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Autore: RicksIlsa    20/02/2012    4 recensioni
« Tu non credi che il signor Gold sia cattivo » commentò Henry, mordendo il cono.
Emma cominciò a scuotere la testa, ma poi si fermò.
« No, infatti. Non dico che sia un brav’uomo, penso solo che potrebbe avere dei validi motivi per... ciò che fa. E di sicuro non penso che sia cattivo come Regina » ammise.
Henry scrollò le spalle.
« Non mi fido di lui. E penso che nemmeno tu dovresti farlo... Ma finché non capisco chi è davvero, terrò volentieri la mente aperta. »
Suonava così serio e adulto che Emma ridacchiò.
« Beh, è molto maturo da parte tua, Henry » disse con un ghigno.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills, Signor Gold/Tremotino
Note: Missing Moments, Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
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N/A: Ambientata nel finale di Skin Deep; collegata alla serie Untold Tale e in particolare alla shot My Wee One.

 

 

 

Ice Cream

 

 

 

 

« Allora, Henry, volevo chiederti una cosa » disse Emma mentre insieme s’incamminavano verso Granny.

Era bello passare un po’ di tempo con suo figlio dopo che Regina li aveva tenuti separati così a lungo. Henry le stringeva la mano tanto forte da farle venire le lacrime agli occhi. Era un modo per farle capire che gli era mancata tanto quanto lui era mancato a lei. Non aveva proprio voglia di rovinare tutto deludendo la sua ‘teoria delle favole’, ma c’era qualcosa che le dava da pensare.

« Il signor Gold... Chi dovrebbe essere? » chiese.

« Non lo so » s’imbronciò lui.

Emma lo fermò e si accosciò per portarsi al livello dei suoi occhi.

« Non lo sai? Henry, mi hai messa in guardia nei suoi confronti continuamente. Una volta mi hai detto addirittura che è più cattivo di tua... della Regina. »

Henry le rivolse per un attimo uno sguardo grave.

« Infatti lo è... Credo. Non lo so. Non piace a nessuno... ed è l’unico che riesca a spaventare mia madre... ma... » La voce gli si spense e sospirò, abbassando lo sguardo sulle crepe del marciapiede.

« Cosa? Che cosa ha fatto? » domandò Emma.

Henry sospirò di nuovo e alzò lo sguardo su di lei.

« Niente. Sono andato a chiedergli aiuto, e non mi ha aiutato. Ha fatto finta di non sapere neanche di che cosa parlassi, ma io so che non è vero! »

Il ragazzino sembrava così turbato che Emma non poté fare a meno di tirarlo a sé e abbracciarlo. Purtroppo stavano attirando l’attenzione dei pochi passanti là in strada, e non voleva che a Regina fosse riferito che lei aveva turbato Henry.

Gli strinse di nuovo la mano e ripresero a camminare.

Pochi minuti dopo sedevano l’uno di fronte all’altra davanti a un chiosco, entrambi con un cono.

« Perché avevi bisogno d’aiuto dal signor Gold? » sbottò Emma all’improvviso, incapace di trattenersi.

Henry si bloccò a metà leccata e poi sospirò di nuovo.

Sospirava troppo, per un bambino di dieci anni.

« È stato lui a dirmi che sono stato adottato. Avevo cinque anni ed ero arrabbiato perché mia madre mi aveva pic... uh, fatto arrabbiare. Il signor Gold mi ha detto che lei lo aveva incaricato di trovarmi. È stato allora che ho cominciato a cercarti. Dopo che ho avuto il libro e ho capito cosa succedeva davvero in questa città, sapevo che dovevo trovarti! Ma lui non mi ha aiutato! Ha persino chiamato la mia mamma e le ha detto di tenermi lontano da lui! » Henry tirò su col naso prima di ricominciare a leccare il gelato.

Emma assimilò in silenzio.

« Ancora non capisco perché questo lo renderebbe più cattivo di Regina... cioè, della Regina. »

Henry fece un sorrisetto.

« Va bene. Mia madre, Regina, la Regina: sono tutte la stessa persona. E sono tutte cattive. »

Lei sorrise e smisero di parlare per un po’, accontentandosi di gustarsi i gelati e la reciproca compagnia.

« Tu non credi che il signor Gold sia cattivo » commentò Henry, mordendo il cono.

Emma cominciò a scuotere la testa, ma poi si fermò.

« No, infatti. Non dico che sia un brav’uomo, penso solo che potrebbe avere dei validi motivi per... ciò che fa. E di sicuro non penso che sia cattivo come Regina » ammise.

Henry scrollò le spalle.

« Non mi fido di lui. E penso che nemmeno tu dovresti farlo... Ma finché non capisco chi è davvero, terrò volentieri la mente aperta. »

Suonava così serio e adulto che Emma ridacchiò.

« Beh, è molto maturo da parte tua, Henry » disse con un ghigno.

Lui le mostrò la lingua.

 

 

 

Regina li aspettava fuori dall’ufficio dello sceriffo, un sorriso compiaciuto sulle labbra.

« Grazie, sceriffo. Andiamo, Henry » ordinò, voltandosi per andarsene.

Il povero bambino sembrava così depresso che Emma non riuscì a trattenersi: « Regina? Uh, voglio dire, sindaco Mills? »

Regina si fermò e si voltò a guardarla.

Di qualunque cosa lei e il signor Gold avessero discusso, l’aveva spuntata lei. Emma non era abituata a vedere un sorriso così genuino sul volto del sindaco.

« Cosa c’è, signorina Swan? »

« Beh, mi stavo solo chiedendo... insomma, se lei potesse considerare di lasciare che Henry faccia colazione con me una volta alla settimana. Potremmo vederci da Granny per mangiare qualcosa, e poi io lo accompagnerei allo scuolabus... »

Il sorriso svanì dalla faccia di Regina, che aprì la bocca per darle quella che probabilmente sarebbe stata una risposta mordace.

Emma alzò una mano per bloccarla.

« Mi manca. E io manco a lui. Non può almeno pensarci? » la pregò.

« Per favore, mamma! Prometto che farò il bravissimo » piagnucolò Henry, tirando il braccio di Regina.

Il sindaco guardò Henry e poi di nuovo Emma con gli occhi ridotti a fessure. Poi sorrise, chiaramente felice di scoprire così all’improvviso un altro modo di controllarli entrambi.

« Va bene. Ci penserò. »

E poi se ne andarono.

Emma aprì la porta del suo ufficio aspettandosi di vedere il signor Gold con lo stesso sorriso soddisfatto di Regina. Ma si sbagliava.

L’uomo era accasciato sulla panca della cella con aria stanca, distrutta. Stringeva tra le mani una tazza da tè sbeccata, come fosse il tesoro più prezioso che avesse mai toccato.

Emma si schiarì la gola e lui sobbalzò. Sembrava arrabbiato che lo avesse visto tanto vulnerabile, così lei intrufolò in fretta un’offerta di pace tra le sbarre.

Gold tese una mano e accettò il cono al cioccolato dalle sue dita.

Lei lo lasciò mangiare in silenzio per un minuto, appoggiandosi a un angolo della sua scrivania e incrociando le braccia.

« Bene. Immagino che Regina abbia vinto qualunque gioco cui voi due stiate giocando » commentò, osservandolo con attenzione.

Lui s’irrigidì, ma la ignorò.

Quel silenzio la irritava. Aveva così tante domande, ma sapeva che lui non si sarebbe mai lasciato sfuggire nulla. Nulla che avrebbe potuto usare in futuro.

« Henry mi ha detto di non fidarmi di lei. Ha detto che lei è più cattivo di Regina. »

Questo provocò una risata.

« La voce dell’innocenza » disse, e continuò a mangiare.

Emma sorrise e sciolse le braccia.

« Io penso che si sbagli » ammise.

« Allora è una sciocca » sbottò lui, senza guardarla.

Emma annuì e si guardò gli stivali.

« Forse. O forse no. »

La ignorò ancora e lei sospirò.

« Pensavo che avesse ragione, fino alla scorsa notte. L’ho vista massacrare un uomo. Un uomo che ha accusato di aver ucciso qualcuno. Qualcuno che era evidentemente importante per lei. Da tanta passione, direi che si trattava di una donna e che quella tazza da tè ha qualcosa a che vedere con lei. Era quella, ciò che mancava dagli oggetti che le ho recuperato. La tazza da tè. Regina deve averla avuta in qualche modo, e l’ha barattata con lei in cambio di una qualche informazione. Darle quell’informazione deve esserle costato molto. »

« Ne valeva la pena » sussurrò lui, accarezzando la tazza con tanto affetto che Emma avvertì una fitta di quella che sarebbe potuta essere gelosia. Se la scrollò di dosso.

« Regina ha dimostrato che non importa quanto una persona conti per lei: la ferirebbe comunque volentieri, pur di fare a modo suo » dichiarò, pensando alle molte volte in cui Henry aveva sofferto le conseguenze del modo in cui la sua vita veniva modellata da Regina.

Si voltò a guardare dalla finestra, pensando ancora a Henry e a come le sarebbe piaciuto salvarlo da quella vita. Il senso di colpa minacciava sempre di soffocarla, al riflettere sulla propria parte nel motivo per cui era finito con quella donna.

« Non lo sapeva. »

Le parole dell’uomo si fecero strada nel suo dolore, ed Emma vide con sorpresa che si era alzato dalla panca e stringeva le sbarre, guardandola.

« Cosa non sapevo? » chiese, la voce rotta dalle lacrime che a stento riusciva a controllare.

« Non lo sapeva, quando ha dato via il suo bambino, che questo sarebbe stato ciò che avrebbe avuto. »

Una lacrima le sfuggì ed Emma distolse di nuovo lo sguardo.

« Cos’è, ora mi legge nel pensiero? » chiese, dura, asciugandosi gli occhi con una manica.

Lui si strinse nelle spalle.

Lei sospirò e si avvicinò alla cella.

« Non so cosa Regina le abbia detto o fatto. Non so se è come lei o no. Ma io non sono come lei. Non approfitterò del fatto che si trova in questa cella per prendermi le risposte che voglio. »

Estrasse le chiavi dalla tasca e aprì la cella.

« Credevo che mi avrebbe tenuto qui per ventiquattro ore » disse Gold.

Emma alzò le spalle.

« So dove trovarla. »

Tornò alla scrivania e si lasciò cadere sulla sua sedia.

I suoi occhi tornarono di nuovo alla finestra e sperò che l’uomo se ne andasse prima di vedere altre lacrime. Era da molto tempo che non si concedeva di ricordare il giorno in cui era nato Henry. Il giorno in cui si era sentita più sola che mai. Ma la crosta di quella ferita era già caduta e ora era tempo di convivere con le conseguenze.

Quando tutto fu tranquillo per qualche minuto, alzò lo sguardo per scoprire che Gold era di nuovo seduto sulla panca, anche se la porta della cella era ancora aperta.

« Perché non se ne va? » chiese, un po’ più duramente di quanto intendesse.

Era solo una questione di secondi prima che le lacrime arrivassero – inarrestabili.

« Immagino di non essere pronto per tornare nella mia grande casa vuota. »

Lei puntò lo sguardo sulla scrivania e cercò di prendere dei respiri profondi, in un vano tentativo di scacciare le lacrime.

« Era un caldo mattino di primavera in Arizona, quando ebbe le doglie » disse lui; la sua voce le attrasse gli occhi nei suoi, e lei si ritrovò incapace di guardare altrove. « Le permisero di lasciare la prigione per il tempo necessario a partorire in ospedale. La guardia voleva ammanettarla al letto, ma il medico glielo impedì e la cacciò via. Il suo travaglio durò quattordici ore. Ci furono lacrime, sudore, grida, dolore e molto sangue... ma poi nacque Henry. »

Emma era sconvolta, senza parole.

« Ero in corridoio, a guardare dalla porta aperta. Quattordici ore sono lunghe per un uomo con una gamba malandata, ma le sopportai. Vegliai su di lei. »

Lei scosse la testa e deglutì, le lacrime che le correvano incontrollate giù per le guance.

« È stata così coraggiosa, e forte. Splendeva d’amore mentre sussurrava nell’orecchio di Henry. Poi venne quel terribile momento in cui l’infermiera lo portò via. Lei non la guardò uscire, ma pochi minuti dopo scoppiò in lacrime. Sì, proprio come adesso... »

Non vedeva più niente. Le lacrime l’accecavano e i singhiozzi la scuotevano in tutto il corpo. Si circondò il ventre con le braccia, un meccanismo di difesa che aveva imparato da bambina. L’unico tipo di abbraccio che avesse mai ricevuto prima che Henry tornasse nella sua vita...

Le mani di Gold erano calde e forti mentre le stringevano i polsi. Sciolse la stretta delle sue braccia, avvolgendole alle sue. Non si era nemmeno accorta che si fosse mosso, ma ora era chino sulla scrivania di fronte a lei. Il viso di Emma era sepolto nel suo petto e le sue braccia lo circondavano, stringendolo forte.

Le carezzò dolcemente i capelli mentre la lasciava piangere.

Sembrarono ore, ma probabilmente fu solo dopo pochi minuti che Emma alla fine si ritrasse. Lui le offrì una scatola di fazzoletti e lei ne prese molti.

Di nuovo, l’uomo aspettò paziente mentre lei si soffiava il naso e si asciugava il viso.

Alla fine, prese la sua mano tra le sue.

« Non era sola, quel giorno, Emma. Mi dispiace di non aver lasciato che mi vedesse allora, ma volevo che lo sapesse adesso. »

Emma non sapeva cosa dire. Aveva paura che, se avesse aperto bocca, avrebbe ricominciato a piangere.

Lui indietreggiò e cominciò a muoversi verso la porta.

« Chi ha ragione, Henry o io? » sbottò disperata.

Gold si fermò e si voltò a guardarla.

« Ha ragione lei e ha ragione anche Henry. Non sono come Regina, ma ho i miei piani e molti ne sono rimasti feriti. Non sono un uomo buono, Emma. Ma questo non significa che non me ne importi. »

Emma rimase seduta a lungo dopo che lui se ne fu andato. Sembrava che la sua mente non riuscisse a elaborare tutto ciò che era successo. Come al solito, Gold l’aveva lasciata con più domande che risposte, ma stavolta non le dispiaceva così tanto. Ora c’era un calore nuovo che le fioriva nel petto quando pensava a lui. Era stato lì ad assistere al momento più terribile e più solo della sua vita. Era rimasto in piedi sulla sua gamba malata per più di quattordici ore mentre Emma dava alla luce un bambino, perché non fosse sola.

Ma perché? Perché gli importava di lei? Era innamorato di lei? E se lo era, da quanto? E quanto era forte quell’amore? E quali erano i suoi piani?

Si prese la testa tra le mani, gemendo al dolore del mal di testa che viene sempre dopo un lungo pianto.

Prese un paio di aspirine dalla borsa e si alzò per cercare una bottiglia d’acqua, quando qualcosa catturò il suo sguardo.

La tazza sbeccata era così importante, per lui, che aveva lasciato vincere Regina pur di riaverla indietro. Eppure, l’aveva lasciata da parte per consolare Emma e poi se n’era completamente dimenticato.

Era nella cella, e la stringeva in mano, quando lui tornò.

« Sono venuto a prendere ciò che mi appartiene, sceriffo » disse, formale.

Emma gliela portò e la posò con cura nella sua mano aperta.

« La ringrazio » disse Gold, e si voltò per andarsene.

« Aspetti! »

Si voltò ancora e sollevò un sopracciglio.

« Sì? »

« Grazie. Per... essere stato lì per me » disse lei, esitante.

Il suo viso si ammorbidì, e le regalò un lieve sorriso prima di voltarsi un’ultima volta per uscire.

« Di niente. »

   
 
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