Storie originali
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Autore: Sarasvathi    21/02/2012    1 recensioni
Basta una frase per cambiare il pensiero di una persona. Basta uno sguardo per capire le intenzioni altrui. Vita. Morte. Non hanno importanza. La principessa del pianoforte suona sempre. Le persone che incontra sono le mani e lo spartito. Ha i fili. Comanda. Ubbidisce. È la luce. È il buio.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Ritorno indietro. Resto.
Lascio il regalo davanti alla porta, suono il campanello e scappo via.
Hime non se n’era ancora resa conto, ma la pioggia cominciava a scendere su di lei; l’aveva capito solo quando la carta da regalo aveva cominciato a sdrucirsi.
Credo di piacergli: me l’ha dimostrato. Non ho bisogno di scappare! Devo affrontarlo. Ora. O sarà troppo tardi.
Suonò in fretta il campanello, prima che la carta da regalo che aveva scelto apposta per lui si fosse sciolta sotto la pioggia .
Una signora sulla trentina aveva aperto la porta; Hime non l’aveva mai vista prima d’allora, forse era la madre di Luigi. Questa con un sorriso le chiese: “Sei una compagna di Luigi?”
Hime era ormai certa del fatto che quella donna così giovane fosse la madre del ragazzo che le piaceva: avevano lo stesso sorriso.
Anche se aveva visto solo una volta in due anni il sorriso di Luigi, quello le era rimasto impresso come una cicatrice dopo un parto cesareo.
Scossa dalla ripetizione della domanda da parte della donna, Hime acconsentì leggermente con la testa; la donna si affrettò quindi a invitare la ragazza dentro casa dicendole di non stare sotto la pioggia.
Hime indugiò prima di entrare, ma si ricordò che era già entrata in quella casa, senza però che ci fosse la madre di Luigi e non di certo per consegnare al ragazzo il regalo di compleanno e i suoi sentimenti.
“Forza, entra! Ti prenderai un malanno se stai ancora lì”
La signora mostrava molte volte il suo sorriso, al contrario del figlio, ma non aveva importanza.
Hime sentì qualcosa strusciarsi tra le sue gambe: era il gatto nero di Luigi che non era stato molto amichevole la prima volta che si erano incontrati.
“Strano che Kit sia così amichevole” osservò la donna “si vede che gli piaci. Ma accomodati pure, non stare in piedi sull’uscio.”
Hime si sedette silenziosamente su una poltrona e cominciò a guardare intorno a sé: ogni oggetto in quella stanza la turbava, non riusciva a stare calma; il gatto intanto le era salito sulle gambe e aveva cominciato a fissarla come per dirle “stai calma”.
La donna le aveva subito chiesto il nome, annuendo con la testa al nome di Hime.
“Sei molto silenziosa. Devo dire che da come Luigi parla di te ho sempre pensato fossi una ragazza molto energica ed estroversa. E devi per forza essere così: mio figlio è molto silenzioso e non credo che due persone silenziose abbiano molto da dirsi. Forse mi sbaglio. Io sono una tale chiacchierona. Sei venuta qui per qualche motivo in particolare?”
La donna guardò Hime e poi ciò che la ragazza aveva appoggiato a lato della poltrona.
“Sei venuta per dare il regalo di compleanno a Luigi?”
“Sì.”
La donna sorrise: “Potevi darglielo quando ritornava a scuola.”
Hime fissò la donna di fronte a sé con forza: “No. Mi dispiace. Certe cose vanno fatte bene. Non so lei, ma io vorrei sentirmi fare gli auguri dagli amici e dai parenti lo stesso giorno in cui compio gli anni. E di certo gli auguri fatti di persona sono più calorosi di quelli scritti per SMS o e-mail. Il contatto visivo è l’unica cosa che permette una comunicazione diretta e veloce. L’unico modo per capire quello che una persona prova quando le parli. Tutto il resto può benissimo essere una bugia.”
Seguì un attimo di silenzio.
“Vado a vedere se Luigi è sveglio, così che puoi andare nella sua stanza a dargli il tuo regalo.”
Hime era rimasta in silenzio e aveva cominciato a coccolare il gatto che miagolava di attenzioni.
Passarono alcuni minuti, Hime continuava a tremare, respirava con calma e profondamente, pensava a qualcosa di divertente, il soffio del gatto sulla sua pelle la riportava in quella casa.
“Ah! Luigi ti sta aspettando. Sai, lui non ama che la gente entri nella sua stanza, ma ha ancora la febbre e non lo faccio certo scendere. Ma non potevo nemmeno cacciarti, no?”
Hime non fece molto caso alle parole della donna, smise di accarezzare il gatto, lo prese in braccio, lo depose con cura a terra, strinse a sé il regalo di Luigi e guardò in faccia la donna; infine si diresse verso le scale. Sapeva già dove si trovava la stanza del ragazzo, ma quando si trovò davanti alla porta si fermò.
La donna intanto, si era avviata con passo lento e uno sguardo vacuo in cucina, ancora sconvolta: ciò che aveva visto, quella…ragazza…persona…no, era qualcosa al di sopra. Una divinità? Ma come sono fatte le divinità?
Lo sguardo della ragazza, inizialmente così insicuro, prima di prendere le scale era mutato, raggiungendo l’Equilibrio. Sicurezza, paura, verità, menzogna, eternità, erano spruzzi di colore nello sguardo di Hime.
Ora cominciava a tremare: quella ragazza… cosa ne sarebbe stato di suo figlio? Che a Hime piacesse suo figlio l’aveva capito subito, come senza nemmeno chiedere aveva capito quanto a suo figlio piacesse quella ragazza.
Quella perfezione potrebbe annientare ogni pensiero, figurarsi quello di un innamorato, che al solo pensiero di trovarsi con la persona amata perde la ragione, pensò la donna.
Hime respirò a fondo e bussò, prima debolmente, poi con decisione.
Dall’altra parte della porta nessun suono.
“Sono Hime, posso entrare?”
Hime colse un “Hmm” affermativo e senza pensarci due volte aprì la porta.
Luigi, aveva atteso con impazienza un bussare alla sua porta, portandosi a sedere perfettamente dritto e impaziente di vedere Hime.
Non so se questo sia l’Inferno o il Paradiso, era stato il primo pensiero di Luigi quando Hime era entrata nella sua stanza.
Non l’aveva mai vista così: luminosa, nella t-shirt nera due misure più grande dei Dir En Grey, nei pantaloni neri in latex, come sempre, poco femminile, ma ora così attraente. Le piaceva, ma non aveva mai provato un tale calore dentro di sé spargersi in ogni muscolo. Si pietrificò.
Hime guardò Luigi che non l’aveva nemmeno salutata.
Decise che avrebbe fatto tutto in fretta: gli avrebbe dato il regalo, detto tutto ciò che provava e avrebbe accettato sia un no che un sì. Doveva semplicemente liberarsi di quei sentimenti copiosi che invadevano i suoi pensieri e sogni.
“Buon compleanno” sorrise semplicemente, senza pretese, senza fretta, scandendo ogni suono. Voleva fargli sentire ogni suo brivido nel dire quelle due parole. Si sentiva come quando suonava il pianoforte: fragile, irraggiungibile.
Luigi non riusciva a parlare. La salivazione era aumentata notevolmente, ma la sua bocca era asciutta. Non era Hime, quella. Era qualcosa di più. Voleva parlare…voleva…niente. Voleva solo guardarla, ammirarla così per sempre. Gli sarebbe bastato.
Hime andò avanti, sempre più sicura della sua voce, accostandosi al letto del ragazzo.
“Tieni. Questo è il tuo regalo di compleanno. Niente di speciale.” quindi appoggiò il pacchetto sopra le gambe di Luigi.
Chiuse gli occhi.
Li riaprì.
“Mi piaci.”
Luigi, che aveva preso il pacchetto tra le mani si ritrovò in un’altra dimensione dopo quelle parole che Hime aveva pronunciato. ‘Mi piaci’, così, senza nessuna pretesa, come se già sapesse che anche lui provava lo stesso per lei.
Erano passati alcuni minuti, ma Luigi non aveva dato segno di vita.
Hime si sentì come la corda di una chitarra che salta, come una bacchetta di una batteria spezzata, come il tasto di un pianoforte scordato, soppresso dalla potenza degli altri 87 tasti.
La sua magnificenza crollò, ma Luigi non se ne accorse. Era ancora perso in quelle due parole che la ragazza aveva pronunciato.
Hime riprese: “Non pretendo che tu provi lo stesso per me. Mi sembrava giusto dirtelo. Tutto qui.”
Luigi non la stava più ascoltando, ma Hime colse nel suo sguardo il più grande dei rifiuti.
Restò ancora lì, immobile per un po’: voleva sentire il rifiuto a parole. Voleva leggerne la sicurezza nelle particelle dell’aria che stavano respirando insieme, ma di cui non condividevano nulla.
Luigi si era ripreso e voleva ripetere le stesse parole che Hime gli aveva regalato.
Nulla.
Non ci riusciva.
Era sempre così: non riusciva mai a dirle ciò che veramente pensava. Mai. PERCHE’?
Almeno allungare un braccio e portarla a sé. Gli impulsi elettrici non arrivavano a destinazione.
Quando l’aveva vista allontanarsi, era riuscito a muovere la mano nella sua direzione.
Quando l’aveva vista attraversare il confine tra la porta e il corridoio le aveva sussurrato: “Mi piaci.”, consapevole del fatto che lei non avesse captato quella richiesta di rimanere lì con lui e perdonarlo per il suo ritardo.
Hime non si prese nemmeno l’obbligo di salutare la madre del ragazzo e si chiuse la porta di quella casa alle spalle.
La donna, vedendo Hime uscire in fretta, aveva abbozzato un pensiero: che il figlio fosse rimasto impassibile davanti a quella divinità, senza riuscire a ringraziarla e lei se la fosse presa?
No, sembrava troppo poco.
Salì le scale e trovò il figlio con il braccio proteso verso la porta della stanza, con lo sguardo vuoto.
La donna provò a intuire qualcosa oltre gli occhi del figlio, ma non trovò alcuna risposta.
Gli si avvicinò e gli accarezzò la testa, senza pensare al perché del gesto, pensando che questo potesse bastare a farlo stare meglio.
Hime fece qualche passo verso casa sua, dimenticandosi la bicicletta abbandonata al muro esterno della casa di Luigi.
Quindi si rannicchiò, come un personaggio di un manga che tanto amava e che spesso prendeva in giro ingozzandosi di dolci e sgranando gli occhi per evidenziarlo. Rise pensando a quel personaggio bizzarro che nel manga era stato sconfitto, uno come lui che sembrava così imbattibile.
Scoppiò in una risata sonora, sovrastando il suono della pioggia, finì in un pianto silenzioso e velenoso, che le infilzava diverse lame sottili nei polmoni a ogni respiro, che a tratti le faceva pulsare più del dovuto alcune vene ora in rilievo. Non aveva mai fallito così miseramente, mai si era sentita così colpevole e vittima dei suoi stessi pensieri ed emozioni.
D’un tratto la pioggia smise di batterle sul capo e scorrerle lungo quel corpo ora così minuto.
Levò la testa asciugandosi il viso con il dorso della mano sinistra.
Sarà lui?
Ryu stava camminando sotto la pioggia quando aveva scorto in lontananza una figura piccola rannicchiata contro un muretto.
Non sapeva nemmeno se fosse maschio o femmina, giovane o adulto, finché non fu abbastanza vicino da capire che era una ragazza.
La vide tremare, fino a sentirne i singhiozzi.
Passò sopra la testa della ragazza il suo ombrello, grande per contenere entrambi e quando vide lo sguardo di quella posarsi dolcemente sul suo e attraversarlo fino al subconscio si disse che lei era identica a lui.
Si abbassò fino a sentire il respiro della giovane sfiorarlo come per chiedergli aiuto e perdono.
Frugò nelle tasche e ne tirò fuori un fazzoletto che offrì alla ragazza.
Le chiese “Perché piangi?”
Hime si era trovata due occhi neri a mandorla puntarla con forza, violarla nei pensieri più intimi.
Non poté fare a meno di assecondare ogni gesto del ragazzo poco più grande di lei o della sua stessa età. Alla domanda Hime non rispose, ma scosse lievemente la testa.
“Sono Ryu”
“Hime”
“Non sembri giapponese” rise il ragazzo e subito aggiunse con tono solenne: “Vuoi essere la mia principessa?”
Hime rise con gusto rispondendo: “Sono solo la principessa del mio Warumono”
“Warumono eh? Quel pupazzino nero?”
Hime continuò a ridere.
“Non è quello?”
“Sì, sì. Comunque mi riferivo al Mio Warumono: il mio pianoforte.”
“Quindi sei la principessa di un pianoforte?”
Non seguì risposta così Ryu concluse: “Interessante.”
Hime si era già incupita.
Ryu si era accovacciato accanto a lei, facendosi scuro.
Le sussurrò all’orecchio.
Hime sentì quelle parole e mormorò: “Promesso.”
I due ragazzi, senza conoscere l’uno nulla dell’altra, incrociarono i mignoli e scontrarono i loro pollici.
Era una promessa sigillata.
  
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