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Autore: hikarufly    26/02/2012    5 recensioni
Post "The Reichenbach Falls", Sherlock Holmes è scomparso e il dottor John Watson ha dovuto voltare pagina... eppure ci sono ancora misteri da risolvere e un nuovo capitolo della propria storia da affrontare: un incontro casuale diventa uno dei momenti più importanti della sua vita.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quasi tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Jean Cocteau diceva: tutti a Parigi vorrebbero essere attori e nessuno spettatore. Mary Morstan, la giornalista divenuta assistente, e Sherlock Holmes, l'unico consulente investigativo al mondo, in incognito, vivevano la città come se ne fossero i protagonisti. La vena istrionica e la vanità di lui si sposavano perfettamente con la pazienza e il gusto di lei, e divennero, in pochi giorni, una specie di fenomeno sibilato sottovoce. Ogni spettacolo ricercato li vedeva tra le prime file, ogni forma d'arte visiva veniva spiata dai loro occhi e commentata dalle loro labbra nei musei, qualsiasi giardino li tramutava in artisti di strada e ogni richiamo di Mycroft Holmes veniva sopito dalla diplomazia dell'una e dal talento dell'altro. Era possibile vederli ad uno spettacolo appena messo in cartellone seduti in prima fila mentre correggevano i protagonisti con poco riguardo se trovavano la sceneggiatura povera. Più spesso, si fermavano nel bel mezzo di una camminata tranquilla o una discussione e creavano un piccolo numero, dato che lui era molto dotato con il violino. Nei musei, erano capaci quasi sempre di intrattenere più delle guide designate, e altrettanto spesso venivano cacciati in malo modo. John Watson non sembrava, o meglio non voleva, sospettare nulla, e prendeva i sublimi suoni intorno alla voce di lei come compagnia di colleghi e note della radio dell'albergo.

Vestiti come un dandy moderno lui e una femme fatale in miniatura lei, si ritrovarono nel localino aperto più o meno al loro arrivo nella città di fronte a “Les 2 moulins”, il cafè che faceva angolo sotto il loro appartamento. Il locale era stato chiamato “La Fountain de Duchamp”, come denuncia al perbenismo, come omaggio al grande artista francese, e perché due dei proprietari erano un fratello e una sorella chiamati proprio Duchamp. L'ingresso di Sherlock e Mary fece bisbigliare qualcuno, chi per la fama che i due ormai avevano creato intorno a sé dai frequentatori della zona per le loro trovate strane e irrispettose nei luoghi di cultura, e chi per il loro vestiario, così elegante eppure particolare, che li rendeva due piccoli gioielli veri in mezzo a tanta bigiotteria. Il parlottare si zittì presto: i proprietari e artisti di punta delle serate erano entrati in gioco ed era impossibile staccare gli occhi da loro. Erano degli artisti eccezionali, in grado di raggiungere il cuore e la sensibilità di tutti, e quando la notte si faceva meno giovane, di risvegliare sopite passioni. Erano due uomini piuttosto giovani, e una ragazza che avrà avuto l'età di Mary o poco meno. La serata trascorse tranquilla, mentre alcuni, nelle pause tra una canzone, una poesia e un monologo, facevano le loro ipotesi sussurrate sulla strana coppia di Rue Cauchois. C'era chi sosteneva che lui fosse un principe inglese e lei una ex ballerina francese che l'aveva irretito, chi era convinto di averli visti durante un proprio viaggio a San Pietroburgo, e quindi aveva messo in giro la voce che fossero i discendenti dell'ultimo Zar, altri ancora che credevano che fossero soltanto due pazzi. Ogni tanto, Sherlock faceva osservazioni sprezzanti, dettate dalle sue solite modalità di deduzione veloci e senza cuore, e Mary salvava il salvabile con il pubblico apparentemente senza sforzo, con il suo fare calmo e accondiscendente. I tre padroni di casa, Georges Montagnard, l'amico Olivier Duchamp e la sorella Brigitte Duchamp, si divertivano come non mai in loro compagnia, in fondo, e quella era una delle tante serate in cui Mary finiva per diventare la corista di supporto alla cantante e Sherlock si lasciava andare a una qualche esibizione musicale al suo fenomenale strumento. Uscirono, quella sera, qualche ora dopo, quando ancora pochi erano rimasti a guardarli con occhi dubbiosi e incuriositi allo stesso tempo.

Il mattino successivo, dopo aver risistemato il letto e iniziato a fare una colazione lenta data la sonnolenza, Mary si affacciò con la tazza tra le mani alla finestra aperta proprio sulla piccola strada, il cafè e il locale della sera prima, il Fountain. Sherlock si affacciò a sua volta ma a differenza di lei non osservò semplicemente. C'era qualcosa che non andava. Si voltò verso la porta e uscì così com'era, in vestaglia, e lei lo seguì, abbigliata allo stesso modo, dopo aver posato la tazza sul tavolino del salotto e aver recuperato le uniche chiavi che avevano.

La porta del locale era più aperta del solito: la mattina le due donne delle pulizie venivano a sistemare tutto, ma non lasciavano che uno spiraglio dalla porta: usavano delle finestre che non davano direttamente sulla strada per cambiare aria. I clienti meno mattinieri del 2 Moulins osservavano dubbiosi Sherlock Holmes, che sembrava non essere del tutto conscio di trovarsi in pigiama nel bel mezzo di Montmartre mentre Mary Morstan, le braccia incrociate sulla vestaglia chiusa il più possibile e infastidita dal vento fresco di inizio primavera, lo osservava per capire quale sarebbe stata la prossima mossa.

Dalla porta semiaperta uscì una delle due donne di servizio, di mezza età e rotondetta, crollando addosso a Sherlock come se non aspettasse altro che scaricare tutto il peso di qualcosa su un'altra persona. Quando parlò, l'uomo si voltò verso Mary, il cui viso fu quasi più eloquente delle parole successive.

«Brigitte, Olivier e Georges... morti» disse, con voce tremante, per poi superare Sherlock ed entrare a sua volta. L'aria era un po' viziata, anche se le finestre stavano facendo uscire la maggior parte del cattivo odore che riempiva la stanza. I tre musicisti erano stesi sul palco, come se fossero rimasti a pancia in su in una posizione rilassata per moltissime ore. Mary ebbe l'istinto di correre da loro per poter controllare se effettivamente erano morti oppure no, ma non lo fece, e lasciò che Sherlock la superasse e andasse a controllare di persona.

«Qualche ora, non di più» dichiarò, per poi continuare la sua opera di osservazione senza nessun'altra reazione. Mary si lasciò cadere su una sedia e lasciò che qualche lacrima le cadesse lungo le guance. Il suo difetto, se così si poteva definire, era quello di affezionarsi subito alle persone, e ormai considerava i tre proprietari e musicisti di quel locale come degli amici. Quando Sherlock ebbe finito di perlustrare la stanza ed ebbe raccolto alcuni reperti tutto intorno, si avvicinò a lei e le porse un fazzoletto dalla propria tasca con noncuranza.

«La polizia arriverà a momenti, meglio vestirsi» suggerì, e lei annuì silenziosamente, asciugandosi velocemente le guance, seguendolo fuori e poi al loro appartamento.

 

I corpi dei tre vennero portati via sotto gli occhi attoniti di Sherlock Holmes, Mary Morstan, i frequentatori del locale e i clienti abituali del cafè di fronte. Il proprietario del 2 Moulins era uscito dalla porta principale, incuriosito da tanto trambusto e quando si era reso conto di quel che era successo, era crollato a terra, con la testa tra le mani. Era il fratello di Brigitte, e nessuno l'aveva notato la sera prima, perché tutti troppo occupati a osservare i due nuovi arrivati. Mary osservò Sherlock, chiedendosi quale sarebbe stata la sua prossima mossa e se doveva, come aveva fatto spesso, attendere istruzioni. Lui sembrò imperturbabile, e teneva gli occhi puntati su uno spettatore che sembrava rancoroso quanto addolorato. La polizia portò via tutti i possibili testimoni, e così fece anche con Sherlock e Mary che passarono delle lunghe e inutili ore a cercare di convincere la polizia che no, non erano parenti, no, non erano sposati, no, non avevano una relazione, no Mary e Brigitte non avevano una liaison “particolare”, e nemmeno Sherlock con uno tra Olivier e Georges (o entrambi). Quando finalmente li lasciarono andare, ormai a sera – anche grazie a una misteriosa lettera dall'ambasciata inglese – Sherlock e Mary tornarono dritti dritti al luogo del delitto, decisi a saperne di più: lui perché la vacanza forzata era stata piacevole ma era durata fin troppo e lei perché era diventata una questione personale.

Il misterioso osservatore di qualche ora prima si era seduto al 2 Moulins, dove regnava un silenzio tombale. Praticamente tutti i clienti abituali erano consci del fatto che Brigitte fosse la sorella del vecchio Robert, e alcuni di essi ricordavano quando era solo una bambina e scorrazzava per i tavoli come se giocasse a nascondino. Sherlock e Mary, stranamente molto sobri nelle maniere e nel vestiario, chiesero un paio di tazze di tè e occuparono il tavolo accanto a quello di quell'uomo di cui volevano decisamente sapere di più.

«Voi siete i due inglesi, giusto?» domandò quello, con un forte accento francese.

«E lei è Didier Rolland, noto organizzatore di concerti» replicò Sherlock, con il suo solito fare diretto. Mary osservava tutto in silenzio, lasciando che facesse il suo lavoro.

«C'è qualcosa che non sa?» domandò Rolland, sorseggiando del vino.

«Non so se sono vere le voci dell'ingaggio che aveva con il trio del locale qui di fronte, e perché si aggira in una strada qualsiasi di Montmartre e non nel quartiere moderno di questa vecchia città» spiegò lui, tanto velocemente che Rolland dovette farselo ripetere da Mary nella sua lingua.

«Anche un uomo d'affari ha un cuore, Monsieur... non saprei dire se è così anche per lei» pronunciò infine, scolando il vino rimasto e uscendo proprio mentre uno scosso Robert Duchamp, proprietario del cafè, rientrava dalla porta sotto gli occhi sospettosi di tutti.

 

Durante la notte, mentre Mary sfogava il suo nervosismo e la mancanza di sonno con una sigaretta lunga e sottile e Sherlock si era chiuso in una nuvola di fumo azzurrino molto simile a quella che aleggiava intorno a lei, anche se più fitta, un grido giunse dal piano di sotto. Molte luci si accesero nelle finestre di fronte e di fianco al loro appartamento, illuminando debolmente i nastri della polizia francese che sigillavano le porte del Fountain de Duchamp. Mary e Sherlock, questa volta se non altro vestiti, scesero giù a controllare gli sviluppi, sperando che la polizia non si intromettesse di nuovo o troppo presto. La moglie di Mousieur Robert Duchamp aveva trovato il marito riverso sul tavolino accanto al vetro dove lei di solito scriveva le plat du jour, apparentemente addormentato. Quando aveva tentato di scuoterlo, questi era ricaduto sul pavimento, privo di vita.

Mentre Mary cercava di consolare e far riprendere dallo shock la povera Madame Duchamp, Sherlock si affaccendava, come sempre, tutto intorno al cadavere, in cerca di qualche indizio. Quando riemerse da una posizione decisamente da contorsionista tutto intorno ai tavolini e alle sedie, sembrava un bambino che ha appena ritrovato un giocattolo di cui si era dimenticato.

«Madame Duchamp, appelez-vous la police. Io, intanto, avrò un esperimento da fare» sentenziò, mentre Mary si chiedeva in quale strano pasticcio aveva intenzione di cacciarsi, questa volta, e se le avrebbe permesso di prendervi parte, principalmente per evitare che si facesse male da solo.

   
 
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