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Autore: officialkagome    01/07/2003    3 recensioni
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Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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History of Jhon

 

Il mio nome è Jhon Witchcraft, sono nato ad Oklahoma city il 6/8/72.

E’ bella Oklahoma City, mi piace essere nato qui.

Mi piace essere nato in America.

 

Fin da quando ero piccolo, mia mamma, che veniva dall’Italia, mi diceva sempre che l’America è oro, anzi, è come Re Mida: trasforma in oro tutto ciò che tocca. Io mi divertivo a sentire la storia di re Mida, mi sono sempre piaciute le storie che la mamma raccontava, a volte stavo per ore a sentirle, prima di prendere sonno, di sera.

La sua voce era molto dolce, pareva quasi una cantilena, una musica che mi accompagnava sempre, in ogni momento della mia giornata.

Le scuole elementari non sono state facili, io somigliavo tanto alla mamma, e molto spesso ero preso in giro, perché il mio accento era sbagliato, perché mi comportavo come una femminuccia.

Non è colpa mia.

Papà è morto, io non l’ho mai conosciuto.

E’ morto, ucciso mentre tornava a casa la sera in cui sono nato. Aveva comprato una culla per me, il primo e ultimo regalo che mi ha fatto. Conservo quella culla…i militari me l’hanno fatta avere la sera dopo, nel pacco che lui aveva confezionato.

Povero papà, lui era generale. Un famoso generale, forte, che aveva salvato l’onore dell’America tante volte, con il suo lavoro. Papà viveva per l’America. E un giorno un nemico dell’America l’ha ucciso.

Ha ucciso mio padre.

 

La mamma, da quel giorno, iniziò a lavorare tanto, per mantenermi, e cercava di educarmi come meglio poteva. Non parlava benissimo inglese, perciò la lingua che conosco meglio è l’italiano. L’inglese, all’inizio, non lo parlavo per niente.

E tutti mi prendevano in giro.

Ma io ero contento, in fondo.

Contento di essere come la mia mamma.

 

Quando mi sono iscritto alle superiori, quelle pubbliche, vicino casa mia, mamma era molto fiera di me. Del suo figlio adulto, del suo ometto.

Io so che per lei non ho mai smesso di essere un bambino, ma non lo diceva mai, perché credeva mi offendessi.

E quando tornava a casa, dopo aver stirato per ore, con le mani dure e calde, io quelle mani le stringevo fra le mie, mentre lei mi cantava le sue storie, come se la pesantezza della giornata fosse magicamente passata…io so che così non era.

Che angelo, la mia mamma. Quando poteva pretendeva io le ripetessi le lezioni che avevo per il giorno dopo. A volte mi annoiava farlo, ma sapevo che lei aveva fiducia in me, e sapevo che non volevo tradire questa fiducia. Non dovevo.

 

Ogni tanto, quando potevamo, io e la mamma andavamo in Italia. Il viaggio ce lo pagava sempre lo Zio Nicola, che era ricco, e la mamma si vergognava di questo. Lei era andata in America perché voleva contribuire a mantenere la famiglia e non ci riusciva, e questo la mortificava. Lo zio era tanto buono, non glielo faceva pesare, e ci accoglieva sempre con un sorriso dolce, quando entravamo in casa sua. A me piace l’Italia, è un gioiello prezioso. Ogni angolo dell’Italia ha una storia da raccontare.

Quando giravamo in macchina e indicavo i calanchi di Aliano, il paese dove mamma era nata, oppure i burroni vicino a Stigliano, i miei parenti mi raccontavano le storie dei briganti.

Uomini valorosi, che non volevano essere soggetti a nessuno, e lottavano per questo.

Io pensavo, allora, che in America erano come i briganti. Indipendenti. Forti. E giusti.

“anche io voglio essere un brigante!” pensavo “E aiutare l’America a restare com’è…come papà” e sorridevo. La mamma mi guardava, interrogativamente, e io dicevo che no, non era nulla, mi era appena venuto in mente un episodio divertente che era successo a scuola, e non riuscivo a non ridere.

Lei allora rideva, e mi accarezzava la testa. Non volevo dirle dei miei progetti, non avrebbe approvato, non voleva che corressi pericoli, aveva paura.

Rideva.

Come rideva bene la mia mamma. Come una fata.

Si, rideva proprio come una fata.

 

Il giorno del mio diploma, ero felice da scoppiare. Ero io, ero riuscito a vincere, a fare contenta la mamma…la mia fata.

Era così felice, avreste dovuto vederla!

Dopo la cerimonia, una volta tornati a casa, preparò un pranzo che non finiva più, e una torta buonissima…

Ridemmo assieme per ore. Io non le avevo ancora detto che avevo fatto domanda per entrare nell’esercito. Lei voleva mandarmi al college, ma io sapevo che non poteva permetterselo.

Se mi avessero preso, finalmente avrei badato io alla famiglia. E le sue mani sarebbero tornate morbide.

Dopo aver lavato i piatti andò a dormire.

Io uscii, perché avevo appuntamento con la mia ragazza, Sara.

La seconda donna della mia vita, se volete.

Quando tornai a casa la mamma era ancora a letto.

Non si alzò più.

Morta.

Immagino che tutte le fate volino via come ha fatto lei.

In silenzio, sorridendo.

 

Non ho pianto. Sono forte, sono un brigante!

Alla mia mamma non farebbe piacere sapermi triste e addolorato.

E tuttavia, tuttavia io…io non posso non…

Scusate…scusatemi.

 

Adesso sono un vero uomo. La mia mamma, seppur fondamentalmente contraria, so che da lassù mi guarda con fierezza. Lassù, dal paradiso delle fate.

Sono nell’esercito.

Come Papà.

Jhon Witchcraft, figlio di Brandon Witchcraft…

Un brigante dell’America.

Spero che anche mio figlio, Jeremy, un giorno segua questa strada.

A lui racconto le stesse storie che la mamma raccontava a me, anche se non sono bravo come lei…

A lui, però, piace, e piace anche a Sara…mi ascoltano rapiti, quando parlo della mia Italia, della mia America, di Re Mida e dei Briganti.

 

Sara piange.

Jeremy è dai nonni materni oggi.

Sara piange.

Bush ha detto che Saddam è un delinquente.

Sara piange.

Sara, non capisci? Io devo andare! Sono un brigante, lotto per la libertà!

Per la libertà dell’Iraq! Anche loro hanno diritto a essere liberi come noi!

Anche loro hanno diritto di essere America!

Sara piange.

Anche la mamma, lo so, sta piangendo.

Sto facendo piangere le mie fate

 

 

Non credevo fosse così.

L’inferno, la polvere.

Le urla.

Le lacrime.

Qui in Iraq le lacrime bruciano.

Ho visto tante lacrime.

Ho visto lacrime di bambini, di donne, di soldati.

Ho visto cadaveri che piangevano.

Non sapevo che i cadaveri potessero piangere.

Comunque le lacrime bruciano tutte.

Non sai cos’è la guerra, se non la vivi.

In TV parlano di morti, come se fossero solo numeri.

1, 2, 3, 4…., 1'000…

Ma avete mai visto negli occhi un uomo che muore?

O un bambino?

Avete mai visto il dolore, l’angoscia, la paura?

Il perdono?

 

Le lacrime, qui in Iraq, bruciano.

 

Sara, bruciano le tue lacrime.

Scusami Jeremy, ho sbagliato.

Questa strada non fa per te.

Non fa per nessuno.

Non è una strada la guerra, Jeremy.

Scusa.

Scusami Sara, se non tornerò.

Scusami Jeremy…

E dimentica le mie storie…

 

La pace.

Ora lo so.

In quel momento.

La luce.

E volare.

Dalla mamma…

Ho sentito, alla fine, le sue canzoni.

Mamma.

 

Bush.

Chi sei, per decidere che io dovevo morire?

Chi sei, per decidere che Rashid doveva morire?

Perché noi dovevamo morire?

Perché?

 

Scusami Sara.

Bruciano le tue lacrime.

 

  
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