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Autore: Aqua483    22/02/2012    1 recensioni
Hope è una ragazza con parecchi problemi. Si trasferisce in una nuova scuola, dove incontra persone di ogni tipo: amici, nemici e amore. Ma tutto questo è destinato a durare, o la sua felicità è così fragile come sembra?
Ironia della sorte, ero felice. La situazione non lo era per niente, ma io sentivo una felicità mai provata. Stranamente mi sentivo viva come non mai e per la prima volta ringraziavo la vita per quello che mi aveva regalato. Che peccato doverlo fare solo ora che tutto stava per svanire.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Tirai il cappuccio della felpa sulla testa e continuai a camminare verso l’ingresso. Volevo nascondermi il più possibile. Non ero certo una vigliacca, ma la rissa con Klara mi aveva letteralmente distrutta e non ero in grado di sostenerne un’altra. Non in quel momento.
Dopo essermi svegliata da Bill e Tom avevo scoperto che era domenica e che Simone, per fortuna, non era in casa. Ero rimasta quasi tutto il giorno da loro, dopo aver avvertito mia madre (le avevo raccontato di essere caduta, per non farle venire un infarto al mio ritorno a casa), per evitare di incontrare la rossa in giro. Ero orgogliosa di quello che le avevo fatto. Non ero per nulla pentita o imbarazzata.
Accelerai il passo per raggiungere il portone della scuola. Sapevo che non sarei stata al sicuro una volta entrata. Lei era lì, e alla terza ora avremmo condiviso la lezione di inglese.
La campanella di inizio lezioni non era ancora suonata, perciò non avevo nessun luogo particolare in cui rifugiarmi. Tirai un po’ più su la zip della felpa, come fossi una ricercata, e iniziai ad armeggiare con il mio armadietto nascondendoci dentro la testa. Tendevo le orecchie in attesa di un qualsiasi rumore sospetto, ma c’era troppa calma... come la quiete dopo la tempesta? Speravo vivamente di no.
All’improvviso sentii un rumore di passi che si avvicinava. Mi voltai e tirai un profondo sospiro di sollievo nel vedere Bill. Gli sorrisi e lui venne ad abbracciarmi.
<< Come stai?>>. Mi chiese prendendomi delicatamente il mento tra le dita per sollevarmi il viso.
Dopo qualche ora dal mio risveglio a casa sua erano cominciati a spuntare lividi sul mio viso già arrossato e pieno di graffi. Non appena ero andata a lavarmi, poi, avevo scoperto che i dolori che sentivo in tutto il corpo non erano frutto della mia immaginazione. Avevo un livido viola sulla coscia, uno tra le costole ed un altro al braccio.
<< Ti fa tanto male?>>. Continuò preoccupato sfiorandomi le labbra gonfie e il livido sotto l’occhio destro.
<< Naaa! Tranquillo, non li sento nemmeno!>>. Bugia spudorata, ma avrei fatto di tutto per farlo rilassare. E in fondo i lividi per me erano davvero poca cosa... ero abituata a ben altro.
Gli sorrisi di nuovo per rendere la mia scenetta più credibile. Lui sospirò rassegnato e mi baciò la fronte.
<< Tom sta facendo... diciamo... da palo. Ci avverte quando Klara si avvicina troppo.>>. Mi informò.
<< Non ho paura di lei!>>. Risposi imbronciata. << Se non sbaglio anche lei ha i segni del mio affetto...>>.
Lui alzò gli occhi al cielo.
<< Come non detto... fai finta che non ti abbia detto nulla!>>.
Gli lanciai un’occhiataccia.
In quel momento suonò la campanella. Ne fui lieta, perché in classe Klara non sarebbe stata una tentazione per un’altra rissa, ma non volevo lasciare Bill. Lui evidentemente pensava la stessa cosa, perché il suo sguardo era combattuto.
Tuttavia non potevamo aspettare. Mi alzai sulle punte per dargli un bacio veloce e lo salutai con la mano mentre mi allontanavo.
Corsi verso l’aula giusta e mi accomodai al mio banco. Vuoto. Solitario. Ormai parlavo con i miei compagni, ma nessuno si sedeva mai con me. Forse per loro ero una noia mortale. Ma non quel giorno.
<< Oddio Hope!>>. Esclamò Jess, una mia compagna del corso di scienze.
Sobbalzai, presa alla sprovvista da quel tono interessato. La guardai interrogativa.
<< La tua faccia!>>. Spiegò.
<< Oh!>>. Dissi capendo a cosa si riferiva. << Non è niente, una stupidaggine...>>.
Il suo sguardo si accese d’interesse e a lei si unirono altre occhiate curiose.
<< Non dirmi che hai litigato con il tuo ragazzo...>>. Azzardò Dana, la ragazza con i capelli a caschetto che stava sempre al primo banco.
Arrossii scaldandomi all’idea che avessero pensato a quello.
<< No no! Assolutamente! Bill non c’entra niente!>>. Mi affrettai a rispondere. << In realtà è molto più noiosa come storia... sono... ehm... caduta dalle scale a casa mia...>>.
<< Caduta dalle scale?>>. Chiese qualcuno.
Annuii.
<< Con una scatola di cianfrusaglie in mano!>>. Aggiunsi.
In quel momento arrivò la professoressa, che richiamò tutti i ragazzi che si erano raggruppati intorno al mio banco. Sospirai di sollievo e abbassai il cappuccio ravvivando i capelli con le mani.
Per fortuna la professoressa non si curò della mia salute e mi ignorò come sempre, iniziando la sua lezione.
La seconda ora fu la copia della prima, con la differenza che la il prof di letteratura mi interrogò, ma appena vide il mio viso e io sfoderai il mio alibi mi fece tornare a posto, dicendo che non era così necessaria una mia interrogazione. Almeno qualcosa di positivo era scaturito da quella situazione.
Purtroppo la lezione passò troppo in fretta e la campanella suonò minacciosa. Mi alzai di scatto e raccolsi i miei libri, pronta a gettarmi nelle fauci della bestia.
Camminai svelta verso l’aula di inglese che era vicinissima a dove mi trovavo. Varcai la soglia e puntai dritta verso l’ultimo banco, il mio. Mi sedetti e scrutai la stanza. Non c’era traccia di Klara, ma Lena era seduta da sola al banco che occupava di solito.
Era forse Klara la vigliacca? Aveva paura di incontrarmi? Non le avevo poi fatto così male... ero troppo debole per scalfire qualcuno a tal punto.
La professoressa entrò e iniziò a parlare di qualche tragedia di Shakespeare che non riconobbi. Ero troppo persa nei mie pensieri, mentre fissavo il posto vuoto di Klara. Non capivo davvero cosa fosse successo.
Anche la lezione di inglese finì velocemente, ma a quel punto ero convinta che Klara non si fosse presentata a scuola.
Alzai lo sguardo e vidi Lena che mi fissava con un’espressione strana. Quasi fosse preoccupata. Non mi soffermai più di tanto su di lei e la superai.
La giornata trascorse stranamente tranquilla. Alla fine delle lezioni raggiunsi Bill e Tom all’uscita e insieme ci avviammo verso casa.
<< Hey! Non immaginerete mai... Klara non c’era ad inglese!>>. Esultai raggiante.
Bill e Tom si lanciarono uno sguardo strano.
<< Ma io l’ho vista...>>. Disse Tom.
Lo guardai con aria interrogativa, cercando di mettere insieme i pezzi del puzzle, ma proprio in quel momento mi sentii chiamare.
<< Hope!>>. Urlò qualcuno alle mie spalle.
Feci per voltarmi, ma non ebbi nemmeno il tempo di vedere chi fosse, perché uno schiaffo in pieno viso mi fece indietreggiare. Bill mi sorresse per impedirmi di cadere e sentii lui e Tom imprecare contro qualcuno. Le loro urla erano coperte dal continuo ronzio nelle mie orecchie.
Cercai di mettere a fuoco la scena e quello che vidi non mi piacque per niente. Klara era davanti a me, con un’espressione di puro odio dipinta in volto. La sua guancia sinistra era coperta da un lungo cerotto bianco. Era circondata da due ragazze e due ragazzi. Le ragazze erano due delle sue più strette amiche, ma al momento non ricordavo neppure i loro nomi, mentre i ragazzi, sorridenti e impazienti, erano corpulenti e muscolosi: almeno il doppio di un ragazzo normale. Mi misi in posizione eretta e mi scostai un po’ da Bill. Gli sguardi di tutti i presenti erano su di noi.
<< Cosa vuoi Klara?>>. Chiesi. << Non sei soddisfatta?>>.
<< Tu sei pazza!>>. Urlò scagliandosi contro di me.
Le altre due la seguirono mentre i ragazzi si occuparono di Bill e Tom, che stavano cercando di tirarmi via. Riuscii solamente a vedere i due ammassi di muscoli che si lanciavano all’attacco verso di loro, perché subito Klara mi afferrò dai capelli e mi tirò a sé. I miei occhi iniziarono a lacrimare dal dolore. Cercai di liberarmi dalla sua presa, ma era impossibile, allora mi voltai verso di lei e iniziai ad affondare le unghie nelle sue braccia. Lei lasciò la presa, ma mi diede un pugno nello stomaco che mi fece piegare in due. Qualcuno mi colpì sulla schiena e mi fece cadere in ginocchio. Non riuscii a respirare per qualche secondo, a causa del forte dolore. Di nuovo qualcuno mi prese per i capelli e mi immobilizzò, mentre altri pugni mi colpivano ovunque. Caddi a terra priva di forze, mentre ai pugni si sostituivano i calci. Sentivo le urla di Bill che chiamava il mio nome. Ad un certo punto i calci divennero meno potenti e piano piano si fermarono.
<< Andiamocene!>>. Urlò Klara.
Subito dopo sentii il rumore di ragazzi in corsa.
<< Troia!>>. Sussurrai sputando veleno.
Avrei voluto urlare, ma non avevo il fiato necessario per farlo.
<< Hope!>>. Gridarono Bill e Tom avvicinandosi.
Li guardai. Erano conciati male anche loro. Distolsi lo sguardo. Ero io la causa di tutto quello. Volevo piangere, ma non avevo la forza nemmeno per quello. Mi concentrai sull’asfalto grigio e freddo su cui ero sdraiata e sul quale appoggiavo la guancia. Poi tutto divenne buio.
 
Dopo il buio arrivò la luce. Una luce accecante. Aprii gli occhi e li richiusi immediatamente. Il buio era piacevole, la luce portava dolore. Dolore alle costole, ad ogni respiro. Dolore al viso. Dolore ovunque. Aprii di nuovo gli occhi, più lentamente, e notai che mi trovavo in un letto di ospedale. Conoscevo fin troppo bene quel posto, ci ero stata troppe volte.
<< Hope!>>.
Era Bill che mi chiamava. Ebbi un sussulto non appena lo vidi. Cerotti e bende gli coprivano parti del viso e del collo.
Iniziai a piangere.
<< Bill! Mi dispiace!>>. Dissi tra i singhiozzi.
<< Hope, tesoro!>>. Esclamò mia madre sollevata. << Che paura ci hai fatto prendere!>>.
Che strana cosa, non mi ero accorta per nulla della sua presenza. Guardai in giro e vidi anche mio padre.
<< Oh, diamine! Che cogliona che sono!>>. Piagnucolai.
<< Non dire così tesoro!>>. Mi sussurrò mia madre. << Ora sei sveglia, stai bene!>>.
<< Cosa si sono fatti Bill e Tom?>>. Chiesi preoccupata più per loro che per me.
<< Niente, Hope, solo qualche graffio!>>. Rispose Bill.
Tentai di credergli. Chiusi gli occhi
<< E io?>>. Chiesi finalmente.
Questa volta fu mio padre a rispondere.
<< Diverse contusioni e un paio di costole incrinate...>>. Disse tristemente.
<< E il labbro spaccato.>>. Constatai sentendolo gonfio e pesto. << Occhi neri?>>. Continuai.
Papà annuì.
<< Uno solo.>>.
<< Ah bhe! Mi è andata bene!>>. Tentai di sorridere.
Nessuno dei presenti si unì alla mia voglia di sdrammatizzare.
<< Che ore sono?>>. Sbottai.
<< Le due circa... scommetto che hai fame...>>. Disse mia madre animandosi un po’.
<< Abbastanza...>>. Ammisi. << Ma anche voi probabilmente...>>.
Volevo restare da sola con Bill, e questa era l’unica strategia che mi era venuta in mente per attuare il piano.
<< Di noi non ti preoccupare... mangeremo dopo...>>.
A quel punto Bill capì le mie intenzioni.
<< Signora, non si preoccupi... voi potete andare, resto io con Hope!>>.
Io sorrisi per rassicurarli.
<< Portatemi qualcosa di buono: sapete che odio il cibo dell’ospedale!>>. Li incitai.
Finalmente cedettero.
<< Va bene, tesoro, ma torniamo subito!>>. Esclamarono venendo a darmi un bacio sulla fronte come saluto.
Non appena uscirono dalla porta mi voltai verso Bill e nel vederlo di nuovo infortunato mi si riempirono gli occhi di lacrime. Tentai di ricacciarle indietro, perché non era il momento di piangere. Era il momento di parlare. Tuttavia fu lui il primo ad aprire bocca.
<< Che paura che ho avuto!>>. Esclamò appoggiando la testa sul lettino, attento a non toccare le mie parti indolenzite, e prendendomi la mano per accarezzarla.
<< Lo so... anch’io ne ho avuta tanta...>>. Sospirai. 

  
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