferissi una giornata passata a scrivere al computer piuttosto che giocare a pallavolo come Anne, la mia migliore amica.
-Siamo già arrivate, Diana?-
-Sì, piccola mia. Vedi, tra poco saremo a casa-.
La presi per mano ed insieme scendemmo dall’aereo. Ai poliziotti all’uscita del gate mostrai i nostri passaporti nuovi di zecca e mentalmente ringraziai il mio passato di giornalista, che mi aveva fruttato credibilità e l’amicizia di molti funzionari importanti.
Mentre uscivamo dall’aeroporto, sbirciai l’espressione di mia sorella: sembrava felice, osservava il caos di Londra con aria curiosa ed estasiata. Aveva sempre considerato l’estensione di Milano come una gabbia, ma Londra era diversa, piena di vita e di strane persone. Aspettammo un taxi e, con il mio inglese non perfetto ma quasi, chiesi all’autista di portarci alla nostra nuova casa. Vidi Leila fissarmi con aria concentrata: come tutti i bambini aveva studiato inglese a scuola e la nostra mamma quando eravamo piccole ci parlava spesso nella sua lingua. In quel momento stava sforzando tutta la sua memoria per essere alla mia altezza; sentii il fortissimo impulso di dirle che non era necessario, che lei era fantastica così com’era. Ovviamente fui interrotta dallo squillo del telefonino:you're insecure, don’t know what for… Era Elena, la mia migliore amica, quella che mi aveva fatto conoscere gli One Direction.
-Pronto, Ele. Ma sei impazzita a chiamarmi già? Non lo sai che costa un capitale?-
-Cosa vuoi che me ne importi del capitale? Io voglio sapere se la mia migliore amica è arrivata sana e salva a Londra-.
Vedete, Elena ha una paura terribile degli aerei, prima di partire mi ha raccomandato di tenermi un paracadute vicino e di chiamarla appena arrivata a Londra. Era buffissima così apprensiva, con la sua voce acuta e dolcissima e l’espressione da adolescente scatenata. Eravamo molto diverse io e lei, ma non m’interessava: la adoravo lo stesso.
-Tu sei pazza, Ele. Comunque sì, va tutto bene. Amo Londra e sembra piacere anche alla piccola Leila-. Risi, immaginandomi i pensieri di mia sorella: Didi, io non sono piccola.
-Come sei fortunata, Didi, non sai quanto vorrei essere al tuo posto. Hai un lavoro splendido, sei bravissima e ora vivrai a Londra. Ma, cosa più importante, potresti incontrare gli One Direction per strada- Si mise a strillare come un’ossessa, al punto che dovetti allontanare il telefonino dalle orecchie.
Leila sorrise e anche l’autista ebbe un ghigno. Lanciai un’occhiata di scuse per il comportamento della mia amica.
-Sarebbe un sogno, ma tanto lo sai che è impossibile. Ora vado tesoro, siamo quasi arrivate. Ti chiamo domani se ti va?-
-Certo che mi va, Didi, che domande mi fai? Comunque non credo che sia così impossibile. A domani tesorino, ti voglio bene.-
Chiusi la telefonata, proprio mentre il taxi parcheggiava di fronte a un condominio moderno nel centro della città. L’autista in modo gentile mi aiutò a scaricare le cinque tra borse e valigie che c’eravamo portate dall’Italia; mentre lo pagavo con alcune sterline che avevo cambiato prima di partire, mi disse: - Sei una fan degli One Direction, eh? Se fossi in te, terrei gli occhi ben aperti. Non è così impensabile incontrarli a spasso per Londra. Tra l’altro abitano a pochi isolati da qui-.
Rimasi sorpresa da quelle parole, così la mia risposta intelligente fu:- Ah, beh grazie-.
La mia prima figuraccia inglese, da brava straniera ho dato l’impressione di non aver capito una parola di quello che ha detto. Invece avevo capito alla perfezione e una parte del mio cuore, quella che si dava ancora il lusso di comportarsi come un’adolescente, già si faceva scenette mentali di un possibile incontro con i miei idoli.
 

 

***

 
 
Naturalmente dovetti tornare a comportarmi da sorella maggiore solo pochi minuti dopo, quando la piccola Leila, si mise a piangere davanti all’ascensore. Sapevo che ne aveva sempre avuto paura, ma il nostro appartamento si trovava all’ultimo piano e portare tutte le nostre borse per le scale era praticamente impensabile. Così, pregando ardentemente che funzionasse anche con me, mi misi a cantare la canzone che da sempre mia madre le cantava quando era spaventata. Lei mi abbracciò, ma poi, docile, entrò nell’ascensore, aspettando che prendessi tutte le valigie.
Aperta la porta dell’abitazione, rimasi stupita dalla bellezza di quel posto: ero riuscita a trovare una delle poche case a mansarda di tutta Londra. Subito dopo l’ingresso c’era un salotto ben arredato, con un televisore al plasma, due divani blu notte e due grandi porte finestre che davano su un piccolo balconcino. La cucina era piccola, ma ben fornita: il proprietario, sapendo che saremmo arrivate stanche, ci aveva lasciato nel frigorifero una bottiglia di latte e un po’ di pane e pasta nella dispensa. Era abbastanza per la cena, ma il giorno dopo, dopo il lavoro, sarei dovuta andare a comprare qualcosa. Speravo di trovare della passata di pomodoro e qualcos’altro di simile al cibo italiano, per fare sentire Leila meno spaesata. 
Infine c’erano due stanze da letto: la più piccola aveva le pareti rosa pastello e un letto singolo nel mezzo, poco lontano da una scrivania da bambino. C’era anche un piccolo televisore e le tende alle finestre erano in tema con il resto. La mia sorellina sorrise e si buttò sul letto: la camera le piaceva, era esattamente come quella che aveva sempre sognato. Appoggiai a terra le sue valigie, promettendole che sarei tornata presto per aiutarla a disfarle. Poi andai verso la mia stanza: era bellissima. Al centro, colpito dalla luce delle due finestre, c’era un letto matrimoniale, nascosto da una tendina trasparente. Un armadio nero lucente era vicino alla porta, di fianco ad un camino ornamentale. Una scrivania bianca metallizzata stava sotto una finestra da cui potevo intravedere il London Eye. Era davvero una stanza molto carina, ma avrei dovuto renderla mia. Così mi misi al lavoro. Buttai le borse sul letto e aprì la tracolla con la bandiera inglese. Misi sul caminetto e sulle mensole alcune foto scattate con le mie amiche, con mia sorella e con mia mamma. Presi il computer e l’iPod e li misi a caricare sulla scrivania. I libri trovarono posto in una libreria ad angolo, insieme ai cd. Infine presi un poster, l’unico che ero riuscita a conservare intero e lo appesi sopra al camino, proprio di fronte al letto. Così, svegliandomi, avrei visto come prima cosa quei cinque meravigliosi ragazzi che mi fissavano.

 

 
Angolo dell’autrice.
Molto piacere, sono Soul.
Mi conoscerete solo così per tutta la lunghezza di questa ff, che spero vivamente di portare a  termine. Allora, proprio come Diana ho conosciuto gli One Direction grazie a una mia amica e me ne sono immediatamente innamorata. Non ho un preferito perché credo che tutti e cinque siano meravigliosi allo stesso modo, ma il protagonista sarà quello che mi ha colpita più di tutti, ovvero… no lo scoprirete da soli se continuerete a leggermi. è la mia prima storia in questo fandom, quindi siate clementi. Le recensioni però sono ben accette… ma che sto dicendo?! Recensite, recensite, recensite, non vedo l’ora di leggere le vostre opinioni. 

  
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