NOTE:
Credetemi, non
sembra possibile neppure a me: sono tornata, finalmente! A chi non lo
sapesse
e/o si stesse chiedendo che fine avessi fatto, chiedo per prima cosa
scusa per
non essere riuscita ad avvisarvi tutti personalmente. La sfiga si
è accanita
contro di me, costringendomi a separarmi dal portatile gentilmente
prestatomi
da mio papà. Temevo che avrei dovuto aspettare ancora a
lungo prima di vedere
una pagina World bianca con i miei occhi, ma -ringraziando Zeus- me la
son
cavata con ‘solo’ con una quindicina di giorni.
Comunque
sia, quel che conta è che sono tornata per
rimanere. Sorte avversa permettendo, gli aggiornamenti riprenderanno la
loro
cadenza settimanale. La long fiction si farà, yay!
Ciò detto, non mi resta che
lasciarvi al capitolo e a rimandare ringraziamenti e note finali nel
mio angulus.
Buona
lettura!
“John”,
aveva esordito Sherlock non appena erano usciti dal
St Bart’s, “sono a conoscenza del tuo malsano
desiderio di chiamare il maschio
Hamish. Ebbene, se acconsentirai ad avere una Irene in famiglia, da
parte mia
non mi opporrò al tuo volere. Queste sono le condizioni,
prendere o lasciare”.
“No.
No. Piuttosto la chiameremo come mia sorella, ma Irene
mai” si era subito ribellato il dottore, con le mani chiuse a
pugno.
“E’
la tua ultima parola? Allora sappi che ti impedirò di
affibbiare a nostro figlio il tuo imbarazzante e antiquato secondo
nome, caro”
era stata la replica noncurante dell’altro.
“Ah
sì? E come, sentiamo?”
“Devo
ricordarti che Mycroft è la colonna portante del governo
del Regno Unito? Basterebbero una telefonata all’anagrafe e
qualche bustarella
a chi di dovere” aveva ghignato tra sé e
sé.
“Non
oserai…!” aveva biascicato John, stizzito oltre
ogni
limite. “Si può sapere perché diamine
ci tieni così tanto che una povera bimba
innocente sia omonima di una prostituta d’alto bordo con
l’hobby dello
spionaggio?”
“Perché
è stato grazie a lei che ho capito che eri geloso del
nostro rapporto, e di conseguenza di avere qualche chance con te.
Elementare,
Watson” gli
aveva rivolto uno dei suoi rari sorrisi a trentadue denti
che gli conferivano una certa aria fanciullesca.
“Però-”
era arrossito John. Gli rodeva ammetterlo, ma
Sherlock stava dicendo la verità.
“Galeotta
fu Miss Adler” aveva proseguito sempre sorridendo.
“Io-”
“Vuoi
forse negarlo?”
“No”,
aveva infine sospirato lui, “no. Se la metti
così… d’accordo,
vada per Irene” si era visto costretto a cedere.
La
guerra per decidere i nomi era terminata ancor prima di
cominciare.
Erano
trascorsi altri quattro mesi. Il ventre di Sherlock
era lievitato fino a raggiungere le dimensioni di un gigantesco
cocomero, ma
lui non aveva messo su neanche un grammo di ciccia superflua. Gli
zigomi erano affilati
come sempre, le mani affusolate ed il collo lungo e sottile come lo
stelo di un
fiore.
Con
sommo scontento di John, aveva deciso di non sospendere
la sua attività di consulente investigativo. Tutti gli
agenti di Scotland Yard,
ormai, si erano abituati a vederlo comparire in Centrale un giorno
sì e l’altro
pure, l’usuale andatura spedita ed elegante appena rallentata
dal pancione. O meglio,
quasi tutti.
Donovan
e Anderson, ad esempio, si ammazzavano (purtroppo
mai letteralmente, pensava infastidito Sherlock) dalle risate ogni
volta che i
loro sguardi si posavano sulla figura del detective, specie se lo
vedevano
arrivare con Boswell infilato nello zaino port-enfant come un piccolo
koala
aggrappato al suo eucalipto.
“Ma
guarda un po’ chi abbiamo qui, Anderson! Lo Strambo con
la prole attuale e futura” aveva avuto il cattivo gusto di
berciare la brunetta
durante una delle frequenti improvvisate di Holmes, indicandolo al
collega e
andandogli incontro.
“Donovan,
fossi in te penserei a camuffare con uno spesso strato
di fondotinta il succhiotto che fa capolino dal colletto della tua
camicia”
l’aveva freddata l’uomo, fissandola con sprezzo
dall’alto del suo metro e
ottantacinque.
L’agente
era arrossita, non si sa se per l’irritazione o
l’imbarazzo, ed il suo amante non aveva tardato a vendicarne
l’onore.
“Sgradevole
come al solito, Holmes: cos’è, sei per caso in
crisi d’astinenza? Il tuo dottorino ti ha nascosto le
sigarette e non ti scopa
più per non compromettere la salute delle
creature?” l’aveva apostrofato il
poliziotto, rivolgendo un’occhiata a metà tra il
beffardo e il disgustato al
ventre del detective.
Prima
però che quest’ultimo avesse il tempo di passare
al
contrattacco, la voce squillante di Boswell l’aveva distratto
momentaneamente. “Babbo,
braccio!”
Non
l’aveva detto in tono lamentoso né prossimo alle
lacrime
ma, al contrario, così categorico che Sherlock non aveva
esitato nemmeno un
istante. Aveva posato lo zaino a terra e ne aveva sfilato il figlio per
prenderlo in braccio, avendo cura che le sue gambine non premessero sul
pancione.
Il bambino aveva annuito soddisfatto, poi si era voltato in direzione
di quei brutti
cattivi che avevano osato offendere
suo padre.
“Tu,
Scema”, aveva puntato l’indice contro Sally,
“e tu, Più
Scemo” aveva continuato, spostandolo su Anderson.
“Zitti. Babbo bravo, voi
cchifo. Fate cchifo, ffigati!” li aveva accusati con occhi
trasparenti ed
impietosi.
I
due erano rimasti annichiliti (venire rimproverati con
tanta asprezza da un frugoletto di quattordici mesi non era cosa di
tutti i
giorni) e il detective aveva approfittato del loro sgomento per
lasciarseli
alle spalle, diretto verso l’ufficio di Lestrade.
“Ben
detto, figlio mio. Non permettere mai che dei totali incapaci cerchino di sminuire la
tua superiorità o che
gettino fango addosso a te e ai tuoi cari. Rendi sempre pan per
focaccia,
ricordalo” aveva sussurrato all’orecchio del
bambino, con un bacio leggero sui
suoi riccioli scuri.
Boswell
aveva squittito dolcemente, posandogli una manina
paffuta sulla guancia in segno di tacita intesa.
“Sherlock?”
“John”.
“Sherlock!”
“John?”
“Piantala
di fare lo gnorri. Dove cavolo sei, si può sapere?
La pizza ormai è immangiabile, Boswell chiede di te ed io mi
sto rodendo il
fegato dall’ansia! Dove ti trovi?”
“Non
hai alcun motivo di preoccuparti, John. Sto assistendo
ad un sopralluogo a White Chapel, c’è stata una
sparatoria tra bande rivali e
Lestrade ha bisogno del mio aiuto”.
“Ma
santa pazienza, Sherlock! Lo vuoi capire che non puoi
disertare la cena con il tuo compagno e
tuo figlio per bazzicare quartieri malfamati, all’ottavo mese
di gravidanza e
con due gemelli in grembo, tra
l’altro?”
“A
questo proposito…”
“Cosa?”
“…”
“Sherlock,
che sta succedendo?”
“…”
“Sherlock Holmes,
hai tre secondi di tempo prima che cominci a sciorinarti gli insulti
più
sanguinosi del mio repertorio”.
“John,
da bravo, calmati e sfrutta i tuoi neuroni ancora in
ottimo stato. Dimmi, da quanto tempo non piove a Londra?”
“Cosa?”
“John,
per favore. E’ di vitale importanza che tu mi dia una
risposta precisa”.
“Beh.
Siamo ad agosto, direi almeno tre settimane.
Perché?”
“Le
opzioni sono due: o sono capitato sull’unica pozzanghera
della città resistente al caldo estivo oppure mi si sono
appena rotte le
acque”.
Tra
mezzanotte e mezza e mezzanotte e quaranta del ventidue
agosto il nucleo famigliare Holmes-Watson si arricchì di due
nuovi componenti:
Irene Harriet ed Hamish Mycroft.
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Uff,
siamo finalmente arrivati a fine capitolo. *si asciuga
il sudore dalla fronte* Non ho altro da dire, a parte ringraziare di
cuore Princess_Perona e Taila per i loro preziosissimi consigli.
Questa,
se
v’interessa, è la mia pagina autore su Facebook,
per seguire in diretta i miei
scleri (http://www.facebook.com/pages/Il-Genio-del-Male-EFP/152349598213950).
Sayonara,
miei
prodi!