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Autore: Anto1    24/02/2012    3 recensioni
Gabriel ha fatto la sua scelta ed è ormai a capo del Direttorio. Non risolve più casi sul paranormale e ha dei sottoposti che lavorano per lui. Ma cosa succederebbe se una persona a lui molto cara fosse direttamente minacciata? Perché continua a vedere in sogno Serventi? Cosa vuole davvero da lui? Ma soprattutto, cosa vuole dalla sua Claudia?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Claudia si stava finalmente riprendendo. Serventi le aveva manomesso l’unica cosa che lei non avrebbe mai creduto nessuno avrebbe mai osato toccarle: il suo cervello. E lo aveva fatto proprio perché era una psicologa: ridurre alla pazzia un medico che cura le malattie mentali altrui gli era sembrata una sfida divertente, e aveva raggiunto il suo scopo, almeno per un po’. Fosse stata una psicoterapeuta qualunque, Claudia sarebbe scivolata lentamente nella pazzia, nonostante Gariel l’avesse salvata. Ma lei era molto più di questo: aveva indagato abbastanza nel paranormale da non farsi piegare da un lieve shock, perché ormai sapeva che c’erano misteri inspiegabili; inoltre, grazie alla sua intelligenza e forza d’animo fuori dal comune, stava vincendo il turbamento e riacquistando la sua indipendenza; e, infine, aveva lui. Finalmente, aveva lui. Glielo aveva detto, una di quelle mattine, quando Gabriel era andato a vederla prima di iniziare il suo ormai consueto allenamento.
“Mi pare di sentire ancora le sue mani su di me” disse lei, ricordando il giorno in cui Serventi l’aveva rapita. Era seduta sul letto, con indosso una lunga camicia da notte che era appartenuta a Clara Antinori, e si guardava le mani, che teneva in grembo.
Gabriel, a sentire quelle parole, digrignò i denti.
“Lo odio… si pentirà amaramente di averti toccata! Pensavo di essere arrivato troppo tardi… eppure avrei potuto impedirgli di rapirti, avrei dovuto proteggerti!” disse, strofinandosi insistentemente la fronte.
“Ma lo hai fatto!” disse, alzandosi e dirigendosi verso di lui “lo hai fatto! Mi hai dato da mangiare, mi hai accudito, mi hai lavato…” lo guardò con occhi languidi, arrossendo “il modo in cui ti sei preso cura di me… il tuo tocco ha cancellato ogni traccia di Serventi sul mio corpo, ricordo tutto, ogni minimo particolare. E poi mi hai salvato la vita, stavo morendo e tu mi hai salvata! Mi hai salvata da lui, dalla sua presenza nella mia mente! Quando ero impazzita per colpa sua, sentivo e vedevo tutto, ma non potevo interagire col mondo esterno, come una persona affetta da autismo… ma appena chiudevo gli occhi, il mio mondo interiore mi uccideva: vedevo soltanto lui, la sua faccia, il suo spettro, nei miei sogni, e ogni volta che lo vedevo, sentivo che mi risucchiava via tutta l’energia vitale. Ci è quasi riuscito, e mi avrebbe ucciso, se non fossi arrivato tu… a dirgli di prendere te al posto mio.”
Gli toccò il viso con una dolcezza estrema, una carezza delicata, e poi, seppur esitante, appoggiò le labbra sulle sue. Lui la strinse a sé, rispondendo al bacio… il corpo leggiadro di quella donna stretto al suo, quello che bastava per accendere il fuoco che sentiva già, dentro.

“Mauro, più pioggia!”
Il ragazzo che controllava le nuvole annuì, poi alzò gli occhi al cielo, che subito diventarono bianchi, trasformando la pioggerellina fine in una pioggia scrosciante. In poco tempo, tutti loro camminavano sul terreno fangoso, e facevano molta più fatica ad allenarsi, specialmente Nadia, che stava avendo non poche difficoltà a mantenere stabile il falò che aveva fatto nascere dal nulla, e che ora si stava velocemente spegnendo; provò con tutta la forza della sua mente di tenerlo vivo, ma senza risultato.
“Non devi controllare la fiamma solo con la forza della mente, Nadia, ma con l’intenzione!” le disse Gabriel, avvicinandosi.
“In che senso?” le chiese lei, fissandolo stupita.
“Devi volerlo.
“Ma io lo voglio! Voglio che non si spenga con la pioggia, ma non ci riesco! Come posso accendere una fiamma quando poi l’acqua lo spegne? E’ pura fisica, non sono solo poteri!”
“Anche io non credevo di avere il potere di resuscitare le persone, poi un giorno l’ho voluto, e ho ritrovato il mio potere assopito. Continua ad esercitarti! Riuscirai a farlo, prima o poi! Ricorda quello che hai imparato durante la meditazione!”
Nadia continuò, cercando di concentrarsi meglio, mettendoci l’intenzione. Non successe niente, ma, dopo mezz’ora buona di prove fallite, vide muoversi una piccola fiamma, debole, blu, che svanì subito, ma ci era riuscita! Ci era riuscita nonostante la pioggia! Guardò Gabriel, felice; luì annuì, compiaciuto. Poi, passò a vedere quello che stavano combinando gli altri: i gemelli stavano facendo volare le api sopra le loro teste, e si divertivano a formare figure geometriche con gli insetti; prima un cubo, poi una piramide, poi un piccolo elefantino ronzante. Il loro compito era uno dei più semplici: dovevano controllare sempre di più le api, di cui erano già padroni. Gabriel, però, aveva insistito di entrare nella loro mente, per sentire anche le loro emozioni e le loro esigenze “dovete fare come se voi stessi siate api, dovete quasi sentirle addosso. Da questo momento in poi, controllerete api anche quando mangiate e dormite.” E loro, diligenti, avevano preso le parole alla lettera. Ottimo risultato, qui. Anna, la donna che aveva il dono della preveggenza, e Dario, il ragazzino che leggeva nel pensiero, si stavano allenando insieme: Anna doveva trasmettere alla mente di Dario notizie sul suo futuro, e Dario doveva rifiutarle, erigendo un muro protettivo invisibile, una lotta molto ardua, soprattutto considerato che Dario non sempre voleva erigere quel muro: lui voleva sapere quelle notizie sul suo futuro, e questo lo distoglieva sempre di più dal suo intento.
“Non va bene, Dario! Se continui a volere che Anna intacchi la tua mente, lei lo farà sempre! Devi respingerla! Usa il potere dell’attenzione! Devi essere vigile, attento e nel pieno controllo delle tue facoltà mentali, se vuoi batterla! Non farti abbindolare da pensieri allettanti, o perderai!”
Era difficile da spiegare, figuriamoci praticarlo… aveva bisogno di aiuto, di un esperto nel campo. Quasi avesse gli stessi poteri telepatici di Dario, Claudia urlò:
“Concentra tutta la tua mente sul vuoto! Non pensare, e ti riuscirà più facile scacciarla dalla tua testa!”
Per un attimo, Dario si voltò a guardarla, come imbambolato; poi, seguì il suo consiglio. Sembrava facesse uno sforzo enorme: gocce di sudore gli imperlavano la fronte, e lui ansimava come se avesse fatto tre chilometri di corsa. Ma poi, dopo qualche minuto, Anna si toccò la fronte, e il sottile filo invisibile che li univa si spezzò.
“Mi hai fatto male!” lo rimproverò lei.
Il ragazzino rise, ancora ansimante “scusa!”
Pure Davide rise, ma poi si unì alla coppia: ora doveva allenarsi anche lui con Dario, poi, avrebbero lavorato tutti e tre insieme.
Enzo, l’uomo che controllava l’acqua, stava unendo le gocce di pioggia per fare pressappoco la stessa cosa che stavano facendo i gemelli: farle prendere forma, anche se per lui la sfida si faceva ancora più ardua, dato che l’acqua diventava sempre più pesante. Dopo questo, avrebbe dovuto raccoglierla per formarne tanti pesi da dieci chili che poi avrebbe sollevato in continuazione, una sorta di sollevamento pesi per la mente; poi, avrebbe dovuto riempirne due secchi enormi che avrebbe dovuto portare in spalla, correndo sotto la pioggia. Antonio cercava di evitare le gocce di pioggia, correndo più veloce della luce, tanto da formare una linea di colore indistinta. Agatha stava dipingendo il più possibile tutto quello che le passava per la testa, l’unica istruzione che le avesse dato Gabriel fino a quel momento, e la stessa cosa stava facendo Elisa, la quindicenne, con la scrittura. Giada, la ragazza che riusciva ad avvertire le emozioni altrui, era al centro, e stava accogliendo le emozioni di tutti dentro di sé: questa era cosa facile, il difficile era scivolare in una specie di vuoto per non farsi prendere dalle emozioni, per accantonarle ed esaminarle con cura, come fossero solo semplice materiale da smistare; per nessuna ragione doveva prestare attenzione a nessuna di loro in particolare, ma farle fluire con calma dentro di sé.

Doveva farla fluire con calma dentro di sé, quella passione che lo stava attanagliando, mentre guardava Claudia, quell’angelo dal cuore di un leone, che dormiva. Doveva calmarsi, si diceva, mentre le faceva scorrere una mano fra i capelli castani, a cui la luce della luna dava riflessi ramati.
“Bellissima.” Riuscì solo a dire, mentre lei si muoveva nel sonno. Timoroso di svegliarla, decise di alzarsi, e di andarsene dalla stanza facendo meno rumore possibile. Si avviò per i corridoi bui, verso la sua stanza, e si adagiò sul letto, ancora vestito. Era stata una giornata impegnativa, e gli allenamenti erano stati sfiancanti. Sì, perché lui si allenava insieme ai suoi allievi, anche se faceva più esercizi fisici come corsa e meditazione che altro… quanto avrebbe voluto fare un po’ di canottaggio! Si ricordava ancora quando suo padre, Sebastiano Antinori, gli aveva impartito la prima lezione di canoa. Aveva quattro anni, ed era andato in montagna con lui. Il padre l’aveva condotto vicino un piccolo fiume che scorreva abbastanza lento per poter pagaiare.
“La prima regola per la canoa è… sicurezza! Ecco perché ho portato un salvagente per te!” disse, mostrandogli il giubbotto di sicurezza arancione.
“Ma papà, io non ho bisogno di quello, sono grande!” aveva detto lui, facendo il broncio.
Suo padre aveva fatto l’espressione corrucciata, poi, aveva sorriso, con uno strano luccichio negli occhi “ma il salvagente ti aiuta a fare i muscoli, così diventerai grande e forte come il tuo papà!” disse, facendo i muscoli con le braccia.
Gabriel rise: in quel momento suo padre non gli sembrava un bell’uomo, quale effettivamente era, ma solo molto buffo.
“Ridi?! Perché ridi? Vuoi dire che il tuo papà non è bello?! Adesso ti faccio vedere io, capelli rossi! Vieni qui!” disse, prendendolo in braccio e facendogli il solletico.
“Ahhh! Papà, papà, basta! Basta!”
Poi la scena cambiò: erano al mare, e Gabriel stava facendo un castello di sabbia, ma, dopo che la torre era caduta già tre volte, si era stufato.
“Non sta su, papà!” disse, deluso.
Suo padre sorrise indulgente “Questo è perché non gli hai messo la colla!”
“Colla?! Papà, ma è sabbia!”
“Lo so, ma io per colla, intendevo l’acqua: se ci metti l’acqua, il tuo castello crescerà sano e forte, mattone dopo mattone.” Si alzò a prendere un po’ di acqua marina col secchiello, e la versò sulla sabbia, che iniziò a modellare. Venti minuti dopo, era pronto il più bel castello che Gabriel avesse mai visto.
Poi…
“Papà, guarda!”
Erano nel giardino di Villa Antinori, e Gabriel aveva raccolto un merlo ferito ad una zampa.
“Vieni qui, lo curiamo!” aveva detto Sebastiano, e gli aveva permesso di accudirlo per una settimana, fino a che non morì. Gabriel aveva cinque anni, e fu allora che il suo potere si manifestò per la prima volta.
“Papà, l’uccellino è vivo!” suo padre l’aveva guardato incredulo, poi aveva messo una mano sulla spalla del figlio. “Strano, molto strano… comunque sia, sei stato bravo!”
“Papà, io ho dei poteri?” gli aveva chiesto, con l’ingenuità di un bambino.
Sebastiano aveva annuito, ancora sconcertato. Poi, aveva guardato gli occhi azzurri di suo figlio, che lo scrutavano come per leggere le sue emozioni.
“Sei arrabbiato con me?” aveva chiesto, con un po’ di paura.
Lui aveva fatto un lieve sorriso “certo che no! Hai fatto una cosa molto bella, sei un bravo bambino! Bravo e bellissimo!” poi, lo aveva sollevato e fatto sedere sulle sue spalle “sì, sei proprio un bel bambino! Il mio dolce angioletto!”
Poi, la scena che lo aveva fatto impazzire da piccolo: sua madre che faceva sesso con suo zio; il fantasma di suo padre era lì, piangeva, inascoltato, fra i sospiri blasfemi e traditori della coppia, e Gabriel, che guardava inorridito.
Gabriel non si era accorto di piangere nel sonno, di chiamare suo padre fra i singhiozzi, se ne accorse solo quando si svegliò di soprassalto.
“Papà, ti chiedo scusa! Ti chiedo scusa per non essere tuo figlio, ti chiedo scusa di essere il frutto di un tradimento! Papà, papà, ti voglio bene, ti ho sempre voluto bene, non è stata colpa mia! Tu sei mio padre, qualsiasi cosa mia madre abbia fatto, tu sei mio padre!!!” aveva detto, quasi urlando, stringendo le coperte a sé come per proteggersi. E allora l’aveva sentito: una mano gelida sulla sua testa. Aveva alzato la testa… e lui era lì! Il fantasma di suo padre era lì, e lo fissava con occhi neri, pieni di tristezza…
“Papà…” aveva alzato una mano per toccarlo, ma quella mano gli era passata attraverso.
“Gabriel, che su…” Claudia si era coperta la bocca, per soffocare un grido di paura.
“Tranquilla, non spaventarti, non ci farà del male!” disse Gabriel, alzandosi, cingendole le spalle con un braccio.
“Vero, papà?” aveva chiesto al fantasma, che aveva annuito.
Lo spettro fece loro cenno di sedersi sul letto. Era diverso da come Gabriel lo aveva sempre visto: aveva la bocca chiusa, anche se il petto era ancora insanguinato. Sembrava non poter parlare. Questo lo fece Gabriel.
“Papà, mi dispiace per quello che è successo… mi dispiace per quello che ti ha fatto la mamma, mi dispiace di non essere tuo figlio” gli disse, con un filo di voce.
Ma Sebastiano agitava la testa per negare.
“Papà, che cosa vuoi dirmi? Dove sei ora, in paradiso? Perché continui a tornare?”
Lo spettro indicò il sangue sul suo petto.
“Per… per quello che ti ha fatto mio zio? Parlami, papà!” lo istigò, ma suo padre si limitava a scuotere debolmente la testa.
Poi, si era voltato a guardare Claudia e, lentamente, aveva allungato una mano verso di lei. La donna si ritrasse, paurosa; a quella reazione, il fantasma aveva ancora agitato la testa, e le aveva toccato la guancia, per alcuni secondi, poi i capelli; un secondo dopo, aveva avvicinato le fronti dei due giovani perché si toccassero, poi, aveva preso le loro mani e le aveva intrecciate. Fatto questo, si era fermato a guardarli, compiaciuto della sua impresa, e aveva annuito, per poi dissolversi, incurante delle parole di Gabriel che lo esortavano a restare, a non andare via. Ma ormai era successo. Quando suo padre se ne fu andato, Gabriel appoggiò la testa sua petto di Claudia, e iniziò a piangere sommessamente, chiamando suo padre, mentre Claudia lo stringeva a sé, accarezzandolo, facendogli sentire la sua presenza. Si era ritrovato a baciare il petto della donna che non era coperto dalla camicia da notte, e fra i baci le sue labbra formavano una sola parola: “papà!”
 
  
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