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Autore: AlexisLestrange    20/02/2012    4 recensioni
È nostra, lo sai?
È nostra. Mia e tua. E lo sarà per sempre.
Genere: Azione, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dean Winchester, Nuovo personaggio, Sam Winchester
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima stagione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Supernatural - Season ½'
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«Cosa facciamo?»

Sam parlò a bassa voce, affinchè Jane non sentisse. La bambina si trovava dal lato
opposto della stanza, seduta contro al muro, le braccia che abbracciavano le
ginocchia, e dondolava sul posto con gli occhi spalancati; sembrava quasi impazzita.

Dean lo guardò, con un misto di impazienza e preoccupazione nella voce.

«Il punto è che Jane non ha una sorella!» esclamò. «Ce l'avrebbero detto, no?
Redstone e gli altri...»

«Forse è una sorella di cui nessuno sa l'esistenza» ipotizzò esitante il fratello.

«Perfetto» Dean alzò gli occhi al cielo. «Davvero perfetto, sarà ancora più facile da
rintracciare».

Sam si costrinse a riflettere. Dopotutto, era impossibile che ci fosse qualcuno di che
nessuno sapesse esistere... qualcuno doveva pur averla vista...

«Il medico!» fece trionfante dopo qualche secondo.

Il fratello si accigliò, senza capire.

«Qualcuno l'avrà fatta nascere, quella bambina, no? E forse... e forse gli Everlyne
avevano un medico di famiglia, o qualcosa del genere, che l'ha vista crescere» spiegò
Sam, lentamente.

Dean annuì. «Andiamo a cercarlo?» propose, impaziente.

«Un momento... non possiamo lasciare Jane qui da sola, hai visto in che situazione è?
E se le succcedesse di nuovo qualcosa?» replicò, serio, Sam, lanciando un'occhiata alla
bambina, che pareva non accorgersi di nulla, persa nel suo terrore.

«E allora come facciamo?» ribatté ancora l'altro, esasperato.

«Ci dividiamo» decise Sam. «Io vado all'ospedale a rintracciare il medico che ha
assistito la signora Everlyne, e tu rimani qui e badi a Jane».

«Un momento... perchè devi essere tu a prenderti tutto il divertimento mentre io sto a
fare il babysitter?» si oppose contrariato il fratello, incrociando le braccia davanti al
petto.

Sam ghignò. «Perchè io sono il secchione che fa le ricerche, ricordi?» rispose, con un
sorrisetto. «E a te non piacevano i bambini?»

«Cosa...?»

«E dai, è solo per stasera. Tra un paio d'ore sarò già qui» insistette Sam, infilandosi la
giacca per uscire. «Buon divertimento, Dean».

E lasciando il fratello solo e contrariato, uscì dalla casa.

Una volta rimasto solo, salì nella preziosa macchina di Dean, e non ebbe neppure il
tempo di riflettere su quanto fosse strano essere lì a guidarla da solo, che era già
partito.

La strada era già buia, e non sembrava esserci anima viva: Sam guidava piano, con
cautela, la mente persa nelle riflessioni, tanto che quasi non si accorse di essere
arrivato dentro Ironwood.

Seguì le indicazioni per l'ospedale, e dopo un paio minuti era già arrivato: era un
edificio non troppo grande, completamente bianco, che dava un'idea di moderna
solidità.

Parcheggiò e si preparò ad entrare; nonostante fossero quasi le otto di sera, c'erano
ancora molte persone che andavano e venivano, e Sam si fece largo per arrivare fino
al banco della segreteria.

La signora di mezza età che vi stava seduta gli lanciò una mezza occhiata, e poi
commentò: «Spiacente, ragazzo, l'orario delle visite è già finito da un pezzo».

«Oh, ma io non sono qui per visitare qualcuno» si affrettò a spiegare Sam. «Sto
cercando un dottore...»

«Non hai l'aria molto malata» commentò acida la segretaria.

«Non sono io che ne ho bisogno, cioè, sì, ma non per...»

«Lascia stare, Rosie, qui ci penso io».

Una voce femminile interruppe il farfugliare di Sam, e voltandosi, il ragazzo vide
avvicinarsi una donna, che riconobbe come la stessa che aveva parlato con Redstone
alla stazione di polizia.

Era alta, con i capelli scuri legati in uno stretto nodo dietro alla testa; portava un paio
di occhiali rettangolari, e squadrò per un attimo Sam prima di aggiungere, secca:

«Seguimi».

Lui si affrettò ad obbedirle, dopo un breve cenno di saluto alla segretaria, che lo
ignorò bellamente. Raggiunse la donna, e mentre camminavano fianco a fianco per i
lunghi corridoi bianchi, lei gli domandò: «Di che cosa hai bisogno?».

«Informazioni» rispose subito Sam. «Sopra gli Everlyne, e la loro famiglia. Vorrei
vedere il medico che si è occupato di loro, e della bambina, Jane».

La donna spalancò un attimo gli occhi, sorpresa, ma si ricompose subito. «Sono stata
io. Che cosa vuoi sapere?».

Anche lui rimase meravigliato, ma cercò di non darlo a vedere, e cominciò a parlare
con difficoltà.

«Beh, è una questione difficile da spiegare...» fece, imbarazzato.

La donna sospirò. «Vieni dentro, nel mio ufficio» gli disse, mostrandogli una porta
davanti a loro.

Entrarono e si sedettero, uno di fronte all'altro, e fu di nuovo lei a prendere la parola.

«Prima di tutto, chi sei tu?» gli domandò, osservandolo con sguardo intenso.

«Io... io mi chiamo....»

«Non c'è bisogno che tenti di ricordarti i nomi scritti sul tuo tesserino, so che erano
falsi» lo interruppe lei severamente, ma sul suo volto passò l'ombra di un sorriso.

«Come fai a...?» cominciò Sam, stupito, e lei lo interruppe di nuovo.

«Stai parlando con la dottoressa Josephine Redstone, sono la figlia del capitano»
spiegò, tendendogli la mano.

«Sam Winchester» si presentò lui, affrettandosi a stringerla.

«Come sta la piccola Jane?» domandò subito dopo lei. «So che siete riusciti a
incontrarla».

«Sì, lei sta bene» fece Sam, esitante. «È molto sola, ovviamente, e avrebbe bisogno di
qualcuno che la badasse... ora c'è mio fratello con lei».

Josephine annuì, e sembrò sollevata. «Di cosa hai bisogno, allora?» domandò di
nuovo, e i suoi occhi neri sembravano più penetranti che mai.

«So che può sembrarle una domanda strana» cominciò Sam, alzando lo sguardo per
incrociare il suo. «Io e mio fratello abbiamo bisogno di sapere... se Jane aveva una
sorella».

Questa volta la donna non riuscì a mascherare il proprio stupore e spalancò gli occhi.
Per qualche istante sembrò non sapere cosa dire, poi farfugliò: «No... non mi risulta...
Jane era figlia unica, dovreste saperlo».

«Ne è assolutamente sicura?» insistette Sam, deciso. «È importante... è per il bene di
Jane, mi deve credere».

Josephine chinò la testa, senza parlare. Il ragazzo non osò aggiungere altro, per non
forzarla troppo; eppure faticava a trattenere la propria impazienza. Sapeva che c'era
qualcosa, in quella storia, che non andava per niente bene, e voleva scoprire cos'era.

«Noi medici siamo vincolati dalla segretezza professionale» mormorò la donna.

«Anche quando chi l'ha voluta non c'è più? Anche quando c'è di mezzo la sicurezza di
un'altra persona?» domandò Sam, cercando di essere il più convincente possibile; era
cosciente di avere solo un'occasione. «Le assicuro che non glielo chiederei, se non
fosse davvero necessario».

Per qualche altro lungo, interminabile secondo, lei non disse nulla. Alla fine, alzò gli
occhi e rispose: «E va bene, ti racconterò tutto. Ma devi promettermi che...»

«...manterrò il segreto, glielo assicuro» concluse per lei Sam, impaziente di sapere il
seguito.

«Bene». Josephine si schiarì la voce, in imbarazzo. «Quando mi chiedi di una sorella...
per quello che ne so, Jane non aveva nessuna sorella, nel vero senso del termine. Ma
quello che dovresti sapere... quello che c'è di strano nella sua famiglia... è che la
madre di Jane, Katherine... quando doveva nascere Jane, intendo... non aspettava
solo una bambina, ma due gemelle».

Sam trattenne il fiato, stupefatto.

«Due gemelle...» ripetè la donna a bassa voce. «Purtroppo, la gravidanza aveva grossi
problemi. Ho seguito personalmente il caso, all'epoca... tutto il nutrimento materno,
tutto quello che Katherine donava alle sue figlie, passava quasi del tutto ad una sola
delle due gemelle. L'altra, cresceva malsana, malata... non c'era nulla da fare»
aggiunse in fretta, come se desiderasse togliersi il prima possibile il pensiero. «Se non
aspettare il giorno del parto».

«E cosa avvenne?» domandò cautamente Sam.

Josephine deglutì. «Le due bambine nacquero in casa, su volere del padre. Fui proprio
io ad andare da loro, quel giorno... La prima a nascere fu quella malata. Fu qualcosa
di... qualcosa di abominevole. Era deforme, storpia... non resistette nemmeno un paio
di minuti alla nascita. Morì tra le mie braccia, quando non fui capace di fare nulla per
salvarla».

Lei aveva preso a tremare: sul suo volto non c'era più traccia della donna forte e
intransigente di qualche minuto prima.

«Il padre... era sconvolto» continuò, quasi balbettando. «Per la moglie era stato un
parto difficile, e lui credeva che la colpa... la colpa fosse dell'altra bambina. Disse che
non voleva più vedere un mostro del genere... la... la fece seppellire sotto le assi di
legno del pavimento, in quello stesso istante... e poi, fece sempre finta... che l'altra
non fosse mai esistita».

«È una cosa crudele» mormorò Sam, allungando il braccio per consolarla.

Josephine si asciugò gli occhi, rossi e lucidi. «Poi nacque Jane. Lei era... p-perfetta,
sanissima, e non ha mai saputo del gesto del padre...»

Il ragazzo annuì. Si sentiva anche lui frastornato da quell'assurdo racconto, eppure, in
qualche modo, tutto prendeva ad avere più senso.

La donna sembrava aver perso ogni briciolo di compostezza. Se ne stava chinata in
avanti, il volto bagnato dalle lacrime, e teneva stretta la mano che Sam gli aveva
porso.

«Ancora oggi... qualche notte... mi sogno lo sguardo dell'altra bambina» mormorò, più
a sé stessa che a lui. «Il suo sguardo prima di morire. Aveva due occhi così pieni
d'odio... ed era solo... una neonata. E io credo... che quello che succeda nella villa...
sia colpa sua... e mia».

Sam si alzò in piedi. Per quanto gli dispiacesse lasciare Josephine in quel momento di
debolezza, c'erano questioni più urgenti da trattare.

«Sistemerò tutto» le promise, guardandola negli occhi. «Io e mio fratello... fermeremo
quello che sta succedendo in quella casa».

Josephine lo guardò a lungo. «Simon Stonehead» disse, a bassa voce. «Era il mio
fidanzato. Sono stata io a convincere mio padre a liberarvi, dopo aver visto cosa gli
era successo... pensavo che avreste potuto fare qualcosa».

«Possiamo» le assicurò lui, stringendole la mano. «Davvero, possiamo. Mi lasci solo
fare delle ricerche, e...»

«Vengo con te» sussurrò Josephine, e lui non ebbe il coraggio di replicare.
   
 
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