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Autore: Aracne90    21/02/2012    1 recensioni
[...] Un canto leggero si alzò piano nell’aria della sera. Era dolce e amaro nello stesso momento, intriso della più cupa disperazione; nessun essere umano ancora in vita avrebbe potuto ascoltarlo senza lasciarsi trasportare da quella melodia. La donna sorrise, avanzando piano nell’ oscurità, lasciandosi dietro il pesante portone di legno della Prigione, ormai chiuso. Era davvero meraviglioso.
1° Classificata al contest Ready, Set... Go! di Aleena indetto sul forum di efp
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Opzione scelta: 2 
 
Mestiere: Spia 
 
Ambientazione: Cimitero 
 
Razza: Banshee 
 
Titolo: L’ultimo canto
 
Generi: Drammatico
 
Rating: Verde
 
Avvertimenti: One shot

L’uomo alla porta scosse violentemente la sua arma gigantesca, facendo tintinnare i sottili finimenti della lama mentre, con poco sforzo, apriva il portone della Prigione. Era davvero imponente, quel nordico; la sua ascia di acciaio gli si addiceva perfettamente, aderendo alla sua persona meglio dei vestiti rigidi e mal assortiti che  indossava in quell’istante . Il ragazzo alzò leggermente lo sguardo quando la vibrazione del portone richiuso giunse nella sua cella, rimanendo a fissare il soffitto per un paio di secondi, incapace di distogliere gli occhi dalla macchia di umidità che si stava piano allargando. Era sveglio da ben prima che quella sciocca guardia muovesse la sua massa gigantesca e piena di lardo: lo scalpiccio di diversi ratti, molto comuni in quel tipo di alloggi, lo avevano svegliato subito prima che sorgesse il sole, desiderosi di assaporare la sua colazione, e pronti a saltargli addosso se solo avesse osato rivolgere lo sguardo verso il piatto appena riempito della sbobba verdognola. Non che a lui interessasse il vitto della prigione; solo chi possedeva gli occhi rossi, probabilmente, poteva sopportare il tanfo emanato da quella roba, e aveva optato per la fame, anziché doversi cibare di quel veleno. Aveva trovato una piccola fonte di acqua, non pulita, ma sicuramente non mischiata con i residui del corpo umano; e da quello a sfamarsi per bene, beh, c’era la sua immaginazione. Quella funzionava ancora, e bene, per fortuna.
Tuttavia non poteva sbagliare; quelli erano passi. E non di un unico individuo. Allungò il suo udito al massimo consentito dalle pareti di roccia, e riuscì a riconoscerli. Due persone, sicuramente le guardie, entrambe della stessa forma, ed un fruscio indistinto. Dovevano averne trovato un altro, pensò stringendo la mascella fino a sentire crocchiare. Chissà come l’avevano ridotto; non bene, considerando la sua totale incapacità di camminare. Sospirò, carezzandosi con un dito il mento barbuto, dove un lungo taglio si mostrava in tutta la sua interezza, non ancora rimarginato; non erano persone che adoravano parlare civilmente, anzi. Il ragazzo sospirò ancora, alzandosi in piedi, sotto lo sguardo incuriosito e pigro dei ratti che condividevano con lui la dimora provvisoria, e si avvicinò alla porta, cercando una posizione per sentire meglio. Per questo, quando la maniglia girò velocemente su se stessa facendo scattare la serratura, rimase sorpreso, a metà della stanza, immobile nel vedere l’entrata finalmente libera dal pesante pannello di quercia, marcio ma ancora invalicabile, e tre persone che si stagliavano sulla soglia. Uno dei secondini, quello più grasso e brutto, gli rivolse uno sguardo pieno di derisione, carezzandosi la guancia esattamente come aveva fatto fino a poco prima lui, mentre l’altro, indubbiamente il superiore, lo fissava con distaccata indifferenza. Della terza persona, beh, nulla era visibile, solo delle scarpe che apparivano minuscole, se messe a confronto con quelle abnormi delle guardie.
-Buonasera, signori.- disse allora il ragazzo, abbozzando un mezzo inchino ai visitatori, con voce ferma e leggera, e un sorriso strafottente sulle labbra sottili. – Mi spiace, non aspettavo visite, altrimenti sicuramente mi sarei adoperato a rendere il luogo più…- indugiò tranquillamente, cercando una parola giusta a rendere il concetto con calma, sapendo perfettamente che nessuno avrebbe osato parlare durante quella pausa innaturalmente lunga -… ospitale.
-Zitto, feccia- lo interruppe la guardia più orrenda, sputando con enfasi un grumo di catarro a poca distanza dai piedi del ragazzo, ricoperti da un sottile strato di stoffa.
-Ernel- lo richiamò il superiore, lanciandogli uno sguardo fin troppo eloquente, tanto che nemmeno il grassone avrebbe potuto evitare. -Hai delle visite.- cominciò quindi verso il ragazzo, che alzò il sopracciglio destro, incuriosito.
-Non avevo mai ricevuto visite prima.- disse dopo un paio di secondi, andando a sedersi sul giaciglio di paglia, unico lusso concessogli, osservando il gruppo sulla soglia con un mezzo sorrisetto sulle labbra. Non potevano avvicinarsi, non dopo aver ricevuto gli ultimi ordini; e, sebbene desiderassero fargli davvero male, e lui sapeva perfettamente quanto lo bramassero, non potevano alzare un dito contro di lui. Il mezzo sorriso si trasformò in un ghigno, perfettamente incastonato in quel viso di porcellana, che rivolse senza remore alle guardie, col chiaro intento di punzecchiarli. Quello più grosso, evidentemente più borioso, era già pronto a saltargli addosso con l’ascia sguainata, unica arma che gli era stata concessa in dotazione, ma la presa forte del superiore tratteneva tutta la sua stazza, e in quell’istante il ragazzo si ritrovò a fissare stupito l’uomo. Doveva essere davvero potente, se riusciva a fermare con un solo tocco un personaggio massiccio come quello.
-Ti hanno concesso questo regalo.- disse allora l’altro, nascondendo a mala pena una smorfia, e facendo un passo indietro. -Avete dieci minuti.- si rivolse quindi verso la figura dietro di loro, senza alzare lo sguardo verso il suo viso, guardando ancora con la coda dell’occhio il ragazzo, che stava beato sul suo misero giaciglio. -In caso di bisogno, siamo qui fuori.
-Non credo che ce ne sia motivo.- rispose una voce di donna, mentre una figura aggraziata s'introduceva, sinuosa, tra i due, ancora sulla soglia. -Ora perdonatemi, ma il signore ed io… Dobbiamo fare una lunga chiacchierata.- continuò verso i due, ormai dentro la squallida cella, seguita dal tonfo secco della porta ormai richiusa dietro alle sue spalle.
-Secondini ben poco istruiti.- commentò a porta chiusa il ragazzo, fissando le spalle della donna, ancora girata verso l’ingresso.
-Vero?- domandò lei, voltandosi finalmente. Il ragazzo represse un brivido nel vederla in volto, scomponendosi però per un attimo. La pelle candida, ben più di quella donata dal più perfetto dei trucchi, troneggiava su tutta la sua figura, distogliendo per un attimo, ma solo per un attimo, lo sguardo dagli occhi, che in un secondo istante, reclamavano padroni l’attenzione del malcapitato osservatore. Rossi, come il dolce rosso delle rose più belle; eppure freddi, come il gelido inverno nelle grotte, portatore di morte e malattia, e creatore degli accumuli di ghiaccio più duro. Nulla si poteva scorgere in quegli occhi, nulla era possibile vedervi; nemmeno il più antico degli istinti, quello della sopravvivenza, persisteva in quella coscienza, liberata da tutto. -Eppure sono molto abili in quello che fanno.
-Come fate a dirlo, se posso chiederlo?- domandò lui, a voce roca, cercando di distogliere lo sguardo dal magnetismo introdotto da quello di lei, deformando leggermente la sua espressione fino a quel momento immutabile.
-Oh, beh…- la donna si avvicinò leggermente verso di lui, muovendo piano la testa, e facendo ondeggiare i capelli castani, liberi da qualsiasi costrizione. -Me lo dimostra semplicemente il fatto che non ti abbiano fatto scappare.
Il ragazzo strinse la mascella, digrignando i denti. -Cosa vi dice che non abbia voluto fuggire io?- La voce era ferma, sebbene il tremito, che fino a quell’istante aveva cercato di mascherare, si presentava completamente lungo tutto il suo corpo.
La donna rise, come conseguenza alle sue parole, ma meccanicamente, producendo una nota di sottofondo che ben poco aveva di naturale. -Una spia, colto a trafugare informazioni, all’interno della fortezza dei Vampiri… Non penso tu voglia rimanere all’interno del Cimitero ancora a lungo. Quindi, devi convenire con me che le guardie assegnate stanno facendo un buon lavoro, vero?
La donna si avvicinò ancora di qualche passo verso di lui, mantenendosi ancora a una debita distanza, forse aspettando una di lui mossa, che però non giunse in tempo. -Non so cosa o chi ti abbia mandato, ma so cosa sei, ragazzo. Quindi che ne dici di smettere questa farsa da duro e dirmi che cosa stavi cercando nelle stanze del Sovrintendente?
Il ragazzo alzò gli occhi verso di lei, senza più temere la malia nel suo sguardo. -Voi sapete cosa sono, Signora? Oh, questo sì che è buffo.- rispose lui, appoggiando sul polso destro la testa, che sembrava stranamente pesante, in quell’istante. -Non nego nessuna delle accuse che mi avete rivolto, sia ben chiaro; ma da questo a dirmi che sapete cosa sono, ne passa di acqua sotto i ponti, non credete?
E di nuovo, quella risata metallica si sparse per la cella, facendo rintanare i pochi topi ancora incuriositi dai due. -Non credo ti convenga scherzare con me, ragazzo.- disse, avvicinandosi ancora, di lato, per appoggiare la mano alla parete, umida e piena di muffa. -Lo sai cosa sono io invece, vero?
Il ragazzo allungò le labbra in un sorriso ben tirato. -Suppongo che siate il mio boia, Signora.- esclamò con nonchalance, alzando gli occhi al cielo, senza però perdersi l’espressione appena stupita della donna, ancora vicino al muro. -E se voi siete qui, ciò significa che la sentenza è stata approvata e ribadita, e che le mie vane speranze di sopravvivere si sono ridotte drasticamente.
-Ah, la morte… Sinceramente un po’ troppo sopravvalutata, a parer mio.- La donna si avvicinò piano al suo pagliericcio, osservando con attenzione i piccoli rimasugli di fieno tutti intorno al ben misero giaciglio, quasi cieca alla sua figura placidamente stesa su di esso. -Nulla vi è prima, nulla vi è dopo, e troppe idee balzane sul mentre. Luci lontane, silenzi assordanti, memorie sopite che passano come uno spettacolo dinanzi agli occhi… Come se tutti volessero ricordare tutte le misere azioni che hanno compiuto durante i giorni al sole.- la mano sinistra, abilmente nascosta fino a quell’istante, si andò a posare sulla fredda roccia che fungeva da parete, completamente insensibile alla fredda umidità che era sedimentata su di essa. -L’unica cosa che la contraddistingue per tutto il resto del mondo, è il dolore che crea nelle persone che hanno a che fare con lei. Incapaci di accettarla, di divenire complici del suo ignobile ma necessario lavoro…- il ragazzo strinse i pugni e la mascella, senza però muoversi. -… ma tu questo lo sai, nevvero?- domandò allora lei, sorridendo furbamente, avvicinando di scatto il viso verso il suo, zittendolo anche nel caso in cui lui avesse voluto parlare. -Sai - continuò, lasciando ancora qualche istante inalterata la distanza tra i loro due nasi, e beandosi del movimento d’aria che proveniva dal suo ogni volta che espirava. -Ho sempre desiderato udire il grido degli Spiriti delle Famiglie… Dicono che sia la cosa più bella che orecchio umano possa ascoltare, prima di distruggersi in quella melodia. Naturalmente le voci di donna sono sempre più dolci, eppure credo - avvicinò la sinistra, ancora umida, verso il suo viso, carezzandogli piano la guancia, e seguendo la scia dei tagli che portava come riprova del suo essere. -che i canti di un Farshee siano di uguale bellezza. O forse sbaglio?
Il ragazzo deglutì, rimanendo in silenzio, senza nemmeno accorgersi del gelo che stava invadendo la sua anima. -Un Farshee…- riuscì a dire dopo qualche istante, a voce bassa -Sono molto rari, mia Signora. Una razza debole, senza alcun tipo di forza, dominata dalle donne… Che passano molto tempo a nascondersi e a soffrire anziché lottare. Potete davvero credere che io appartenga a quella specie?
La donna si scostò di un paio di millimetri, ghignando in modo scuro quando si accorse che la malia del suo essere non riusciva a penetrare sotto la pelle di lui. -Oh, suvvia, mio caro cantore… Pensi davvero che io non sappia che cosa stanno complottando i Lupi e le Chimere? Questo è un mondo piccolo, fin troppo per quello che riguarda gli interessi del Cimitero. E voi altri… Hai un bel viso, caro aedo. Troppo bello e ben curato per essere una spia. E non sento il tuo odore, né avverto il tuo battito, sebbene possa vedere con i miei occhi il rigonfiamento della vena de tuo collo che pulsa. Questo vuol dire che appartieni al Piccolo Popolo… I Faerie.
Il ragazzo strinse i pugni e la mascella, digrignando sonoramente i denti. -Questa è un’accusa bella grossa, mia Signora… Un Faerie? Vi sembra che per caso abbia una barba di licheni che giunge fin sotto i miei piedi? O che indossi un cappello rosso a punta sulla testa? – tentò di esprimere una mezza risata, che però suonò come un minuscolo sibilo balbettante. -E non avete pensato che se davvero fossi chi dite, avrei già buttato giù le mura di questa fortezza a suon di note?
Il sorriso sul viso della donna non scemò minimamente, neppure quando il pesante battente alle sue spalle si aprì, rivelando il secondino simil-umano che osservava dentro, torvo. -Mi spiace, mio caro, la sentenza per te è ben diversa dalle tue attese. Sembra che il Consiglio ti abbia voluto graziare, alla fine…- il giovane ebbe un sussulto, alzandosi di scatto dalla posizione supina e mettendosi a sedere, tremando. -Dovresti essere riconoscente, avrai concessa la vita, in questa Prigione, per tutta l’eternità. Un privilegio per pochi, in questi giorni di carestia…- gli occhi di lei ebbero un fremito, mentre si passava piano la lingua sulle labbra.
-No.- fu l’unica risposta del ragazzo -No, non è possibile… Il Consiglio non offre mai clemenza. Mai. Io… Io devo morire.
La donna fece segno di diniego, spostandosi piano verso il centro della stanza, ed avvicinandosi alla porta. -Abituatici. E’ molto raro, ma d’altronde è raro anche che qualcuno entri di soppiatto nelle stanze del Sovrintendente, per rubare… Pfiu… - sospirò appena, smuovendo leggermente la testa -Carte riguardanti la contabilità. E fingendosi un Pasto, oltretutto. – dicendo questo, le passò sul viso una smorfia di puro disgusto. -Sangue impuro, malsano e poco digeribile, quello di voi esseri fatati. Ma non sei contento, mio caro cantore? Vivrai sulla terra nella quale sono sepolti i tuoi morti.
Ormai la veste di sicurezza e tranquillità che aveva rivestito il giovane era persa; nulla nel suo aspetto attuale lasciava immaginare quale potesse essere il suo viso anche solo pochi minuti prima. La guardia trasalì, accorgendosi solo in quell’istante del cambiamento; tuttavia rimase immobile, fermo nella sua posizione. – Il tempo è concluso. – disse alla fine, ritornando imperturbabile e distaccato, senza più guardare il giovane, che ormai si stava ricoprendo sempre più di disperazione.
-Vi prego… Vi prego… - mugolava appena, mentre lacrime calde solcavano il suo viso, ormai attorniato da una capigliatura canuta ed ispida. -Vi prego, abbiate pietà…
-Pietà? – chiese la donna, ormai sulla soglia. -Ma ne hai ricevuta fin troppa mio caro… Hai ancora la vita, no? Una lunga, lunghissima vita, piena di rimorsi e ricordi dolorosi, con la certezza che tutto ciò per cui ti disperi non avrà mai fine. Credevi che non lo avremmo capito? Ormai la tua funzione su questa Terra è finita, vate. La tua famiglia è estinta. Restano solo ossa e polvere, e i tuoi canti funebri che risuonano nell’aria. E non pensare di poter scappare... - continuò, con un ghigno che metteva in risalto le gengive quasi bianche -Noi abbiamo i loro resti, ed anche i tuoi. Buonanotte, mio caro aedo… E sogni d’oro.
Non ci fu modo di replicare. La porta si richiuse dietro di lei, subito dopo aver terminato il discorso. Ora il silenzio regnava in quella stanza; non più scalpicci, non più rantoli, nemmeno il rumore di un respiro umano. Il ragazzo si portò le mani al viso, senza nemmeno badare alle lacrime che inesorabili scendevano lungo le sue gote.
Un canto leggero si alzò piano nell’aria della sera. Era dolce e amaro nello stesso momento, intriso della più cupa disperazione; nessun essere umano ancora in vita avrebbe potuto ascoltarlo senza lasciarsi trasportare da quella melodia. La donna sorrise, avanzando piano nell’ oscurità, lasciandosi dietro il pesante portone di legno della Prigione, ormai chiuso. Era davvero meraviglioso.

 
 
   
 
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