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Autore: Breach89    20/02/2012    0 recensioni
Non si può dire che non m'avessero avvertito. Quando mi videro attrezzato per la scalata, i più saggi di loro si fecero beffe del mio bastone e della mia tenacia, e mi ammonirono severamente. "Monte Chimera non è una collina qualsiasi"
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non si può dire che non m'avessero avvertito. Quando mi videro attrezzato per la scalata, i più saggi di loro si fecero beffe del mio bastone e della mia tenacia, e mi ammonirono severamente. "Monte Chimera non è una collina qualsiasi" tuonarono dall’alto dei loro cappelli di piume e d’alloro "essa vive, respira, ragiona. E' affamata e crudele, e non si lascia camminare facilmente. I suoi sentieri sono dedali inestricabili di rovi e di arbusti, e nessun uomo che abbia provato a conquistarli è più tornato indietro per raccontarlo. Se ti incammini verso il cuore della Chimera la tua anima sarà risucchiata dalla montagna, e a quel punto neanche noi potremmo più salvarti dall’oblio".
Ma io ero deciso a provarci. Quel Monte che si affacciava sull’oceano allungava la sua ombra su di me sin dal giorno in cui fui vivo per la prima volta, ma solo quand’ebbi 18 anni mi accarezzò davvero l'idea di conquistarlo. Era una notte di aprile dolce come un tappeto di legni e violini che si apre nel mezzo di un valzer boemo: stavo tornando a casa da una serata qualsiasi, e una folata di vento d'Africa spinse fin dentro le mie nari una zampata di profumo di bosco che mi avvolse i polmoni e mi sturò i buchi neri dell'anima. Tornai a casa diverso, la testa leggera e il cuore pesante, e sentì di dover esplorare ad ogni costo quel corpo duro e ancora misteriosamente vergine.
 
Quando comunicai agli altri la mia intenzione di scalare il Monte Chimera, i più saggi di loro mi squadrarono con gli occhi pietosi che si riservano ai pazzi. "Solo un uomo ha provato a conquistare la montagna, ma a metà del tragitto ha dovuto battere in ritirata. Troppo forte la Chimera per uno spirito così innocuo, troppo grande la vanità per vincere sul contingente". Incontrai quel tizio poco tempo dopo, ma i suoi discorsi pendenti e sconclusionati non mi furono per niente d'aiuto: la montagna aveva divorato il suo entusiasmo, e Dio solo sa come e se l'avrebbe recuperato. 
Ad ogni modo, feci un primo tentativo di conquista un paio di mesi dopo, ma la coriacea indifferenza della Chimera demolì tutti i miei assalti ancor prima che arrivassi al suo cuore. Rimuginai giorno e notte sul fallimento, e per qualche anno la montagna diventò la mia ossessione: tentai ancora di vincerla ma fallì di nuovo e più miseramente, al punto che dovetti scappare dal paese e dai miei amici per ricomporre l’equilibrio perduto durante la caduta. I più saggi di loro non condivisero la mia fuga, perché solo chi è debole fugge, ma la montagna non si lasciava camminare, e niente mi interessava di più che conquistarne la vetta e gli onori.
 
Lontano dal mondo mi innamorai di una Donna, Delia Dagli Occhi Di Mare e I Capelli Di Miele, così abile nelle arti del cuore che mi convinse a smettere di inseguire la Chimera per dedicarmi completamente alle gioie dell'amore possibile. Il nostro di amore, però, durò il battito d’ali di una primavera, e una lunga serie di eventi mi riportò al paese, sotto lo sguardo severo del Monte. 
Per un po' sembrò che tutto si fosse acquietato, disteso, obliato. Poi, un giorno, una voce proveniente dal ventre della montagna mi chiamò, e la vecchia luce che aveva bruciato i miei vent’anni si riaccese nel cuore.
 
Mi presentai ai piedi alla Chimera di primo pomeriggio. Avevo le mani paralizzate dal freddo e sbiancate dalla mancanza del sangue, fuggito tutto sulle guance, nelle tempie, dietro le palpebre. Una vertigine fin troppo familiare mi arpionò lo stomaco, ma non volli farci troppo caso. Chiusi gli occhi e mi recai verso l’interno. 
I primi passi furono veloci e meccanici. Una strana paura e una strana euforia si stavano pian piano dividendo il controllo del mio corpo: la montagna si lasciava camminare come mai prima d'ora, e ad ogni passo cresceva dentro di me il seme del lauro della vittoria. Scostai e strappai via intere cerniere di arbusti e di erbe e dopo un po' mi ritrovai prossimo al ventre della Bestia. Purtroppo inciampai in una radice di ciliegio che mi fece ruzzolare al suolo con un tonfo sordo: con grande stupore, notai che la terra sembrava calda e forte come la schiena di un vulcano, e tutto ciò è perlomeno bislacco se si considera che Monte Chimera ha avuto origine da movimenti tettonici. Rimasi prono a insozzarmi di terra per un tempo che non riesco ancora a quantificare e mi rimisi in marcia, di nuovo verso il petto della Belva.
Man mano che mi avvicinavo al ventre, l'aria si faceva più densa e la vegetazione più fitta. Avevo l'impressione che da un momento all'altro potessi ritrovarmi a un passo dal cuore della montagna, ma, più andavo avanti, più mi sembrava di allontanarmi dalla meta.
Poi, all’improvviso, mi imbattei in una grotta dalla cui gola sembrava provenire una luce intensa e vaporosa che cresceva di ampiezza man mano che ci si incanalava nella roccia. Mi addentrai verso l’interno lentamente, con paura e rispetto, mentre una violacea inquietudine conquistava le mie gambe, il mio petto, la mia testa. Mi accasciai di nuovo al suolo, impotente, e non mi rialzai più. 
 
Il mio corpo fu ritrovato in paese due giorni dopo, improvvisamente invecchiato e smagrito. Gli amici dissero che dai miei occhi non si vedeva più l'anima, e che, dove prima c'era il cuore, era rimasta solo una profonda e puzzolentissima paura. I più saggi di loro, dall’alto dei loro cappelli di piume e di alloro, vedendomi ridotto in quelle condizioni non si preoccuparono di nascondere i loro risolini di compiacimento.
Non si poteva dire che non m'avessero avvertito. 
 
  
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