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Autore: MaTiSsE    25/02/2012    2 recensioni
"....Nessuno ha idea di quanto il tuo sorriso possa scaldarmi il cuore.
Sono degli stupidi, ovviamente.
E lo sono anch'io.
Perchè ti sento e ti amo come il primo giorno.
E perchè parlo di te - di noi - così scioccamente... come se fossimo ancora insieme..."
Louis e Constance...Due giovani uniti da un amore difficile. Un amore tormentato dallo spettro della Rivoluzione.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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louis 11
"...E anche se tutto
è
scorretto
adora.
Adorami..."

Verdena - Le tue ossa nell'altitudine












Al di là del nostro amore














30 Maggio 1794
(11 Pratile anno II)





"Buon compleanno amor mio..."

Constance alzò gli occhi azzurrissimi su di lui, restituendogli un sorriso forzato.
Non sarebbe stato un buon compleanno, quello.


"Non guardarmi in quel modo, Constance..."
"E' soltanto un caso che il giorno della mia nascita coincida con la vigilia della tua ennesima partenza, amor mio? Non ho molto da festeggiare, a dirla tutta..."


Louis ridacchiò mentre, afferrandola per la vita, la costringeva a sedersi sulle sue ginocchia.


"Abbiamo molto da festeggiare, invece: è un giorno splendido! Quindi, tu ora mangerai il dolce che Madame Ducray ha preparato per te con tanto amore..."
"...Preparato per me con amore? Ma se l'hai pagata! E' il suo lavoro, no?"

Louis alzò gli occhi al cielo mentre seguitava a parlare, infischiandosene delle proteste della sua amata.


"...Ne mangerai due fette, perché è davvero molto, molto buona. Poi, scarterai il tuo regalo e dopo trascorrerai felicemente la tua giornata con me. Perché oggi è il tuo compleanno. Domani è domani e quel che accadrà non ci riguarda."
"Louis...Non parlarne come se fosse un evento lontano. Domani è domani, per l'appunto. Mancano meno di ventiquattrore."


Louis sorrise ancora, con dolcezza, e le lasciò un bacio soffice sulla guancia prima di riprendere a parlare.

"Sai quante cose si possono fare in questo tempo? Così tante da farti scordare i pensieri cattivi..."



Constance mugugnò ma evitò di esprimersi a voce alta.
Avrebbe voluto dirgli che nulla al mondo sarebbe stato in grado di farle dimenticare la sua imminente partenza. Nulla di infinitamente bello l'avrebbe aiutata a non pensarci perché non c'era esattamente niente di meglio del suo sorriso per lei, dei suoi occhi verdi che la guardavano estasiati, di quelle mani così delicate intrecciate alle sue.
Mancava ormai pochissimo, tuttavia, per di perdere di nuovo tutto questo - il suo tesoro inestimabile - a causa dell'ennesima battaglia che non le apparteneva.

Così avrebbe dovuto rinunciare nuovamente e senza alcuna volontà a ciò che le riempiva il cuore e le permetteva di svegliarsi ogni mattina con le belle labbra piegate all'insù.

Perché Louis era la malattia e la medicina, al contempo.
E lei, di guarire, proprio non voleva saperne.


C'era qualcosa di profondamente ingiusto dietro quel destino che seguitava a regalarle e sottrarle il suo amato con regolarità.
Come avrebbe mai potuto abituarsi a quello scherzo crudele? Non era certa di possedere ancora per molto tanta forza o pazienza.


"Constance?"
"Uh?" - Sussultò, sorpresa.

Louis le prese il mento con due dita, la costrinse a guardarlo: quando c'era lui non le era permesso di perdersi nei suoi pensieri disperati, in quegli scenari apocalittici.


"Ti ho detto di non essere triste. E' accaduto altre volte ch'io sia partito. Che hai oggi?"
"Sono sempre triste quando vai via, Louis..." - Ammise.
"Sì, ma mai come adesso. Parlami: è accaduto qualcosa che non so?"


Constance deglutì a fatica e fu tentata di distogliere lo sguardo da lui. Tuttavia, se l'avesse fatto per davvero, Louis avrebbe compreso molte cose e lei sarebbe stata costretta a dire che era proprio così: aveva paura.
Quel giorno più di tutti gli altri in cui Louis era andato via da lei.

Perché un'ombra sul suo cuore di giovane ragazza le suggeriva ormai da un po' di tempo di tenersi pronta per qualsiasi evenienza. Quell'ombra le diceva di temere il destino perché non tutto sarebbe andato sempre così liscio.
Louis non sarebbe stato suo per sempre.

C'impiegò tempo e troppe energie, quindi, per tornare a parlare:



"Non è accaduto nulla ma..."
"Ma?"
"Vorrei sapere...tornerai Louis? Tornerai anche stavolta?"


Louis la guardò per qualche istante esterefatto. Poi, le labbra si aprirono in un sorriso luminoso ed infine in una grossa risata che soffocò sul collo delicato della sua innamorata. I capelli del giovane le solleticarono la pelle e lei socchiuse gli occhi, beandosi di quel tocco: soltanto per un istante le parve qualcosa di così infinitamente reale ed infinitamente suo che riuscì persino a sorridere a propria volta, poggiando la testa sulla chioma rossa di Louis.


"Non ridere di me, furfante..."
"Rido perché sei buffa. Ma certo che tornerò, sciocchina! Quante volte devo dirtelo che non vado a fare io la guerra? Tornerò anche stavolta e dopo non ti libererai più di me..."



Vorrei che fosse proprio così, Louis...





Le mordicchiò il collo, più volte, e per ogni morso seguitava a lasciarle, di rimando, un altro bacio morbido.
Constance alla fin fine si arrese e cominciò a ridere. Poi l'abbracciò: lo strinse a sé così forte che Louis la canzonò, chiedendole se non fosse stata intenzionata, piuttosto, a soffocarlo.

In realtà, voleva soltanto imprimersi meglio nella mente la sensazione del suo corpo tra le proprie braccia.
Voleva racchiuderla in sé e portarsela dietro per il resto dei propri giorni, per sopperire alla mancanza che, di lì a poco, l'avrebbe dilaniata.
Perché Constance, per una volta, si stava affidando alle proprie sensazioni anziché credere alle parole di Louis: quel suo tornerò le sapeva troppo di garbata bugia e le parlava dell'ennesima illusione creata per lei, affinché non soffrisse troppo nel cuore della notte e nella solitudine di quella casa non sua.

Poi ci pensò su: a cosa sarebbe davvero servito stringerlo così forte, dopotutto?
Tanto non sarebbe cambiato nulla: nel momento stesso in cui Louis avesse varcato la porta di casa avrebbe scordato qualsiasi particolare di quella dolcissima sensazione. E le sarebbe parso di non abbracciarlo da anni, in ogni caso.




No, decisamente: quello non sarebbe stato un buon compleanno.
Nonostante tutti gli sforzi di Louis, i sorrisi di Constance quel giorno non sarebbero stati sinceri.




Non riesco più a crederti Louis.
Com'è possibile?
Eppure lo vorrei tanto...
Vorrei pensare che sia tutto tranquillo come suggerisci tu e che questa nostra vita indegna non si prenderà gioco di noi ancora per molto.


Ma tanto lo sappiamo entrambi che non è questa la verità.
E che, anche questa volta, sarà tutta un'illusione la mia stupida idea di averti solo per me.

Perché io sono solo una fragile ragazzina che ti ama e nulla posso contro quest'odiosa Rivoluzione per cui tu vivi e respiri.

Ti porterà via, ancora una volta - lo sento - mentre tutto ciò che vorrei per la mia esistenza null'altro sarebbe che legarti a me con un filo invisibile.
Per non farti scappare mai più.

Perché non me ne importa niente dello Stato francese, Louis, della Repubblica o della guerra fra nobili e plebei.
A me importa soltanto del nostro amore.
E continuerà ad importarmi molto di più quando stanotte la tua mano scivolerà dalla mia e sentirò la porta socchiudersi mentre fingerò di dormire.
Mentre, in realtà, starò soltanto piangendo per l'ennesima volta.


Sarebbe troppo chiederti di restare, vero?
O, quantomeno, di tornare sempre da me.
Prima o poi smetterai di farlo. Prima o poi il tuo passo non risuonerà più fra le mura di questa casa.
Lo so, Louis.
Tu mi ucciderai.

La Rivoluzione ci ucciderà.











Giugno 1794
(Pratile - Messidoro anno II)





"Le truppe francesi hanno vinto a Fleurus!"
"Dite davvero cittadino? Dunque, la guerra è in mano alla Francia, ormai!"
"A quanto pare...Perlomeno, queste sono le ultime notizie giunte alla Convenzione."
"E dunque, le cose vanno bene...Robespierre potrebbe anche darci un taglio con la storia che la Rivoluzione sia minacciata da più fronti."
"Effettivamente, comincia a suonare come un'esagerazione, cittadino! Il buon vecchio Maximilien vede pericoli dove non ci sono..."
"Che voglia crearseli da solo?"
"Che intendete?"
"Quell'uomo non m'ispira più fiducia! A volte ho la sensazione che mandi a morir la gente per il puro gusto di farlo..."
"E' un violento..."
"Lui e tutta la sua cerchia di alleati!"
"E' proprio così! Bisognerebbe cacciare dalla Convenzione lui e tutta la sua cricca di compari!"
"Ben detto, cittadino! Finalmente qualcuno che la pensa come me!"
"Ah, non siete l'unico, statene pur certo...dalle ultime nuove che ho appreso, in molti non credono più nella sua buona fede. Ho come la sensazione che l'era dell'incorruttibile sia giunta al tramonto..."







"Constance? Constance"

"Che c'è!?"

Constance saltò come morsa da una tarantola in risposta al richiamo di Marie e la patata di cui stava soppesando la qualità fino a qualche istante prima le scivolò di mano, rotolando sul selciato sottostante. Il mercante le rivolse un'occhiata truce, prima di aprir bocca:

"Cittadina! State attenta! Quella patata è merce pregiata!"
"Avete ragione, buon uomo...Vogliate scusarmi."


Si chinò prontamente a raccogliere l'ortaggio mentre Marie inceneriva l'uomo con lo sguardo.

"Per tutti i diavoli! Ve lo paghiamo il vostro preziosissimo tubero, che credete? Ecco qua, prendete queste monete e smettetela di crucciarvi! Piuttosto, imparate le buone manierie: Constance è soltanto una ragazzina, non è il caso di rivolgervi a quel modo!"


L'uomo borbottò qualcosa tra sé e sé mentre Marie spingeva la ragazza lontano dalla bancarella.


"Andiamo, ma petite fille...Cammina, cammina! Andiamo lontano da questa gentaccia!"


Constance, come in trance, accolse l'ordine seguitando a mettere un piede davanti all'altro per inerzia e senza badare alla strada, a dove Marie la trascinasse.
Aveva nella mente le parole di quegli uomini in abiti borghesi che, accanto a lei, nel mercato, parlottavano della battaglia di Fleurus ignari di essere ascoltati dalle sue orecchie giovani ed attente.
Il perché di tanto interesse era facile da spiegare: proprio a Fleurus, in Belgio, già da diverso tempo, era stato inviato Louis in veste di commissario speciale del Comitato di Salute Pubblica per visionare l'andamento della battaglia ed il comportamento dei soldati in guerra.

Dunque, se a Fleurus le armate rivoluzionarie avevano avuto la meglio sugli eserciti austriaci ed inglesi della prima coalizione, ciò voleva semplicemente dire che Louis aveva assolto ormai al proprio compito e di lì a poco, dunque, avrebbe potuto far ritorno a Parigi. Ovviamente si trattava di un'ottima notizia, fermo restando che a Constance delle strategie di guerra interessava ben poco. Tutto ciò che le importava risiedeva nella consapevolezza che il suo promesso sposo sarebbe finalmente tornato a casa.

Tuttavia...tuttavia, quelle parole che aveva ascoltato involontariamente al mercato riguardo a Robespierre le avevano inevitabilmente procurato i brividi.

Robespierre era un amico importante per Louis. Era l'uomo di cui si fidava, l'alleato che stimava e rispettava più di tutti.
Constance sapeva di per certo che la vita del suo giovane innamorato fosse legata a doppio filo a quella di Maximilien. E dunque, se quel che l'uomo al mercato aveva raccontato era vero, un certo malumore cominciava ora a serpeggiare tra le brave genti della Rivoluzione nei confronti del capo dei Giacobini. Cosa ne sarebbe stato quindi di Louis se il malcontento per l'attività di Robespierre si fosse esteso fino a lui?




"Constance? Ma mi stai ascoltando benedetta ragazza?"
"Uh?"

Constance si voltò, guardando Marie come se la vedesse per la prima volta.

"Che hai?"

Abbassò lo sguardo, colpita.

"Nulla..."
"Constance? Non mentire! Potresti essere mia figlia...capisco fin troppo bene se qualcosa non va. Puoi parlarne con me, se vuoi..."


Il suo sguardo era così dolce e rassicurante che, per un attimo, la fanciulla s'illuse di poter trovare conforto nelle braccia di quella buona donna.
Ma si trattò davvero di un istante.
Sospirò, dunque, fermandosi nel bel mezzo della strada gremita.


"Ho paura, Marie..." - Fu tutto ciò che riuscì a confessare.
"Di cosa?" - Domandò la donna, affranta.


"Io..."



Io non riuscirò a parlare.
Non riuscirò a confessarti le urla strazianti del mio cuore, Marie.
Non riuscirò a dirti quante lacrime verso ogni sera per Louis, quando lo prego di non lasciarmi.
Quando prego Dio di farlo tornare perché ho dannatamente paura.
Di cosa non so, precisamente. Eppure ho come la certezza che qualcosa lo porterà via da me.
Me lo rivela il buio della notte quando sono sola in quel letto.
Me lo confessa il silenzio di una casa che non sento mia se non c'è lui.
E me lo ricorda la mia coscienza, quando penso alla sua assenza.

A quell' assenza che è più tangibile e reale dell' esistenza stesa di Louis perché dilania e pressa la mia anima come un carnefice senza scrupoli.



Ma a te che mi guardi con quel cruccio di mamma, mia cara Marie...no.
Non dirò nulla.
Perché, per donne come te, come la mia mamma, come ogni fanciulla della mia età, l'amore non è questo.
L'amore non è sofferenza, lacrime, urla, sbalzi d'umore, lontananza, separazione, passione, carezze, sospiri nel buio e di nuovo dolore.

E' uno sguardo ammirato, un fiore donato con garbo,
è una serenata nel silenzio delle strade di Parigi, un bacio delicato sulla guancia.
E' un matrimonio fastoso, una famiglia numerosa, chiassosa e felice, un pranzo domenicale con i bambini che corrono attorno alla tavola.
Ed è la mano di lui stretta alla tua, sempre.

Senza remore, senza indugi. Senza interruzioni.


A te, non racconterò le mie paure: non le capiresti, avresti soltanto più timore per me.

Mentre io ho bisogno solo che tu sia forte anche per me.
Ho bisogno del tuo immenso sostegno, Marie e di nient'altro.






"Ho soltanto paura che...Louis non torni in tempo per fissare la data delle nozze. Ecco." - Mentì, alla fine.
Sconfitta.
Non poteva parlarle per davvero, la sua buona amica non avrebbe compreso.


Marie la guardò per qualche istante, perplessa. Poi, le labbra grossolane e screpolate le si aprirono in un sorriso enorme, mentre strattonava Constance affettuosamente per il polso.

"Constance! Figlia mia! Ed io che già pensavo a chissà quali immani tragedie! Oh, finiscila per favore...Vedrai che il tuo promesso sposo tornerà dalla sua causa prima di quanto tu stessa possa immaginare! Smettila di lagnarti su, bisogna pensare ad organizzare queste benedette nozze, piuttosto!"


Constance sorrise amaramente: per giustificare l'assenza dell'amato aveva inventato un processo riguardo ad un carico di bestiame nella cittadina natale di Louis, Decize, dove lo stesso Louis - a suo dire - era stato richiamato per fornire il proprio contributo giuridico alla controversia.
Dopotutto era una avvocato, no?
Si trattava di una professione decisamente più meritevole da esibire rispetto a quella del rivoluzionario folle e sanguinario.

In ogni caso, Marie sembrava averci creduto e mai come in quell'istante Constance desiderò che la sua bugia potesse tramutarsi in realtà, un giorno.


"Hai ragione, dovrei finire di lagnarmi. Andrà tutto bene..."
"Esatto." - Marie scrollò il capo, in segno di approvazione. Poi, tornò a guardare la propria pupilla con occhi colmi d'amore e materna comprensione.

"Constance, amor mio...vieni qui." - L'attirò a sé, cingendole le spalle con un braccio mentre riprendevano a camminare verso casa della donna, alla Tuileries. - "Un tempo credevo che non avresti mai ricercato l'amore, sai? Dopo la morte della tua buona mamma e dopo i primi comprensibilissimi momenti di sconforto, ho visto nascere in te una voglia di rinascita ed un'indipendenza tale che ero certa non avresti badato a questo sentimento per molto, molto tempo. Ed un po' mi preoccupavo per te..."

Constance sorrise preservando, pur tuttavia, quel familiare velo di tristezza negli occhi.


"Non l'ho cercato, l'amore. L'ho trovato d'improvviso. O forse lui ha trovato me."


Marie annuì, come se avesse compreso qualcosa che, in realtà, neppure poteva sapere.


"Ma questo tuo amore per Louis...E' così..."
"Così"
"Strano. Intenso e devastante. Così tanto che sembra tu non abbia più spazio per altro nel tuo cuore. A volte ho come l'impressione che il suo pensiero ti divori dall'interno, che sia l'unico motivo che ti spinge a vivere e respirare. In pratica non conosco di persona Louis ma conosco te e so che esisti in sua funzione, ormai...Anche se non lo ammetterai mai in mia presenza."


Constance inghiottì un groppo amaro.
Saliva mista a lacrime, le stesse cui aveva vietato severamente di solcare le proprie guance. Perlomeno davanti a Marie.

"E' qualcosa di...sbagliato?" - Domandò ingenuamente.

Marie scosse la testa.

"No, se tu stai bene. Stai bene Constance?"


Impiegò una frazione di secondo prima di rispondere ad una domanda tanto semplice, apparentemente. Le frullarono mille pensieri per la testa, mille immagini di lei e di Louis. Dei loro baci, dei loro abbracci, di quelle discussioni inutili, delle sue lacrime in solitudine.
Dei loro baci.
Ed allora sospirando, rispose:


"Sì, sto bene."


Marie sorrise, approvando.


"Perfetto, dunque. L'Amore non è mai uno sbaglio quando si è felici, mia giovane sposina."


Così concluse il suo discorso Marie, l'aria fiera, l'animo più tranquillo.
Accolse la mano di Constance nella propria e se la trascinò fino a casa.

Anche Constance sorrideva, ma era soltanto una recita la sua.
A diciannove anni aveva già imparato che il "mai " fosse soltanto una bugia ma questo non l'avrebbe certamente confessato alla sua cara, ingenua Marie.







Luglio 1794
(Messidoro - Termidoro, anno II)





"Cittadina Constance, buongiorno."

Anche quel mattino Olympe venne a consegnarle la posta. Constance l'accolse con un sorriso un tantino tirato - quella donnona grande e grossa le incuteva sempre un po' di timore con quella sua voce così autoritaria - e, tuttavia, tentò di mostrarsi cordiale e socievole.
Dopotutto Olympe - moglie di un caro amico di Louis, tale André Mapelle, giacobino convinto nonché membro attivo di molti organi repubblicani - da qualche tempo a quella parte le faceva soltanto un grande favore giacché si adoperava nel consegnarle le lettere personali che il suo giovane innamorato le scriveva usando il filtro della Convenzione. Constance ancora non comprendeva il perché di un simile passaggio di consegne ma Louis insisteva nel dichiarare che era più sicuro evitare che le proprie missive fossero indirizzate alla sua abitazione nei periodi in cui, tecnicamente, nessuno avrebbe dovuto viverci data l'assenza del padrone di casa: un simile accorgimento avrebbe messo al sicuro Constance dagli occhi indiscreti della gente, a suo dire.

Forse, più che dalle malelingue, l'avrebbe protetta dai propri nemici. Ma questo Constance ancora non l'aveva inteso, forse neanche poteva immaginarlo.

In ogni caso, anche quel mattino sospirò sulla busta bianca e laccata che Olympe le porgeva, guardandola titubante.
L'ennesima lettera. Era un segnale: Louis non sarebbe ancora tornato.

Ed era già metà Luglio.


"Grazie come sempre, Olympe..." - Mormorò, la voce leggermente incrinata.

"Di nulla, Constance."


La donna fece per voltarle le spalle ed andar via velocemente - di norma non era particolarmente loquace e disposta al dialogo - ma qualcosa di non ben definito la trattenne. Piantò i suoi occhi scuri in quelli della giovane fioraia e domandò:


"Avete bisogno di qualcosa?"



Constance annaspò per qualche istante, prima di risponderle. Olympe non si era mai preoccupata di chiederle se le cose andassero bene o avesse bisogno di parlare, nonostante assolvesse discretamente al suo compito già da quasi un mese. A Constance era sempre parso che la donna non fosse troppo interessata a diventare sua amica e dopo i primi, maldestri tentativi di socializzare, aveva desistito, considerando che i suoi problemi erano già troppi e pressanti per preoccuparsi anche di Olympe. Quella domanda a bruciapelo, dunque, era riuscita a sconvolgerla enormente e dopo ad intristirla in modo particolare: se le si era rivolta a quel modo, evidentemente, doveva averle fatto pena. Del resto, dopo intere notti passate a disperarsi per Louis, la sua faccia doveva averne risentito e certo quell'espressione di infinita tristezza che, non volendo, portava stampata sul volto ogni giorno certamente risultava essere piuttosto chiara ed eloquente.


"No...no, grazie cittadina Olympe."

Aveva imparato che quell'appellativo, "cittadina", suonava come un obbligo davanti a persone che della Rivoluzione avevano fatto una ragione di vita. Ed Olympe apparteneva a questa categoria.


"Mi sembrate un po' abbattuta..." -  Insistette comunque la donna.


Constance, allora, chinò il capo, sconfitta.
Doveva farle davvero tenerezza, quindi.

In fondo, chi altri era lei se non una povera orfana che aveva lavorato una vita intera pur di sopravvivere?
Una disgraziata per cui - a soli diciannove anni e già da un pezzo, a dirla tutta - la morte non costituiva più un pensiero astratto: ormai neanche la temeva tanto vi era abituata. Ed era anche la medesima disgraziata per cui l' unica fonte di gioia, detto per inciso, era rappresentata da un uomo che le prometteva di sposarla da mesi e le spezzava, viceversa, il cuore ogni giorno.

Avrebbe fatto pena a chiunque. Anzi, a dirla tutta, riusciva ormai a commiserarsi persino da sola: più in fondo di così non avrebbe potuto andare. Tanto valeva parlare, no?



"Niente, Olympe...Soltanto che, stavo pensando..."
"Cosa?"
"Se Louis mi manda una lettera nuova vuol dire che il suo ritorno a casa è ancora lontano e non ne comprendo il motivo, visto che le battaglie al fronte sono terminate da diverso tempo. Mi ha intristito questa consapevolezza...tutto qui."

Olympe le massaggiò improvvisamente la spalla con la sua mano callosa. Constance quasi sussultò a quel contatto ma si tranquillizzò davanti allo sconcertante sorriso della donna: proprio perché non la credeva capace di simili gesti era una gioia per il cuore scoprirla così improvvisamente amorevole.


"Non crucciatevi Constance. Sono tempi difficili, per questo il vostro Louis non può tornare..."
"Tempi difficili?"


Constance non comprese. Non subito almeno.
Olympe annuì.


"E' pericoloso tornare adesso. Per questo, se l'amate, attendete in silenzio ed augurategli soltanto tanta fortuna. Ne ha bisogno. Ne avremo bisogno tutti noi."

Il cuore prese a batterle tanto furiosamente in petto che credette di svenire.
Cosa stava succedendo a sua insaputa, esattamente?

"Che sta accadendo, Olympe? Parlatemene, ho diritto di sapere!"



Aveva necessità di comprendere ma Olympe, piuttosto, non parve propensa ad accontentare la sua richiesta e scosse più volte la testa in segno di diniego.


"Fate ciò che vi ho detto e non preoccupatevi oltre. La vostra curiosità potrebbe spingervi in un vicolo cieco e sono certa che il nostro amico Saint Just non desideri mettervi in pericolo. Adesso devo andare mia buona Constance. Non siate triste, verranno tempi migliori."


La lasciò così, con un palmo di naso e ancor più disperata di come l'aveva trovata, se possibile.
Constance odiava le mezze verità, le davano ansia.


Ancora udiva i suoi passi rumorosi sulle scale mentre, immobilizzata sotto l'ingresso, faticava a rientrare e chiudere la porta alle sue spalle.
Inspirò ed espirò velocemente per qualche minuto quindi, prima di decidersi ad infilarsi nuovamente in casa.
Girò la chiave nella toppa tre volte, con mani tremanti come in preda ad uno spavento incontrollabile.
Le parole di Olympe le avevano causato fin troppo timore.
Incapace di leggere immediatamente quella lettera, quindi, vagò nel corridoio per un'ora, s'infilò in cucina, corse nella camera da letto ed urlò improvvisamente, gettando in terra i suoi vestiti e molti libri di Louis per sfogare il suo nervosismo.
Infine, ormai priva di energie, scivolò sul pavimento e già piangeva quando si decise a strappare la busta immacolata.

Poche parole.
Le causarono più dolore di quanto non ne avesse mai provato durante i suoi litigi con Louis poiché davano voce alle paure che si portava dietro da tempo immemore:


Mia amata.
Perdona la mia assenza: sono ancora lontano da te ed immagino le tue lacrime.
Ma non piangere, ti prego.
Pensa a quanto io ti ami e sorridi.
Mi sono giunte notizie poco rassicuranti da Parigi. Notizie di cui adesso non posso parlarti e che mi trattengono ancora lontano da te.
Tornerò presto, ti prego di credermi: non posso vivere troppo a lungo lontano dal luogo in cui dimora  il mio cuore.
Ti prego soltanto di pazientare ancora un po'. Il cielo, a breve, dovrà tornare sereno.

Ti amo di un amore folle.
Tuo per sempre,
Louis."




Quali erano queste notizie poco rassicuranti?
Riguardavano forse i discorsi su Robespierre e l'improvviso malcontento riguardo il suo operato che aveva origliato al mercato tra quegli uomini ignari di essere spiati?
Anche Louis era in pericolo, quindi?
Il suo sesto senso non le aveva mentito dunque e neppure il suo cuore!


Singhiozzò.
Singhiozzò infine, senza volerlo.
Singhiozzò sulla sua impotenza, sull'idea di Louis lontano. Da Parigi e da lei.
Singhiozzò sulla sua incapacità di trattenerlo e proteggerlo.

Avrebbe venduto l'anima al diavolo per riportarlo tra le sue braccia.
Per ritrovarlo e non lasciarlo mai più.
E, tuttavia, fu a Dio che si rivolse piuttosto per riavere indietro il suo giovane amore.
Fu così che, ancora poggiata contro la parete fredda di una casa non sua, pregò con fervore una notte intera. Pregò affinché Qualcuno, dall'alto dei Cieli, accogliesse la sua supplica. Per troppa devozione o soltanto per pena non faceva differenza: l'importante era che il suo desiderio trovasse semplicemente compimento nella realtà.
Ed infine pregò con ancora maggiore intensità nella speranza che, in quel modo, il suo pensiero avesse potuto superare le distanze ed il tempo e giungere sino a Louis, ovunque egli si fosse trovato.

Soltanto per infondergli coraggio e calore. Per fargli sapere che l'amava, oltre tutti gli sbagli e le insicurezze.
Oltre i loro sogni e tutti i desideri irrealizzati.


Torna Louis, torna qui.
Torna nella nostra casa.
Torna da me.
Ti proteggerò io, cuore mio, combatterò per entrambi.
Il nostro amore sarà la tua salvezza.

Ascoltami, ti prego.
Ovunque tu sia torna da me.






*





Le preghiere di Constance furono esaudite appena qualche giorno dopo.
Era la sera del 26 Luglio del 1794 quando Louis de Saint Just, l'Arcangelo della Morte, fece ritorno a casa.

Tuttavia, ciò che la sua giovane innamorata vide guardandolo negli occhi, non fu di certo un rivoluzionario truce e privo di scrupoli ma soltanto un uomo provato dalla vita e dalle sofferenza.
E nient'altro.

Deglutì più volte stropicciandosi le palpebre in modo sgraziato.
Allo stesso modo, sperò che si trattasse di un sogno molto brutto poiché quella creatura dal viso stanco non poteva essere il suo Louis.
Lo stesso che le sorrideva felicemente ogni mattino, che le rivolgeva il più sicuro degli sguardi anche nel pieno della tempesta. Quello la cui stretta di mano, in un attimo solo, era in grado di far sparire qualsiasi timore.

No, non poteva.


Il suo Louis non aveva mai quell'aria stanca, neanche dopo un'intera giornata di lavoro.
Il suoi occhi non mostravano mai altrettanta sopraffazione.
Il suo Louis era un uomo coraggioso che sapeva patire in silenzio per i propri ideali.

Eppure...



"L - Louis...?"
"Son io, Constance."


La sua voce rieccheggiò nel silenzio della loro stanza in penombra. Una leggera incrinatura nei toni.
Constance rabbrividì prima di realizzare l'idea che sì... Louis era tornato.

Stanco, provato, spaventato ma era tornato.
La sua richiesta era stata esaudita.


Grazie, mio Signore.


Si concesse ancora qualche secondo per riaversi prima di scalciare le lenzuola arrotolate attorno alle sue gambe, gettarsi dal letto, correre sul pavimento a piedi nudi e finire dritta tra le braccia di lui, con una foga tale che per poco non cascarono in terra entrambi.
Ed allora udì la sua risatina sommessa  mentre il suo profumo tornava ad avvolgerla.
Non si trattava più di un'illusione o della sua mente che le proponeva il più sbiadito dei ricordi a riguardo: Louis era lì, con lei.
Era vivo, tangibile, reale.
E la stringeva tra le braccia, proprio come Constance aveva sognato in tutte quelle notti in cui l'ansia le concedeva un po' di tregua, consentendole di scivolare per qualche ora tra le braccia di Morfeo.
Ma i suoi sogni erano menzogneri, non le restituivano mai la reale bellezza del volto di Louis, il calore del suo abbraccio, la morbidezza di quelle mani che scivolavano sulla sua pelle nuda.
Anche tanto stravolto Louis - quello vero-  era sempre perfetto.


"Ti sono mancato...?" - Domandò soffiando tra i suoi capelli. Sembrava quasi che mettesse in dubbio che la sua assenza avesse potuto pesarle per davvero.

Constance - che sino a quel momento aveva nascosto il viso nella sua stretta - alzò lo sguardo su di lui, turbata.

"Che domande son queste? Certo che mi senti mancato, credevo d'impazzire senza di te!"
"Io sono impazzito per davvero..." - Mormorò lui di tutta risposta, attirandola al suo viso e sfiorandole le labbra morbide con le proprie.

Constance percepì le guance andarle a fuoco: aveva dimenticato quanto fossero speciali e travolgenti i baci di Louis.
Anche in una sì totale disperazione sapevano farle tornare il sorriso e battere il cuore, come la prima volta in cui l'aveva visto - solo e spaurito, era innegabile - seduto su di un muretto presso la Senna. Quel giorno in cui aveva deciso che gli avrebbe donato un fiore e lui avrebbe sorriso perché era giusto così. Perché un uomo dal viso tanto angelico avrebbe potuto soltanto sorridere. Per lei.

Si era innamorata di lui dal primo istante.
Perché non gliel'aveva mai detto, in fondo?


"Amore mio..."
"Ssh, sono qui adesso...Non crucciarti più. Sono qui."

Le parole di Louis non servirono a tranquillizzarla.
Invocò il suo nome disperata più volte, infatti, e tempestò il bel viso di baci per molto tempo pungendosi persino con la leggera peluria del suo volto.
Più seguitava a baciarlo, più realizzava che non era un sogno ma un uomo di carne e sangue quello che le stava davanti, più sorrideva. E piangeva. E con le labbra bagnate dalle sue stesse lacrime continuava ad imprimersi sulla pelle di Louis, tenendogli il viso tra le mani.

Il giovane la lasciò fare per un po'. Poi, strinse i polsi sottili e l'obbligò a fermarsi.


"Constance...lasciati guardare. Non mi merito tanto amore, sai?"
"Ti meriti tutto l'amore di questo mondo!"
"Ti ho lasciato sola, ancora una volta..." - Mugugnò.
"Non importa! Ora sei qui!"
"Non importa? Davvero?"

Annuì.

"Saperti accanto a me adesso mi ripaga di tutte le sofferenza, amor mio..."
Louis sorrise, orgoglioso.

"Sei una bambina molto matura, amor mio..." - Rispose più rilassato, baciandole di nuovo i capelli.

"Anche se..."
Anche se?"

"Sono preoccupata..." - Confessò.
"Che intendi?"

La voce del giovane s'incrinò appena.

"Oh, Louis...Credi ch'io sia stupida? Che problemi ci sono, in realtà? Perché ti sei trattenuto così a lungo? Ho immaginato delle disgrazie atroci ma nessuna ha trovato fondamento nella realtà, finché..."
"Finché?" - Domandò ancora lui, più curioso.
"C'entra Robespierre?"

Constance lo guardò lasciarsi andare lungo lo stipite della porta e scivolò con lui, in silenzio, frastornata.
 
Louis allungò le gambe sulla lunga camicia da notte della fanciulla, allargatasi a raggiera sul pavimento, e sfregò più volte la mano sul volto, in un gesto stanco.


"Come sai di Maximilien, Constance?"
"Ho sentito degli uomini parlare al mercato. Dicevano che stava tirando troppo la corda, che fosse un violento e che molte azioni avrebbe dovuto evitarle. Li ho visti scontenti ed ho capito che non fossero gli unici, alla Convenzione. Poi ho letto la tua lettera e..."
"Tutto ti è parso più chiaro."

Annuì.

"Esatto."

Evitò accuratamente di accennare al discorso enigmatico di Olympe: se Louis avesse saputo che la donna le metteva strane pulci nelle orecchie le avrebbe vietato certamente di svolgere quel compito per il quale si era così gentilmente prestata. Ma Constance non poteva permettere che ciò accadesse: se Louis si fosse allontanato nuovamente, quelle lettere consegnatele direttamente a mano avrebbero costituito la sua unica ancora di salvezza, dopotutto.


"La situazione è degenerata, Constance. Ti sono sincero. Sarebbe difficile da spiegarti tutto adesso, così, su due piedi ma...sì, effettivamente in molti stanno lavorando dietro le quinte della Convenzione ed alle spalle di Maximilien."
"Anche contro di te?"
"Potrebbe essere..."
"Perché sei tornato allora? Se sei in pericolo anche tu..."

D'improvviso comprese che, forse, aveva sbagliato ad invocare tanto a lungo il ritorno di Louis.
Soprattutto ora che la situazione le appariva malauguratamente più chiara.
Eppure, le parole che il giovane pronunciò di lì a poco le diedero di nuovo forza per continuare a sperare. E per credere che, in fondo, fosse giusto anche così.
E non soltanto per lei.


"Perché non sono un codardo, Constance." - La fanciulla vide la mascella di Louis serrarsi mentre guardava un punto distante ed indefinito. - "...E Maximilien è stato un caro amico, prima di tutto, oltre che un alleato politico. Lasciarlo adesso nei guai, da solo, avrebbe costituito un marchio d'infamia a vita. Io non sono così, Constance: sono un uomo che ha combattuto una vita intera per quello in cui crede. Come potrei ora mostrarmi tanto ignobile e vigliacco? I miei ideali li porto ancora nel cuore. Non me ne dimentico, così come non dimentico coloro che li hanno condivisi con me: Maximilien è una di queste persone. Ed ora ha bisogno del mio sostegno."


C'era qualcosa di così profondamente giusto, coerente e ragionevole in quel discorso che Constance, per quanta paura potesse provare all'idea dei pericoli in cui Louis avrebbe potuto incappare, non se la sentì di rimproverarlo o dissuarderlo da tale proposito.
Non parlava soltanto in riferimento alla Rivoluzione, ne era certa: nelle sue parole c'era un sottile riferimento alla sua amicizia con Maximilien che doveva avere più peso di quanto egli stesso non volesse dare a vedere.

Per cui, finì con l'annuire ammirata, piuttosto.


"In ogni caso, questo non sarebbe l'unico motivo. E sotto certi punti di vista neanche il più importante."

Lo guardò perplessa, ancora tra le sue braccia.

"Che significa?"

Louis sorrise, scostandole i capelli dal viso. Quel suo visetto da bimba sorpresa gli causava sempre una profonda tenerezza.


"Credi davvero che il mio cuore non sia stato qui a Parigi con te per tutto questo tempo, Constance?"
"Oh!"

La giovane dapprima sorrise e poi, ancora sorridendo ed avvampando, scostò una piccola lacrima impertinente all'angolo dell'occhio.

"Non...io..."
"Sciocchina..." - Le strinse le braccia, con maggiore intensità - "Ti è così difficile capire che ti amo? Lo so, non sono mai stato l'uomo migliore per te. E raramente ti ho dimostrato questo mio sentimento come un qualsiasi altro essere umano. Ma credimi se ti dico che tu sei stata, sei e sarai per sempre l'unica donna per me. L'unica."


Constance singhiozzò e rise al contempo, tornando a nascondere il viso rosso d'imbarazzo nella stretta di Louis.
Ma lui non le concesse di privarlo ancora per troppo tempo delle sue espressioni dolcissime, di quelle iridi così azzurre e limpide, delle sue labbra morbide e vermiglie.
Le alzò il mento con due dita e la costrinse a guardarlo di nuovo.


"Non nasconderti amor mio. Non da me...Mi sei mancata troppo per negarmi il tuo sorriso, ora che sono di nuovo qui."


A Constance bastò guardarlo qualche istante negli occhi per comprendere l'infinita voglia che aveva di lei, sentirsene lusingata e cedervi al contempo.

Louis aveva fame del suo amore: non si sarebbe saziato facilmente, gli era mancato troppo.

Non si sarebbero saziati in due, a dirla tutta.

Per cui quando la baciò, con crescente passione, Constance ricambiò senza remore.
Non aspettava altro se non lui da troppo tempo.



Fu così che, travolta come un fiume in piena dall'emozione delle mani di Louis di nuovo sul suo corpo e sulla sua camiciola da notte che le scivolava improvvisamente su di un lato scoprendole la spalla nuda, dimenticò le lacrime ed il dolore. Perfino le paura ed i presagi tristi, archiviandoli come sciocchezze.

Louis poteva essere stanco ma era un combattente: chiunque lo temeva.
Sapeva cosa fare, sarebbe andato tutto bene.
Lo baciò a sua volta con tutto l'amore che poteva e godette della sensazione meravigliosa delle sue labbra gelide e morbide sul proprio collo esattamente come la prima volta in cui si era concessa a lui.
Quand'era tra le sue braccia, persa nel calore di quel corpo nudo allacciato al suo, poteva sempre illudersi che nulla fosse cambiato dai primi giorni di quel loro amore. E che tutto sarebbe sempre filato liscio come il suo cuore sperava ormai da tempo.





Si amarono molte volte, in quella lunga notte.
Ogni volta con più irruenza, nuova dolcezza, infinito bisogno l'uno dell'altra.
E troppo amore.

Tra quelle braccia Constance si abbandonò infine al sonno mentre il chiarore dell'alba sfumava timidamente tra le loro lenzuola.

Si addormentò la giovane fanciulla, con il sorriso stampato sulle belle labbra.
Perché in quella stretta si sentiva al sicuro, scordava i brutti pensieri e ritrovava se stessa.

Si addormentò che ancora Louis seguitava a baciarle i polpastrelli delle dita, uno ad uno, con devozione infinita.

Finalmente felice, dopo mesi, sentiva che ormai le distanze, tra di loro, erano state annullate.
Sentiva che qualcosa stava cambiando.


Non sapeva, Constance, che quella sarebbe stata, viceversa, la loro ultima notte insieme.









*







Quel mattino del 27 Luglio Constance non si preoccupò troppo di non trovare Louis accantò a sé, al risveglio. La sua assenza, alla luce del sole, era ormai diventata una costante per lei, dopotutto.
Inoltre, sapeva che quel giorno il suo amato fosse particolarmente impegnato: le aveva già rivelato di volersi recare alla Convenzione per pronunciare un discorso a favore di Robespierre.
Voleva, in altre parole, placare gli animi con la diplomazia e Constance si fidò conoscendo le ottime capacità di Louis come oratore.

Per cui, con il cuore più tranquillo dopo quella notte d'amore, aspirò ancora un poco il profumo di lui tra i cuscini e le lenzuola e questo l'aiutò a trovare anche la buona volontà per alzarsi ed affrontare il nuovo giorno.
Sorrise leggendo il messaggio che Louis le aveva lasciato accanto al cuscino, tenero e rapidissimo:


"Ogni volta che trascorro una notte con te penso sia la migliore della mia vita.
Poi ne arriva una nuova e mi sembra ancora più bella della precedente.
Come ci sei finita sul mio cammino, stella meravigliosa? Avresti dovuto solcare
cieli più azzurri...eppure sarò terribilmente egoista nel dirti che è proprio nel mio
cielo che dovevi capitare.
Starò fuori tutto il giorno. Ti penserò ogni singolo istante.

Ti amo,
tuo Louis."



Canticchiando abbandonò le lenzuola, riempì la tinozza e si concesse un bagno rinfrescante perché fuori era davvero molto caldo. Poi, indossò un abito tenue, color lavanda e, specchiandosi, sorrise: si sentiva bene.
Nonostante lo sguardo provato di Louis che aveva conosciuto quella notte e nonostante i brutti scherzi che la sua mente seguitava a farle, quel giorno decise di scacciare i cattivi pensieri ed i presagi tristi.
Quel giorno era sicura di sé e del suo amore: sarebbe andato tutto bene, Louis avrebbe risolto ogni problema.

Si preparò con cura e dopo decise di dedicarsi alla cucina. Pranzò da sola, senza scoraggiarsi: sapeva che lui non sarebbe tornato in tempo per farle compagnia. Ancora, sistemò casa e si preoccupò di rifinire il suo vestito da sposa.
Le sembrava più bello del solito.


Attese, infine, Louis per cena.
Non tornò ma Constance si disse che, dopotutto, andava bene così: avrebbe dovuto aspettarselo.

La situazione era comunque complicata, per quanto avesse potuto comprendere. Era pressocché ovvio che, a quell'ora, non fosse ancora tornato a casa.
Doveva essere molto impegnato.


A mezzanotte si decise quindi ad abbandonarsi al sonno, certa che Louis sarebbe rientrato a notte inoltrata.
Poiché voleva farsi trovare sveglia - per accoglierlo con quel sorriso che lui amava tanto - avrebbe dovuto riposare almeno qualche ora: soltanto in questo modo Louis l'avrebbe trovata al massimo della forma.


Tuttavia, Louis non tornò.
Per l'intera notte.


Cosicché alle sei del mattino strabuzzò gli occhi d'improvviso, il cuore in gola.
Cercò la sua mano, non la trovò e l'ansia tornò a divorarla com'era già accaduto in tutti quei lunghi giorni senza di lui.


L'illusione era svanita.


La pancia le doleva a tal punto che dovette massaggiarla per molto tempo, prima di alzarsi, nella speranza di calmarne almeno un pochino i crampi. Quando si rese conto che non sarebbe servito comunque a nulla, si decise ad abbandonare il letto ed uscire alla svelta da quella casa.

Se Louis non era ancora tornato, sarebbe andata lei a cercarlo, piuttosto.






In ogni caso, immenso fu il suo stupore allorché, varcando il portone d'ingresso della propria abitazione, scoprì un fiume confuso e frenetico di brave persone tra le strada della sua città.

Di nuovo, come già era accaduto in passato.


Donne sorridenti, avvolte nei loro abiti migliori. Uomini dalle espressioni trionfanti e decisamente serene, che si battevano le mani sulle spalle, inneggiavano alla Repubblica, cantavano a squarciagola qualche inno rivoluzionario che Constance non conosceva.
Bambini che si inseguivano tra la folla festante, certi dei confetti e dei dolciumi che avrebbero potuto sbocconcellare in santa pace di lì a poco.


Constance comprese cosa stava accadendo e, nonostante questo, si accodò a quel fiume di persone.
La direzione era unica per tutti, lo sapeva e, per quanto potesse essere spaventata o perplessa, voleva comprendere chi fosse, questa volta, la vittima dell'esecuzione pubblica.

Forse, recandosi verso il patibolo, avrebbe trovato anche Louis.





Qualcuno, in lontananza, gridò frasi sconnesse.
Constance captò un "abbasso il tiranno!" ma non riuscì a comprenderne il senso.
Un uomo che camminava accanto a lei in quell'angosciante processione domandò al proprio vicino da dove provenissero i prigionieri. L'interessanto rispose lapidario "dalla Conciergerie". Dopo, sparirono infilandosi velocemente nella folla attorno a loro.
Constance si sorprese: dunque in molti, quel giorno, avrebbero perso la propria testa sulla ghigliottina.

Tenendosi il vestito con le mani, per non inciampare, velocizzò il passo fino a raggiungere uno spiazzo appena più libero: cominciava a mancarle l'aria.
Le esecuzioni non le erano mai piaciute.

Fu allora che, aggrappandosi al muro in pietra di un'abitazione, intenta a respirare a pieni polmoni, qualcuno chiamò il suo nome.


"Constance? Constance!"

Si voltò incontrando due occhi scuri come la notte. Sgranati per il terrore come mai, mai li aveva visti prima.
Olympe, di norma, era una donna molto più sicura di sé.

"Olympe! Buongiorno!"


Le sorrise istintivamente ma fu costretta a desistere quando la donna, conservando quell'espressione sconvolta, corse verso di lei cingendole i polsi con forza.

"Cosa ci fai qui? Cosa?? Vieni via, subito!"

Non si era mai rivolta a lei in quel modo. Aveva sempre preservato le distanze comportandosi, in ogni caso, con estrema educazione.
Cosa stava accadendo?


"Olympe, che vi prende? E' tutto a posto, respirate! Avete un'orribile cera!"
"Constance! Oh Constance, tu non capisci! Vieni via, ti prego...Ti supplico, non guardare!"


La disperazione con la quale le rivolse quell'accorata richiesta le strinse il cuore.


"Olympe, calmatevi! Volete spiegarmi cosa sta accadendo? Perché siete tanto sconvolta?"
"Io...io non posso..."
"Cosa non potete?"


La donna la guardò per diversi istanti con occhi lucidi, mordendosi un labbro.

"Mia povera, povera figlia! Constance, ascolta le mie parole ti scongiuro! Risparmiati tutto quest'orrore...sarà più facile dimenticare! Vieni via, vieni via con me!"




Risparmiati quest'orrore, Constance.
Va' via...
Corri!

Il tiranno oggi morirà per mano del boia.



Hai capito?
Il tiranno morirà oggi, Constance.





Ho capito.





Allora il cuore, per qualche istante appena, cessò di batterle nel petto.
Poiché un lampo improvviso di genio le aveva concesso di comprendere ciò che non avrebbe mai accettato.


Non lo voleva la sua mente.
Non lo desiderava il suo corpo.


Goccioline di gelido sudore presero ad imperlarle la fronte. Poi ne solcarono le guance, fino al collo.
Le mani tremarono inspiegabilmente, era impossibile tenerle a freno.


Intorno a lei la gente rideva senza ritegno, pronta a festeggiare la morte del tiranno.


La morte di Robespierre.
La morte di...



Olympe continuava a tenerle i polsi, le parlava.
Constance non sentiva niente.
Non vedeva il pezzettino di cielo azzurro sopra i tetti di Parigi, non le rinfrescava le guance quel venticello leggero che spirava nell'aria.

Il mondo attorno a lei si era fermato.

Nel chiasso attorno a lei e nel silenzio del suo cuore comprese il significato di molte parole.
Comprese cosa fosse quell'orrore cui aveva accennato Olympe e tremò, ancora di più, prima di trovare la forza di parlare.


"Dov'è Louis?" - Chiese quindi con voce non sua.

Risuonò così estranea e distante che finì ella stessa con lo spaventarsi per tanta diversità.


"Andiamo Constance, vieni con me..." - Insistette la donna.
"DOV'E' LOUIS?!" - Urlò allora, con quanto fiato aveva in corpo. Qualcuno si voltò a guardarla.
Olympe le impose il silenzio.


"Per amor del Cielo, non gridare! Non farti scoprire!"
"Perché? Chi non deve scoprirmi?? Dov'è Louis, Olympe?!"


La donna non ebbe tempo a sufficienza per riorganizzare le idee e trovare una spiegazione plausibile a quella giovane donna che chiedeva notizie del proprio innamorato. E non ebbe tempo perché fu lo stesso Louis a palesarsi dinanzi a loro, inaspettatamente.
Su di un carrettino in legno, circondato da altre persone di cui Constance ignorava l'identità, con i polsi legati e graffiati da una fune grezza. Il suo volto appariva stanco ma manteneva comunque uno sguardo decisamente fiero.


In ogni caso quell'apparente alterigia scomparve non appena i suoi occhi scuri incontrarono quelli azzurrissimi di Constance, resi ora ancor più chiari dal terrore e dalla disperazione.


Ed allora accadde.
Nei pochi istanti in cui il bel volto di Louis si materializzò a pochi passi da Constance, molte cose finirono col sussurrarsi nel chiasso della folla intorno a loro.

Parlarono, per esempio, dell'amore sconfinato che li aveva uniti sin dal primo istante, irrazionalmente.
E ricordarono le giornate di sole, i fiori che Constance, ridacchiando, regalava al suo amato e tutte le volte che Louis l'aveva imboccata, costringendola a mangiare perché pesava quanto un uccellino.
Ripensarono alle loro notti d'amore, ai baci appassionati, al vestito da sposa che Louis non avrebbe mai visto perché Constance, credendo che portasse sfortuna, gliel' aveva sempre tenuto nascosto.
Piansero, infine, sui giorni che si sarebbero succeduti.
Piansero entrambi, perché Constance avrebbe dovuto affrontarli da sola.


E quando Louis, scomparendo dalla sua vista dopo solo qualche istante, sillabò piano il suo "va' via, amore" allora, e soltanto allora, Constance comprese che la realtà, a volte, poteva essere molto più brutta e devastante persino del peggiore dei suoi incubi.

Dunque pianse per davvero, involontariamente. E strattonò i polsi dalla presa di Olympe, la costrinse a lasciarla.
Ignorò le sue urla mentre correva a perdifiato dietro quel carretto.


Investì, noncurante, molti passanti: qualcuno le rivolse epiteti poco garbati cui lei non badò. Ancora, si fece spazio a gomitate e si strappò le vesti inciampandovi con le scarpe buone.
Cadde perfino in terra e si maledisse perché quel carrettino, per quanto lentamente potesse muoversi, era sempre troppo lontano da lei.

Quando si rialzò la vide, tra la folla.
Scintillante e perfettamente crudele, la ghigliottina si ergeva sulla piazza, affamata di nuove vittime.

Di una in particolare: il suo Louis ormai lontano.



Urlò Constance o forse no perché lo choc fu talmente grande e devastante da sconvolgerne i pensieri e le azioni, impedirle di capire cosa fosse reale e cosa soltanto immaginato.

Di nuovo una voce familiare richiamò la sua attenzione, di nuovo Olympe le venne dietro, tirandola per le braccia.

"Constance! Constance non urlare, smettila! Non può sentirti! Non può...fare più nulla..."



Stava urlando?
Davvero?
Stava urlando il suo nome?
Lei questo non lo sapeva.
Non capiva.



"Smettila Constance! Vieni via, ti prego..."


Louis....



"Constance, vieni via con me!"


Louis...


"Constance..."
"LOUIS!"


Il suo urlo sgraziato riempì l'aria e molti cuori costrinse a sussultare.
Una nuvola oscurò il sole, per qualche istante.

Qualche uccellino cinguettò in lontananza.


Constance non comprese.
Non andò oltre.

Svenne su quel selciato sconnesso, tra le braccia di una donna che a stento conosceva.









Quando si riebbe, inizialmente, sorrise.
Aveva dimenticato tutto.

La piazza, la folla, Louis che le implorava con gli occhi di andar via.
Le lame scintillanti della ghigliottina.

Tutto.


Poi, si voltò nel suo letto, convinta di incontrare lo sguardo benevolo del proprio amato.
Ma furono diversi gli occhi che incontrò.

Occhi neri, devastati.
Gonfi e rossi di lacrime.


Gli occhi di Olympe.

Allora ricordò e si sporse dal letto quasi subito.
Rigettò la sua stessa anima.


Nel medesimo istante, a poca distanza, delle campane suonarono funeste celebrando la morte altrui.



Venti uomini perirono quel giorno sotto le lame della ghigliottina.
Tra questi anche Louis Antoine Florelle Léon de Saint Just.



Era il 28 Luglio del 1794.












***


Nel Giugno del 1794 le truppe rivoluzionarie francesi comandate dal generale Jourdan vinsero a Fleurus, in Belgio, contro le truppe controrivoluzionarie della prima coalizione, costituite dall'esercito austriaco, olandese ed inglese.
Proprio a Fleurus si trovava, in quel periodo, il vero Saint Just, sempre col medesimo incarico di commissario speciale.

La vittoria che avrebbe dovuto sancire la supremazia di Robespierre come capo indiscusso della Rivoluzione, tuttavia, ne causò il rovinoso declino.
In molti cominciarono a credere che la Rivoluzione non fosse così tanto in pericolo così come Maximilien credeva ed amava far credere ed in molti ammisero che non ci fosse più bisogno di proseguire con la guerra né di continuare a mietere vittime tra gli oppositori girondini. Le misure emanate durante il Terrore cominciarono ad apparire eccessive. Chiunque poteva trasformarsi nella nuova vittima della ghigliottina, a conti fatti: tanto valeva risolvere il problema alla radice ed eliminare il vero fautore del Terrore: Robespierre con tutti i suoi seguaci.
Il 26 Luglio del 1794, dopo 4 settimane di assenza, Robespierre si ripresentò alla Convenzione pronunciando un discorso riguardante delle inesistenti cospirazioni contro la Repubblica. Minacciò di punire coloro che non si erano comportati adeguatamente all'interno della Convenzione ma non fece nomi espliciti: queste velate minacce causarono enorme agitazione convincendo ancora di più gli altri membri ad eliminare definitivamente e fisicamente Robespierre.
Il 27 Luglio il vero Saint Just tenne un discorso a favore dell'amico interrotto da continue proteste. Ormai, il vento non spirava neppure più nella sua direzione.
Maximilien tentò a sua volta di prendere la parola ma senza successo: la sua ora era giunta. Alle cinque del pomeriggio e senza nessuna causa in particolare fu arrestato alla Convenzione assieme ad altri deputati, oltre che a Louis ed a suo fratello, Augustine Robespierre.
Tuttavia, nessuna prigione accettò di accoglierlo cosicché Robespierre ed i suoi alleati finirono col richiedere ospitalità presso l'Hotel de Ville, ossia il Municipio cittadino.
Alla notizia della liberazione di Robespierre, la Convenzione si riunì di nuovo decidendone la morte. Cosicché, il mattino del 28 Luglio 1794, la Guardia Nazionale, fedele alla Convenzione, fece irruzione all'Hotel de Ville ed arrestò Robespierre, Saint Just e tutti coloro che ancora li appoggiavano.
Ora, la fine di Robespierre resta un punto interrogativo: in molti sostengono che sia morto all'atto dell'arresto a causa di un colpo di pistola sfuggito per sbaglio ad un gendarme. Altri, dicono si sia suicidato. Altri ancora che sia finito sulla ghigliottina.
Quel che accadde a Saint Just, invece, ve l'ho raccontato io. Fu spedito alla Conciergerie insieme ad altri venti arrestati, per un formale atto di riconoscimento, ed infine condotto alla ghigliottina.
Improvvisamente.
La sua vita è terminata sotto le lame all'età di 27 anni, quasi in maniera incomprensibile.
Incomprensibile per noi, ovviamente: all'epoca era normale morire in questo modo.



Se avete amato questo personaggio controverso per come ve l'ho presentato, adesso mi starete odiando. Purtroppo, la storia, quella vera, è andata così. E così era nata Al di là nella mia mente. Non volevo regalarle un finale felice, soltanto donare nuova considerazione ad un personaggio storico che ho amato molto, inspiegabilmente.
Gli ho regalato Constance per illudermi che quei 27 anni della sua vita abbiano avuto comunque un senso. Spero di esserci riuscita.
Non vi dico che adesso stia sorridendo. Vi racconterei una bugia.
Sono giorni che prendo a male questo finale eppure è l'unico possibile per me.


Questo che avete letto è stato l'ultimo capitolo di Al di là. Il prossimo sarà l'epilogo e poi la storia finirà per davvero. Nell'epilogo scoprirete molte cose che qui ho taciuto.


Grazie a chi è arrivato fin qui, a chi ha letto Al di là pur sapendo che sarebbe stata una storia triste.
A chi ha recensito, seguito, preferito.
A proposito, risponderò a breve ai vostri commenti, grazie.
:)

Ci sentiamo la settimana prossima, per l'ultimo aggiornamento.

Vi lascio con due immagini.
Christopher Thompson che interpreta Saint Just in una miniserie televisa: l'ho trovato molto simile al mio Saint Just e mi è piaciuto riproporvelo.
La seconda immagine riguarda il Saint Just di LAdy Oscar. Ve lo ripoto perché è grazie a quell'anime che è nato il mio amore per lui.
:)

Vi mando un bacio enorme
Matisse.









   
 
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