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Autore: Ehilanev    27/09/2006    1 recensioni
Ti incontravo qui, dove il cespuglio di more distava soli dieci passi dalla Vecchia Signora. Una volta mi punsi con i rovi, ed il sangue macchiò la mia casacca. Tu ridesti, intenerita ed innamorata, portandoti la mia pelle punta alla bocca, e baciandola lievemente. Eri bellissima, mio amore; un dolce, delicato, fragrante bocciolo di rosa meravigliosamente sbocciato.
Genere: Sovrannaturale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ti incontravo qui, dove il cespuglio di more distava soli dieci passi dalla Vecchia Signora. Una volta mi punsi con i rovi, ed il sangue macchiò la mia casacca. Tu ridesti, intenerita ed innamorata, portandoti la mia pelle punta alla bocca, e baciandola lievemente. Eri bellissima, mio amore; un dolce, delicato, fragrante bocciolo di rosa meravigliosamente sbocciato.
Com’era piacevole, vederti giungere sul far della sera; quei capelli, neri come la stessa notte che sarebbe poi calata su di noi, lasciati sciolti alle tue spalle, onda su meravigliosa onda; e le tue mani. Come amavo le tue mani, lunghe ed affusolate, delicate ed abili! Mi carezzavano, affondavano nella mia chioma bionda, sussurravano lievi sulla mia pelle, mentre tu, le tue labbra morbidamente, morbosamente poggiate sulle mie, ti perdevi in un idilliaco, eterno canto mai pronunciato. Ed io ti amavo. Amavo quel timido ma irresistibile pudore che ti contraddistingueva, amavo i tuoi occhi verdi come la foresta che ci circondava. Amavo il tuo cuore, puro ed innamorato del mio. Avrei voluto sposarti; desideravo risvegliarmi ogni mattina al tuo fianco, godendo della visione del tuo volto ancora placidamente addormentato. Prima o poi te lo avrei chiesto; un giorno o l’altro, giacendo tra le tue braccia, te lo avrei domandato. E tu avresti risposto sì.
Ma siamo rimasti solo due fidanzatini. Un buffo insulto all’eternità, convinti d’essere immortali nella nostra inutile, immensa piccolezza. Chi ama non pensa alla morte; cosa stupida, giacché la morte pensa moltissimo a chi ama.
Chiamavi questa enorme quercia Vecchia Signora, perché esisteva da prima che tu nascessi. Perché i suoi grandi e ricchi rami avevano ombreggiato la tua infanzia, la tua adolescenza. E avevano coperto infine la tua vita adulta, i nostri magici incontri, velandoli al resto del mondo. Grazie, Vecchia Signora. Che stupido, credo di non avertelo mai detto.
Quante cose non ho mai detto!
Ma è tardi, presumo. E’ tardi, come tarda è l’ora dell’appuntamento che ti ho lasciato. Sei preoccupata, credo, perché sono diversi giorni che manco ai nostri dolci incontri; il tuo animo trema al pensiero di ciò che potrebbe essermi capitato, mio cuore, ma le tue preoccupazioni sono senza fondamento!
Due notti fa ho conosciuto la vera esistenza. La vera essenza della vita e della morte, il vero filo dorato che congiunge tutte le epoche e tutte le creature. Se solo potessi condividere con te la meravigliosa magia di questa potente conoscenza! E’ venuta a me sottoforma di donna, sai? Una sirena più bella ma certamente più fredda di te, una creatura bionda con occhi dalle mille sfumature. Era così avvenente, così magnetica, illuminata dall’argentea, etera luce di quella falce lunare sospesa nella volta celeste. Sembrava quasi brillare di luce propria, la candida pelle liscia e fredda come il più pregiato dei marmi.
Non mi ha detto nulla, amore mio. I lunghi canini celati dalle sue gelide labbra hanno parlato per lei; hanno comunicato con me, attraverso il sangue, che è scorso abbondante, defluendo dalle mie vene, portandosi via la vita. Ho vigliaccamente implorato di non morire, e sono stato accontentato con magnanimità.
Ora vivo tra le tenebre. Mi celo dietro le ombre della notte, mi muovo con esse. Sono destinato all’immortalità, mia piccola gemma di gioia. Ma come posso vivere, come posso nutrirmi, quando la tua voce disperata mi chiama? Come posso allontanarmi, se prima non avrò fermato le tue salate lacrime?
Ecco, sento in lontananza i tuoi delicati, piccoli passi. Sembra il rumore di tanti, piccoli scoiattoli intenti a muoversi in gruppo, i neri occhietti dilatati nel terrore della notte, le piccole, morbide code levate verso il cielo trapuntato di stelle. Mi vedi in lontananza, e forse ti appaio diverso dal solito; più asciutto magari, o forse solo più fiero, i capelli più dorati e brillanti rispetto a come li ricordavi. Ti piaccio, mio dolce amore? O t’inquieto, forse?
Chiami il mio nome, slanciandoti verso di me. Mi abbracci, affondando il tuo volto nell’incavo tra la mia spalla ed il mio collo, ed il tuo dolce profumo fa impazzire i miei nuovi, acuti sensi. Prima non percepivo con altrettanta chiarezza il profumo del sapone, di quel sapone con cui vivi, lavando gli abiti del signore che governa queste terre. Un lavoro umile, che però ti ha reso felice. Sei sempre stata felice, mia piccola fiamma, ed ora sei a dir poco al esultante. Urli che lo sapevi, che te lo sentivi: io sto bene, grazie a Dio, sto bene. Sì, mio cucciolo spaurito, piangi dolci lacrime, sorridi. Sono tornato da te solo per rassicurarti; voglio vedere un eterno sorriso di sollievo teso su questo magnifico volto.
Sposto appena il capo, cercando il tuo collo; sospiri, sapendo che ora ti bacerò; le tue braccia si alzando, stringendomi con maggior passione.
E le mie zanne affondano. Di’ addio all’uomo che amavi, leggera farfalla che ti spegni tra le sue braccia.
Il demone è quasi sazio, per questa notte.

L'ombra danza alla luce delle candele.
Sono così piccole, queste fiamme di sacra candela, così patetiche nel loro disperato bruciare su di un corto, limitato stoppino. Così meravigliose, figlie di una particolare bellezza; identiche eppure dissimili, eternamente uniche nella loro spaventosa essenza.
Sapete cosa sono io? Sono colui che avanza, in questo infinita navata d'un inferno mai rivelato; sono una viscida serpe che, in un moto di benevolenza, si china, soffiando profumata eternità su alcune di queste fiamme. Estinguendole.
Un giorno tutte le candele saranno spente. Ed allora, forse, piangeremo.











  
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