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Autore: ignorance    20/02/2012    10 recensioni
“E comunque, quel coso è di un colore che non è nemmeno definibile come tale” [...]
“Malfoy, non sono un idiota, se è questo che stai pensando”

Drarry.
Genere: Commedia, Demenziale, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter | Coppie: Draco/Harry
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Commenti dell'autrice: pubblicare questa fanfiction per me è terribilmente deleterio. No, davvero, non vi rendete conto. È stata partorita giusto ieri sera, con un mal di testa assurdo e un'idea ancor più assurda. Sotto consiglio di una donnina meravigliosa, comunque, che se l'è pazientemente sorbita per prima, la pubblico. All'istante. Non vi aspettate niente, come al solito, ma piuttosto fatevi un giretto sulla mia deserta pagina Facebook.
I commenti sono estremamente graditi.
Disclaimers: i personaggi non mi appartengono e blablabla.

A Human_, anche se Draco è già bellamente occupato magari qualcosina di lieve ci sta, ecco. Ma non t'illudere, la Drarry è for evah end evah, 1111!11!!!!



***



“Ho un debole per le tette, Potter, mi spiace”, lo liquidò con un gesto della mano, quando si presentò nel suo ufficio, alle dieci del mattino, per nulla sbarbato e con la prima cosa che gli era capitata sotto mano indosso: in questo caso, un paio di jeans terribilmente sdruciti e una felpa dal colore orribile che non sapeva nemmeno di avere.

“E comunque, quel coso è di un colore che non è nemmeno definibile come tale”, commentò poi, lanciandogli un'occhiata disgustata e tornando a battere al computer.

Seguirono due lunghi istanti di silenzio.

“Cos'è, sei scemo? Tette, Potter, ti ho detto che mi piacciono le tette.” Draco smise di battere idiozie al computer e si posò le mani sul grembo, guardandolo come si guarderebbe un'idiota che si presenta nel tuo ufficio, alle dieci del mattino, conciato come un barbone di bassa lega, e non fa altro che fissarti boccheggiando. Cosa che, in effetti, era.

Draco cominciò seriamente a preoccuparsi. Non per Potter, per l'amor del cielo, ma per la sua esimia persona e, soprattutto, il suo ufficio. Il tappeto persiano in primis; che non provasse a vomitare!

“Non starai per vomitare, Potter, spero.”, disse. Avrebbe potuto sembrare una cosa carina da dire, se letta su di un rapporto. Peccato che quel tono autoritario la tramutasse in un ammonimento. Un serissimo ammonimento.

Potter lo fissò e basta. “Mio Dio, hai perso l'uso della parola? Puoi andare, comunque”, sbottò Draco, infastidito da quel silenzio prolungato. Che Potter andasse a fare mutismo altrove, doveva lavorare. Lo disse, tra le righe, riprendendo a battere il suo rapporto con le lunghe dita.

Che Potter, per la cronaca, non cogliesse le cose dette tra le righe era ovvio. Più che ovvio, visto che rimase lì, fermo, a fissarlo.

“Potter, potresti andartene? Sentirmi osservato mi piace, solitamente, ma mi metti ansia”, fece Malfoy, piuttosto innervosito. “Sai, devo scrivere questo rapporto. Che, tra parentesi, dovrò consegnare a te, dato che sei il Ministro della Magia eccetera eccetera.”, cianciò, tagliente. “A meno che tu sia venuto qui a dirmi che mi dispensi dallo scrivere rapporti per il resto della mia vita” Draco smise di scrivere e si sporse sulla scrivania, con un sorriso ferino.

“No”, fu l'unica cosa che uscì dalle labbra dannatamente carnose di Potter. Labbra che Draco osservò per un lungo istante, indeciso. Buttare fuori a pedate dal priprio ufficio il Ministro della Magia non era lungimirante, decisamente. Meglio adottare un tono svagato e chiedergli una diamine di cosa a caso.

“Be', bel tempo, eh?”, buttò lì, sentendosi terribilmente ridicolo. In effetti, guardando fuori dalla finestra, si accorse che pioveva. Oh, al diavolo. Il rapporto doveva scriverlo lo stesso, tanto. Rimise le dita sulla tastiera e ricominciò a scrivere, piuttosto seccato. Sentiva lo sguardo di Potter, quegli occhi dannatamente verdi conficcati su di lui, e la cosa lo inquietava. Per quanto aveva intenzione di fissarlo e basta, senza fare niente?

Il silenzio, rotto solo dal ticchettio dei tasti sotto le sue dita, era assordante. Era totalmente impossibile stendere il suo rapporto così, in quel teso mutismo, decise. Quindi si appoggiò allo schienale della sedia girevole, paurosamente scomoda, tra le altre cose, che emise un basso e ovattato 'puff'.

Malfoy guardò, per la terza volta da quando era entrato, il Ministro della Magia. A parte l'abbigliamento discutibile, la barba di due giorni e i capelli a mo' di nido di cicogna, una luce terribile brillava nel suo sguardo. Draco non aveva mai creduto nell'idiozia degli “occhi brillanti”, la trovava un idiotico espediente da romanzetto scadente, ma gli occhi di Potter ardevano.

Erano l'unica nota lucente del suo volto, l'unico particolare per cui si sarebbe detto un uomo vivo. Quegli stupidi occhi ardevano, e lo fissavano insistentemente. Le labbra erano serrate morbidamente, l'espressione generale del viso un'impenetrabile assenza di emozioni. Non si sarebbe detto interessato a qualcosa in particolare o altro, ma semplicemente un osservatore pacato che s'incanta a fissare il vuoto. Se non fosse stato per quelle due macchie di colore, braci di un fuoco ignoto che lo scrutavano.

Ora, a parte le varie sensazione contrastanti che quell'uomo gli provocava, tra cui odio e fastidio di sicuro, spuntava dal nulla una sorta di soggezione che lo rendeva teso come una corda di violino. Adesso che ci pensava, una delle altre due volte in cui aveva visto quello sguardo, e aveva sperato in entrambe le situazioni che fosse l'ultima, era stato al processo.

Anni prima, sotto lo sguardo inquisitore dell'intero Wizengamot, Draco si era trovato a rispecchiarsi in quei due enormi occhi verdi, legato ad una sedia e legato a quello sguardo bruciante, mentre Harry Potter, il Bambino-Che-È-Sopravvissuto, dopo aver sconfitto il mago più potente del mondo, proclamava con sicurezza che “Draco Malfoy è innocente”.

Avere dalla sua parte Potter avrebbe dovuto essere inspiegabile, ed invece ecco quei due occhi, che lo guardavano dall'alto, per niente insicuri o delusi, che gli scavavano dentro e gli dicevano che era così che doveva andare. La cosa più imbarazzante, aveva ormai ammesso a se stesso, era che non erano le catene a tenerlo fermo, bensì quello sguardo che lo inchiodava, lo paralizzava, ed era così totalizzante l'annichilimento che ne ricavava da lasciarlo confuso. Non che l'avrebbe mai detto ad alta voce a chicchessia, sia chiaro.

E poi, ancora, quella sera.

Musica. Luci stroboscopiche, una marea di gente che preme da ogni parte, spalle contro spalle, sudore che scende copioso lungo le tempie, pantaloni attillati e sguardi provocanti.

“Draco, che diavolo fai lì imbambolato? Vieni a sederti con noi!” la voce di Blaise che lo richiama da un momento di confusione, da un leggero mancamento. Ha bevuto troppo, decisamente.

Si dirige verso il tavolo, a fatica, lottando con la gente, nuotando controcorrente, e si siede miracolosamente sul pouff. Blaise gli lancia un'occhiata divertita. “Ehi, Draco, sembri un po' più che brillo”, lo blandisce, mentre gli altri ridacchiano.

“Oh, sta' zitto”, biascica a fatica, scuotendo la testa per rinsavire. Clamoroso errore. La vista gli si annebbia per uno o due attimi di troppo, e ha un orribile bisogno di vomitare. “Bagno”, articola, alzandosi di scatto. Non può crederci, che idiozia.

Quasi corre verso il bagno, spintonando un paio di persone, che gli indirizzano insulti di vario tipo, ma non è che gli importi poi molto, al momento. Quando riesce a sorpassare la porta, l'ambiente bianco gli sembra quasi un oasi miracolosa. Non dà neanche uno sguardo alle altre persone, imbocca il primo cubicolo libero che trova e senza preoccuparsi di chiudere la porta a chiave si aggrappa alla tazza e vomita.

Uno, cinque, dieci minuti dopo, in stato di quasi incoscienza, si sente scrollare da qualcuno. Oh, che diavolo vogliono, stavolta?

Spalanca gli occhi, è indecentemente abbracciato alla tazza del cesso, piena del suo vomito. Si alza, ma rischia di cadere, due braccia robuste se lo tirano contro, cozza contro un petto discretamente muscoloso e si lascia portare fuori dal cubicolo, praticamente di peso.

Il bianco è accecante, e gli occhi si serrano senza sforzo apparente. Oh, Salazar, ma chi sono gli idioti che ideano i bagni delle discoteche? Sente una risata sbuffata contro il suo orecchio e si rende conto di averlo mormorato ad alta voce.

Gli occhi adesso non gli si aprono neanche a pagarli, sembrano incollati con la Pastoia. Agh, ma che stronzata, l'alcol. Un'altra risata, e qualcosa di umido gli si strofina contro la bocca, un fazzolettino, probabilmente.

Una voce roca al suo orecchio. “Draco, ti porto via, okay?” Annuisce senza neanche pensarci. Chi cavolo vuole restare ad annegare nel proprio vomito, in una dannata discoteca?

Le braccia lo stringono e si sente sollevare di peso, stile principessa in pericolo. Non è poi così leggero, dài. La sua testa ciondola, prende un paio di allucinanti testate e poi si decide a cercare il porto sicuro delle spalle del tizio, su cui posa il capo. È caldo. Terribilmente caldo, e profuma.

La musica è assordante, un'orribile cacofonia di suoni elettronici e bum, bum, bum. E l'odore è insopportabile. Insomma, lui ha appena vomitato, di sicuro non profuma, ma il sudore mischiato a qualunque altro tipo di fluido è soffocante. Spinge il naso contro il collo del tizio, che profuma deliziosamente di niente in particolare, è un qualcosa di naturale, crede, e questi lo lascia fare.

Finalmente, l'odore scompare. È aria gelida che gli schiaffeggia la faccia, ed è bellissimo, anche se fa dannatamente freddo. Il tizio si affretta a coprirlo con il suo mantello e lui si accoccola sdegnosamente contro di lui, brontolando qualche protesta disarticolata. Quest'uomo gli sta bastonando l'orgoglio, che diamine.

“Ti porto a casa mia”, gli comunica lo sconosciuto, lasciandolo con un palmo di naso. Vorrebbe protestare, ma la lingua non gli risponde, e poi si sta così bene contro il suo corpo, fa così caldo, è rassicurante da morire; che faccia quello che vuole, decide. Poi, il buio.



Quando si sveglia, il dolore è orribile. È ovunque, un pulsante mal di testa e gli arti indolenziti, però non c'è puzza di vomito ed è caldo. Oh, perlomeno non è rimasto tutta la notte abbracciato a quella dannata tazza, è già qualcosa.

Si tira a sedere, ma gli gira la testa e ricrolla tra i cuscini. Qualcuno ridacchia.

Draco spalanca gli occhi. Pessima idea, come al solito. Il giramento di testa è terribile, ma se non altro ci vede. E quello che vede, ehm, preferirebbe non vedere, decisamente.

“Potter?”, gracchia, e il Ministro della Magia gli sorride, sdegnosamente divertito, con una tazza fumante in mano, un idiotissimo maglione verde con lo scollo a v e dei jeans aderenti.

“Proprio Potter mi doveva capitare?”, borbotta Draco, passandosi una mano sugli occhi, però accetta riconoscente la tazza che gli viene offerta. L'odore è inconfondibile. Caffè. Sia santificato il creatore del caffè, e per oggi anche Potter, via.

Si scola il caffè bollente in un sorso e il mal di testa, magicamente, scompare.

Lo sguardo di Draco si fa sospettoso. “Mi hai avvelenato, Potter?”, sbotta, vagamente preoccupato. Il Ministro si è accomodato ai piedi del letto dentro cui, si accorge, deve aver dormito di recente. Anche l'indolenzimento ai muscoli è miracolosamente sparito.

Potter lo guarda, sorridendo. “Naah. È una pozione per il post-sbornia, credevo ti servisse, ecco, per schiarirti le idee”

Che diavolo, altro che schiarirsi le idee.

“Potter, sei solo indecentemente incline a fare il samaritano o sei proprio idiota?”, chiede Malfoy, ormai in piedi e perfettamente vestito, in una cucina decisamente piccola ma, incredibile, arredata con buon gusto, che ha scoperto essere quella dell'appartamento di Potter. Potter vive in un appartamento, questa poi!

Il Ministro ride semplicemente. È stupido, okay. Non fa altro che ridere e ridere. Non c'è mica così tanto da ridere.

“Sii grato, Malfoy, ti ho raccolto dalla pozza di vomito in cui ti avevano lasciato i tuoi amici e ti ho anche lavato”, lo ammonisce, armeggiando con il fornello a gas, però sorride.

Draco sbatte le ciglia. “I miei amici!” ricorda d'improvviso, scattando in piedi.

Dopo una terribile paternale da parte di Pansy, Draco torna in cucina e trova due piatti fumanti di pasta. Sembrano commestibili, percui si azzarda a sedersi e a scoccare uno sguardo stranito a Potter, che sembra totalmente a suo agio.

“Hum, buon appetito?”, mormora, prendendo in mano la forchetta. Ora che ci pensa, ha davvero fame. E se Potter lo avvelena farà in modo che se ne penta per il resto della sua esistenza.

Potter sorride e mastica tranquillamente la sua pasta. Cos'ha che non va, questo tizio?

È incredibile pensare che di tutte le persone che avrebbero potuto farlo, proprio
Potter lo abbia raccolto e se lo sia portato a casa, ubriaco fradicio e parecchio incline al vomito. O karma o sfiga cosmica, non sa quale delle due. Non solo si è fatto vedere in uno dei suoi momenti peggiori dall'uomo per cui nutre una solida antipatia comprovata, mista ad una qual certa indifferenza - dovuta principalmente alle rare volte in cui ha l'occasione d'incontrarlo -, ma anche dal Ministro della Magia, che, tra le altre cose, è anche il suo datore di lavoro. E poi, che diavolo, è Potter!

“Ehm, grazie”, fa, visibilmente disturbato. Al diavolo, almeno l'educazione! “Per ieri, eh”, chiarisce tagliente, scoccando uno sguardo a Potter, che sorride ancora. “Non ti ho chiesto di aiutarmi, ma l'hai fatto e lo apprezzo”, soggiunge, per calmarsi.

Potter lo guarda e basta. Ha un paio di occhi terribilmente verdi, ci aveva fatto poco caso. E le sue labbra sono indecentemente carnose. Si è fatto la barba, e i suoi capelli neri sembrano incredibilmente morbidi. Non che gli interessi, eh.

È che lo sguardo di Potter gli ricorda qualcosa. Qualcosa che gli fa strizzare lo stomaco, e lo inchioda alla sedia. È uno sguardo annichilente, non sa neanche perché, lo ipnotizza e basta. Sente il bisogno di sfuggire a quello sguardo, così torna a mangiare. “Non male, Potter”, dice, per smorzare la tensione. “Non pensavo sapessi cucinare”

Questi non risponde. Lo guarda e basta. “In verità, pensavo che 'Potter' e 'cucina' fossero due cose totalmente estranee”, confessa Draco, ironico. Vuole solo che la smetta di guardarlo. Dannazione.

“Oh, evidentemente ti sbagliavi” borbotta Potter, vagamente piccato, alzandosi e mettendo il suo piatto nel lavello. Draco tira internamente un sospiro di sollievo.

Quando però il Ministro aggira il tavolo per venirgli vicino, si alza di scatto, allarmato. “Che diavolo, Potter?”, dice, e lui gli schiaccia le labbra sulla bocca.

Draco non ha neanche il tempo di pensare. Si ritrova a rispondere a quel bacio totalmente inaspettato, e le labbra del Golden Boy sono davvero morbide come dice il Settimanale delle Streghe, non che lui lo legga, eh. La lingua del Ministro gli stuzzica le labbra e lui le schiude, sentendola insinuarsi tra i denti e cominciare a muoversi, a venire incontro alla sua e succhiargli via il respiro.

Quando tutto diventa
troppo, troppo, semplicemente, Draco si stacca di botto e prende il suo piatto per metterlo nel lavello. Non gliene frega una minchia se è maleducazione, vuole solo andarsene. “Bene, grazie mille, Potter, ora devo proprio andare.” borbotta, e senza dire altro si Smaterializza.



Lo sguardo di Potter lo innervosiva. Lui era un'idiota patentato, certo. Ma che importa? Potter l'aveva baciato. E lui aveva ricambiato. Ma fosse chiaro, voleva che lo fosse, che a lui piacevano le donne. Al cento per cento. Be', al novantanove virgola novantanove, ma non è che uno zero virgola zero uno per cento valga poi così tanto.

E adesso era lì. Che lo fissava. “Potter, ti ho già detto che m'innervosisci?”, ritentò, a vuoto, deglutendo aria.

Il Ministro annuì. Un cenno di vita!, esultò mentalmente Draco. “Bene”, disse, molto lentamente. Con i duri di comprendonio è così, aveva letto da qualche parte. “Allora... Puoi... Andartene?”

“Malfoy, non sono un idiota, se è questo che stai pensando”

“Toh, ci hai preso!”, sbottò Draco, assottigliando gli occhi. “L'idea che dai è quella, sai com'è”

Potter era troppo ottuso per ricordarsi di essere il Ministro della Magia, pensava Draco. La verità era che loro rivalità era così solida, che persino le cattiverie di Draco gli erano indifferenti. Non gli era mai passato per la mente di licenziare Malfoy, semplicemente perché ormai i suoi insulti erano di routine. E poi si vedevano di rado, una o due frecciatine non lo avrebbero certo ucciso. Anzi, era diverso dalla noia che provava di solito a parlare con i suoi tediosi colleghi. Era diverso e basta.

“Malfoy, sta' un po' zitto”, ingiunse, seccato, corrugando la fronte. “Sto cercando di capire una cosa”

“Oh, e che cosa, di grazia, se mi è permesso chiederlo?”

Potter ci rimuginò un attimo sopra. Si mordicchiò il labbro inferiore, pensosamente, poi gli scoccò quella occhiata. Quella annichilente. “Sto cercando di capire come diavolo ho fatto ad essermi innamorato di te”

“Era una dichiarazione?” Malfoy si alzò dalla sedia e aggirò la scrivania, per trovarsi a faccia a faccia con il Ministro. Storse la bocca e ripeté la domanda.

“Può darsi”, concesse Potter, facendosi avanti.

“Dèi, Potter, fai proprio schifo con le dichiarazioni”, si accigliò. Si sporse e premette le labbra sulle sue. Il Ministro se lo tirò contro e gli aggrovigliò le dita tra i capelli, respirando forte nella sua bocca. “Lo so”, borbottò solo. “Lo so”.

Uno zero virgola zero uno può essere terribilmente importante.

“Potter, tra parentesi, ho ancora un debole per le tette”.

“Be', a questo si può rimediare”.
   
 
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