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Autore: hikarufly    21/02/2012    4 recensioni
Post "The Reichenbach Falls", Sherlock Holmes è scomparso e il dottor John Watson ha dovuto voltare pagina... eppure ci sono ancora misteri da risolvere e un nuovo capitolo della propria storia da affrontare: un incontro casuale diventa uno dei momenti più importanti della sua vita.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quasi tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Passarono alcuni mesi dal breve viaggio di Mary a Roma, e la vita di John, ormai ex inquilino del 221b di Baker Street, era sicuramente migliorata molto. Non si era trasferito altrove, ma il suo appartamento non gli sembrava più vuoto e freddo ora che Mary andava da lui e a volte restava per la notte. A sua volta, lui restava a Melcombe Street, ogni tanto, ma mai quando lei doveva partire per qualche incarico estero per il giornale: si era auto convinto a non fare ricerche, a non insospettirsi, e a prendere tutto ciò che sarebbe venuto. Lei gli aveva assicurato che stava cercando di limitare le sue incursioni oltre Manica, o oltre oceano, ma John credeva di sapere a cosa le chiedeva di rinunciare, e non insisteva. Lui stesso, tanto tempo prima, avrebbe dato tutto per tornare sul campo di battaglia: se la tua vita è combattere, l'inattività è peggio di una tortura.

John non si sarebbe aspettato, però, di sentir dire a Mary, dopo un pomeriggio in cui sembrava essere scomparsa dalla città, che sarebbe dovuta partire per un tempo indefinito.

«Potrebbe essere una settimana, o un mese... il mio caporedattore non è mai preciso per questo genere di servizio. Purtroppo non sono situazioni semplici, dove democrazia è una parola che non esiste» raccontò Mary, sentendosi terribilmente in colpa ma anche piuttosto in soggezione dal suo incontro con Mycroft di poche ore prima.

«Che intenderebbe per “indefinito”?» domandò lei, seduta ad un massiccio tavolo di un maniero di cui non aveva mai avuto conoscenza prima che una Jaguar scura la prelevasse e la facesse sparire per un pomeriggio.

«Il mio caro fratello ha, come dire... esagerato un po' in questo periodo. No, non si preoccupi, intendo che ha seguito troppi casi e data la delicatezza della situazione preferirei che lavorasse meno. Sono certo che lei sarà in grado di tenerlo a bada, almeno per un po', finché non si sarà ristabilita la calma» spiegò l'uomo, con voce calma e suadente, ma con una punta di minaccia che fece correre un brivido lungo la schiena di Mary.

«Ma... lui è Sherlock Holmes, giusto? Saprà fino a dove spingersi...» provò a contestare, con voce leggera e incerta, ma l'espressione di lui la ammutolì sul posto, facendola sentire ancora più piccola di quel che era la sua costituzione.

«Non si cura di mangiare o dormire se ha un caso in corso, crede davvero che sarebbe capace di capire quando la sua fama potrebbe procurargli una foto qualsiasi che potrebbe comparire sul web?» domandò Mycroft, quasi annoiato «A volte devo intervenire, ma dato che ci sono... affari più urgenti per il paese, ho bisogno che lei vada a controllarlo»

Il giorno dopo, John accompagnò Mary a Heathrow, salutandola con la mano mentre lei veniva condotta insieme al resto dei passeggeri verso un grande aereo che sembrava dover attraversare mezzo mondo. Quando l'uomo in giacca e cravatta di fronte a lei si voltò e le fece segno che il dottor Watson era ormai fuori portata visiva, venne accompagnata da un suo collega fino ad un altro aereo più piccolo, su cui erano state portate le sue valigie. Quando l'apparecchio toccò il suolo parigino, Mary era già pronta per una nuova avventura, a Montmartre.

 

Mentre John ripensava orgoglioso al fatto che non aveva più visto quel cappotto che lui credeva solo simile a quello di Sherlock, il che significava che Mary aveva dimenticato il suo inesistente ex fidanzato, il più giovane degli Holmes era confinato in un piccolo appartamento in Rue Cauchois. Stava spaparanzato nel suo solito modo su una poltroncina, in un salottino sufficientemente luminoso, con arredamento e carta da parati fermi agli anni Settanta. C'era una stanza da letto abbastanza confortevole, un bagno annesso, e un cucinotto che fungeva anche da sala da pranzo. Quando Mary mise piede nel salottino, munita della chiave sin dal momento in cui gli era stata consegnata all'aeroporto parigino, trovò Sherlock, ancora con i capelli tinti di rosso, decisamente intento a fissare il soffitto. Lui non parve accorgersi del suo arrivo, ad una prima occhiata, ma era decisamente conscio della sua presenza. Lei si voltò verso il divano, dove vide quello che era un grosso peluche di almeno mezzo metro di altezza di Winnie The Pooh. Mary lasciò la valigia in un angolo e si avvicinò allo strano oggetto morbido, sedendosi accanto a lui.

«Carino... e sta qui a osservarti. Sarebbe John?» domandò, osservando con occhio critico il peluche.

«Non sono riuscito a sbarazzarmene. Sentiti libera di accudirlo» rispose lui, portandosi in piedi con un balzo. Era nella sua solita tenuta, come se non avesse mai lasciato Baker Street: tuta grigia e liscia, niente calzature, e una vestaglia di seta blu. Mary abbracciò il grosso peluche mentre guardava quello strano, stranissimo uomo, che si muoveva per la stanza come una pantera in gabbia.

«Immagino tu sappia cosa mi ha chiesto tuo fratello» disse, il viso sprofondato nella pelliccia sintetica dell'orsetto giallo. Sherlock si fermò sul posto.

«Tu parli francese...» disse, come se parlasse da solo. Lei annuì, ma lo sguardo di lui non le piacque affatto.

«Spero tu abbia intenzione di rilassarti senza che io ti costringa. Non sono abituata a vacanze forzate o...» iniziò lei, ma come sempre Sherlock doveva avere il suo momento di gloria, dato che c'erano dei presenti.

«O a mentire al tuo fidanzato, certo, altrimenti non coccoleresti quell'orsetto gigante come se ti sentissi in colpa. Direi, però, che sei ben felice di essere confinata a Parigi, tanto che non trattieni l'emozione di prendere e uscire da qui, a giudicare dal movimento impercettibile delle tue gambe. La colazione in aereo dev'essere stata molto gustosa, e hai lasciato una Londra soleggiata ma ventosa» concluse, un sorrisetto soddisfatto. Lei lo guardò come sempre esterrefatta, per poi ridacchiare a sua volta. Lasciò il peluche dov'era e si alzò.

«Come sempre, pensi le cose prima che lo faccia io stessa... Siamo a Parigi! Che ci facciamo ancora qui al chiuso?» domandò Mary, prima aprendo le braccia estasiata e poi mettendo le mani sui fianchi come un generale, mentre lui spariva per cambiarsi.

   
 
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