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Autore: HarleyQ_91    24/02/2012    1 recensioni
Vivien si avvicinò al dipinto e sollevò la candela per illuminarlo meglio.
Avevano tutti un’espressione così seria i conti Turner, persino la piccola Alyssa, che avrà avuto circa cinque anni, non sembrava godere di quella gioia e spensieratezza tipica della sua età.
E poi c’era lui, quel giovanotto che non era riuscita ad osservare bene qualche ora prima. Ora, col mozzicone di candela a qualche centimetro dalla tela, fece luce sul suo volto, illuminandone anche i più piccoli particolari.
Il conte Aaron Turner.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1
- Sei anni dopo -


Il Red Lion, così si chiamava la locanda più frequentata a Landburg, una cittadina a qualche miglio da Londra. Sebbene la clientela variasse dal più misero poveraccio al più ricco dei nobili, la reputazione del posto lasciava assai a desiderare.
I tavoli di legno sporchi di cibo molto spesso facevano da palcoscenico per qualche esibizione erotica desiderata da qualche nobile frustrato, oppure divenivano tavoli da gioco per i poveri più speranzosi di fare fortuna. La signora Shepherd, la padrona, metteva a disposizione le donne più sensuali del paese per garantire un incontro molto ravvicinato nelle stanze del piano superiore e si faceva pagare profumatamente. Per non parlare poi del modo in cui trattava qui pochi sciagurati che si ritrovava come servitori, non c’era giorno che qualcuno non si buscasse una qualche bastonata.
Vivien non poteva credere che finalmente avrebbe lasciato quel tugurio che per cinque anni – anche se a lei sembrarono un’eternità – l’aveva vista costretta a sottomettersi agli ordini di una vecchia megera, pronta a tutto pur di guadagnare soldi.
Con il cuore in gola mise i suoi pochi effetti personali nella borsa ed uscì dalla locanda. La signora Shepherd non l’aveva pagata quanto avrebbe dovuto, ma Vivien non se la sentiva proprio di mettersi a discutere, voleva solo andare via, lasciare quel posto dimenticato da Dio e non metterci più piede.
“Così te ne vai sul serio”.
La ragazza si bloccò sentendo quella voce alle sue spalle e sospirò. Ecco, forse una cosa che avrebbe rimpianto di quel posto c’era, e il suo nome era Thomas Grey.
Vivien si voltò ed accennò un leggero sorriso, lo stesso che Thomas tante volte le aveva dedicato, consolandola nei giorni difficili passati alla locanda. Avevano sempre cercato di sostenersi a vicenda e il ragazzo si era preso non poche bastonate per difendere lei, quando qualche cliente cercava di metterle le mani addosso. Vivien ora però lo stava ripagando nel peggiore dei modi, lo avrebbe lasciato solo.
“Tom, pensavo che non volessi salutarmi”. Gli disse, facendo qualche passo verso di lui.
“E perché mai? Di’ piuttosto che avevi paura che ti convincessi a rimanere”.
La ragazza sorrise, le fece piacere vedere come il suo addio non gli avesse tolto il senso dell’umorismo.
“Credo che nemmeno se me lo ordinasse Dio tornerei in un posto come questo”.
Thomas scrollò le spalle e accarezzò una guancia alla ragazza. “Sei stata fortunata, Viv, sono contento per te”.
Lei gli prese la mano tra le sue e la strinse con la decisione di chi credeva fermamente in ciò che diceva.
“Verrò a trovarti, Tom, appena il mio nuovo lavoro me lo permetterà. E, se un giorno sarò ricca abbastanza, tornerò per riscattarti”.
Il ragazzo fece una piccola risata, più per l’imbarazzo che per divertimento, e scosse la testa. “Tu sogni, piccola Viv, credi ancora che la vita sia facile come quando eri nobile”.
“Ti sbagli”. Lo contraddisse subito lei, con aria risoluta. “Comprendo bene quanto sia dura vivere da poveri, lo so da ben sei anni”.
Il ragazzo abbassò lo sguardo. “Hai ragione, perdonami”.
Vivien guardò il suo amico con compassione. Tom ragionava con la semplicità che solo uno sguattero poteva avere, non c’era cattiveria nelle sue parole e non ce ne sarebbe mai stata. Aveva l’abitudine – o vizio, come molti lo chiamavano – di dire sempre ciò che pensava, mettendosi così irrimediabilmente nei guai. Se la signora Shepherd ancora non lo aveva bastonato a morte era solo perché aveva bisogno delle sue braccia forti e sane per mandare avanti la locanda.
“Adesso devo proprio andare”. Disse lei, accarezzandogli il viso. “Mi raccomando, fai il bravo”.
Thomas le baciò il palmo della mano e fece un leggero inchino - salutarla come se fosse stata ancora una nobile era ormai un’abitudine – dopodiché rientrò nella locanda lasciandole come ultima immagine di lui il suo tenero sorriso che sembrava volerle augurare buona fortuna.
E’ tempo di cominciare una nuova vita.
Vivien si diresse con passo svelto verso il centro della cittadina e camminò ancora per parecchie centinaia di metri, diretta verso casa. L’aria fresca della sera appena inoltrata le passava attraverso i capelli castani un po’ scompigliati, facendola sentire finalmente libera. Il lavoro che le era stato offerto poteva davvero cambiarle la vita, e non solo la sua, anche quella di Clelia.
La povera donna, costretta a stare sempre seduta a causa della gotta, non poteva più prestare i suoi servigi come un tempo e Vivien ora le stava accanto e se ne prendeva cura, esattamente come Clelia aveva fatto con lei durante gli anni passati a villa Foster.
La sciagura capitata ai suoi genitori quella terribile notte, poi tutti i debiti da pagare, la perdita del titolo nobiliare, Vivien era riuscita ad andare avanti solo perché Clelia non l’aveva mai lasciata da sola – come gli altri componenti della servitù invece avevano fatto – e le aveva insegnato come una donna dovesse rimboccarsi le maniche se voleva andare avanti in un mondo così spietato e crudele con chi non aveva di che vivere.
Ora però tutte le loro preghiere erano state ascoltate. Vivien aveva un nuovo lavoro, molto più rispettabile e ben pagato e che l’avrebbe messa in condizione di poter migliorare le condizioni della sua povera domestica.
Giunta a casa – una dimora ricavata da una vecchia stalla – bussò all’uscio ed aprì la porta di legno malandato.
“Posso entrare?”
“Oh, cara, sei qui”.
Clelia era impegnata a sbucciare le patate, mentre teneva i piedi a mollo in un catino di rame. L’acqua calda era l’unico sollievo per quei piedi malridotti.
“La carrozza che deve venire a prendermi dovrebbe passare da un momento all’altro”. Annunciò la ragazza, mettendosi ad aiutare la sua amica. “I conti Turner li trattano bene i loro servitori”.
“Ancora non riesco a crederci”. Esclamò la donna. “Tu che vieni presa come dama di compagnia per la contessina. Dio ha ascoltato le mie preghiere”.
Vivien le prese una mano e gliela strinse. “Purtroppo però non vivrò più qui con te”.
“E credi davvero che la cosa mi impensierisca? So badare a me stessa, mia cara, l’ho sempre fatto”.
La ragazza ridacchiò. Clelia e il suo dannato orgoglio. “Non ho dubbi. Comunque ti manderò dei soldi ogni mese e, quando potrò, verrò a trovarti”.
“Non ti devi preoccupare per me, pensa solo a fare un buon lavoro”.
Il nitrito di un cavallo fece da annuncio per la carrozza che si era fermata davanti alla loro casa. Vivien prese la sua unica, umile borsa ed abbracciò Clelia. Non versò una lacrima – ormai da quella notte di sei anni prima non era più riuscita a piangere – e si diresse fuori, dove trovò un piccolo cocchio, di certo non quello che i conti utilizzavano per spostarsi, e vi salì sopra.
Il cuore le batteva così forte che sembrava volesse uscire dal petto. Da quando la sua casa era finita in fiamme, Vivien non aveva più messo piede in un palazzo di nobili e la cosa la elettrizzava non poco. Pensò ad un modo adeguato per annunciarsi, non troppo sfacciato, ma nemmeno troppo sottomesso. Andava lì per fare la dama di compagnia, non una semplice cameriera.
La carrozza si fermò dopo circa mezz’ora di viaggio. Nessun cocchiere venne ad aprirle lo sportello, ormai era fin troppo abituata ai modi che si utilizzavano per i servi, così scese da sola, senza alcuna mano che l’aiutasse a scendere o qualche maggiordomo che l’accogliesse con un inchino. Tutte quelle cerimonie appartenevano al passato.
Vivien alzò lo sguardo sul cancello nero in ferro battuto che le si presentò davanti e per qualche secondo trattenne il respiro. Ricordava bene villa Forter, ogni centimetro, persino ogni mattone bruciato dal fuoco, ma non aveva nulla a che vedere con il palazzo che le si presentava di fronte.
Il cocchiere le fece strada nei giardini antistanti villa Turner, addobbati con siepi tagliate in modo perfettamente simmetrico e fontane in marmo bianco rappresentanti divinità antiche. Ogni filo d’erba, ogni ciottolo che veniva calpestato sembravano osannare lo sfarzo e la nobiltà di quella casa.
Superata la scalinata che preannunciava l’ingresso, una ragazza dagli abiti umili congedò il cocchiere che tornò alla sua carrozza e fece strada a Vivien dentro il palazzo.
“La signora ti attende nella biblioteca”.
Vivien annuì piuttosto distrattamente. Il suo sguardo era rapito dalla bellezza dei quadri appesi alle pareti, uno in particolare attirò la sua attenzione. Doveva trattarsi della famiglia Turner al completo, la contessa seduta su una sedia di velluto azzurro, con una bambina in braccio, il conte accanto a lei che le teneva la mano e poi un altro ragazzo. Vivien avrebbe voluto avvicinarsi e guardare con più attenzione, ma la sua accompagnatrice la trascinò dalla parte opposta del salone, in una stanzetta nascosta dalla scalinata principale.
“Signora contessa”. La giovane serva fece un leggero inchino, dopodiché lasciò spazio a Vivien che poté fare il suo ingresso nella biblioteca. “E’ arrivata la dama di compagnia”.
“Bene, Meg, puoi andare”.
La serva, Meg, chinò leggermente la testa e si voltò per andarsene. Prima di farlo però lanciò un’occhiata alla nuova arrivata, come se avesse voluto avvertirla di qualcosa. Solo che Vivien non colse il messaggio.
“Prego, prego, vieni avanti”. La invitò la contessa.
Era come la ragazza l’aveva vista poco prima nel ritratto, giusto i capelli neri erano strisciati un po’ di bianco e probabilmente era stata un’accortezza dell’autore alleggerire quelle occhiaie, ma per il resto la contessa Turner era un’icona di eleganza e bellezza che poteva contare poche eguali in tutta l’Inghilterra.
La donna si alzò dalla sedia e posò il libro che stava leggendo sul mobile sopra il caminetto. Squadrò Vivien da capo a piedi e la ragazza si sentì come una preda il cui cacciatore assaporava gli attimi precedenti l’uccisione. Quando poi gli occhi verdi della contessa di posarono sul suo volto, non lo lasciarono più, nemmeno mentre si incamminava verso di lei con le mani giunte in grembo.
“Dunque, Vilian”. Incominciò la contessa.
“Veramente mi chiamo…”
“Non mi pare di averti dato il permesso di parlare”.
Vivien si morse il labbro inferiore ed abbassò lo sguardo. Forse era a questo che alludeva lo sguardo lanciato all’ultimo momento dalla serva. La contessa aveva un pessimo carattere.
“Allora, voglio sia ben chiaro che non sono solita raccogliere i miei servitori per strada”. Continuò la donna, cominciando a girare intorno alla nuova arrivata con passo regale e mento all’insù. “Se sei qui è solo perché il mio stalliere ti ha notata. A quanto pare sai sia leggere che scrivere”.
Vivien annuì. Essere stata una nobile almeno le aveva permesso di studiare, anche se solo per pochi anni.
“E’ così raro trovare dei servi ben istruiti, oggigiorno. Desidero che mia figlia conversi con gente che conosca un po’ di cultura e che alleni la mente con giuste letture”.
“Come desiderate, signora”. Azzardò Vivien, sperando di non essere fustigata per aver parlato senza permesso.
La contessa però sembrò non badare all’indisciplina della sua nuova serva e continuò col suo discorso. “Il fatto che ti abbia assunto come dama di compagnia per la contessina, non ti esonera dagli altri doveri di serva, sono stata chiara?”
“Chiarissima, signora”.
Ecco a cosa era dovuta tutta quella ramanzina. La contessa le stava dicendo che, sebbene sarebbe stata molto a contatto con la contessina, il suo ruolo in quella casa rimaneva comunque quello di una cameriera, doveva lavare i piatti, le lenzuola, cucinare, riordinare.
Poco cambiava da ciò che faceva alla locanda Red Lion, con la differenza che almeno non ci sarebbe stato nessun cliente arrapato ad importunarla.
“Hai delle domande?” Vivien stette per parlare, ma la contessa non gliene lasciò il tempo. “Bene, allora credo che per ora puoi ritirarti. Meg ti indicherà la tua stanza”.
Vivien interpretò la voltata di spalle della contessa come un invito – neanche troppo celato – a lasciare la biblioteca. La ragazza obbedì, ma quando tornò nel salone d’ingresso non vide nessuna Meg a farle da guida.
Beh, come inizio non è male. Pensò ironica, stringendo ancora tra le mani la sua borsa da viaggio. Sperava solo che la contessina non fosse come sua madre, altrimenti temeva di dover rimpiangere il lavoro alla locanda.
Fece qualche passo verso la scalinata centrale, ammirando i gradini di marmo e il corrimano in legno. In quella casa sembrava tutto così immacolato che Vivien aveva paura persino a sfiorare i mobili. A villa Foster era diverso, la ragazza non ricordava un giorno in cui ci fosse stato tutto quel silenzio in casa sua. I servi la rispettavano, come era giusto, ma non avevano paura di lei. I conti Turner sembravano invece proprio voler ricercare il timore nei loro sottoposti, farli sentire quasi insignificanti, o almeno così aveva lasciato intendere la padrona.
“Oh, scusami, aspetti da molto?”
Meg entrò in salotto strofinandosi le mani sul grembiule e aggiustandosi la crocchia di capelli biondi in testa. “C’è stato un problema alle cucine e mi sono dovuta allontanare. Devo mostrarti la tua stanza, vieni”.
Sembrava simpatica. Alla locanda non era riuscita a stringere un buon rapporto con i suoi colleghi, a parte Thomas. Gli uomini la vedevano solo come potenziale compagna sotto le lenzuola, mentre le donne… beh, le donne non frequentavano quel genere di posti e se lo facevano era perché dovevano andare ad occupare le stanze da letto al piano superiore.
“La padrona ti ha detto di cosa devi occuparti, ehm… qual è il tuo nome?”
“Vivien Foster”.
Meg aprì una porta che portava ad un lungo corridoio. Lo sfarzo delle pareti stava cominciando a diminuire, si entrava nella zona della servitù. Nessuno agghindava le stanze dei dipendenti, tanto nessun nobile si sarebbe mai sognato di visitarle.
“Allora, la camera della contessina Alyssa si trova al primo piano”. Dispose Meg, mentre apriva l’ennesima porta da quando avevano cominciato a camminare. “Lei e sua madre fanno sempre colazione insieme, alle sette in punto, il conte invece si trova in viaggio d’affari, non sappiamo esattamente quando rientrerà. È un uomo molto occupato, sai? ”
“E l’altro ragazzo?”
La serva si voltò verso Vivien, crucciando la fronte. “Quale ragazzo?”
“Quello del dipinto nel salotto. C’era un’altra persona oltre al conte, alla contessa e alla contessina”.
La bionda si strofinò nervosamente le mani ed abbassò lo sguardo. “Beh, il conte Aaron non ha orari. Va e viene da questa casa quando vuole, perciò non preoccuparti per lui”.
A Vivien non sfuggì l’improvviso imbarazzo che colpì la sua guida nel parlare del suo padrone. Che cosa aveva di così temibile questo conte Aaron?
Finalmente Meg si fermò davanti ad una porta di legno e sorrise alla sua nuova compagna di lavoro. “Ecco, alloggerai qui, accanto alla mia stanza. La sveglia è alle cinque e mezza e alle sei dobbiamo già prendere servizio. Sul letto ti ho già messo il cambio per domani mattina”.
Vivien aprì l’uscio della sua camera e non rimase affatto delusa da ciò che trovò al suo interno. Non che ci fosse un letto a baldacchino con tende in seta, ma quel materasso sbrindellato era di certo più comodo del pagliericcio su cui si era addormentata tutte le notti da sei anni a quella parte.
“Beh, vado a finire di sistemare le ultime cose in cucina”. Concluse Meg.
“Posso dare una mano?”
“No, tu coricati pure, domani inizierai a lavorare come si deve”. La ragazza si chiuse la porta alle spalle, lasciando Vivien da sola in quella fredda stanza. Passati due secondi però la porta si riaprì e di nuovo la testa di Meg fece capolino, con un dolce sorriso stampato sul volto.
“A proposito, benvenuta a Villa Turner, Vivien Foster”.


******

Ho pensato di pubblicare anche il primo capitolo, perché il prologo non dà un'idea presisa della storia.
Certo, è tutto ancora da scoprire, ma mi sembrava giusto chiarirvi un po' le cose, in modo tale da comprendere meglio il senso del racconto!
Spero di avervi incuriosito almeno un pochino!^^
Un bacione

*HarleyQ_91*

  
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