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Autore: taemotional    27/02/2012    1 recensioni
[Akame]
"All'improvviso si accesero i fari, e, con essi, anche le grida delle fan si fecero più acute. Un laser puntò dritto ai suoi occhi e il ragazzo si trovò costretto a doverli chiudere. Sbatté le palpebre più volte e infine si decise a guardare verso il palco.
La band era salita: un tipo piuttosto alto e con i capelli scuri si piazzò alla tastiera, un altro, un po’ più basso e con un viso femminile, entrò brandendo una chitarra elettrica. Alla fine, si fece vedere anche il cantante. E il pubblico esplose."
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Jin, Kazuya, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Commento: Questa fanfic risale allo scorso ottobre, scritta in un momento un po' di crisi ^^ Vabè, originalmente erano 2 Lips ma ho pensato che qui le posto di seguito.... vi dico che come alla fine è andata la cosa non mi piace troppo perché i personaggi (soprattutto kame) mi sono sfuggiti di mano xD gomen! Spero vi piaccia lo stesso! Douzo---

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<< Non sono più solo.
Il mio cuore è stato rubato da te. >>


Il locale era davvero affollato. Perché tutte quelle persone si accalcavano in quel modo?
Cercò di crearsi un po’ di spazio attorno a sé ma fu un impresa impossibile, per di più la ragazza che era con lui lo teneva stretto al braccio e sembrava incline a voler avvicinarsi ancora di più al palco.
“Hey!” cercò di gridare sovrastando le grida. Ma quella tipa non l’aveva sentito ovviamente. Continuava solo a sorridere come una matta fissando un punto indefinito davanti a sé.
Il ragazzo sospirò e guardò in alto. Non vedeva nulla, il concerto non era ancora iniziato e c’era poca illuminazione in generale, però, con il collo allungato e il naso all’insù, gli sembrò di poter respirare un po’ di più.
All’improvviso si accesero i fari, e, con essi, anche le grida delle fan si fecero più acute. Un laser puntò dritto ai suoi occhi e il ragazzo si trovò costretto a doverli chiudere. Sbatté le palpebre più volte e infine si decise a guardare verso il palco.
La band era salita: un tipo piuttosto alto e con i capelli scuri si piazzò alla tastiera, un altro, un po’ più basso e con un viso femminile, entrò brandendo una chitarra elettrica. Alla fine, si fece vedere anche il cantante. E il pubblico esplose.
“Buonasera!” gridò al microfono in giapponese, “Noi siamo i Tokyo Robu! Divertiamoci insieme stasera!”
Cosa? Sono giapponesi?, sbottò incredulo. In effetti, le fan qui sono prettamente orientali...
La ragazza al suo fianco iniziò a saltellare e il ragazzo decise di mollarla lì. Non gli importava se non avesse ancora pagato il conto, non ne poteva più di quella confusione di suoni e corpi. L’America era decisamente troppo per lui.
Si liberò dalla sua presa in malo modo -tanto lei non ci avrebbe fatto caso- e iniziò a spingere per cercare di uscire. Si fermò solo una volta che fu arrivato in fondo al locale, e si voltò indietro verso il palco.
La prima canzone era iniziata.
Kazuya alzò le spalle, almeno il vocalist ha una buona voce, poi uscì.
 
“Grazie a tutti!”
“Grazie anche a quelli in fondo!”
Il chitarrista completò la scala e il locale sprofondò nel buio.
 
“Ahh...” commentò il cantante raggiungendo il camerino per primo e sprofondando su una sedia, “Questa sera c’era davvero tanta gente!”
“Jin, c’è sempre tanta gente ai nostri concerti...” commentò il tastierista.
“...solo che oggi hai messo gli occhiali da sole,” concluse il chitarrista chiudendosi la porta alle spalle.
Jin sembrò pensarci su.
“Non è colpa mia se i miei occhi sono sensibili alla luce...”
“E te ne accorgi solo ora? Dopo un anno che stiamo insieme?”
“Tatsuya, non puoi pretendere così tanto da lui...”
“Maru, vuoi un pugno?” domandò Jin scattando in piedi.
Tatsuya scoppiò a ridere e prese il cartone della pizza dal tavolo, “Tranquilli,” commentò, “E mangiamo, okay?”
“Okay...” accordò Jin continuando a guardare storto il proprio tastierista, “Comunque complimenti, la tua beat boxe oggi è stata favolosa...”
Yuichi osservò il cantante decidendo se credere o meno alle sue parole, poi sorrise. “Grazie.”
“Ecco...” sospirò Tatsuya, “A me invece, che sono sempre perfetto, nessuno fa mai i complimenti...”
Yuichi rise e gli si avvicinò abbracciandolo da dietro, “Non ti stancheresti di sentirli ogni volta?”
“Ma ogni tanto mi farebbero piacere...” commentò il chitarrista col broncio. Yuichi gli baciò il collo.
“Okay, okay!” gridò Jin con la bocca piena, “Le vostre smancerie fatele dopo in albergo, okay?”
“Ma che albergo!” esclamò Tatsuya, “Oggi è l’ultimo giorno che siamo a New York e tu vuoi rintanarti in camera?”
Yuichi ci pensò su e Jin stava per rispondere quando la porta si spalancò lasciando entrare il loro manager.
“Cos’è questa storia di andare ad ubriacarsi per locali notturni? Andando per di più con la prima che capita?”
“Veramente, Taguchi, non abbiamo detto niente di simile...”
“Comunque sia... se volete uscire, deciderò io il locale per voi.”
“Basta che ci siano un sacco di ragazze...” commentò Jin con noncuranza.
“No,” disse Junnosuke, “Ce ne saranno poche, ma raffinate.”
“Non vorrai portarci in un host club...”
“Esatto!” confermò il manager rivolgendosi al cantante e togliendogli di mano il cartone della pizza.
“Ehh... Esistono anche qui a NY?” domandò Yuichi poggiando il mento sulla spalla di Tatsuya.
“Non molti, e questo qui è gestito da un mio amico. Vedrete che sarà come essere in Giappone.”
“A me non manca poi così tanto... ci sono anche ragazze americane?”
Junnosuke sospirò, “Con te ci rinuncio...”
 
L’host club si trovava in un vicolo del quartiere del Bronx ed era gestito da quello che, a prima vista, poteva sembrare un mafioso vestito di tutto punto, con i capelli biondi e il piercing sulla lingua.
“Sarebbe questo punk il tuo amico?” chiese Jin non appena il proprietario li accolse alla hall.
Junnosuke lo ignorò. “Koki! Da quanto tempo!”
I due si abbracciarono un po’ troppo affettuosamente e Jin arricciò il labbro superiore in un’espressione di disgusto. Ecco qua, anche questi due... poi si portò una mano alla bocca, solo io sono solo soletto...
“Capo!” esclamò allora, “Ho bisogno di una pollastra!”
Koki si separò dall’amico e guardò il cantante con un ghigno da metter paura.
“Noi intanto facciamo un giro eh...” commentò Tatsuya vedendo come si stavano mettendo le cose e trascinò via Yuichi lungo il corridoio d’ingresso.
Koki si avvicinò al cantante.
“Sei tu il famoso Jin Akanishi, eh?” gli disse guardandolo di traverso, “Un nostro dipendente ha avuto una serataccia per colpa tua.”
“Ehhh...” iniziò Jin inclinando la testa di lato, “Non ne so niente...”
“I vostri concerti, non saranno un po’ troppo confusionari?”
“Ehm ehm...” tossì Junnosuke, “Stai mettendo in discussione la musica che gestisco?”
Koki gli si rivolse sorridente, “Affatto, non mi permetterei mai Junno-chan! Voglio solo insultare un po’ questo qua.”
“Ah,” commentò allora Junnosuke incrociando le braccia, “Fai pure allora, io vado a vedere come hai ristrutturato il locale...” e si allontanò seguendo le orme degli altri due.
Jin deglutì, non sapeva dire perché, ma quel tipo -che dava l’idea di essere vestito di seta lucente- ce l’aveva proprio con lui.
“Sei strano, Koki-san...” gli disse solo, reggendo il suo sguardo.
Koki scoppiò a ridere, poi introdusse l’argomento che gli stava di più a cuore, “Sai, il dipendente di cui ti parlavo prima è il nostro host più richiesto. Ed è anche il più avaro.”
“E quindi?”
“E quindi non abbandonerebbe mai una cliente prima di averla squattrinata del tutto, capisci no?”
“Senti, che vuoi da me? Io non ho idea di dove vuoi arrivare...”
“Koki, c’è nessun--”
Koki e Jin si voltarono nello stesso momento verso il punto da cui proveniva quella voce.
“Ah, Kazuya! Parli del diavolo...!”
Kazuya guardò un secondo gli occhi del cantante e lo riconobbe all’istante: era quello che aveva mandato a monte il suo ultimo accompagnamento.
“Tu...” disse freddamente indicandolo, “Tu e la tua musica...”
Jin alzò le braccia, “Okay, io mollo qua, eh!” esclamò voltandosi di spalle, “Che razza di posto è questo?”
E se ne andò continuando a borbottare frasi incomprensibili. Cos’hanno questi qua contro la mia musica?
“Hey, non pensare di andartene così! Mi devi dei soldi!” gridò Kazuya seguendolo fuori dal negozio. I due bodyguard all’ingresso bloccarono Jin, che subito iniziò a divincolarsi e a sbraitare.
Kazuya fece segno di lasciarlo andare.
“Tu...” disse a Kazuya in tono scortese, “...io non ti devo niente.”
Kazuya si strinse nella giacca, fuori era calata la nebbia. L’America aveva un clima a cui non si sarebbe mai abituato. Ma era l’unico posto in cui fosse vissuto, magari c’è di peggio là fuori.
“Nemmeno ti conosco!” aggiunse poi dal momento che quell’host non si decideva a parlare.
“Mi devi una seduta.”
“Che? Non butto via i miei soldi senza motivo,” Jin si era davvero spazientito, e aveva pure iniziato a pensare di ritirare fuori dalla memoria le sue conoscenze di base del karate. Poi guardò i due bodyguard di colore che li scrutavano attentamente e pensò che fosse meglio lasciar perdere.
“Mhn...” mormorò Kazuya, “Allora... lascia che sia il tuo host per questa sera.”
“Ah!?” Jin spalancò la bocca incredulo.
“Così hai un motivo per pagarmi.”
“Non ho parole...”
“In un modo o nell’altro devi pagarmi,” e alzò la mano: i due bodyguard si misero sull’attenti.
Jin sussultò e fece un passo indietro.
“Sei impazzito?” esclamò Jin, “Okay, okay, come vuoi! Ma falli stare buoni!”
“Cioè?” Kame abbassò la mano.
“Non regalo yen, quindi sarò un tuo cliente...” tanto, oggi sarà l’ultima volta che vedrò questo spilorcio.
Kazuya si irrigidì un secondo.
Aveva davvero accettato? E ora? La sua prima regola era quella di non mischiare lavoro e vita privata, e proprio per questo aveva deciso che avrebbe accettato solo clientela femminile. Perché non era affatto attratto dalle ragazze, e poteva ingannarle senza rimanere ferito.
Ma questo ragazzo... questo cantante da quattro soldi... stava davvero per essere un suo cliente?
“E-ehm...” balbettò impreparato. Ora che faccio? Mi viene da essere me stesso...
Jin notò la sua esitazione, e quel suo improvviso cambiamento d’espressione lo divertì. Ora sembrava addirittura carino.
“Che c’è?” domandò punzecchiandolo con un dito, “Non dirmi che ti vergogni! O sei già entrato nella parte?”
“Eh? Che vorresti dire?” saltò su Kazuya, riassumendo il suo tipico atteggiamento di superiorità.
“Intendo... quando intrattieni un uomo fai la parte della femminuccia?”
Kazuya arrossì di botto e le sopracciglia si arricciarono all’inverosimile.
“Non sparare idiozie, sono solo rimasto sorpreso dalla tua risposta.”
“Ahh...” si lamentò Jin ignorando quella risposta che suonava davvero falsa, “Fa freddo qua, non trovi? Rientriamo?”
Kazuya lo guardò storto. Perché ora sembra che abbia perso il controllo della faccenda? Maledetta la mia boccaccia.
 
Una volta dentro Kazuya lo scortò lungo il corridoio d’entrata fino al salone principale dove gli host intrattenevano i rispettivi clienti in dei piccoli salottini separati tra loro da vetrate o tende trasparenti. I divani erano di velluto rosso e i tavolini sembravano essere fatti di vero marmo. Tutto era perfetto. Anche la musica non era eccessivamente alta: un sottofondo gradevole, e funzionale all’ambiente.
Improvvisamente qualcuno rise a squarciagola proprio mentre loro passavano e Jin fu costretto a guardare alla sua sinistra.
“Oddio!” gridò Tatsuya visibilmente brillo, “Jin, dove diavolo vai con quel mingherlino?” e iniziò a battere la mano sul divano accanto a sé, “Avanti! Vieni a bere con il tuo gruppo!” e tornò a ridere, “Festeggiamo!!”
Yuichi, che era seduto al suo fianco, cercò di calmarlo con scarsi risultati e scosse la testa, facendo poi segno al proprio cantante di proseguire senza badare troppo a loro.
“Siete proprio dei casinisti,” sentenziò Kazuya prendendo posto in un salottino più appartato.
“Tatsuya si ubriaca facilmente...” lo giustificò Jin, “E, insomma, cos’hai contro di noi?”
“Te l’ho già detto: fate confusione,” rispose tranquillo l’host stappando una bottiglia di sakè e iniziando a riempire i bicchieri.
“E’ la tua prima volta?”
“Cosa?”
“Accompagnare un uomo, intendo. Ti trema la mano.”
Kazuya strinse le proprie dita a pugno.
“Ehh... è normale, deve essere umiliante per te, che sei abituato a stare con belle ragazze. O sbaglio?”
“Fa silenzio. Che ne vuoi sapere te,” rispose secco Kazuya e iniziò a ingurgitare il proprio liquore.
“Ma è palese, guardati! Sei seduto lontanissimo. E scommetto che non riusciresti nemmeno a toccarmi.”
Kazuya sbatté il proprio bicchiere sul tavolinetto al loro fianco e si alzò in piedi. Mi stai provocando? Vuoi davvero conoscere chi sia io in realtà? Si chinò su di lui e poggiò le dita ai lati del suo viso, bloccandolo sul divano.
Jin socchiuse gli occhi e lo scrutò attentamente, poi passò un braccio attorno alla sua vita e lo tirò su di sé.
“Se vuoi dimostrarmi qualcosa,” sussurrò il cantante, “Almeno fallo come si deve,” e gli leccò le labbra.
Kazuya strinse forte le palpebre. Non era possibile. Dentro il proprio petto, il cuore stava per esplodere. Cercò di tirarsi un po’ indietro ma la presa di Jin era forte, e riuscì solo a voltare il capo.
“Che stai fac--” ma quelle parole si interruppero nel momento stesso in cui Jin aveva poggiato le labbra sul suo collo. Erano fredde. Un brivido gli corse lungo la schiena e il respiro gli si mozzò.
Nessuno aveva mai avuto quell’effetto su di lui. Strinse le dite sulle sue spalle.
E proprio quando Kazuya stava per lasciarsi andare Jin smise di leccargli il collo. Cosa succede? Perché mi sono eccitato? Scansò l’host e si alzò di scatto. Io... volevo solo metterlo in imbarazzo. Si voltò a guardarlo, seduto su quel velluto d’alta classe, con il viso arrossato e gli occhi vitrei. Lo stomaco gli si contorse. Tirò fuori il portafogli e gettò di scatto alcune banconote verdi sul tavolo.
“E’ tutto quello che ho,” disse freddamente e, non riuscendo a reggere il suo sguardo un secondo di più, si voltò di spalle, “Vedi di farteli bastare.”
“Non li voglio,” sussurrò Kazuya e Jin si irrigidì.
“Come sarebbe a dire? Con tutta la fatica che ho fatto!” ma restava di spalle. Sentire ugualmente quello sguardo sulla propria schiena lo agitava al punto che dovette tornare ad affrontarlo direttamente.
Kazuya scosse la testa.
“Che vuoi?” sbottò Jin, “Hai i tuoi maledetti soldi, no?”
“Voglio...” ma Koki arrivò proprio in quel momento -seguito da Junnosuke- e Kazuya dovette lasciare il discorso a metà.
“Ah!” esclamò Koki, “Allora vi siete conosciuti per bene? Già te ne vai?” aggiunse poi vedendo Jin che aveva iniziato ad allontanarsi.
“Spero che non mi rivediate mai più qua dentro,” concluse mordendosi le labbra.
Koki spostò lo sguardo all’interno del salottino, dove Kazuya si copriva la faccia tra le dita e sembrava sul punto di prendere fuoco. Gli si avvicinò e iniziò a contare i soldi che Jin aveva lasciato sul tavolo.
“Ecco,” disse poi porgendogli la sua parte.
Kazuya restò un po’ in silenzio, “Non li voglio, puoi tenerli tutti,” disse solo, e si alzò.
Koki sbarrò gli occhi e guardo il manager, “Sta male,” disse solo, prima che Kazuya li superasse e sparisse tra il groviglio di tende.
 
Jin tornò all’albergo sfinito. Non aveva voglia di prendere la metropolitana, troppe persone, troppo caldo là sotto, così aveva optato per tornare a piedi. Cosa che si rivelò più difficile del previsto.
Quando finalmente raggiunse il letto sprofondò su di esso con un rumoroso sospiro. Un altro motivo per cui non era tornato con un mezzo di trasporto risiedeva nel fatto che lui non era affatto bravo con l’orientamento, e questo lo avrebbe aiutato a non pensare ad altro.
Ma ora, disteso a fissare il soffitto buio, con nessun rumore a distrarlo se non quello del ticchettio dell’orologio al polso, non aveva scuse: la mente gli si riempì in meno di un secondo delle immagini che aveva visto al club.
Jin, pensa ad altro. Non pensare alla sua espressione, al fatto che lo avevi trovato carino ma anche attraente, e che, alla fine, ti sei ritrovato a stringerlo tra le tue braccia, mentre avvertivi chiaramente il suo respiro sul tuo collo, e ti sentivi eccitato, e avresti voluto tornare sulle sue labbra ancora una volta, e magari approfondire quel bacio, e stenderlo sotto di te...
“Basta...!” si ritrovò a gridare nel buio della sua camera. Il respiro di nuovo pesante, come se avesse corso fino a quel momento.
Pensa... pensa che domani te ne vai. Pensa che tornerai in California, e sarai di nuovo a casa. Nella tua città degli angeli. Non lo rivedrai più.
“Non lo rivedrò più...”
Quel lavaggio del cervello che si stava auto imponendo portò i suoi frutti.
“Mai più...”
Fa freddo, pensò solo, ma non aveva le forze per alzarsi e chiudere la finestra. Chiuse gli occhi.
 
“Kazuya!” gridò Koki dopo averlo seguito fin dentro la sua stanza al piano superiore, “Si può sapere che hai?”
“Niente,” rispose con semplicità il ragazzo dopo aver riacquistato il suo colorito naturale. Si sedette sul divano e prese un libro, fingendo di leggere.
“Ti conosco bene, cos’è successo con Akanishi?”
Akanishi? E’ questo il suo cognome allora. Ed è davvero giapponese. E il nome? L’aveva detto l’altro tipo, quello effemminato che sta nel suo gruppo e che non regge affatto l’alcool. Com’era? Sembrava straniero... Jim? Jimmy?
“Sono impegnato Koki...”
“Sì, certo...” commentò ironico, “Sei impegnato a leggere libri al contrario.”
Kazuya gettò il libro sul letto e lo affrontò faccia a faccia.
“Ti piace, eh?” buttò là Koki.
“Mi piace? Non starai esagerando?”
“Hai provato qualcosa allora?”
“Non lo so.”
“Lo sai invece,” lo corresse Koki e si sedette al suo fianco, “E’ per questo che quel giorno mi hai espressamente detto che avresti servito solo clientela prettamente femminile.”
“Lo avevi capito già da allora, eh...”
“Ma perché?”
Kazuya sorrise.
“Insomma...” continuò Koki evitando di guardarlo, “...se preferisci gli uomini perché non vuoi accompagnarli?”
Kazuya restò in silenzio.
“Hey!” lo scosse Koki prendendolo per le spalle, “Ti ricordi? Quel giorno mi hai promesso che mi avresti detto tutto. E io avrei fatto lo stesso con te.”
“Perché...” iniziò Kazuya con un sospiro, “Mi sono ripromesso che non avrei più avuto legami con nessuno. E le ragazze non mi interessano, con loro posso fingere e non rimanere ferito.”
Koki lo lasciò andare di colpo e aggrottò le sopracciglia.
“Questo è ingiusto da parte tua.”
“Cosa...?”
“Non vuoi legami. Ma non pensi che magari là fuori c’è qualcuno che prova dei sentimenti? Stai dicendo che anche quello che ti lega a me è finto?”
“No!” esclamò Kazuya agitandosi, “Lo sai quanto di devo, senza di te non sarei qui, non ci sarei più per niente in questo mondo. Con te... è diverso.”
Poi ripensò alle sue parole. Ci può essere davvero qualcuno là fuori che prova qualcosa nei miei confronti? Rabbia, rancore, indifferenza, curiosità, affetto, amore. Sono sentimenti che lui aveva sempre associato agli altri. Lui non ne provava per nessuno... per nessuno? Guardò Koki, il suo salvatore che lo aveva portato via dalla strada, che gli aveva dato dei vestiti e del cibo. Quello che provo per te, potrei provarlo anche per qualcun altro? Ci si può fidare delle persone che mi sono attorno?
Koki si alzò sospirando.
“Ti lascio coi tuoi pensieri,” disse. Kazuya annuì, lui lo aveva sempre capito. “Però,” aggiunse poco prima di uscire, “Junno mi ha detto che domani ripartiranno.”
Kazuya alzò il viso da terra e lo guardò.
“Volevo solo che tu lo sapessi,” concluse, e poco prima di uscire lasciò cadere un foglietto dalla tasca della giacca.
L’host si alzò e lo raccolse da terra. Era un indirizzo, quello di un albergo per la precisione.
E il numero di una camera.
 
La mattina dopo Kazuya rimase a letto fino a tardi.
Più volte Koki era venuto a bussare alla porta ma lui aveva chiuso a chiave, e non aveva intenzione di rispondere. Sapeva benissimo cosa sarebbe successo se si fosse alzato e avesse girato la chiave nella toppa. Il numero della camera impresso nella mente lo avrebbe portato a quell’albergo. E cosa ci sarebbe andato a fare?
Si immaginò di lui che bussa alla sua porta con un mazzo di rose rosse in mano...
“Ma sono impazzito? Semmai deve essere il contrario!” esclamò scattando seduto. “Eh... è lui che ci ha provato per prima, mica io. E’ lui che non deve tornarsene a casa, che deve venire da me in ginocchio, e implorarmi di perdonarlo per come mi ha lasciato la scorsa notte.”
Sospirò e guardò l’orologio. Ormai deve essere già in aereo. Decise di alzarsi e andò ad aprire la porta.
“Kazuya!” gridò Koki nel momento in cui vide la porta aprirsi davanti ai suoi occhi appena un secondo prima aver bussato per la centesima volta.
“Ah... ‘giorno...” mormorò Kazuya e si diresse nella piccola cucina adiacente.
“Hey, perché sei stato in camera tutta la notte?”
“Che domande...” rispose Kazuya prendendo una ciotola e iniziando a riempirla di riso, “Ci dormo in quel posto, sai?”
“Idiota, ti ho pure dato l’indirizzo! E ormai è troppo tardi!”
Kazuya lo guardò freddamente. “Cosa volevi che facessi? Cosa gli avrei detto una volta arrivato davanti alla sua porta?”
“Che ne so! Non andartene, per esempio! O una qualsiasi frase simile!”
“La fai facile te... non sarà mica che anche tu volevi che restassero un po’ di più?”
Koki si irrigidì. “Io avevo già fatto il possibile.”
“Ehh... non ti facevo così romanticone! Cosa hai detto a Junno-chan?” e si mise a ridere.
“Non fare l’idiota... sarebbe restato, se anche la band l’avesse voluto.”
“Ma la band non lo voleva. Fine della discussione,” puntualizzò Kazuya e rimise la ciotola nel lavabo. “Io esco un po’.”
“Dove vai?”
“Non lo so, ho bisogno di aria.”
“Come ti pare,” disse Koki sbuffando, “Basta che torni per i tuoi appuntamenti.”
 
Come non detto. Ma perché si era imparato quell’indirizzo a memoria?
Alzò gli occhi e si ritrovò davanti quell’albergo. Vuoto, ormai. Ma entrò lo stesso.
Alla reception c’era un tipo di colore dall’aria tutt’altro che simpatica.
Buongiorno,” gli disse in inglese, “Vorrei un informazione.
Se posso aiutarla,” rispose il tipo svogliatamente.
Ecco, vorrei sapere se qualcuno occupa la stanza 313.
L’addetto si voltò alle sue spalle e controllò le chiavi lì appese. Poi alzò le spalle.
Sembra che ci sia qualcuno.
Kazuya chinò il capo. E’ già stata occupata da qualcun altro. Chissà perché aveva desiderato che quella stanza potesse rimanere vuota per sempre. Nessuno l’avrebbe dovuta lavare o spolverare. Il suo odore e la sua presenza sarebbero rimaste lì per sempre. E invece anche l’ultima cosa che lo poteva collegare a lui era stata contaminata. Si toccò le labbra. Queste... queste labbra sono l’unica prova che mi rimane della sua esistenza.
Sospirò, Koki non gli aveva detto che provare sentimenti verso qualcuno fosse così doloroso.
Grazie dell’informazione.
Si allontanò dal bancone ma, a metà strada verso l’uscita fece dietro-front e si diresse agli ascensori. Sono davvero pazzo. Cercò un piano alla volta e alla fine, arrivato al terzo vide la targhetta con su scritto ‘Camere 300-350’. Ecco, lui deve aver fatto questa strada.
Percorse il corridoio fino a trovare la porta della stanza giusta. 313.
Sospirò per l’ennesima volta quel giorno. Se solo fossi venuto qui ieri sera, o anche questa mattina presto... lui, ecco, mi avrebbe aperto la porta proprio in questo modo e, vedendomi, avrebbe esclamato sorpreso:
“Kazuya? Che acciden--?” ma un colpo di tosse impedì a Jin di completare la frase.
L’host rimase imbambolato là davanti e aspettò che l’altro si fosse ripreso prima di realizzare che era davvero davanti a sé.
“Tu...” gli venne solo.
“No!” disse Jin, “Tu! Che ci fai qui?”
Kazuya esitò. Almeno non ho un mazzo di fiori in mano...
“I-io...” balbettò poi, “Ero convinto che tu fossi partito...”
“In teoria sì... ma questa notte ho sentito freddo e ora ho un po’ di febbre... allora Taguchi ha pensato fosse opportuno rimanere almeno finché non fossi stato meglio...”
“Idiota,” commentò Kazuya scuotendo il capo, “Come hai fatto a sentire freddo? Non sarai mica tornato a casa a piedi ieri sera dopo che... dopo che...” ma lasciò la frase in sospeso e puntò gli occhi a terra. “Stammi bene. Io allora vado,” concluse e iniziò ad avviarsi lungo il corridoio.
“Kazuya!” lo chiamò però Jin, e poi venne colto alla sprovvista da un secondo attacco di tosse.
L’altro si voltò.
“Non andartene...” mormorò Jin con la poca voce che gli restava. “Resta un altro po’.”
Kazuya sorrise, “Non vorrai attaccarmi la febbre! Con tutti quei germi che hai addosso!” e si mise a ridere.
“Kazuya,” continuò Jin con voce ferma, “Non sto scherzando.”
L’ilarità gli rimase in gola e deglutì rumorosamente. Quindi posso essere serio anche io? Fece un paio di passi verso l’altro, immobile di fronte alla sua stanza con addosso i vestiti della sera prima. Ma anche Kazuya in effetti, indossava ancora la stessa camicia nera e gli stessi pantaloni gessati. Gli venne da sorridere, appena prima di arrivargli davanti.
“Allora,” cominciò fissando Jin negli occhi, “Il malato ha bisogno di cure?”
Jin inclinò la testa di lato e socchiuse gli occhi, come suo solito.
“Ne sei capace?” domandò a bassa voce avvicinando il viso. Kazuya fece un ghigno. “In effetti,” continuò Jin, sempre più vicino, “Un host dovrebbe essere in grado di curare le malattie del cuore, o sbaglio?” e arrivò alla sua bocca. E ne baciò un angolo.
Kazuya arricciò le sopracciglia. “Cos’era quello?” e lo afferrò per i capelli, tirandolo verso di lui una seconda volta.
Le labbra di Jin aderirono con quelle dell’altro, che si schiusero. La lingua di Kazuya si fece rapidamente spazio nella bocca dell’altro.
Tornarono a respirare solo una volta che si furono separati, qualche secondo dopo.
“Credevo,” si scusò Jin, “Che non volessi... per quella faccenda dei germi e roba varia.”
Kazuya scosse la testa.
“Non mi importa. Sarebbe bello avere la febbre e dormire con te nel tuo letto.”
Jin tossì improvvisamente.
“E’ una proposta alquanto oscena da parte tua,” commentò Jin scoppiando a ridere, poi passò un bracciò attorno alla vita dell’altro e lo tirò a sé. “Ma l’accetto volentieri.”
Trascinò Kazuya nella sua camera e con la coda dell’occhio notò la porta della stanza accanto socchiusa.
Tatsuya e Yuichi erano affacciati da chissà quanto tempo e Jin li fulminò con lo sguardo.
Il tastierista si sbrigò a chiudere l’uscio.
“Ecco...” sussurrò a Tatsuya, “Te l’avevo detto che non era una buona idea! Ora ha scoperto che abbiamo dormito insieme questa notte!”
Nessuna risposta.
“Tatsuya?” Yuichi si voltò a guardare il compagno. Gli brillavano gli occhi.
“Che...” iniziò sottovoce, “Che carini!!!!” gridò.
“Ssshh!” lo zittì Yuichi tappandogli la bocca, “Sarai ancora ubriaco?”
“Macchè ubriaco, idiota!” esclamò Tatsuya liberandosi dell’altro. “Ieri sera ho solo fatto di finta di essere un po’ su di giri per divertirmi e...” gli lanciò un’occhiata maliziosa, “...convincerti che potevi approfittare, non so se rendo l’idea.”
Yuichi arrossì violentemente. “Come se fosse stata la prima volta!”
“Ma è stato fantastico vedere come ti sciogli se pensi che io sia ubriaco. Dovrei fingerlo più spesso.”
Yuichi si coprì il volto.
“Sei assurdo...” iniziò, poi, vedendo l’altro salire sul letto esclamò: “Ma che fai?”
“Dai, dai! Spiamoli!” e poggiò l’orecchio al muro.
“Ma sei impazzito?!” esclamò Yuichi raggiungendolo sul letto, “Vieni subito giù!” e lo tirò per la maglia così forte che caddero entrambi distesi. Tatsuya si ritrovò sopra di lui e le labbra gli si tirarono in un sorriso maligno.
“Yuichi, non in maniera così diretta però.”
“Idiota,” lo apostrofò il tastierista e gli baciò le labbra.
 
<< Queste labbra colorate di rosso,
Voglio avvicinarmi
E baciarle intensamente. >>


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Commento: e qui finirebbe la prima lips! Sara, preparati per l'angst della seconda parte x°D muahahahahaha metto una frase del commento che ho scritto al tempo: "l’ultima parola della ficci è proprio labbra... ahah che idiota che sono x°D Ma chissà che fine farà quest’Akame!!" ahahah xD

   
 
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