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Autore: _Renesmee Cullen_    22/02/2012    6 recensioni
Diletta, una ragazza che non ha più voglia di innamorarsi, incontra Matteo, un ragazzo in una situazione identica alla sua. Sono molto simili: entrambi orgogliosi ed entrambi con una personalità forte, entrambi con degli amici fantastici, Athena e Francesco.
L'odio che provano l'uno per l'altra è palpabile nell'aria che respirano, ma non sempre sarà così.... tra figuracce e situazioni romantiche che fine faranno??
leggete e scoprirete cosa succederà ai due.....
è la mia prima fanfiction e spero che vi piacerà!
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve a tutte ragazze!! Si, è vero, non ho postato tanto presto, ma mi farò perdonare con questo capitolo che è lunghissimo... anzi è il più lungo di tutti quelli che ho scritto, me ne sono stupita anche io.
Confesso che quello che accade qui è un po' da film, ma spero che vi piacerà lo stesso.
In questo capitolo verranno svelati molti misteri che nel corso della storia sono rimasti seminascosti.
Sono contentissima di essere arrivata ad avere 267 cliccate per ll'ultimo capitolo e quasi 4000 per il primo.
105 di voi hanno messo questa storia tra le seguite, e mi farebbe davvero piacere sapere anche il parere di chi solitamente non recensisce, soprattutto in questo capitolo.
Mi raccomnado recensite
Saluti!!!


Capitolo 29 Sensi di colpa

Pov Francesca


Dile se ne andò infuriata. Mi dispiaceva che pensasse quelle cose di Matteo... mi sembrava un ragazzo a posto, e sinceramente non credevo che, conoscendo Claudia, fosse stata tutta sua la colpa di quel bacio. Dile avrebbe potuto dargli almeno la possibilità di spiegarsi... ma a quanto sembrava non ne aveva alcuna voglia. Non credevo che avrebbe cambiato idea.
Rimasi seduta silenziosa al tavolo. Chiacchierai un po’ con Lucia e quando arrivò Athena seguita da Francesco si sedettero al tavolo con noi
-Ciao Athe, ciao Francesco.- salutai tranquillamente.
Diletta mi aveva trascinato a quella festa, quando io sarei potuta benissimo rimanere a casa a leggere qualcosa. Ma avevo voluto far contenta Dile che era furiosa e, anche se cercava di nasconderlo, decisamente triste e gelosa. Glie lo leggevo negli occhi.
-Ciao Francy.- disse Athe, che quella sera era proprio carina. Non mi trattenni e curiosai un po’
-Scusate se ve lo chiedo, ma Matteo non è con voi?- chiesi tranquillamente, cercando di non mostrarmi curiosa. Fra e Athe si guardarono e cominciarono a mugugnare parole senza senso.
-Guardate che non è un problema, se non me lo volete dire mica mi offendo- non ero una bambina che se non sapeva delle cose sbraitava o piagnucolava.
-No no non è questo…- cominciò Athe e mi spiegò che Matteo stava cercando Diletta per attuare il loro piano. Mi spiegò anche quello e sorrisi. Athena non si dava per vinta… non ostante avesse litigato con Diletta per tutta quella faccenda, e non ostante lei le avesse detto chiaro e tondo che no voleva interferenze, Athe continuava a fare come voleva. Era proprio determinata. Sicuramente faceva tutto questo perchè voleva molto bene a Dile, ma a volte le intenzioni migliori possono causare i danni più gravi…
Scacciai il pensiero e mi congratulai con i due innamorati per il piano
-Siete stati proprio bravi ad inventare una cosa del genere… speriamo solo che funzioni…- dissi speranzosa. Athena sogghignò
-Deve funzionare! Adesso scusaci ma andiamo un po’ a scatenarci.- rispose, prendendo per mano Francesco; quanto erano graziosi insieme quei due!
Rimasi seduta tranquillamente: non avevo bisogno di andarmi a “scatenare”, come aveva detto Athena. Mi guardai annoiata in torno con la testa che cominciava a dolere a causa della musica alta. Mh… la discoteca non faceva per me. Non mi piaceva, non mi divertivo quando ero là, la contrario di Diletta, che sembrava rinascesse ogni volta che ci metteva piede.
-Ciao.- mi salutò qualcuno. Mi voltai e vidi Ludovico, l’amico di Francesco e Matteo. I suoi occhi grigi spiccavano nella penombra della sala. Sorrisi e salutai a mia volta
-Ciao- in realtà non avevo mai scambiato più di quattro parole con lui, mi ricordavo di averci ballato in discoteca una volta. Sembrava un tipo simpatico e dolce, peccato per la fama che si portava dietro. Certo, non che fosse colpa sua che si innamorava delle ragazzacce, però a quanto avevo capito non imparava mai dai suoi errori. Non avevo bisogno di cacciarmi nei guai, ma in fondo, non avrebbe potuto nuocermi il fatto di conoscerlo meglio.
-Ti va di ballare?- chiese speranzoso. Non ero molto entusiasta di questa idea. Non mi piaceva ballare, non mi andava che mi guardassero tutti. In più, se pensava che io fossi solo un passatempo finchè non trovava un’altra... ragazzaccia che se lo filava, si sbagliava di grosso.
-Ok...- dissi titubante, e mi prese la mano. Andammo in pista e cominciammo a ballare, ma a debita distanza. Non volevo che mi si appiccicasse come una ventosa. Piano piano mi accorsi che ci stavamo avvicinando sempre di più. Nonostante tutto non feci nulla per evitarlo, e dopo poco mi ritrovai stretta tra le sue braccia. Ballammo ancora a lungo, scambiandoci qualche parola sul più e il meno. Dopo un po’ arrivò Athena abbastanza trafelata al nostro tavolo: io, che non mi ero allontanata molto da li, la vidi guardarsi intorno. Lasciai Ludovico scusandomi e andai da lei
-Athe che c’è?- chiesi preoccupata.
-Ehm… diciamo che Dile è… si è addormentata su una panchina di fuori.- fece. Io strabuzzai gli occhi
-Cosa? Non mi dire che l’avete fatta ubriacare…- dissi, indignata. Athena non mi fece finire di parlare
-Non si è ubriacata, era solo stanca…- e mi raccontò velocemente ciò che era successo mentre ci avviavamo verso l’uscita del locale. Andammo da Diletta che stava ancora dormendo, e vidi Francesco e Matteo che la stavano sorvegliando. Negli occhi di quest’ultimo lessi davvero molta preoccupazione e apprensione. Sorrisi: come si vedeva che il cuore di quel ragazzo apparteneva esclusivamente a Diletta…
-Francesca puoi riaccompagnare Diletta a casa?- mi chiese Matteo premuroso –Lo fari io ma… - feci un cenno di assenso precedendolo
-Non preoccupatevi per Diletta, in realtà io devo tornare con lei comunque perchè tra poco il padre ci viene a prendere. Voi andate, adesso la sveglio, è tutto a posto.- dissi tranquillamente, cercando di far calmare tutti. I ragazzi se ne andarono senza voltarsi, solo Matteo mi lanciò un’occhiata colma di tristezza. Poveraccio, sapevo che non era facile avere a che fare con Diletta. Aveva un carattere davvero molto particolare, ed un modo di pensare tutto suo.
Andai a svegliarla scuotendola leggermente. Appena mi vide sussultò.
-E’ ora di andare- le dissi. Lei si guardò sperduta intorno. Mi fissò
-Che diavolo è successo? Cosa ci faccio qui? E dov’è Matteo? Io…- cominciò. Era davvero confusa e spaesata. La feci appoggiare a me mentre ci avviavamo verso il parcheggio. Non sapevo se dirle tutta la verità, così rimasi cauta
-Tu cosa ti ricordi?- chiesi lentamente. Lei si premette una mano sugli occhi
-Quasi tutto, mi ricordo di aver ballato con Matteo, poi stavo andando a cercare l’uscita perchè mi serviva una boccata d’aria… poi non ricordo più nulla- disse incerta. Come non detto, speravo che si fosse dimenticata del ragazzo mascherato, ma il cervello di Diletta memorizzava tutto e non dimenticava niente.
-Bhe, io ti stavo cercando a un certo punto perchè era un po’ che non ti vedevo... ti ho trovata barcollante, allora siamo uscite insieme e ti ho aiutata a metterti sulla panchina. Ti sei appisolata e poco fa ti ho svegliata.- spiegai. Lei mi guardò dubbiosa, sapevo che non ci credeva fino in fondo, ma non mi disse niente. Il papà di Diletta ci aspettava in macchina, salimmo e lui ci riportò a casa. Durante il tragitto Dile guardò sempre fuori dalla finestra, e non spiccicò parola.

Pov Matteo

Ero così preoccupato per Diletta che decisi di fare una cosa davvero stupida: senza spiegare niente a nessuno, uscii dal locale, andai nel parcheggio, mi levai la maschera e la misi in tasca, infilai il casco e partii a tutto gas con la moto. Senza nemmeno sapere dove stessi andando, presi la strada di casa mia. Arrivato davanti casa di Diletta, però, nella mia testa prese forma un’idea suicida e decisamente da film: la terrazza della sua camera, che era al terzo piano della casa, si affacciava in parte sulla strada. Ma visto che il primo piano era un seminterrato, la sua camera era al secondo piano rispetto il livello del suolo. Ragionai un po’ dato che era accaduto tutto molto velocemente e poi mi guardai intorno. No, non potevo farlo, sarebbe stato troppo stupido.
Scesi dalla moto titubante. Diciamocelo, io ero il genio delle azioni stupide… perchè non provare? In fondo, non ci avrei perso nulla, peggio di così non poteva andare, per cui…
Appoggiai il casco sul manubrio della moto e riflettei. Proprio di fianco al cancello, ma fuori dal giardino della casa, c’era un albero robusto. Da bravo scout quale ero stato fino a due anni prima, mi arrampicai sul tronco dell’albero. Siccome il tronco era molto grande, non riuscivo ad abbracciarlo tutto, per cui mi sbucciai le dita delle mani. Non me ne importò nulla e continuai a salire. Sperai che nessuno mi vedesse, dato che non era normale trovare un ragazzo avvinghiato ad un albero alle due di notte in una posizione compromettente. Qualcuno avrebbe potuto pensare che fossi un ladro… per evitare spiacevoli incidenti mi sbrigai a salire. Ero quasi arrivato a destinazione quando misi le mani su un rametto che si ruppe sotto il mio peso. Mi aggrappai con tutto il corpo sull’albero e il viso strofinò sul tronco. Repressi un grido, non volevo rovinare tutto e svegliare il quartiere intero. Ci mancava solo che Diletta mi beccasse e davvero, mi sarei lasciato cadere dall’albero di mia spontanea volontà. Sempre se non l’avesse fatto lei per prima. Non ebbi tempo di toccarmi la guancia, ma sentii che mi bruciava. Feci una smorfia e finalmente dopo aver schiacciato rigorosamente i fiori del davanzale, arrivai sul balcone. Feci un respiro profondo: bastava che girassi l’angolo, e mi sarei trovato davanti alla finestra della sua camera. Potevo ancora tornare indietro, non era troppo tardi, non mi avrebbe visto nessuno...
Dovetti abbassarmi di scatto perchè proprio davanti alla casa di Diletta arrivò una macchina piena zeppa di gente che si mise a conversare fuori dalla porta dell’abitazione. Non sarei potuto scende neanche se l’avessi voluto, perchè mi avrebbero visto. Feci un respiro profondo e voltai l’angolo. La finestra era spalancata, e da fuori si sentiva il respiro di Diletta, che non sembrava però tanto calmo. Preso da un moto di pura follia entrai nella sua stanza. Diletta dormiva spaparanzata sul letto gigante supina, con la bocca semi aperta e un viso da angioletto. Il lenzuolo era buttato completamente di lato. La vista del  suo “pigiama” non mi aiutò a pensare lucidamente.

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Cominciai a sudare e, davvero, non solo per il caldo dell’estate. Mi concentrai sul suo viso, cercando di “ignorare” il resto. Non fu molto facile. Non sembrava che Diletta stesse dormendo un sonno tranquillo, voltava la testa a destra e a sinistra ripetutamente, come in preda al delirio. Avrei voluto svegliarla e chiederle se stava bene, ma non potevo, sarebbe stato come tagliarmi i piedi da solo. Ad un tratto Diletta si voltò da un lato dandomi la schiena e in quel momento rischiai seriamente di saltarle addosso. Cosa mai avevo fatto di male nella mia vita per meritarmi questo?
Non riuscivo a staccare gli occhi dal suo ehm... fondo schiena, e quella sottospecie di pigiama non aiutava di certo. Mi voltai e uscii per prendere una boccata d’aria fresca, anche se questo non mi aiutò gran che. Chiusi gli occhi, ma ci rinunciai perchè davanti mi ritrovavo solo quell’ immagine, così respirai profondamente di nuovo. Mi voltai e rientrai nella stanza. Diletta aveva cominciato a mugugnare cose senza senso,
-No... no...- diceva nel sonno. Non parlava già tanto da sveglia, ci voleva pure che chiacchierasse nel sonno? Ma Diletta era una persona rara, su questo non c’erano dubbi. La guardai ancora dormire senza riuscire a staccare gli occhi dal suo viso. Ad un certo punto mi spaventai: il suo respiro era diventato irregolare e mi chiamò ad alta voce, come se fosse sveglia
-Matteo! Dove sei?-. Pensai per un attimo che si fosse svegliata, ma continuava a tenere gli occhi chiusi, quindi ipotizzai che mi stesse sognando. Chissà cosa si stava svolgendo adesso nella sua mente...
Continuò a chiamarmi, e fui di nuovo tentato di svegliarla, ma non lo feci. Mi sedetti anzi sul bordo del letto e le strinsi la mano forte. Sperai che non si svegliasse. Lei ricambiò la stretta e sembrò acquietarsi. Dopo un po’ lasciai la mano e mi avviai alla finestra cercando di sgattaiolare via indisturbato, ma mi bloccai
-No! Non te ne andare, ti prego...- sentii. Non avevo il coraggio di voltarmi... si era svegliata! Sapevo che sarebbe accaduto! Stupido! Matteo sei un emerito idiota! Mi preparai psicologicamente ad affrontarla, a prendermi insulti, a sentirmi urlare contro il mio errore, anche se pensare che mi aveva detto di restare era un buon segno...
Mi voltai, ma Diletta era nella stessa posizione di prima, a occhi chiusi, e biascicò di nuovo, con voce quasi spezzata dal pianto
-Ti prego…- non sapevo che fare, mi si spezzava il cuore a lasciarla li...
Tornai sul bordo del letto e le strinsi di nuovo la mano. Di nuovo si acquietò e il respiro si fece pesante e regolare. Non mi trattenni
-Ti amo... e non hai la più pallida idea di quanto...- e purtroppo per me quella era la verità.

Pov Diletta

Matteo è li davanti a me. Lo guardo e cerco di parlargli, di dirgli che voglio sentire cosa è successo in realtà, che sono una stupida a non avergli dato la possibilità di spiegarsi. Non voglio perdere la sua amicizia, significa molto per me. Lui non mi parla. Sta zitto, e quando apre la bocca comincia a ridere.
-No... no- dico. Ho rovinato tutto quello che c’era tra noi. E perchè poi? Perchè sono stupida, orgogliosa. Non voglio che se ne vada, dobbiamo parlare.
Mi da le spalle, fa di nuovo per andarsene, e so che se non farò qualcosa lo perderò per sempre. Vinco le mie paure e gli prendo una mano.
Lui si volta e me la stringe, è serio ma non sembra arrabbiato. Mi tranquillizzo.
Dopo poco però me la lascia e capisco che vuole andarsene. Non posso permetterlo
-No! Non te ne andare, ti prego...- lui mi guarda, ma senza avvicinarsi.
-Ti prego...- biascico disperata. Non so cosa altro fare. Ad un tratto mi abbraccia di slancio, e io sono felice, sono felice tra le sue braccia, mi sento protetta e al sicuro. Matteo mi bacia i capelli e parla, è la prima volta che lo sento parlare, ma la sua voce sembra più reale di quello che in realtà potrebbe essere
-Ti amo... e non hai la più pallida idea di quanto...- quelle parole mi arrivano nel profondo del cuore e anche se mi costa ammetterlo mi fanno piacere, sono felice. Voglio che le ripeta ancora. Invece continua ad abbracciarmi.
Non voglio che mi lasci mai.

Mi svegliai con il sole che mi baciava il viso, e la finestra che era rimasta spalancata dalla notte precedente. Mi sentivo bene, riposata. Guardai l’orologio: erano quasi le due del pomeriggio. Quella dormita mi aveva fatto bene. Non mi sembrava di aver sognato, per fortuna, o se l’avevo fatto, non lo ricordavo. Quando dormivo profondamente mi svegliavo sempre allegra. Misi i piedi fuori dal letto e mi alzai. Non mi accorsi di avere appoggiato il piede su qualcosa, così che scivolai e caddi in avanti, sui gomiti. Mugugnai per il disappunto ma mi alzai stranamente incolume. Afferrai l’oggetto non identificato che mi aveva fatto fare il capitombolo, pronta ad insultarlo o distruggerlo, ma quando vidi cosa avevo tra le mani sussultai. Una maschera blu. Subito mi tornarono in mente i ricordi della sera prima, che con il sonno prolungato si erano inizialmente dileguati. Di botto ricordai tutto. Per la violenza del ricordo mi sedetti sul letto a pensare: io avevo già visto quella maschera. Non mi ricordavo assolutamente dove, ma ero sicura che non la stavo guardando per la prima volta. Di chi era? Forse era del ragazzo mascherato, o meglio, di Matteo, ma esclusi l’ipotesi perchè la sua maschera non mi sembrava fosse così grande, e soprattutto non era blu... non ricordavo il colore preciso, ma mi sembrava viola o nera...
Mi guardai intorno, e  mi diedi della stupida per aver lasciato la finestra della camera spalancata: sarebbe potuto entrare chiunque. Ecco cosa si otteneva a non ragionare quando facevo qualcosa. Mi agitai: chi era entrato nella mia stanza?
Mi spaventai: forse uno di quelli che stavano alla festa era un cleptomane e dato che si era ubriacato mi aveva seguito perchè aveva visto che ero tutta ingioiellata, ed era entrato nella mia stanza attraverso la finestra. In fondo, non ci voleva poi molto a scalare l’albero che stava davanti alla mia terrazza. Mi irrigidii: forse quel qualcuno era ancora in casa mia. No, impossibile, i miei genitori se ne sarebbero accorti. E poi… non mancava nulla dentro la stanza… era tutto in ordine. Se era entrato qualcuno, di certo non era un ladro. Ma chi allora?
Scesi cautamente le scale guardandomi intorno. In cucina non c’era nessuno, e non si sentivano rumori sospetti. Sul tavolo c’era un foglietto, tanto per cambiare, come in quel periodo trovavo spesso: quando si avvicinava l’estate mamma e papà erano sempre molto indaffarati.

Ho dimenticato di fare la spesa, falla tu, oggi pomeriggio non faccio in tempo. Non c’è niente da mangiare, arrangiati in qualche modo, io e tuo padre siamo a pranzo fuori. Per qualsiasi cosa chiama

Mamma

p.s. annaffia i fiori del tuo terrazzo che sono tutti appassiti.

Strabuzzai gli occhi e corsi di sopra, aprendo la finestra: non c’era dubbio, quella sera qualcuno era stato in camera mia: i gigli che stavano sulla fioriera erano tutti acciaccati, come se qualcuno ci fosse passato sopra. Mamma stava sempre attenta alle nostre piante dato che aveva il pollice verde, quindi quella era l’unica spiegazione plausibile. Fui tentata di chiamare i miei perchè non volevo rimanere da sola, ma non avevo più sette anni, potevo resistere alla paura.
Dopo essermi vestita, aver chiuso tutte le finestre ed aver messo l’allarme per evitare qualsiasi episodio spiacevole, uscii di casa.

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Andai al supermercato nel quartiere vicino. Volevo farmi una bella passeggiata per cercare di fare ordine tra i miei pensieri. Più di tutti, ce n’era uno che non riuscivo a scacciare: il senso di colpa. In discoteca mi ero comportata in modo davvero stupido, accecata dalla gelosia e dalla mia stupidità. Mi ero comportata da ragazzaccia, avevo baciato tutti quelli che mi erano capitati a tiro (compreso Matteo) e avevo anche bevuto. Se non mi avesse trovato Matteo, quella serata sarebbe potuta andare a finire davvero molto male.
Mi scocciava il fatto che avessi voluto più che potuto, non essere me stessa. Ero consapevole di quello che stavo facendo, eppure continuavo a farlo, imperterrita, ignorando che fosse sbagliato.
Le parole della canzone “Stupida” di Alessandra Amoroso mi rimbombavano in testa, ricordandomi quanto fossi stata idiota e... bimbaminchiosa. Che cos’erano un ossimoro? Detestavo quando la gente mi dava della bambina, e adesso lo facevo io stessa. Sorrisi tristemente: stavo solo cercando di non dire bugie a me stessa.
Mi stavo avviando al supermercato rimuginando, e non mi accorsi che stavo per sbattere contro qualcuno. Alzai la testa da terra appena in tempo, e quando vidi chi avevo davanti mi si gelò il sangue nelle vene. Giulio mi guardò sorridendo sornione
-Ciao Diletta- disse sottolineando il mio nome in modo strano. Mi spaventai: non prometteva nulla di buono. Ricambiai appena e feci per andarmene, ma prima che potessi superarlo, mi fermò prendendomi per un braccio. Oh, no, per favore. Perchè adesso gli dovevano prendere gli attacchi da maniaco omicida? Ricordai la figuraccia che gli avevo fatto fare davanti a tutta la scuola, rifiutandolo senza farmi problemi. Mi aveva giurato che glie l’avrei pagata. In quel momento, nella strada dove non passava nessuno, sotto il sole cocente delle due del pomeriggio, ebbi davvero paura. Mi guardai intorno: le case, che stavano sul bordo opposto della strada rispetto a me, avevano tutte le persiane chiuse. Non c’era un’automobile in giro. Quella era l’ora in cui tutti dormivano per via del caldo e per ristorarsi prima di tornare al lavoro. Guardai Giulio in faccia, mentre sorrideva in maniera ambigua. Digrignai i denti: non potevo avere paura di lui io. Mi spaventava soltanto il fatto che, sebbene io fossi forte, Giulio era anche il doppio di quel muscoloso di Matteo. Deglutii
-Dove vai?- mi chiese curioso. Sono Cappuccetto Rosso e vado a casa della nonna caro Lupo!
-Da un’amica.- dissi, sperando che capendo che qualcuno mi stava aspettando, cambiasse idea e mi lasciasse andare. Purtroppo mi circondò la vita con le sue braccia obbligandomi a guardarlo, e disse, minacciosamente
-Io e te abbiamo un conto in sospeso.- strabuzzai gli occhi capendo quello che voleva dire e cominciai a dimenarmi. Lui avvicinò il viso al mio. Cominciai a tirare i pugni contro il suo petto. Non volevo farmi baciare da lui. Ci mancava solo quello. Gli uscirono fuori dei mugolii ma non mi lasciò. Gli diedi un pugno in pieno volto, strappandogli un’imprecazione, ma le sue braccia rimasero lì
-Lasciami, brutto pezzo di merda o me la pagherai.- dissi forte con voce stridula. Nulla. Stavo per mettermi ad urlare, quando arrivò un pugno in pieno volto a Giulio, che, cadendo a terra, mi lasciò la vita. Mi voltai per vedere chi fosse il mio salvatore, e quando lo vidi, mi si scaldò il cuore. Gabriele mi sorrise rassicurante, e quando Giulio si alzò da terra massaggiandosi una mascella, mi spinse dietro di se, facendomi scudo con il suo corpo.
Prima che Giulio potesse dire qualsiasi cosa, Gabriele ringhiò
-Vattene. E non farti più vedere, altrimenti ti giuro che non risponderò delle mie azioni-. Giulio lo guardò indignato, ma vedendo che Gabriele era il doppio più alto di lui, non volle rischiare. Appena voltò l’angolo, Gabriele si voltò verso di me preoccupato. Io ero abbastanza nervosa, così non mi trattenni e gli caddi letteralmente tra le braccia. Lui mi strinse forte e mi accarezzò i capelli. Rimasi aggrappata al suo petto, poi mugugnai
-Grazie Gabb... grazie davvero... io... non so quello che sarebbe potuto accadere se non ci fossi stato tu. Io...- lui non mi fece finire
-Stai tranquilla, è tutto a posto. Stai bene? Vuoi qualcosa...? Ti posso riaccompagnare a casa...?- mi chiese gentile. Io lo interruppi
-Grazie mille, sto più che bene ma stavo andando a comprare qualcosa al supermercato perchè sono sola e a casa non c’è niente dentro il frigorifero.- dissi. Lui sorrise
-Bhe, allora posso portarti a mangiare un pezzo di pizza? Neanche io ho fatto in tempo a fare pranzo ancora...- chiese di nuovo premuroso. Io sorrisi ed annuii.
Andammo in una pizzeria poco lontana, ci sedemmo ad un tavolo e dopo aver ordinato cominciammo a parlare
-Come va la vita?- chiese cauto, cercando di non essere inopportuno.
-Va di merda, ecco come va... ci mancava solo quel coglione di Giulio poi- mi uscì spontaneo dirlo, e fui sincera. Avevo proprio bisogno di parlare con qualcuno, e Gabriele mi sembrava la persona adatta. Sempre che avesse voluto sopportare la lappa umana che sarei stata quel giorno.
-Che è successo? Vuoi parlare? Cioè, se non vuoi sto zitto, però…- iniziò. Sorrisi e cominciai a raccontare tutto sfogandomi.
-Gabb io sono contentissima di parlare con te, per fortuna che ci siamo incontrati oggi, senno penso che ti avrei chiamato...-iniziai, addentando un pezzo della pizza che mi avevano appena portato. Il mio stomaco affamato si placò
-Hai presente quando fai un cavolata assurda ma non puoi tornare indietro?- chiesi. Lui annuì sconsolato, ero sicura che mi avrebbe capita, così continuai
-Ecco, ieri è stata una di quelle volte. Io... non so cosa mi sia preso ma... in discoteca mi sono comportata da vera stupida...- così gli dissi quello che era successo con tutti quei ragazzi, del fatto che non mi fosse importato che tutto ciò era sbagliato. In particolare, non tacqui quello che era accaduto con Matteo. Gli dissi che mi ero sentita stupida a non avergli dato la possibilità di spiegarsi, ma che quando avevo capito che il ragazzo mascherato era lui, non avevo più avuto il coraggio di fare nulla.
-Io mi... mi sono pentita davvero di ciò che ho fatto. Non capita che io mi penta delle mie azioni. Ti assicuro che se tornassi indietro cambierei tutto, ma... non posso, non posso...- a quel punto la mia voce si incrinò ma trattenni le lacrime.
Gabriele finì di masticare con calma, poi mi fissò con gli occhi castani
-Sai, anche sono una persona abbastanza prudente, ma c’è stata una volta in cui... bhe, una volta in cui ho fatto qualcosa di molto più grave di quello che mi hai raccontato tu. Io non sono venuto alla festa ma… non credo che tu ti sia comportata male come dici- io non dissi nulla, non sapevo se avesse voglia di continuare a parlare o no, così rimasi in silenzio.
Una cameriera ci portò il conto, Gabriele fu gentilissimo e mi offrì tutto, così, ancora in silenzio, ci avviammo con calma verso casa mia. Ad un certo punto, dopo qualche minuto di silenzio, Gabriele ricominciò a parlarmi
-Sai perchè Matteo mi odia così tanto?- mi chiese triste.
-Bhe... io...- in realtà non lo sapevo, me lo ero sempre chiesto, ma pensavo che fosse per quei soliti motivi stupidi da maschi. –Pensavo che l’odio fosse reciproco...- dissi piano. Gabriele sorrise
-Io non lo odio affatto. Sono due anni che cerco di tornare ad essere amici come prima ma... lui non vuole perdonarmi. E penso che abbia ragione.- tacque, poi riprese –Sai, io e Matteo ci consideravamo cugini, per tutte quelle che abbiamo passato insieme... noi siamo cresciuti insieme e ci siamo sempre voluti un gran bene fin da bambini.- io strabuzzai gli occhi. Chi avrebbe mai potuto dire che Matteo e Gabriele un tempo erano stati amici. Ma perchè non più? Non volevo essere impicciona, ma per fortuna non ci fu bisogno che io dicessi niente, perchè Gabriele continuò
-Quando avevo sedici anni, trovai la mia ragazza, della quale ero perdutamente innamorato e con cui stavo insieme da quasi tre anni...- e li si bloccò, chiuse gli occhi e poi continuò –bhe, la trovai mezza nuda a baciarsi con uno più grande, proprio nel giardino davanti a casa sua, nel giorno del nostro anniversario. Infatti ero andato a prenderla per portarla a cena fuori, invece...- si bloccò. Io gli misi una mano sul braccio, per fargli capire che non serviva che continuasse se non se la sentiva, ma lui scosse la testa e riprese
-Ci rimasi talmente tanto male, che diventai taciturno e triste. Il cuore mi era andato in frantumi.
Un mio compagno di classe poco raccomandabile, un giorno che ero particolarmente depress0 venne a parlarmi e mi propose di andare con lui e dei suoi amici a divertirsi davvero. Inizialmente pensai che volesse offrirmi della droga, invece mi sbagliavo.
Durante quel periodo grigio Matteo era sempre stato con me, aveva cercato di tirarmi su di morale, di confortarmi, di comprendermi. Quando cominciai a frequentare quei ragazzi, lui mi disse che non era opportuno, e che non mi avrebbe fatto bene, che mi sarei cacciato nei guai. Ma io non gli diedi retta, e feci di testa mia.
Cominciai ad uscire con quei ragazzi e a fare cose stupide, come abbozzare le macchine, rompere i finestrini delle auto, tirare sassi contro i vetri delle finestre... cosa del genere. Matteo era a conoscenza di tutto, e mi diceva ripetutamente che dovevo smetterla di frequentare quelle persone che mi avrebbero portato sulla cattiva strada, e che se continuavo così un giorno sarebbe successo qualcosa di grave. Mi allontanai da lui, non gli diedi retta, ma successe quello che aveva predetto.
Un giorno, in cui ero particolarmente di cattivo umore, i miei “amici” mi proposero di andare a tirare le pietre dai cavalca via delle autostrade. Non me lo feci ripetere due volte; ormai ci avevo preso gusto a commettere quel genere di crimini: stavo diventando ciò che non avrei mai voluto.
Andammo nel posto prefissato, e cominciammo a tirare appunto le pietre sulla strada. Tante macchine le evitammo, tante altre le beccammo, abbozzandone la carrozzeria o facendole sbandare. Ad un certo punto, io, proprio io, ne tirai uno piuttosto violentemente su una macchina vecchia, colpii il vetro davanti in pieno: l’automobile sbandò ed andò a sbattere contro la palizzata che separava la corsia dal vuoto. Successe un incidente, un’altra macchina si scontrò con quella che io avevo colpito, l’auto rischiò di cadere di sotto, ma per un pelo non accadde. Altre macchine rischiarono di scontrarsi, ma per fortuna non successe.
Furono chiamate l’ambulanza e la polizia. I miei amici scapparono, ma io rimasi li sopra, troppo scioccato per quello che sarebbe potuto accadere. Quando arrivò l’ambulanza e riuscirono ad aprire la macchine che avevo colpito, ne uscì fuori una donna ferita che gridava aiuto per il figlio di due anni che era svenuto e non si risvegliava.
Per fortuna i medici lo rianimarono e videro che nessuno dei due aveva riportato dei danni gravi. Rimasi imbambolato su quel maledetto cavalca via. Quando venne la polizia a chiedermi cosa fosse successo se sapessi qualcosa, io dissi tutto tra le lacrime prendendomi la maggior parte della colpa, dato che era la verità… era solo colpa mia. Quella fu l’unica volta da quando avevo dieci anni che piansi disperatamente. Ma giustamente nessuno mi compatì, non c’erano scusanti per quello che avevo fatto. Ancora minorenne, la legge non prevedeva nessuna sanzione per me, ma i miei genitori dovettero pagare un’ingente quantità di denaro. Rimasi in punizione per un anno intero, non so, forse di più, ma non ne volli ai miei genitori, avevano ragione. Per un anno rimasi confinato in casa, uscivo solo per andare a scuola. Andai a chiedere personalmente scusa alla signora a cui avevo fatto passare quell’orrendo momento, e lei mi sorrise dicendo che se mi ero pentito davvero, allora poteva scusarmi.
Non uscii più con quella compagnia che mi aveva portato sulla cattiva strada, e tornai quello di sempre. Dopo l’incidente vidi Matteo una sola volta, e gli dissi che aveva avuto ragione su tutto, gli chiesi di scusarmi. Non mi perdonò mai per quello che avevo fatto, e da allora, sebbene io stia ancora cercando di riappacificarmi con lui, sebbene mi abbiano perdonato anche i miei genitori, non mi ha ancora scusato. Ogni notte da quel giorno mi sogno quello che è successo o quello che sarebbe potuto accadere, ma da quando conosco te… bhe ti sogno molto spesso.- sorridendo tristemente Gabriele finì il suo racconto.
Cercai di ignorare la sua ultima frase e rimasi un po’ in silenzio davanti alla porta di casa mia, inizialmente stupita. Poi però fissai Gabriele negli occhi, in quegli occhi in cui tante volte avevo trovato maturità e comprensione. Nei suoi occhi si leggevano bontà ed altruismo. Non potevo volergliene per ciò che era successo in un momento buio del suo passato.
-Matteo ti perdonerà quando anche tu saprai perdonarti… so che ancora non l’hai fatto.- constatai. Gabriele strinse i pugni e contrasse la mascella: non l’avevo mai visto fare una cosa del genere
-Tu non ti rendi conto... quelle due persone potevano morire a causa della mia stupidità. Io… io non posso perdonarmi, lo capisci?- chiese con voce leggermente rabbiosa. Io lo abbracciai forte
-Non si vive con i se e con i ma. C’è differenza tra le intenzioni e ciò che accade sul serio. Non ha senso vivere nel passato. Purtroppo non si può tornare indietro nel tempo… altrimenti l’avrei già fatto troppe volte.- dissi con calma. Lui mi strinse forte a se
-Forse arriverà il giorno in cui anche io mi perdonerò- sussurrò
-Sono sicura che arriverà molto presto. Per quanto riguarda me, io l’avrei già fatto.- dissi sicura fissandolo negli occhi.
-Anche tu devi averne passate tante vero?- mi chiese di nuovo calmo.
-Molte più di quanto tu possa immaginare…- sorrisi.
-Si sente dai tuoi pensieri...- continuò Gabriele dandomi un bacio tra i capelli. Sussultai leggermente e restammo in silenzio.
-Da quella volta non mi sono innamorato più di nessuna, poi sei arrivata tu…- iniziò. Io mi preoccupai e feci per interromperlo ma lui mi fermò con un gesto
-Ma so che il tuo cuore appartiene giustamente ad un altro, e non ho alcuna intenzione di farti cambiare idea... non posso fare anche questo torto a Matteo. Anche se tu mi piaci veramente.- concluse. Che ragazzo altruista che era. Beato lui, io non sarei mai stata così matura da ragionare in quel modo…
-Cosa ti fa pensare che io sia innamorata di Matteo?- chiesi leggermente stizzita.
-Te lo ripeto, tutto. E penso che starete davvero bene insieme…- continuò tristemente. Mi accorsi di volere un gran bene a Gabriele, ma non abbastanza…
Cambiai argomento per parlare qualcosa di più allegro, e gli raccontai della maschera che avevo trovato per terra davanti al mio letto. Lui mi guardò sospettoso, poi cominciò a biascicare, come se volesse coprire qualcuno...
-Ehm… forse è una maschera che avevi tirato fuori tu e non te ne ricordi…- cominciò e io lo guardai sospettosa -Ehm… non so che dirti…- e troncò l’argomento così.
Non ne ero certa ma secondo me Gabriele sapeva, o immaginava, e mi stava nascondendo i suoi pensieri. Perchè lui aveva intuito qualcosa ne ero certa. Lo guarda sospettosamente, ma poi lo abbracciai per salutarlo: era ora di tornare a casa.
-Grazie di tutto Gabb... sei un vero amico- dissi sincera. Lui mi strinse forte
-Sono io che dovrei ringraziare te… comunque sai che è sempre un piacere aiutarti, per te ci sarò sempre...- mi baciò di nuovo la testa e quando mi staccai mi accarezzò dolcemente una guancia. Io arrossii e sparii dietro il cancello di casa.

Pov Matteo

Uscii di casa per andare a prendere Anita all’asilo, dato che quel giorno aveva avuto mensa. E fu così che li vidi. Diletta abbracciò Gabriele, lui le baciò la testa  e sentii una parte di ciò che le disse
-…comunque sai che è sempre un piacere aiutarti, per te ci sarò sempre…- le carezzò un guancia. E così quel bastardo ci provava con Diletta. Maledetto. Diletta rientrò in casa. Andai incontro a Gabriele digrignando i denti.

  
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