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Autore: ShopaHolic    21/02/2012    2 recensioni
Estate 2009. Dopo quattro anni dall’uscita di American Idiot, i Green Day sono tornati con un nuovo album, e il tour è finalmente alle porte. Ma se le cose non andassero esattamente come erano state previste? Se un improvviso imprevisto li costringesse a rimandare la partenza, e la cosa avesse ripercussioni serie sull'animo di Billie Joe Armstrong? E se fosse l'incontro fortuito con una curiosa ragazza dal nome evocativo e dal passato misterioso, totalmente estranea al suo mondo, a portare scompiglio nella vita di tutti?
Dal capitolo 20:
«Mi rendo perfettamente conto che è sbagliato, e che è un errore essere qui adesso. Ed è anche rischioso, considerando l’accanimento mediatico che c’è su di te ultimamente, ma ci sono persone che si sono sacrificate tanto, per me, affinché io fossi felice, e pur sapendo che queste persone non approverebbero mai quello che sto facendo, io sento che è quello che voglio. Io voglio sentirmi viva e felice. E non so per quanto durerà tutto questo, ma io mi sento così, adesso, e se anche dovesse finire tutto nel giro di cinque minuti, io sarò lo stesso contenta di averlo vissuto.»
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Billie J. Armstrong, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Amici che sospettano troppo

«Sì, ti faccio richiamare da lei appena si sentirà meglio.»
Un istante di silenzio.
«Ciao, Peter. Buona serata.»
Eva premette il pulsante rosso di fine chiamata e si abbandonò sul divano gettando indietro la testa. Una porta si chiuse alle sue spalle e Josh entrò nel soggiorno tenendo tra le mani un bicchiere vuoto.
«Le ho dato un’aspirina.» disse raggiungendola sul divano. «Adesso sta misurando la febbre.»
Poggiò il braccio sullo schienale e rimase qualche istante in silenzio a osservare Eva.
«Hai chiamato Peter?»  
La giovane donna annuì.
«Dice che l’aveva immaginato, che avesse la febbre: era molto stanca al lavoro.»
«Allora è vero: non sta così solo per la pioggia che ha preso...»
«A quanto pare no.»
Dalla sua bocca fuoriuscì un sospiro di stanchezza.
«Io lo sapevo, figurati.»
«Che cosa?»
«Che sarebbe andata così.» rispose fregandosi il viso con entrambe le mani. «Sono giorni che non si ferma mai, è anche normale che prima o poi il suo fisico ne risenta e... esploda. Mi sembra strano che non sia successo prima.»
Josh le accarezzò il braccio con lentezza, cercando di infonderle tutta la sua calma. Erano giorni che la vedeva stanca e preoccupata, sapeva che era in pensiero per sua sorella, per il modo in cui stava reagendo a ciò che era venuta a sapere, e lui stesso poteva ammettere che, se si fosse trovato nella stessa situazione, si sarebbe comportato pressappoco alla stessa maniera: quello che era venuta a sapere Gloria avrebbe mandato in confusione chiunque fosse stato al suo posto.
«Vedrai che passerà.» le sussurrò con voce calda.
Ovviamente non si stava riferendo alla febbre. Non solo a quella, almeno.
La situazione familiare dei Morris non era un segreto, per Josh. Era stata Eva stessa a parlargliene, e l’aveva fatto impulsivamente, seguendo l’istinto e il bisogno ormai irrefrenabile di sfogarsi e piangere. Era successo due anni prima, il giorno del funerale del padre di Josh. Lei lo aveva visto stringersi alla madre e alle sorelle con gli occhi rossi di pianto e il viso pallido scavato dal dolore, lo aveva ascoltato mentre, con voce strozzata, aveva pronunciato davanti a tutti il discorso alla sua memoria, dimostrando tutto l’affetto che fino ad allora l’aveva legato a suo padre, ed era rimasta da sola assieme a lui anche dopo che l’ebbero tumulato, dopo che i suoi parenti furono pian piano sfumati via dal cimitero. Allora lui si era inginocchiato sui talloni e con una mano aveva sfiorato il terriccio umido e scuro all’interno del quale suo padre avrebbe riposato da lì all’eternità, aveva stretto il pugno trattenendone tra le dita alcuni granelli con così tanta forza da far diventare bianche le nocche, le sue spalle si erano irrigidite e strette, aveva digrignato i denti e strizzato forte gli occhi. Due lacrime gli erano colate lungo le guance. Prima di andarsene gli aveva sussurrato un saluto triste, volgendo lo sguardo al cielo e immaginando di vedervi riflesso un qualcosa di suo, un sorriso, uno sguardo affettuoso.
«Ti voglio bene.» aveva mormorato affidando quelle parole al vento, e Eva aveva avvertito una morsa serrarle lo stomaco mentre per un istante -e solo per quell’istante- aveva provato invidia nei confronti di Josh, nei confronti di quel “ti voglio bene” che, da bambina, aveva pronunciato così tante volte, innocentemente, a colui che allora appariva ai suoi occhi come l’eroe più grande di tutti, e che una volta diventata sufficientemente grande da capire com’è che stessero veramente le cose, era parso a lei completamente vuoto, falso, improvvisamente privo di senso.
Non era stata la prima volta, quella, che si era sorpresa a provare un simile sentimento: i cattivi rapporti che aveva avuto con suo padre avevano fatto sì che manifestasse spesso una certa invidia per tutti coloro che, al contrario suo e di sua sorella, avevano avuto la fortuna di crescere con una figura paterna attenta e affettuosa al loro fianco, ma sentirsi in quel modo, sentirsi invidiosa in una situazione del genere l’aveva fatta sentire una ragazzina e, ancor di più, l’aveva fatta sentire ridicola, l’aveva fatta vergognare. Aveva lottato contro se stessa, contro la sua parte più profonda, pur di mantenere celata agli occhi del suo uomo quella spiacevole sensazione. Con delicatezza gli aveva poggiato una mano sulla spalla, scusandosi mentalmente per aver anche solo osato pensare una cosa del genere, e lo aveva riaccompagnato a casa, offrendosi di guidare. Una volta che ebbero fatto ritorno a casa, però, lui aveva iniziato a parlarle di suo padre, le aveva raccontato di quanto importante fosse stato per lui, di come l’avesse sempre sostenuto e aiutato nella crescita e nelle sue scelte, ed era stato proprio in quel momento che lei, pur provandoci in tutti i modi possibili, non era più stata in grado di resistere; le sue barriere erano crollate tutte all’improvviso, lasciandola libera di sfogarsi, di liberare i frammenti del suo passato. Era sconvolta da un pianto disperato mentre senza controllo aveva parlato e pianto senza mai fermarsi se non per riprendere fiato tra un singulto e l’altro. Josh non ricordava di averla mai vista così fragile, così totalmente spogliata della sua scorza di ragazza intraprendente e sicura di sé, e mai come quella volta si era reso conto di quanto la amasse e di quanto importante fosse per lui, perché pur nel dolore immenso e lacerante della perdita prematura di suo padre, in quel momento Josh era riuscito a trovare la forza per consolare lei, la sua donna, per offrirle una spalla sulla quale svuotare gli occhi dalle lacrime quando anche i suoi erano rossi e gonfi di un pianto disperato.
Tutto ciò Eva non l’aveva mai raccontato a sua sorella: era stato un episodio, quello, di cui si vergognava ancora enormemente. Si era sentita egoista, in quel momento, scoppiare a piangere in quel modo era stato come mancare di rispetto al dolore che Josh stava provando e, anziché aiutarlo, anziché lasciarlo sfogare, aveva costretto lui a consolare lei, a mettere da parte il suo dispiacere per quel che era appena successo per preoccuparsi di lei, per calmare lei dalle sue angosce.
Nonostante tutto, però, Josh non le aveva mai rimproverato ciò che era successo quel pomeriggio; aveva capito che nonostante apparisse così straordinariamente solare, frizzante, maliziosa, sfacciata, la sua donna nascondeva in realtà una parte di sé che era estremamente fragile, e ciò faceva di lui il più forte dei due, quello a cui spettava sostenere l’altra. A lui andava bene così: sapeva che il suo comportamento non era stato dettato dall’egoismo ma dalla più genuina sensibilità, ed era per questo che aveva accettato volentieri quel ruolo all’interno della coppia, ed era per questo che l’amava così tanto.
«Magari con la febbre riesce a sfogare quello che si è tenuta dentro questi giorni. Vedrai che appena si rimetterà tornerà a essere quella di sempre.»
Eva incurvò le sopracciglia e in quel momento desiderò davvero di riuscire a credere alle sue parole.
«Spero che tu abbia ragione.»
Lui le sorrise rassicurante accarezzandole la nuca.
«Vado a vedere se ha finito di misurare la febbre.»
Lei scosse la testa e gli poggiò una mano sulla spalla prima che lui riuscisse ad alzarsi, sfruttando il suo braccio come leva per tirarsi su.
«Vado io.»

Nella stanza di Gloria la luce fioca e rossastra che emanava l’abatjour proiettava sul muro le ombre dei peluche che stavano poggiati sulle mensole, facendoli sembrare scuri fantasmi pronti ad attaccare alle spalle. Fu questa la prima impressione che ebbe Eva non appena vi mise piede: si sentiva fuori luogo, lì dentro, come se la persona nella quale si era trasformata sua sorella in quei giorni non avesse assolutamente più nulla a che fare con la vecchia Gloria, e lei non avesse improvvisamente più avuto il diritto di entrare nella sua stanza senza esservi stata invitata.
La ragazzina riposava rannicchiata sotto le lenzuola, dalle quali spuntavano solo alcune ciocche di capelli scuri.
«Hai finito di misurare la febbre?» le domandò Eva con voce dolce scostando leggermente le coperte fino a poterla guardare in viso.
Gloria aprì gli occhi, rossi e stanchi, mostrando il termometro a sua sorella.
«È parecchio alta.» sentenziò questa con voce preoccupata. «Come ti senti?» le chiese poi spostandole premurosamente una ciocca di capelli dalla fronte e sorprendendosi di quanto calda fosse.
«Una schifezza.» rispose Gloria in un mormorio, rannicchiandosi ancora di più.
«Vedrai che appena l’aspirina farà effetto ti sentirai meglio. Vuoi mangiare qualcosa?»
«No.» sussurrò la più piccola con gli occhi già chiusi e la voce stanca e impastata.
«Voglio solo dormire.»
Eva annuì con il capo, sospirando silenziosamente.

Gloria si sforzò di riaprire gli occhi non appena avvertì il rumore della porta che si richiudeva, li sentiva umidi e stanchi proprio come il suo stesso corpo. Il freddo e la pioggia le erano entrati nelle ossa, e a niente era servita la doccia calda e il phon puntato a massima potenza verso la faccia. Si sentiva intorpidita e molle, con uno strano peso tra i polmoni che le rendeva difficile la respirazione. A fatica riuscì ad allungare un braccio in direzione del comodino e ad afferrare il cellulare, praticamente certa di trovarvi una bustina chiusa lampeggiante. Diede una rapida occhiata allo schermo e rimase sorpresa nel notare che non vi erano né messaggi né chiamate perse: Billie Joe Armstrong non si era fatto sentire.
Per diversi secondi rimase immobile a rigirarsi il telefonino tra le mani, allo stesso tempo quasi delusa e confusa da quella scoperta. Era strano che non le avesse scritto niente: avrebbe giurato che si sarebbe fatto sentire presto, se non per chiarire immediatamente quello che era appena successo tra di loro, almeno per informarsi della sua salute, dal momento che era stato lui stesso a farle notare di avere la febbre. Sentì le tempie pulsare e dovette chiudere gli occhi per un istante in attesa che passasse il dolore. Le venne da chiedersi, allora, cosa avesse da rimproverare a quell’uomo. Perché le stava tanto a cuore che lui si interessasse a lei al punto da rimanerci male quando non si faceva sentire? D’altronde, per essere poco più di un estraneo, aveva già fatto anche troppo, per lei. L’aveva ascoltata, aiutata, consigliata. Quel pomeriggio l’aveva baciata, ma lei per prima poteva immaginare quanto quel gesto fosse stato privo di significato per lui. Il pensiero che quel bacio potesse significare qualcosa per lei non la sfiorò neppure lontanamente, fu come se non ci fosse mai stato.
Poggiò nuovamente il cellulare sul comodino accanto al letto e spense l’abatjour.

Billie Joe Armstrong aveva i capelli ancora umidi quando entrò nel soggiorno con un asciugamano avvolto intorno ai fianchi e il viso arrossato dai vapori della doccia. Come ogni temporale estivo che si rispetti, l’acquazzone che quel pomeriggio aveva bagnato Berkeley non era durato più di un quarto d’ora e, una volta cessato, le nuvole avevano lasciato immediatamente spazio al sole come se, nel bel mezzo di luglio, non avessero avuto alcun diritto di tenerlo nascosto un minuto di più, e infatti, fuori dalla finestra si intravedeva una porzione di cielo sereno che si stava progressivamente tingendo dei colori del tramonto. Era durato pochi minuti, quel temporale, ma erano stati più che sufficienti a dare una benefica rinfrescata all’aria della città, oltre che a bagnare dalla testa ai piedi Billie Joe e Gloria. Lui l’aveva riaccompagnata a casa con il riscaldamento della macchina acceso al massimo; a metà strada aveva smesso di piovere. Aveva fermato l’auto nel vialetto di casa della ragazza senza spegnere il motore e le aveva chiesto se le fosse dispiaciuto se non l’avesse accompagnata fino alla porta, lei aveva scosso la testa e si era sporta verso di lui per schioccargli un bacio sulla guancia. Aveva gli occhi sempre più lucidi e rossi, e non aveva smesso, neanche per  un secondo, di tremare. Le aveva augurato di rimettersi presto, lei l’aveva ringraziato e a quel punto si era avviata verso la porta proprio mentre lui faceva retromarcia e partiva verso la strada che l’avrebbe riportato a casa e, una volta giunto lì, pochi minuti dopo essere rientrato e prima ancora che avesse avuto il tempo di infilarsi sotto la doccia, Mike e Trè Cool avevano bussato alla porta e ora se ne stavano seduti scompostamente sul suo divano leopardato con in mano due birre quasi vuote.
«Non erano le ultime, vero?»
Trè Cool scambiò una rapida occhiata con Mike per poi stamparsi sulla faccia un sorrisetto idiota che non poteva assolutamente essere frainteso.
«Come non detto.»
Billie Joe si sedette tra di loro strappando la bottiglia di mano al suo amico batterista e bevendone un generoso sorso prima di restituirgliela completamente vuota; un istante dopo starnutì due volte.
«A quanto pare l’acquazzone ti ha regalato un bel raffreddore.»
Il chitarrista si asciugò il naso con il dorso della mano.
«Cavolo, spero di no. Mi roderebbe troppo il culo, per un fottutissimo quarto d’ora di pioggia.»
«Un fottutissimo quarto d’ora di pioggia che è finito tutto sulla tua fottutissima testa, però.» fece notare Trè Cool picchiettando le dita della mano sana sul gesso che, di lì a pochi giorni, avrebbe finalmente potuto togliere.
«Già. La prossima volta che decido di uscire di casa prendo la macchina...» sentenziò il frontman dei Green Day arricciando le labbra in una smorfia, fingendo di essere infastidito da ciò che era successo, o meglio, da ciò che aveva raccontato ai suoi amici riguardo cosa gli fosse successo. «anche se c’è un sole che spacca le pietre.»
Mike Dirnt lo osservò tacitamente per diversi istanti, aspettando forse un segno di cedimento nei suoi occhi, ma il suo amico sembrava non avere la minima intenzione di sottrarsi al suo sguardo. A lui e Frank, Billie Joe non aveva ancora raccontato nulla di Gloria. Forse pensava non fosse una cosa sufficientemente importante da poter interessare loro. O al contrario, forse, sentiva che stava diventando importante più di quanto non avesse voluto, e dentro di sé aveva paura che i suoi amici gli dessero la conferma che, , forse quella ragazza gli piaceva davvero, e non solo come amica, e che soprattutto gli ricordassero di essere sposato, di avere due figli e, cosa non di poco conto, quasi vent’anni più di lei. Era per questo che non aveva fatto parola con loro né degli incontri al bar, né della telefonata, e ancor meno di quel pomeriggio, con tutto quello che era successo. A loro aveva preferito raccontare di avere avuto un barlume di ispirazione per nuove canzoni, e di essere uscito di casa per passeggiare -come spesso faceva per chiarirsi le idee e capire da dove cominciare per trasformarle in musica- e di essersi allontanato così tanto da non riuscire a rientrare a casa in tempo per ripararsi dal temporale.
Non era ancora riuscito a spiegarsi perché, di punto in bianco, avesse deciso di baciare Gloria, così come non era riuscito a spiegarsi come mai lei avesse accettato -e ricambiato- quel gesto senza poi fargli domande. Non aveva avuto il tempo per rifletterci su a sufficienza, e aveva deciso che, per il momento, avrebbe tenuto per sé qualsiasi aneddoto che riguardasse quella ragazza, almeno finché non avesse trovato una risposta ai suoi dubbi, a quelli che aveva avuto sin dall’inizio, da quando l’aveva incontrata la prima volta, e a quelli più recenti riguardanti il bacio di quel pomeriggio. Sapeva che non sarebbe stato facile tenere la bocca chiusa con i suoi amici, ma si era davvero convinto di dover risolvere la questione da solo, autonomamente, senza che nessun altro interferisse nella faccenda, anche se faticava a credere che Mike e Frank non avessero già notato il suo atteggiamento di chiusura nei loro confronti. Sapeva di essere come un libro aperto, per loro che lo conoscevano così nel profondo, e Mike, più di tutti, era troppo sveglio e perspicace per non rendersi conto che qualcosa stesse effettivamente succedendo, e lo aveva già dimostrato inequivocabilmente con la storia della telefonata fuori dal Gilman, quando gli aveva fatto notare che a quell’ora di notte non poteva essere possibile che stesse parlando con Adrienne.
Anche in quel momento, infatti, il suo sguardo era vigile e indagatore, scrutava negli occhi del suo amico con estrema lucidità e attenzione.
«Magari ti basterà non allontanarti troppo da casa, la prossima volta. Così, se vedi il cielo annuvolarsi, avrai tutto il tempo per rientrare.»
Billie Joe comprese da quelle parole che il suo bassista non se l’era bevuta, ma preferì non compromettersi ulteriormente cercando di salvare la situazione con altre scuse poco convincenti e, semplicemente, si limitò ad accennare un sorriso stringendosi nelle spalle.
«Sì, credo proprio che farò così.»
Mike dovette usare tutto il suo autocontrollo per non scattare in piedi come una molla e dire lui: «no, non è vero. Hai detto un mucchio di stronzate.», ma annuì con un lento cenno del capo, lasciando chiaramente intendere al suo amico che per il momento non avrebbe chiesto spiegazioni sul suo comportamento, ma che l’avrebbe sicuramente messo sotto torchio la prossima volta che avrebbe cercato di propinargli una scusa così poco credibile.
Trè Cool scambiò con lui un’occhiata veloce, colse l’assenso nel suo sguardo e si alzò dal divano.
«Noi andiamo a casa, ti aspettiamo per cena?»
Il chitarrista indugiò un istante prima di rispondere affermativamente, cercando di caricare la voce di quanta più convinzione possibile.
Non aveva voglia di uscire, quella sera. Erano tante, le domande sulle quali avrebbe dovuto interrogarsi e alle quali avrebbe dovuto trovare risposta, ed era importante che riuscisse a farlo il prima possibile, prima di scombinare le cose irrimediabilmente, ma si rendeva conto di non avere altra scelta: i suoi monologhi interiori e le sue riflessioni avrebbero dovuto aspettare, o rischiava di anticipare drasticamente il confronto che, prima o poi, avrebbe inevitabilmente dovuto avere con i suoi amici, se avesse deciso di piantarli in asso anche quella sera e restare a casa per conto suo.
«Mi vesto e passo subito da voi.»
Mike e Frank salutarono e uscirono di casa richiudendosi la porta alle spalle.
«Tu che cosa ne pensi di questa storia?»
Il bassista sollevò lo sguardo al cielo e sospirò pensieroso.
«Che Billie Joe non sa raccontare bugie.»

[Continua]
 

Salve, gente.
Non so veramente cosa dire.
O meglio, di cose da dire ne avrei tante, è che proprio non so da dove cominciare, per cui inizio col dire che, come al solito, mi dispiace. Mi dispiace davvero tanto, e questa volta in particolare, perché sei mesi sono davvero troppi, anche per i miei standard.
Sono pessima, lo so... però, in compenso, voi siete veramente meravigliosi. Davvero, non so come ringraziarvi per questa sorta di “atto di fedeltà” che mi state facendo, non dimenticandovi di questa storia. Spero che dopo tutto questo tempo di assenza da parte mia la situazione non sia cambiata, perché mi fa un piacere immenso ricevere i vostri commenti, ma ancora di più mi fa piacere sapere cosa pensate di questa storia, dei suoi personaggi, di quello che fanno e del modo in cui descrivo tutto questo.
Parlando del capitolo, devo dire che mi ha fatto veramente dannare: ci ho combattuto per mesi, l’avrò revisionato non meno di una decina di volte, ma ogni volta che cercavo di sistemarlo trovavo sempre qualcosa che non mi convinceva e ricominciavo daccapo. Ad ogni modo, quasi mi dispiace ricomparire dopo tutti questi mesi con questo capitolo in particolare. Forse per tutto il tempo che avete aspettato vi sareste meritati un capitolo un po’ più interessante, mentre questo è uno di quei capitoli di transizione, in cui non accade assolutamente nulla e, per questo, noiosi da morire. Vi prometto che mi farò perdonare con il prossimo, con il quale ci avviciniamo sempre di più al nocciolo della storia, perciò cercate di perdonarmi se anche questa volta impiegherò diversi mesi per aggiornare, ma trattandosi di un capitolo importante ho bisogno di tempo per gestirlo, e questo sarà ben difficile da racimolare, vista la maturità che si avvicina inesorabilmente, ma questo dubito che possa interessarvi :D
Un’ultima cosa che devo dirvi (poi giuro che sparisco... e ci si rivede quest’estate... sigh...): ho iniziato a revisionare i primi capitoli di questa storia. Il fatto è che non mi riconosco più nello stile che avevo (ormai è passata la bellezza di ben due anni, da quando ho iniziato a scriverla), perciò ho deciso di rimodernarla un po’, cercando di rendere lo stile un po’ più in linea con quello di adesso, quello degli ultimissimi capitoli. La trama non ha subito stravolgimenti, semplicemente però ho aggiunto qua e là alcuni piccoli pezzi per spiegare meglio determinate cose, come il modo in cui Trè Cool si è rotto il polso, o il fatto che, per il tempo in cui è costretto a tenere il gesso, si è trasferito a casa di Mike, o ancora una piccola riflessione di Billie su cos’è che veramente, a un certo punto della storia, l’ha buttato così giù. Piccole cose, insomma, per cui non c’è bisogno di ricominciare daccapo a leggere la storia... però, certo, se non avete niente da fare (cosa che dubito XD) magari vi aiuterebbe a rispolverare un po’ la memoria, visto che mi rendo conto che, aggiornando così lentamente, non è difficile perdere il filo della storia. Inoltre ho dato anche una piccola aggiustata ai pezzi in cui viene descritta Gloria. Il fatto è che, andando avanti con la storia, iniziava a risultarmi antipatico come personaggio, e mi sono resa conto che, forse, in alcuni punti l’avevo idealizzata un po’ troppo (complice, forse, il fatto che in quei punti fosse descritta attraverso gli occhi di Eva o Billie, persone che comunque hanno un giudizio molto positivo su di lei), così ho cercato di essere un po’ più obbiettiva nelle descrizioni e di umanizzarla un po’ di più. Ho già iniziato a pubblicarli, questi capitoli revisionati, e spero di riuscire presto a concluderli tutti, in modo da potermi dedicare solo e esclusivamente ai nuovi capitoli. Credo che per stavolta sia tutto. Spero che, tutto sommato, il capitolo vi piaccia e che mi farete sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.

 
   
 
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