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Autore: SeverusF    21/02/2012    3 recensioni
Maria, un nome importante, una famiglia disastrata, una concezione sicuramente non immacolata. Riuscirà un'adolescente, con una vita passata difficile, a terminare la gravidanza e a non soccombere alle cattiverie della gente troppo impicciona?
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Eccomi qui, sperando che qualcuno legga e si faccia sentire :D

Decisi di andare a trovare Filippo, i medici dicevano che si stava riprendendo, anche se a me non sembrava. Finchè non l’avessi visto guardarmi, parlarmi, non ci avrei creduto.

Come ultimamente accadeva spesso, mi sedetti sulla sedia accanto al suo letto, chiusi la sua mano nelle mie, appoggiando la mia testa sul suo braccio muscoloso. Dopo non molto scoppiai a piangere ininterrottamente, cosa che non mi accadeva ormai da molto, chi era Marco per farmi stare così? Avrei voluto averlo a portata, per dirgli tutto quello che mi passava per la mente, offenderlo, magari tirargli uno schiaffo, ma la verità era che io non ce l’avevo con lui, ma con me stessa.

Ce l’avevo con me per essere stata stupida, per non averglielo detto fin dall’inizio, per essere rimasta incinta di un idiota. Anzi, mi dispiaceva che il padre del mio bambino fosse un idiota che neanche sapeva della sua esistenza, ma non ero arrabbiata nè con lui né con me per ciò che avevamo fatto, infondo nessuno poteva rimproverare a due quindicenni che stanno assieme da oltre un anno di fare l’amore, proprio nessuno. E non ero nemmeno arrabbiata per essere rimasta incinta, perché volevo bene al piccolino che stava crescendo nel mio corpo.

Iniziai a parlare a vanvera, a raccontare tutti gli eventi del giorno, le mie paure e i miei sentimenti al mio fratellone, che sembrava sempre addormentato. Dopo poco mi addormentai anche io, spossata da tutte quelle emozioni assieme.

 

-Hey tu, giù le mani da mia figlia!

Mi svegliai così, il terreno sotto di me aveva sussultato, strano.

Mi guardai attorno, stesse tende grigie, stessa porta aperta che si affaccia sul corridoio dell’ospedale, stesso letto sotto la mia testa, stesse gambe immobili sotto le lenzuola, stessa sedia sotto di me. No, un momento, mi sentivo un po’ più in alto del solito. Mi girai un momento, un po’ disorientata… Mamma mia! Non ci credevo! Ero in braccio a Marco, proprio lui, cos’era successo? Avevamo fatto pace? Forse era stato tutto un sogno, forse non gli avevo mai detto niente sul mio stato, forse ne era all’oscuro… Forse la nostra relazione era salva! Lo guardai negli occhi, intenta a cercare il minimo segno che mi rivelasse la verità. Anche lui sembrava disorientato, addirittura un po’ spaventato, stava fissando un punto oltre la mia spalla. Cosa poteva esserci lì, in quella squallida stanza d’ospedale, per farlo spaventare?

Lentamente mi voltai nella direzione del suo sguardo, mi muovevo a rallentatore, i muscoli erano indolenziti, se non avessi saputo di non essere uscita dall’ospedale, avrei detto che i miei erano i postumi di una bella sbronza.

Vidi una figura indistinta, dovetti aprire e socchiudere gli occhi varie prima di riuscire ad eliminare i quadratini che invadevano il mio campo visivo. Pian piano vidi delinearsi i lineamenti di un uomo sulla cinquantina, né magro né grasso, media altezza, un po’ di pelata sul dietro della testa, occhiali sulla punta del naso: un uomo banalissimo, se non fosse stato mio padre. 

  
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