N/A: Ambientata nel finale di Skin Deep; collegata
alla serie Untold Tale e in particolare alla shot My Wee One.
Ice Cream
«
Allora, Henry, volevo chiederti una cosa » disse Emma mentre insieme s’incamminavano
verso Granny.
Era bello passare un po’ di tempo
con suo figlio dopo che Regina li aveva tenuti separati così a lungo. Henry
le stringeva la mano tanto forte da farle venire le lacrime agli occhi. Era un
modo per farle capire che gli era mancata tanto quanto lui era mancato a lei. Non
aveva proprio voglia di rovinare tutto deludendo la sua ‘teoria delle
favole’, ma c’era qualcosa che le dava da pensare.
« Il signor Gold...
Chi dovrebbe essere? » chiese.
« Non lo so » s’imbronciò
lui.
Emma lo fermò e si accosciò
per portarsi al livello dei suoi occhi.
« Non lo sai? Henry, mi hai messa
in guardia nei suoi confronti continuamente. Una volta mi hai detto addirittura
che è più cattivo di tua... della Regina. »
Henry le rivolse per un attimo uno
sguardo grave.
« Infatti lo è... Credo. Non
lo so. Non piace a nessuno... ed è l’unico che riesca a spaventare
mia madre... ma... » La voce gli si spense e sospirò, abbassando
lo sguardo sulle crepe del marciapiede.
« Cosa? Che cosa ha fatto? »
domandò Emma.
Henry sospirò di nuovo e
alzò lo sguardo su di lei.
« Niente. Sono andato a chiedergli
aiuto, e non mi ha aiutato. Ha fatto finta di non sapere neanche di che cosa
parlassi, ma io so che non è vero! »
Il ragazzino sembrava così turbato
che Emma non poté fare a meno di tirarlo a sé e abbracciarlo. Purtroppo
stavano attirando l’attenzione dei pochi passanti là in strada, e non
voleva che a Regina fosse riferito che lei aveva turbato Henry.
Gli strinse di nuovo la mano e ripresero
a camminare.
Pochi minuti dopo sedevano l’uno
di fronte all’altra davanti a un chiosco, entrambi con un cono.
« Perché avevi bisogno d’aiuto
dal signor Gold? » sbottò Emma all’improvviso,
incapace di trattenersi.
Henry si bloccò a metà
leccata e poi sospirò di nuovo.
Sospirava troppo, per un bambino di
dieci anni.
« È stato lui a dirmi che
sono stato adottato. Avevo cinque anni ed ero arrabbiato perché mia
madre mi aveva pic... uh, fatto arrabbiare. Il signor
Gold mi ha detto che lei lo aveva incaricato di
trovarmi. È stato allora che ho cominciato a cercarti. Dopo che ho avuto
il libro e ho capito cosa succedeva davvero in questa città, sapevo che dovevo trovarti! Ma lui non mi ha
aiutato! Ha persino chiamato la mia mamma e le ha detto di tenermi lontano da
lui! » Henry tirò su col naso prima di ricominciare a leccare il
gelato.
Emma assimilò in silenzio.
« Ancora non capisco perché
questo lo renderebbe più cattivo di Regina... cioè, della Regina. »
Henry fece un sorrisetto.
« Va bene. Mia madre, Regina, la
Regina: sono tutte la stessa persona. E sono tutte cattive. »
Lei sorrise e smisero di parlare per un
po’, accontentandosi di gustarsi i gelati e la reciproca compagnia.
« Tu non credi che il signor Gold sia cattivo » commentò Henry, mordendo il
cono.
Emma cominciò a scuotere la
testa, ma poi si fermò.
« No, infatti. Non dico che sia un
brav’uomo, penso solo che potrebbe avere dei validi motivi per...
ciò che fa. E di sicuro non penso che sia cattivo come Regina »
ammise.
Henry scrollò le spalle.
« Non mi fido di lui. E penso che
nemmeno tu dovresti farlo... Ma finché non capisco chi è davvero,
terrò volentieri la mente aperta. »
Suonava così serio e adulto che
Emma ridacchiò.
« Beh, è molto maturo da
parte tua, Henry » disse con un ghigno.
Lui le mostrò la lingua.
Regina
li aspettava fuori dall’ufficio dello sceriffo, un sorriso compiaciuto
sulle labbra.
« Grazie, sceriffo. Andiamo, Henry
» ordinò, voltandosi per andarsene.
Il povero bambino sembrava così
depresso che Emma non riuscì a trattenersi: « Regina? Uh, voglio
dire, sindaco Mills? »
Regina si fermò e si voltò
a guardarla.
Di qualunque cosa lei e il signor Gold avessero discusso, l’aveva spuntata lei. Emma non
era abituata a vedere un sorriso così genuino sul volto del sindaco.
« Cosa c’è, signorina
Swan? »
« Beh, mi stavo solo chiedendo...
insomma, se lei potesse considerare di lasciare che Henry faccia colazione con
me una volta alla settimana. Potremmo vederci da Granny per mangiare qualcosa, e
poi io lo accompagnerei allo scuolabus... »
Il sorriso svanì dalla faccia di
Regina, che aprì la bocca per darle quella che probabilmente sarebbe
stata una risposta mordace.
Emma alzò una mano per bloccarla.
« Mi manca. E io manco a lui. Non può
almeno pensarci? » la pregò.
« Per favore, mamma! Prometto che
farò il bravissimo » piagnucolò Henry, tirando il braccio
di Regina.
Il sindaco guardò Henry e poi di
nuovo Emma con gli occhi ridotti a fessure. Poi sorrise, chiaramente felice di scoprire
così all’improvviso un altro modo di controllarli entrambi.
« Va bene. Ci penserò. »
E poi se ne andarono.
Emma aprì la porta del suo
ufficio aspettandosi di vedere il signor Gold con lo
stesso sorriso soddisfatto di Regina. Ma si sbagliava.
L’uomo era accasciato sulla panca
della cella con aria stanca, distrutta. Stringeva tra le mani una tazza da
tè sbeccata, come fosse il tesoro più prezioso che avesse mai
toccato.
Emma si schiarì la gola e lui
sobbalzò. Sembrava arrabbiato che lo avesse visto tanto vulnerabile,
così lei intrufolò in fretta un’offerta di pace tra le
sbarre.
Gold tese una mano e
accettò il cono al cioccolato dalle sue dita.
Lei lo lasciò mangiare in
silenzio per un minuto, appoggiandosi a un angolo della sua scrivania e
incrociando le braccia.
« Bene. Immagino che Regina abbia
vinto qualunque gioco cui voi due stiate giocando » commentò,
osservandolo con attenzione.
Lui s’irrigidì, ma la
ignorò.
Quel silenzio la irritava. Aveva così
tante domande, ma sapeva che lui non si sarebbe mai lasciato sfuggire nulla. Nulla
che avrebbe potuto usare in futuro.
« Henry mi ha detto di non fidarmi
di lei. Ha detto che lei è più cattivo di Regina. »
Questo provocò una risata.
« La voce dell’innocenza »
disse, e continuò a mangiare.
Emma sorrise e sciolse le braccia.
« Io penso che si sbagli »
ammise.
« Allora è una sciocca »
sbottò lui, senza guardarla.
Emma annuì e si guardò gli
stivali.
« Forse. O forse no. »
La ignorò ancora e lei
sospirò.
« Pensavo che avesse ragione, fino
alla scorsa notte. L’ho vista massacrare un uomo. Un uomo che ha accusato
di aver ucciso qualcuno. Qualcuno che era evidentemente importante per lei. Da tanta
passione, direi che si trattava di una donna e che quella tazza da tè ha
qualcosa a che vedere con lei. Era quella, ciò che mancava dagli oggetti
che le ho recuperato. La tazza da tè. Regina deve averla avuta in
qualche modo, e l’ha barattata con lei in cambio di una qualche
informazione. Darle quell’informazione deve esserle costato molto. »
« Ne valeva la pena »
sussurrò lui, accarezzando la tazza con tanto affetto che Emma
avvertì una fitta di quella che sarebbe potuta essere gelosia. Se la
scrollò di dosso.
« Regina ha dimostrato che non
importa quanto una persona conti per lei: la ferirebbe comunque volentieri, pur
di fare a modo suo » dichiarò, pensando alle molte volte in cui
Henry aveva sofferto le conseguenze del modo in cui la sua vita veniva
modellata da Regina.
Si voltò a guardare dalla
finestra, pensando ancora a Henry e a come le sarebbe piaciuto salvarlo da
quella vita. Il senso di colpa minacciava sempre di soffocarla, al riflettere
sulla propria parte nel motivo per cui era finito con quella donna.
« Non lo sapeva. »
Le parole dell’uomo si fecero
strada nel suo dolore, ed Emma vide con sorpresa che si era alzato dalla panca
e stringeva le sbarre, guardandola.
« Cosa non sapevo? » chiese,
la voce rotta dalle lacrime che a stento riusciva a controllare.
« Non lo sapeva, quando ha dato
via il suo bambino, che questo sarebbe stato ciò che avrebbe avuto. »
Una lacrima le sfuggì ed Emma
distolse di nuovo lo sguardo.
« Cos’è, ora mi legge
nel pensiero? » chiese, dura, asciugandosi gli occhi con una manica.
Lui si strinse nelle spalle.
Lei sospirò e si avvicinò
alla cella.
« Non so cosa Regina le abbia
detto o fatto. Non so se è come lei o no. Ma io non sono come lei. Non approfitterò del fatto che si
trova in questa cella per prendermi le risposte che voglio. »
Estrasse le chiavi dalla tasca e
aprì la cella.
« Credevo che mi avrebbe tenuto
qui per ventiquattro ore » disse Gold.
Emma alzò le spalle.
« So dove trovarla. »
Tornò alla scrivania e si
lasciò cadere sulla sua sedia.
I suoi occhi tornarono di nuovo alla
finestra e sperò che l’uomo se ne andasse prima di vedere altre
lacrime. Era da molto tempo che non si concedeva di ricordare il giorno in cui
era nato Henry. Il giorno in cui si era sentita più sola che mai. Ma la
crosta di quella ferita era già caduta e ora era tempo di convivere con
le conseguenze.
Quando tutto fu tranquillo per qualche
minuto, alzò lo sguardo per scoprire che Gold
era di nuovo seduto sulla panca, anche se la porta della cella era ancora
aperta.
« Perché non se ne va? »
chiese, un po’ più duramente di quanto intendesse.
Era solo una questione di secondi prima
che le lacrime arrivassero – inarrestabili.
« Immagino di non essere pronto
per tornare nella mia grande casa vuota. »
Lei puntò lo sguardo sulla
scrivania e cercò di prendere dei respiri profondi, in un vano tentativo
di scacciare le lacrime.
« Era un caldo mattino di
primavera in Arizona, quando ebbe le doglie » disse lui; la sua voce le attrasse
gli occhi nei suoi, e lei si ritrovò incapace di guardare altrove. «
Le permisero di lasciare la prigione per il tempo necessario a partorire in ospedale.
La guardia voleva ammanettarla al letto, ma il medico glielo impedì e la
cacciò via. Il suo travaglio durò quattordici ore. Ci furono
lacrime, sudore, grida, dolore e molto sangue... ma poi nacque Henry. »
Emma era sconvolta, senza parole.
« Ero in corridoio, a guardare
dalla porta aperta. Quattordici ore sono lunghe per un uomo con una gamba
malandata, ma le sopportai. Vegliai su di lei. »
Lei scosse la testa e deglutì, le
lacrime che le correvano incontrollate giù per le guance.
« È stata così
coraggiosa, e forte. Splendeva d’amore mentre sussurrava nell’orecchio
di Henry. Poi venne quel terribile momento in cui l’infermiera lo
portò via. Lei non la guardò uscire, ma pochi minuti dopo
scoppiò in lacrime. Sì, proprio come adesso... »
Non vedeva più niente. Le lacrime
l’accecavano e i singhiozzi la scuotevano in tutto il corpo. Si circondò
il ventre con le braccia, un meccanismo di difesa che aveva imparato da
bambina. L’unico tipo di abbraccio che avesse mai ricevuto prima che
Henry tornasse nella sua vita...
Le mani di Gold
erano calde e forti mentre le stringevano i polsi. Sciolse la stretta delle sue
braccia, avvolgendole alle sue. Non si era nemmeno accorta che si fosse mosso,
ma ora era chino sulla scrivania di fronte a lei. Il viso di Emma era sepolto
nel suo petto e le sue braccia lo circondavano, stringendolo forte.
Le carezzò dolcemente i capelli
mentre la lasciava piangere.
Sembrarono ore, ma probabilmente fu solo
dopo pochi minuti che Emma alla fine si ritrasse. Lui le offrì una
scatola di fazzoletti e lei ne prese molti.
Di nuovo, l’uomo aspettò
paziente mentre lei si soffiava il naso e si asciugava il viso.
Alla fine, prese la sua mano tra le sue.
« Non era sola, quel giorno, Emma.
Mi dispiace di non aver lasciato che mi vedesse allora, ma volevo che lo
sapesse adesso. »
Emma non sapeva cosa dire. Aveva paura
che, se avesse aperto bocca, avrebbe ricominciato a piangere.
Lui indietreggiò e
cominciò a muoversi verso la porta.
« Chi ha ragione, Henry o io? »
sbottò disperata.
Gold si fermò
e si voltò a guardarla.
« Ha ragione lei e ha ragione anche
Henry. Non sono come Regina, ma ho i miei piani e molti ne sono rimasti feriti.
Non sono un uomo buono, Emma. Ma questo non significa che non me ne importi. »
Emma rimase seduta a lungo dopo che lui
se ne fu andato. Sembrava che la sua mente non riuscisse a elaborare tutto
ciò che era successo. Come al solito, Gold l’aveva
lasciata con più domande che risposte, ma stavolta non le dispiaceva
così tanto. Ora c’era un calore nuovo che le fioriva nel petto
quando pensava a lui. Era stato lì ad assistere al momento più
terribile e più solo della sua vita. Era rimasto in piedi sulla sua
gamba malata per più di quattordici ore mentre Emma dava alla luce un
bambino, perché non fosse sola.
Ma perché? Perché gli
importava di lei? Era innamorato di lei? E se lo era, da quanto? E quanto era
forte quell’amore? E quali erano i suoi piani?
Si prese la testa tra le mani, gemendo
al dolore del mal di testa che viene sempre dopo un lungo pianto.
Prese un paio di aspirine dalla borsa e
si alzò per cercare una bottiglia d’acqua, quando qualcosa
catturò il suo sguardo.
La tazza sbeccata era così
importante, per lui, che aveva lasciato vincere Regina pur di riaverla
indietro. Eppure, l’aveva lasciata da parte per consolare Emma e poi se n’era
completamente dimenticato.
Era nella cella, e la stringeva in mano,
quando lui tornò.
« Sono venuto a prendere
ciò che mi appartiene, sceriffo » disse, formale.
Emma gliela portò e la
posò con cura nella sua mano aperta.
« La ringrazio » disse Gold, e si voltò per andarsene.
« Aspetti! »
Si voltò ancora e sollevò
un sopracciglio.
« Sì? »
« Grazie. Per... essere stato
lì per me » disse lei, esitante.
Il suo viso si ammorbidì, e le
regalò un lieve sorriso prima di voltarsi un’ultima volta per
uscire.
« Di niente. »