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Autore: Il_Genio_del_Male    22/02/2012    5 recensioni
"Non siate tristi per me quando non sentite la mia voce in casa; la vita non è mai nella nostre stanze. Moriamo. E poi torniamo. Come tutto".
John deve fare i conti con l'assenza di Sherlock [Post 2x03].
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie ''We're not a couple'. 'Yes you are'.'
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 RATING: Giallo.

GENERE: Introspettivo, Malinconico, Romantico (?).

PAIRING: Sherlock/John.

AVVERTIMENTI: Angst, Slash, What if?, un po’ di parolacce, sprazzi di OOC (temo).

DISCLAIMER: I personaggi non mi appartengono, né i diritti della serie (ahimè) che vanno tutti alla BBC. Non guadagno niente dalla mia attività di fangirlamento compulsivo.

DEDICA: “I’m thankful for my years spent with you for everything we shared, every chance we had to grow. I'll take the best of them with me and lead by their example wherever I go. A friend told me to be honest with you, so here it goes. This isn't what I want, but I'll take the high road. Maybe it's because I look at everything as a lesson, or because I don't want to walk around angry, or maybe it's because I finally understand. There are things we don't want to happen, but have to accept. Things we don't want to know, but have to learn. And people we can't live without, but have to let go”.

NOTE: Beh, che dire? Parecchie cose, in realtà.

La prima è che se non fosse stato per le meravigliose parole di Mr. Wilde, Mr. Beckett e Mr. Allen questa two-shot sarebbe infinitamente più sciatta e insignificante di quanto non sia già. Poi, questo (http://www.youtube.com/watch?v=mwLyk3rxp_8) è il link della canzone che da il titolo alla storia, e in qualche modo ne è anche il filo conduttore. Ne consiglio caldamente l’ascolto, e già che ci siete fate attenzione al testo. Secondo me ne vale la pena, e poi è straziante a sufficienza (deprimetevi con me, insomma!). Ultima precisazione: l’idea di cimentarmi con del sano (?) angst mi solleticava già da un po’, ma a farmi decidere di mettere tutto per iscritto è stata la Challenge di Carnevale indetta da MarchesaVanzetta su Facebook. Il prompt utilizzato -proposto dalla sottoscritta, tra l’altro- è “Certe volte ritornano”.

Buona lettura!

 

 

 

 

 

“E t’amo, t’amo, ed è continuo schianto!”

(Giuseppe Ungaretti)

 

 

 

Ogni tanto gli capita ancora di sognarlo.

Sherlock l’alieno, Sherlock lo Strambo, Sherlock “Sono sposato con il mio lavoro”, Sherlock l’antieroe, Sherlock asessuale-del-cazzo. L’analfabeta dei sentimenti, l’idiot savant capace di eccitarsi davanti alla prospettiva di risolvere un omicidio truculento senza provare un briciolo di compassione per i parenti delle vittime, per i sopravvissuti.

Così privo di empatia da essere il più umano di tutti. Cinico, tagliente, brutale.

L’uomo che sembrava invincibile è morto -si è suicidato- buttandosi dal tetto del St Bart’s. L’uomo che sembrava più inscalfibile del diamante ha pianto nel dirgli addio.

John lo sa perché ha percepito un’incrinatura nella sua voce, nel suo accorato appello. Ha visto un’unica lacrima solcargli la guancia e non gli interessa l’impossibilità della cosa, che fosse troppo distante per esserne sicuro. Lui lo sa. Lo sa. L’ha visto, e tanto basta.

 

Di notte, il suo subconscio gli gioca brutti scherzi. Rivede, in un replay infinito, la sagoma di Sherlock spiccare il volo e piombare nel vuoto, schiantarsi sul marciapiede. Il sangue che gli macchia i bei capelli scuri ed il cappotto con il colletto tirato su per fare il figo, gli occhi trasparenti come cristallo ormai vitrei e spenti.

Sherlock è morto in una giornata fredda, eppure quando John si ridesta dagli incubi è sempre in un mare di sudore –il pigiama fradicio che butta in lavatrice, le lenzuola spiegazzate.

 

Dio è morto, Sherlock è morto e nemmeno lui si sente troppo bene.

 

 

Lo scherzo peggiore che gli dei vi possano fare è quello di esaudire i vostri desideri.

Quando, impalato davanti ad una lapide di marmo nero, aveva supplicato Sherlock di non essere morto, di compiere un altro miracolo “solo per me”, di smetterla con quella pagliacciata, gli era balenata in mente quella frase di Oscar Wilde.

Non era d’accordo. Lui voleva con ogni fibra del suo corpo che gli dei esaudissero il suo desiderio, che gli restituissero quel geniale cazzone asociale dell’amico; che lo rispedissero dall’oltretomba prendendolo a calci in culo, talmente esasperati dalla sua saccenza da concedergli una seconda occasione nel mondo dei vivi.

Ma era morto. Inutile indugiare in sciocche fantasie. Inutile sperare nell’insperabile.

Se ne era fatto una ragione, alla fine. Assistito dalla sua analista aveva affrontato e superato tutti gli stadi del lutto (negazione, rabbia, contrattazione, depressione, accettazione), soffermandosi dolorosamente su ognuno di essi.

A tre anni dalla tragedia può considerarsi sulla via della guarigione.

Da circa sei mesi frequenta una donna, Mary, infermiera neoassunta all’ambulatorio dove lavora anche lui. Ha preso l’abitudine di uscirci insieme due o tre sere alla  settimana: cinema, pièce teatrali, musical e cene al ristorante o d’asporto, consumate sul tavolo della cucina dell’appartamento di lei. I loro appuntamenti terminano sempre da Mary, in effetti. John non se la sente di farle varcare la soglia del 221B di Baker Street, dove continua ad abitare.

E’ alquanto patetico, a pensarci bene -morboso, l’avrebbe definito Sherlock- ma alla sola idea di abbandonare le stanze che aveva condiviso con il detective si era sentito mancare l’ossigeno. In qualche modo contorto e masochistico sapeva di dover restare lì. Non perché sperasse davvero in una resurrezione dell’amico: semplicemente, glielo doveva. Glielo doveva perché lui aveva dato la vita per salvare quella dei suoi amici -così gli aveva spiegato Lestrade, sconvolto, dopo aver scoperto che Holmes aveva registrato sul cellulare tutto lo scambio di battute tra lui e Moriarty avvenuto sul tetto dell’ospedale.

Mycroft non aveva avuto niente in contrario all’idea che gli effetti personali del fratello rimanessero a Baker Street, ammassati senza criterio da John in quella che era stata la sua camera da letto. Non era stata sua intenzione erigere un santuario del dolore, un altarino in onore del defunto, anzi. Non teneva particolarmente ad avere una crisi di nervi ogni qualvolta lo sguardo gli fosse caduto sul violino o sul microscopio di Sherlock. Voleva solo continuare a sentirne la presenza, cercando al tempo stesso di liberarsi del suo fantasma.

 

Con il tempo, John è fiducioso, smetterà di farsi venire un groppo in gola ripensando a lui. I ricordi sbiadiranno, perderanno nitidezza, scivoleranno in una sorta di pietoso oblio della dimenticanza e la ferita si rimarginerà.

Un giorno, forse, riuscirà a sorridere nostalgicamente guardando i fori sulla carta da parati del salotto lasciati dai proiettili sparati da Sherlock durante uno dei suoi attacchi acuti di noia.

Un giorno. Forse.

 

 

E’ una gelida domenica mattina di gennaio quando suonano alla porta.

Mrs. Hudson è a messa e John è solo in casa. Getta nel lavello la bustina del tè e si avvia verso l’ingresso, scendendo i gradini cautamente, onde evitare che il liquido bollente strabordi dalla tazza che tiene in mano. Non perde tempo a guardare dallo spioncino e apre.

Ed ecco che l’impensabile accade: si ritrova davanti un sosia di Sherlock Holmes.

Accidenti, quanto gli somiglia. Stessa carnagione lattea, stessi zigomi scolpiti, stessi occhi da extraterrestre di quel grigio-azzurro cangiante. Stessa arruffata chioma castana, addirittura lo stesso cappotto e la stessa sciarpa. Persino l’altezza è quella giusta, il labbro superiore è ben disegnato e sensuale come lo ricordava.

E’ un sosia perfetto, ma non abbastanza da fregare John.

Lui ha conosciuto il vero Sherlock, e gli basta un’occhiata per capire che non può che trattarsi di un fottutissimo sosia; il detective non ha mai avuto quell’espressione di puro terrore misto ad ansia dipinta sul volto, neanche quando aveva dato di matto a Baskerville.

E se fosse un clone? Una trovata macabra di Mycroft, magari. In fondo la dottoressa Sapleton ci aveva confermato che nei laboratori della base militare lavoravano anche alla clonazione umana… Ma anche se fosse, anche se non si trattasse di un’allucinazione, che cazzo ci fa una fottutissima copia vivente di Sherlock sulla soglia di casa mia? Ah, ma questa Mycroft me la paga, quant’è vero che mi chiamo John Hamish Watson-

“Riesco a sentire il rumore degli ingranaggi del tuo cervello, dottore. Non hai imparato a pensare silenziosamente, mi duole constatare”.

Stramaledettissimo Giuda ballerino, ha persino la stessa identica voce. E la stessa ironia pungente del cazzo.

Lo guarda fisso nel ghiaccio dei suoi occhi, in cerca di conferme.

Dimmi che non sei veramente tu. Ti prego.

“John?” sussurra la voce di quello lì. E’ venata di paura, forse?

Dev’essere un incubo, non c’è altra spiegazione. Qualcuno mi dia un pizzicotto, ho le braccia di piombo e non riesco a muoverle.

“John?” insiste il tipo.

Una volta eliminato l’impossibile, ciò che rimane -per quanto improbabile- deve essere la verità.

“John, sono io. Non stai sognando, non è una candid camera. Sono io”.

Santa miseria, mi legge pure nel pensiero.

Un rumore di porcellana infranta lo riscuote dal torpore in cui era caduto -la tazza gli è scivolata di mano, peccato, era la sua preferita- e qualche schizzo di tè gli finisce sui jeans. Una pozzanghera color ambra si forma sullo zerbino.

“Oddio” mormora l’altro concitato. “Stai bene? Ti sei scottato? John, mi senti?” gli poggia le mani sulle spalle, lo scuote con fermezza ma gentilmente.

Ha le gambe molli, il battito cardiaco accelerato. Inizia a sudare freddo.

Lo scherzo peggiore che gli dei vi possano fare è quello di esaudire i vostri desideri.

E’ Sherlock.

E’ Sherlock ed è vivo, solo il Cielo sa come.

Wilde aveva ragione, dopotutto.

E’ l’ultimo pensiero di John prima di venire risucchiato dal vuoto.

 

 

 

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Ok, se state pensando “ohmadonnacheschifo” sappiate che sono del vostro stesso parere. Lo stile lascia a desiderare -so scrivere meglio di così- e con l’angst devo ancora prenderci mano (soprattutto considerando che l’altra mia Sherlock/John è di genere comico-demenziale).

E’ prevista una seconda e ultima parte e la pubblicherò in ogni caso, perché nonostante questa storia non mi convinca del tutto ho voluto fortemente scriverla; è stato catartico, avevo proprio bisogno di sfogarmi.

Questa, se vi interessa, è la mia pagina autore su Facebook, per seguire in diretta i miei scleri (http://www.facebook.com/pages/Il-Genio-del-Male-EFP/152349598213950).

A risentirci con il seguito!

 

 

 

   
 
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