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Autore: Twitch    20/02/2012    1 recensioni
Non so davvero che scrivere qua, anche perchè non so nemmeno se questa fanfic avrà una fine. Comunque preparatevi a qualcosa di triste, in ogni caso. Sono stata ispirata da 16.
Genere: Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Trè girò la sedia e si mise a cavalcioni appoggiandosi con le braccia allo schienale. I suoi occhi azzurri sembrarono voler prendere la parola, sembravano voler dire una marea di cose a Billie.

-“Lo sai che questo sarebbe dovuto succedere a me?” Lo guardava tra il divertito e il malinconico, quindi continuò. -“Guida ad alta velocità in stato di ebbrezza” citò. “Se avessi un dollaro per ogni volta che me l’hanno detto nell’ultimo mese, ora avrei 15 dollari” sorrise. Billie non seppe che dire, non azzardò neppure un ‘ma non dire cazzate, amico’. Stette zitto e sorrise, era spaesato.

-“Grazie per essere venuto qui”

-“Oh beh Billie, ma non dirlo neanche per scherzo” Frank abbassò lo sguardo, era come imbarazzato. Gli prese la mano tra le sue, prese un dito per volta, la girò e poi guardò Billie negli occhi.

- “Ti voglio bene brutto cazzone figlio di puttana. Io.. Beh io credo di non avertelo mai detto prima.. Insomma..”

- “Ti voglio bene anch’io Tré, e ogni tanto c’è bisogno di dirselo..”

- “Ogni tanto, eh!” Tré ridacchiò, quindi mollò la mano di Billie. Poi fu il turno di Joey e Jackob.

 

In sala d’attesa la ritrovata tranquillità di Mike e Adrienne e l’agitazione altalenante di Joey e Jackob andavano mischiandosi, macchiandosi l’un l’altra. E’ difficile descrivere i colori degli animi in pena, osservarne la volubilità e tutto il resto. Ed è impossibile non rimanere stupiti dalla fissione delle emozioni, dalla loro capacità di unirsi e sconvolgerti.  In quella stanza, su quelle sedie blu unite a mo’ di panca, era un continuo sospirare, sorridere, gesticolare, pronunciare mezze parole e provare a consolarsi l’un l’altro con argomenti che non convincevano del tutto.

Tutto questo, fino a quando Mike non trovò qualcosa di davvero sensato da dire.

- “Cazzo, mi ero quasi dimenticato! Io.. io devo prendere.. Devo prendere una cosa in macchina”

Mike si alzò, guardò per qualche secondo i due fratelli, poi sorrise e uscì dalla sala d’aspetto. 

Si strinse nella giacca di pelle, nel freddo di una notte di gennaio non ancora troppo giovane. Raggiunse la sua auto, aprì il bagagliaio e la prese per il manico con la stessa dolcezza con cui avrebbe preso la mano fragile di una ragazza. Quindi se la mise a tracolla con la cinghia e tornò indietro velocemente.

 

- “Oh, ma è…”

- “Mike, ma dove l’hai presa?”

Adrienne e i ragazzi erano stupiti, sembrava che quella chitarra fosse il simbolo della vita di Billie, sembrava che tutti lo sapessero tacitamente.

- “Venendo a prenderti ho visto.. Beh era dentro alla macchina. Era intatta..”

- “Grazie per averla presa, Mike” disse Jackob “Ma perché non gliel’hai portata?”

- “Beh, tuo padre ha ricevuto questa chitarra da uno dei membri più importanti della sua famiglia.. Credo che dovreste portargliela tu e Joey.”

- “Mike, Mike, Mike, io non potrò mai smetterla di ringraziarti.” Adrienne lo abbracciò fortissimo e iniziò ad uscire qualche lacrima.

- “Grazie zio Mike” disse Joey affettuosamente.

 

La dottoressa L. Johnson camminava tra i corridoi di quell’ospedale ormai troppo familiare. Si affacciava alle stanze per controllare i pazienti e le loro cartelle cliniche come una madre che entra nella cameretta dei propri bimbi per leggere loro una fiaba della buonanotte. Aveva sempre amato il suo lavoro, ma forse non aveva mai amato davvero null’altro. Aveva sbocconcellato amori, quasi per noia. Aveva gettato al vento la sua vita un milione di volte per poi riuscire a riprenderla per un soffio. Forse non aveva mai amato nessuno per paura di essere delusa, o forse, chissà.. Forse perché nulla le era mai sembrato abbastanza.

Entrò nella stanza numero 16, e senza degnarlo di uno sguardo lesse ad alta voce la cartella clinica:

- “Signor Billie Joe Armstrong, giusto?” non seppe neppure lei il perché di quella domanda, sapeva benissimo chi fosse.

- “Si, sono io.. Billie con ‘ie’ e senza ‘l’ finale” disse piano, sorridendo sotto i baffi come un ragazzino.

- “Come?”

- “Nulla, nulla” sorrise.

La dottoressa gli sorrise di rimando, come per una sorta di riflesso incondizionato. Si sistemò il ciuffo rossiccio con la mano, quindi disse:

- “Sente dolore?”

- “Beh, in realtà sì, credo che l’antidolorifico si sia già assorbito.. Il mio fisico assorbe velocemente.. Ehm.. Beh insomma..Le sostanze”

- “Posso immaginare Signor Armstrong”

La dottoressa aprì l’armadietto posto nell’angolo della stanza e prese una siringa di morfina che iniettò direttamente nella flebo.

- “Ora dovrebbe andare meglio”

- “Grazie dottoressa..mhh” Billie si sforzò di leggere la targhetta posta sul camice della dottoressa, ma la vista era ancora  leggermente annebbiata.

- “Lucy.. Ehm.. dottoressa Lucy Johnson”.

  
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