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Autore: taemotional    28/02/2012    1 recensioni
[Akame]
"All'improvviso si accesero i fari, e, con essi, anche le grida delle fan si fecero più acute. Un laser puntò dritto ai suoi occhi e il ragazzo si trovò costretto a doverli chiudere. Sbatté le palpebre più volte e infine si decise a guardare verso il palco.
La band era salita: un tipo piuttosto alto e con i capelli scuri si piazzò alla tastiera, un altro, un po’ più basso e con un viso femminile, entrò brandendo una chitarra elettrica. Alla fine, si fece vedere anche il cantante. E il pubblico esplose."
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Jin, Kazuya, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Commento: Eccomi alla seconda parte! Vi metto tutte le seghe mentali di kame in questa parte così ce le togliamo di mezzo xD lascio nella seconda parte il finale "felice" ahahahah xD spero che non sia noioso da questo punto in poi (ma soprattutto la prossima parte >__<) 

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<< Arrivati alla fine della nostra esistenza,
Cosa ci aspetterà dopo?
Non lo so,
Ma voglio essere là con te. >>

 
Jin si richiuse la porta alle spalle e un silenzio irreale si impadronì della camera.
Il cantante si voltò e tirò l’host a sé. Kazuya si lasciò intrappolare nelle braccia dell’altro. Ancora non ci credeva, com’era possibile una cosa simile? Poggiò la testa nell’incavo del suo collo e ispirò il suo odore. Jin era là, era davvero là.
“Mi ammalerò...” ansimò Kazuya con il respiro mozzato e l’altro sorrise lascivo. Gli tappò le labbra con un dito e non disse nulla. Lo baciò.
Poi lo spinse sul letto e iniziò a privarlo lentamente dei vestiti.
“Jin...” si lasciò sfuggire Kazuya quando l’altro tocco un punto più sensibile. Ma ancora silenzio.
Cosa...? C’è qualcosa di strano. Sei davvero qui. Parlami.
Jin tornò ancora una volta sulle sue labbra, mentre le dita presero a slacciare il bottone dei pantaloni gessati.
Silenzio. Poi il rumore metallico della zip. E il respiro pesante di Kazuya.
Perché è come se non ci fossi? Dove sei?
Kazuya alzò il bacino e i pantaloni vennero sfilati in un secondo. Il tonfo sordo dei vestiti che cadono sul pavimento. E un gemito soffuso. Jin iniziò a toccargli l’erezione.
Se non ci sei, cos’è questo calore?                   
Un altro lamento. Cos’è questo piacere? Kazuya chiuse gli occhi che si erano fatti lucidi e svuotò la mente.
Al buio riusciva ad immaginarsi cose che non esistevano.
 
Non sapeva dire da quanto fosse sveglio, semplicemente ad un certo punto si accorse di avere gli occhi aperti, e  di stare fissando il soffitto nero. Si mosse un po’ nel letto -il corpo era completamente indolenzito- e infine guardò l’ora. Era mattina presto, e il sole non era ancora sorto. Si mise seduto e guardò il letto sotto di sé. Poi accanto a sé: le pupille vibrarono impercettibilmente.
Non sei mai esistito? Allora avevo ragione. Chiuse gli occhi. Eppure sento il tuo odore sulla mia pelle.
Riaprì gli occhi e notò qualcosa di chiaro sul tavolo dall’altra parte della stanza. Mosso da qualcosa che nemmeno lui sapeva definire si alzò spingendo lontano le coperte. Al buio che iniziava a farsi meno denso intravide il proprio riflesso sullo specchio al di sopra del tavolo, ma lo ignorò.
Là sopra c’era una lettera un po’ stropicciata. La aprì.
 
Non avevo altro su cui scrivere, scusami. E scusami se quando ti sveglierai domani mattina non sarò là. Sto partendo per non tornare. Torno a Los Angeles, la mia città. Che strano, non so perché vederti alla mia porta mi avesse reso così felice. Ho pensato che non fossi reale. Ma poi stringendoti a me ho sentito che invece eri proprio là. Ma per quanto lo saresti stato? E’ stato un caso che io fossi rimasto una notte in più, anzi, è stata una maledizione. Mi hai reso più difficile quello che sto per fare. Ma non si può fare altrimenti, eh? Ecco perché mi metto a scrivere alle due di notte e decido di partire con il primo aereo che troverò. Nessuno sa della mia partenza. Per favore, avverti Taguchi e gli altri che sto bene e che li aspetto a casa. Si preoccupano sempre. Mi raccomando, eh, stammi bene! -Jin-
 
Jin aveva scritto quelle parole sopra ad uno spartito musicale per chitarra. Kazuya alzò gli occhi e si guardò allo specchio. Eh? Sto piangendo.
 
Quando sono tornato a dormire? Ormai il sole era alto nel cielo e illuminava completamente la camera d’albergo.
Kazuya si sentiva la testa scoppiare e gli occhi gli pulsavano, ma riuscì comunque a mettersi in piedi e a raggiungere il bagno. Si sciacquò la faccia e la osservò attentamente allo specchio. Non sembro nemmeno più io.
Uscì in fretta dal bagno e si sedette al tavolo. Un altro specchio. Lo ignorò una seconda volta e fissò lo spartito contaminato dalle parole di Jin.
Stammi bene...?” sussurrò, leggendo l’ultima riga, poi scoppiò in una risata. Sei idiota? Anzi, sono io idiota? Come ho fatto a prendere questa cosa talmente sul serio da venire qui a bussare alla tua porta?
Si passò una mano sul viso umido e osò tornare a guardarsi allo specchio.
“Basta,” esclamò sbattendo una mano sul tavolo e si alzò di scatto, “Questo odore non lo sopporto più.”
Com’è che la tua presenza è tangibile solo ora? Mi opprime.
Raccolse i propri indumenti. Li indossò distrattamente ed uscì. Lo spartito al sicuro nella tasca della giacca.
 
Non tornò subito a casa ma iniziò a vagare per la strada del centro, i suoi piedi che seguivano distrattamente il marciapiede e il viso chinato. Si fermò solo quando quel percorso deviò seguendo il perimetro di un palazzo e Kazuya si ritrovò ad alzare il viso. Davanti a sé solo alberi, corridori amatoriali, ciclisti e un forte odore di foglie bagnate: era arrivato a Central Park.
Guardò prima a sinistra, poi a destra, infine attraversò la strada e si incamminò lungo il sentiero del parco.
Abitava a New York da quasi venticinque anni e non era mai veramente entrato nel cuore verde della città. In effetti, ora che ci pensava, era anche nato a NY? Koki gli aveva sempre detto di averlo trovato all’età di cinque anni in mezzo a dei cartoni in un vicolo di... di? Di NY? Non l’aveva mai specificato.
Improvvisamente si bloccò in prossimità di un vicolo perché attratto da qualcosa, un suono che si ripeteva in lontananza. La melodia di una chitarra classica. Strinse involontariamente la tasca della giacca e tornò sui suoi passi alla ricerca della fonte. Accelerò il passo, possibile che fosse...? Davvero quella maledizione di cui parlava Jin nella lettera stava per ripetersi?
Anche se stava rifacendo una strada già percorsa non ricordava affatto quei sentieri delimitati solo da cespugli e arbusti e non ricordava nemmeno il ragazzo seduto su uno sgabello improvvisato che pizzicava svogliatamente le corde di una chitarra. Si bloccò davanti al musicista e sospirò rassegnato: non era lui.
Come poteva esserlo? Jin è tornato fra gli angeli. Poi gli uscì una mezza risata. Detta così suona proprio male, infilò le dita nelle tasche posteriori dei jeans, ma dopotutto... ora potrebbe anche essere morto, no? Quando una persona non è davanti a te non fa differenza se lo sia o meno. Non c’è. Punto.
Il musicista finì la sua canzone e Kazuya era ancora imbambolato là davanti che fissava un punto indefinito della chitarra.
Ciao...” lo salutò in inglese ma Kazuya sembrava non averlo sentito. “Ehm... Ni hao...?”
L’host alzò il viso. “Sono giapponese,” commentò nella lingua del posto, “Scusa, non ti stavo ascoltando, hai chiesto qualcosa?”
Il ragazzo annuì. “Ti ho chiesto se hai un pezzo da consigliare. Ne conosco parecchi sai. Ma di giapponesi... no, non conosco nulla della musica nipponica, scusa,” e si scusò in giapponese con un sorriso.
Kazuya scosse la testa poi si voltò e fece per avviarsi quando qualcosa si mosse improvvisamente nella sua testa e rimase bloccato. Guardò di nuovo il chitarrista di strada e si avvicinò.
Ecco,” disse, tirando fuori lo spartito, “Puoi suonare questo?
Il chitarrista prese il foglio e lo osservo qualche secondo.
C’è scritto sopra qualcosa in... giapponese?”
Kazuya annuì. “Riesci ad ignorarlo? Si leggono le note?
Il chitarrista poggiò il foglio a terra davanti a sé e iniziò a provare i punti meno leggibili, poi si rivolse a Kazuya con un sorriso: “Si può fare,” esclamò e si sistemò meglio sullo sgabello. Solo un secondo di silenzio e il giovane iniziò a suonare. Kazuya chiuse gli occhi e si perse tra quelle note malinconiche. Perché una canzone così triste? Se avesse riletto le sue parole in quel momento sarebbe scoppiato in lacrime di nuovo. No, si stava trattenendo dal non farlo anche solo così. Una nota vibrata, e nel buio che avvolgeva Kazuya esplosero i colori. E quando riaprì gli occhi Jin era davanti a lui, seduto sul letto, che cantava con voce disperata parole d’addio. Le ciglia erano tirate nello sforzo, e gli occhi erano socchiusi. Ma non lo stava guardando, era lontano, in un mondo diverso da quello di Kazuya. Troppo distante.
E infine la canzone terminò. Kazuya riaprì gli occhi veramente solo in quel momento e il verde degli alberi oltre il chitarrista lo disorientò. Mosse un passo indietro, la testa girò e dovette appoggiarsi ad una panchina per non cadere.
Hey, tutto bene?” domandò il chitarrista notando il viso pallido dell’altro, poi una folata di vento improvvisa portò via lo spartito. “Ah!” gridò prima che il foglio raggiungesse il piccolo lago che si trovava qualche metro più in là e si posasse leggero al suo centro. Kazuya guardò la scena come se quella fosse la conclusione di una tragedia teatrale. Crudele, ma prevedibile.
In quel momento si alzò di scatto e si inchinò al chitarrista. “La ringrazio infinitamente,” poi, senza dare la possibilità al giovane di replicare, lasciò cadere qualche banconota nel suo cappello e riprese a camminare velocemente per la propria strada.
 
Quando rientrò nell’host club era preparato psicologicamente per ricevere una sgridata da Koki. Non aveva rispettato i propri appuntamenti ed era scomparso per una notte e un giorno interi. Non aveva nemmeno fatto colazione né pranzato, e fuori ormai era buio pesto. Ecco, avrebbe lavorato un giorno in più per recuperare quella mancanza, magari un lunedì, che era il suo giorno libero. Già, avrebbe detto così a Koki e tutto sarebbe tornato come prima. Niente. Non c’era più niente che gli ricordasse quello che era successo la scorsa notte. Tutto era tornato normale.
Se non fosse stato per Koki che, quando lo vide salire le scale dell’appartamento al piano di sopra, gli si fiondo contro chiedendo dove fosse Jin.
Kazuya aprì la bocca per rispondere ma il capo non gli diede tempo: “Non si trova da nessuna parte!” esclamò agitato, “Ueda e Nakamaru dicono di averlo visto con te l’ultima volta!”
“Ecco...”
“Taguchi non riesce nemmeno a contattarlo per telefono!”
“Lui è...”
“Dov’è?”
“Se magari mi fai parlare!” sbottò Kazuya seccato e lo superò sul pianerottolo entrando nell’appartamento.
“Quindi?”
“Non risponde al telefono perché probabilmente è ancora sull’aereo,” rispose l’host cercando di mantenere la calma.
“Aereo?”
“Dì a Taguchi che sta bene e che li aspetterà a LA, è tutto quello che so. Faccenda conclusa.”
Koki si irrigidì un secondo, poi chiuse la porta dell’appartamento e fece un respiro profondo. Tirò fuori il cellulare ed iniziò a comporre un messaggio.
“Certo che sei proprio senza speranze... lasciartelo scappare così... insomma, pensavo che ci tenessi a lui... nemmeno hai voluto i suoi soldi, significa che quel vostro primo incontro non l’hai visto come lavoro. Sbaglio? Sei proprio un idiota... che ti ho insegnato fin’ora?”
Kazuya sbatté una ciotola di riso sul tavolo della cucina e lo guardò furioso.
“Sì, è vero, sono idiota! Sono un idiota per averti dato ascolto ed aver tirato fuori per la prima volta sentimenti sepolti chissà dove. Ecco perché! Perché avevo ragione, non ci si può fidare di nessuno. Tutti sono là che aspettano semplicemente il momento più adatto per pugnalarti alle spalle! E fortunatamente è successo in fretta. Non lascerà nemmeno cicatrici. Fantastico, ma cosa mi è saltato in mente? Dare retta a uno come te, che l’unica cosa che ha in mente sono i soldi. Mi hai pure fatto diventare come te!” poi si alzò e svuotò il riso nel lavandino senza averne nemmeno toccato un chicco, “Ah! E poi vieni ad inneggiarmi sentimenti come l’amore e la fiducia! Invece di dire a me che sono idiota perché non ti guardi allo specchio? Perché non hai aperto questo club a LA così saresti stato vicino al tuo Taguchi? Eh? E poi... quand’è che anche te mi pugnalerai alle spalle? Magari mi venderai per un pugno di yen al primo riccone pervertito che si presenterà al club...”
Koki gli si avvicinò e gli diede uno schiaffo in pieno viso. Kazuya sbarrò gli occhi e si portò una mano alla guancia.
“Il mondo non è solo bianco a nero,” sibilò Koki guardandolo fisso negli occhi, “Le persone hanno le loro ragioni dietro ad ogni scelta. Sai perché Jin se n’è andato? O tiri le tue conclusioni a caso?”
Si fissarono qualche altro secondo.
“Scusami...” bisbigliò Kazuya ripensando alle proprie parole e chinò il capo mordendosi un labbro. “So che non lo faresti mai.”
“Non è questo il punto. So benissimo che non lo pensi davvero, sai che io non potrei mai farti una cosa del genere, ma non immagini quanto della mia vita io abbia sacrificato per te, non puoi nemmeno vagamente immaginarlo. Ma non ti incolpo per questo, insultami se vuoi, sei solo arrabbiato. E sfogarti non può che farti bene. Ma avere pregiudizi... questo non te lo permetto,” poi prese il pacchetto di sigarette da una mensola e se ne accese una.
Kazuya pensò ancora una volta alla lettera. Che altro c’era? La ragione per cui Jin se ne era andato era palese: questa non era la sua casa. Inoltre loro due erano incompatibili, troppo diversi. Jin se ne è accorto per primo ed ha fatto la scelta più giusta, più matura. Che Kazuya non aveva avuto il coraggio di fare.
E poi non sarebbero comunque durati molto.
Koki schiacciò il mozzicone sul davanzale della finestra e sospirò.
“Non ho aperto il locale a LA perché a quel tempo non conoscevo ancora Taguchi...” disse lentamente, come se per tutto quel tempo avesse pensato scrupolosamente ad ogni singola parola di quella risposta.
“E poi?” chiese Kazuya come se fosse la cosa più naturale del mondo, “Poi perché non ci siamo trasferiti là? E possiamo ancora farlo! E’ semplicissimo! A LA ci sono molti più giapponesi che qua, faremo grandi affari, te l’assicuro! Io mi impegnerò al massimo!”
“Non possiamo perché tu...” iniziò Koki poi si interruppe e scosse la testa sorridendo. Si accese un’altra sigaretta.
“Cosa? Io cosa? Non capisco dove sia il problema!”
“Senti non possiamo e basta, e poi qua abbiamo clienti. Ci bastano e avanzano,” concluse Koki e, dopo aver spento la sigaretta, si avviò in camera.
“Ti stai sacrificando forse?”
Koki si bloccò sulla porta.
“Ti stai sacrificando per me? Ti conosco bene Koki, sputa il rospo. E smettila di pensare che agendo così stai facendo il mio bene. E’ per Jin forse? Non vuoi che io soffra ancora per lui? Non hai detto che non devo tirare conclusioni da solo? Posso parlargli direttamente se andiamo. Eh?”
“Buonanotte,” disse solamente Koki, e concluse il discorso lì.
 
La mattina dopo Kazuya si svegliò con i crampi allo stomaco e pensò che forse si sarebbe dovuto preparare una colazione piuttosto abbondante. Dopotutto il giorno prima non aveva mangiato assolutamente nulla e il suo stomaco aveva tutto il diritto di reclamare.
Scese al club e, dopo aver ripulito il frigo, iniziò a fare le pulizie. Doveva recuperare il tempo perso e smetterla con i pensieri assurdi. Ma come gli era venuto in mente di dire a Koki di trasferirsi? Per un suo capriccio poi. Inaccettabile. Ora doveva solo pensare al lavoro e guadagnare una buona somma di denaro così che... così che sarebbe diventato autosufficiente. E magari avrebbe potuto comprarsi una casa e smetterla di vivere sulle spalle di Koki. Ora che ci pensava, aveva sentito che le case in California erano abbastanza accessibili. Ma solo per questo sarebbe andato a vivere là. Solo perché abitare là era meno costoso rispetto allo Stato di New York.
E poi, chissà, un giorno sarebbe potuto arrivare anche in Giappone. Si chiese se Koki avesse trascorso l’infanzia là. Ma perché quell’uomo è sempre così restio a parlare di cose importanti come queste? E poi perché mi sta nascondendo qualcosa?
“Kamenashi?” qualcuno appena entrato nel club lo chiamava, ma quando Kazuya si girò per avvertire che non erano ancora aperti si ritrovò davanti Junnosuke che lo salutava con la mano. La scopa gli cadde di mano.
“Volevo ringraziarti per averci avvertito di dove si trova Jin,” e si inchinò leggermente, “Quello lì fa sempre come gli pare, mi scuso se ti ha causato problemi.”
Perché continua ad arrivare gente che mi parla di lui?
“Non ti preoccupare,” commentò Kazuya scuotendo il capo e raccolse la scopa da terra, “Va tutto bene.”
“Meno male,” sorrise il manager, poi si inchinò una seconda volta, “Allora io vado.”
“Ah!” esclamò Kazuya, “Koki è di sopra.” Non vuoi vederlo prima di tornare a LA?
Junnosuke lo guardò inclinando il capo. “Vado a salutarlo,” disse solo e si incamminò su per le scale.
Kazuya sorrise e tornò ai suoi pavimenti. Niente da fare, niente sarebbe tornato più come prima.
 
Per tutto il mese successivo Kazuya lavorò due volte il normale, eliminando qualsiasi pausa e privandosi persino del giorno libero. Nella sua testa non c’era altro che l’espressione sorpresa di Jin nel vederlo davanti alla propria camera d’albergo. L’unico momento che si era impresso nella sua mente. E solo da poco si era ricordato di un’altra frase scritta nello spartito: “Vederti alla mia porta mi ha reso così felice...”.
E allora perché?
Il liquore che stava servendo fuoriuscì dal calice e la ragazza davanti a lui sussultò.
“Oh, Kame-chan, cosa ti prende?”
“Eh...?” Kazuya tornò bruscamente alla realtà e si scusò con le clienti. “Forse sono solo un po’ stanco...”
“Oooh...” commentarono le altre due ragazze ai suoi fianchi e gli presero la bottiglia di mano. “Tu sta pure seduto, ci pensiamo noi!”
Kazuya si portò una mano tra i capelli. Lo sto facendo per essere indipendente. Solo questo. Devo impegnarmi di più.
Inclinò il capo di lato e sfoggiò uno dei suoi sorrisi più belli, “Siete così gentili, come farei senza di voi?”
 
Koki riapparve da dietro una tendina rossa con il cellulare in mano.
“Ho delle novità,” esclamò raggiungendo Kazuya che si era lasciato andare stremato su un divanetto.
“Alle 3 e mezza di notte?” si lamentò l’host, “E’ appena andata via l’ultima cliente, lasciami riposare...”
Koki lo ignorò e si sedette accanto a lui.
“Riguarda il gruppo Tokyo Robu...”
Kazuya aggrottò le sopracciglia, dove aveva già sentito quel nome? Era...
“Il gruppo di Jin?!” saltò su.
“Sì, stanno per pubblicare il loro secondo album, e domani uscirà il singolo principale. Tra mezzora ci sarà la replica di una loro conferenza in tv... risale a qualche giorno fa.”
“Perché me lo stai dicendo? Non ti capisco...”
Koki fece spallucce, “Non mi capisco neanche io.”
Un paio di altri host si avvicinarono al capo per parlare delle loro clienti e lamentarsi per gli orari impossibili. Kazuya sospirò. Se il loro gruppo promuove il singolo in tv significa che sono pure abbastanza famosi. Ma lui di musica non ci capiva nulla, e nemmeno la ascoltava. Qual’era il suo gruppo preferito? Non l’aveva. L’ultima canzone ascoltata? Forse dieci anni prima accendeva la radio ogni tanto.
Ma da quando la mia vita è così noiosa? Da sempre probabilmente.
Si alzò soffiando fuori l’aria e gli altri host lo guardarono storto. Non andava molto a genio ai suoi colleghi. Forse erano gelosi. Per il suo viso, la sua voce e i suoi occhi. E forse perché lo chiamavano il cocco del capo.
Ma a lui non erano mai veramente importate le relazioni con gli altri. Gli bastava Koki. Gli bastava? Ora non ne era più tanto sicuro. Ma avrebbe continuato a mentire a se stesso che non aveva bisogno di nessun altro. Poteva farlo ancora per un po’.
“Koki, vado a dormire, sono stanco.”
L’altro smise un secondo di parlare con gli altri e lo salutò. “Ci vediamo domani, no?”
Kazuya aggrottò le ciglia, “Ovvio, che domande fai...”
Koki sorrise e tornò ai suoi affari.
 
Il programma iniziò in orario.
Rivedere di nuovo Jin, seppure attraverso uno schermo, gli provocò un nodo alla gola. Avvicinò il proprio viso allo schermo, cos’hai di diverso? Quelli non erano gli stessi occhi che si erano socchiusi appena prima del loro primo bacio. E quelle occhiaie scure...
Poi iniziò a rispondere alle domande dei giornalisti e Kazuya lasciò perdere quelle discordanze. Era proprio la sua voce. Roca, lasciva, irresistibile. Era proprio Jin.
Tornò a sedersi composto sulla sedia e alzò leggermente il volume. In sottofondo riusciva a sentire qualcosa di familiare. Tese le orecchie, non ci credeva: era proprio la melodia di quello spartito. Strinse forte le palpebre, non doveva piangere, si era ripromesso che non avrebbe più pianto per nessuno, tantomeno per lui. Però... non riesco a capire le parole...
Quindi il singolo che uscirà la prossima settimana sarà la canzone cardine di tutto l’album?
Kazuya iniziò a prestare attenzione anche a quello che dicevano.
Beh,” Jin ci pensò su un momento, “In effetti le altre canzoni sono state scritte con l’aiuto di Nakamaru, e Ueda ha fatto i vari arrangiamenti. Mentre per Genkiè un altro discorso... diciamo che quella è completamente a parte. L’ho scritta ed arrangiata io, ed è una canzone completata non più di un mese fa,” poi si mise a ridere, “Non so perché gli altri abbiano insistito così tanto perché diventasse il singolo principale.”
Nakamaru scosse la testa, “Abbiamo deciso all’unanimità, perché quella è una canzone concreta, che è nata da esperienze dirette di vita, e crediamo che sia la più adatta.”
Ueda annuì, “Ascoltatela, è davvero bella.”
Quindi,” domandò una giornalista dalla voce squillante, “Possiamo dire che si riferisca a qualcuno di reale?”
Jin venne un po’ preso alla sprovvista e fulminò con lo sguardo i suoi compagni che non avevano saputo tenere la bocca chiusa.
Ecco... sì.”
Un brusio si disperse tra la folla di fotografi e giornalisti. Kazuya ebbe un tuffo al cuore. No, non ci credo.
E chi è la fortunata?”
Nakamaru si coprì il viso con una mano e Ueda guardò da un’altra parte come se volessero dire: “Ora cavatela da solo.”
Ehm... in effetti... non avrebbe senso dirlo.”
Che risposta strana!” esclamò ancora una volta la giornalista, “E perché?”
Jin scosse la testa, poi tornò a guardare dritto davanti a sé e sorrise, “Fate finta che non sia io a cantare, ma qualunque innamorato che si è separato dalla persona più importante della sua vita, e che stia dedicando quelle parole proprio a quella persona.
Ci furono delle risate di approvazione da parte di quasi tutta la folla. Quelle parole rimbombarono per diversi secondi nella testa di Kazuya, poi l’host chiuse gli occhi cercando di ritrovare la concentrazione.
Allora aspettiamo tutti con ansia l’uscita di questo singolo, siamo sicuri che sarà degno di voi.”
Annuirono. Poi Nakamaru concluse: “Non vi deluderà, grazie mille a tutti.”
Kazuya spense la tv proprio in quel momento e si mise una mano sul petto. Perché diavolo batti così forte? Idiota!
Poi si infilò sotto le coperte senza togliere i vestiti.
Oddio... sbaglio o Koki ha detto che il singolo uscirà domani? Ma... dato che sono le 4 di notte... intendeva domani, o si è sbagliato per via dell’ora e significa che uscirà oggi stesso? Il che significa che fra qualche ora si troverà in tutti i negozi di cd e... no, no, non posso ascoltarla, ho vissuto venti anni senza musica e non morirò se continuerò in questo modo. Non ce la faccio ad ascoltare le parole del singolo e a non pensare che siano dedicate a me. Ma che presunzione. Però, e si raggomitolò sotto le coperte, perché ora sto sorridendo come un ebete?
 
Come già gli era successo, si ritrovò senza volerlo fuori di casa a camminare in direzione del negozio di dischi più vicino. Sospirò e una nuvoletta di fumo uscì dalle labbra. Alla fine eccomi qua, pensò stringendosi nel cappotto, fuori di casa alle nove di mattina per andare a comprare un cd. Koki non si era ancora alzato, sorrise al pensiero. Quell’idiota penserà che sia scappato di casa... fortuna ho pensato bene di lasciargli un biglietto in cucina. Sentirai gli insulti quando torno...
Arrivato al negozio di dischi entrò senza troppe cerimonie e si diresse subito al bancone informazioni.
Scusi...” domandò al commesso con un po’ d’ansia, “E’ uscito il nuovo singolo dei to... to... Tokyo Robu...?”
Ci mise un po’ per ricordarsi il nome del gruppo ma alla fine sembrava proprio che l’avesse azzeccato dal momento che il commesso gli sorrise indicandogli uno scaffale.
Ah, grazie...”
Si avvicinò e prese un cd a caso, ce n’erano davvero tante copie. Lo osservò un po’. La copertina era piuttosto semplice, al centro c’era scritto il nome del singolo in stampato maiuscolo e sullo sfondo vi era disegnata una mano che si protraeva in avanti, come a volerti invitare ad afferrarla.
Kazuya arricciò le labbra e si avviò verso le casse.
 
Decise di tornare a Central Park, così, senza motivo, e si sedette su quella panchina che si trovava proprio davanti al chitarrista di strada che, tempo fa, gli aveva suonato quello spartito d’addio. Pensò che non ne conosceva nemmeno il nome. Chissà se quel ragazzo era davvero esistito... magari era solo qualcuno mandato per far sì che quello spartito incomprensibile potesse prendere vita.
Si guardò un po’ intorno, a quell’ora mattutina c’erano solo corridori singoli e il parco era semideserto. Tirò fuori dalla borsa un vecchio lettore cd. Era un regalo di Koki di quando doveva avere al massimo dieci anni ma non lo aveva mai usato. Trattenne una risata, chissà se si è mai arrabbiato per questo, magari ha pensato che non mi piacesse.
E invece a distanza di anni, guarda un po’, si è rivelato utile. Tirò fuori anche il cd e lo mise nel lettore, poi infilò le cuffie e spinse il tasto play.
 
Ah, non puoi perdonarmi, vero?
Non riesci a lasciar perdere, vero?
 
Le persone non faranno nulla per te.
Non ti insegneranno nulla.
Tutto quello che devi fare è vedere il mondo con i tuoi stessi occhi.
Questo mondo è tuo, solo tuo.
 
Questo mondo... di quale mondo stai parlando? Del tuo? Del mio? Non sono due cose separate?
O siamo davvero sotto lo stesso cielo? Forse condividiamo lo stesso mondo. Un solo cielo, un solo destino.
Rimise la traccia da capo. Una, due, tre, quattro volte... finché quelle domande non trovarono una risposta.
Te lo prometto. Se questo mondo è davvero mio, ti prometto che lo vedrò con i miei occhi.
 
E se gli occhi dovessero frantumarsi,
Tendi le orecchie e ascolta attentamente
Il cinguettio degli uccelli,
Il fruscio degli alberi,
Il rumore delle automobili e della metropolitana,
Il suono del vento che soffia tra i grattaceli.
 
E se qualcuno ti portasse via quelle orecchie,
Tu hai ancora i palmi delle mani.
Senti il mondo con quei palmi.
No, non hai bisogno del mondo.
Anche se ci sarai solo te là,
Questo basterà.
 
Si asciugò gli occhi e chinò il viso nel momento in cui una scolaresca passò lì davanti. Premette le cuffie più a fondo per imprimersi quelle ultime parole.
 
Con i miei palmi, con la punta delle dita,
Voglio sfiorare le tue guance.
 
Ah, anche se solo in sogno,
Voglio vederti.
 
Voglio vederti.
 
Kazuya tornò in appartamento giusto in orario per l’apertura del club. Era così immerso nell’ascolto di quella canzone che non si era nemmeno accorto che, ormai, il sole aveva lasciato questo giorno.
Quando Koki lo vide rientrare non osò dirgli nulla. Anche senza il biglietto, sapeva benissimo cosa avesse fatto Kazuya quella mattina e tutto il pomeriggio, ma restò sulla porta della camera ad osservarlo mentre si cambiava, con quei suoi occhi persi chissà dove e le labbra che si muovevano in silenzio.
Una volta finito di allacciarsi le scarpe laccate, Kazuya si alzò di scatto e salutò il capo con un gesto veloce della mano.
“Anche per oggi, buon lavoro,” disse, ma era evidente che quella era solo una frase di rito, pronunciata involontariamente e per abitudine.
 
Questa volta, quando tornò in camera, erano le quattro di notte e gli occhi gli si chiudevano da soli. Fece fatica a mantenere concentrata la vista ed accese il proprio laptop.
Tra i preferiti c’era la homepage di un’agenzia immobiliare che proponeva prezzi abbastanza accessibili per appartamenti al centro di Los Angeles.
Si segnò su un pezzo di carta il numero di telefono degli uffici ed andò a dormire. Era determinato ad andare fino in fondo.
 
Quando si svegliò era già ora di pranzo.
Koki aveva cercato di svegliarlo più volte durante la mattinata ma Kazuya non aveva fatto altro che rispondere con dei mugugni incomprensibili e girarsi dall’altra parte.
Non appena si fu lavato per bene il viso prese il cellulare e compose quasi ad occhi chiusi il numero dell’agenzia, l’aveva letto così tante volte la notte prima che se l’era imparato a memoria.
Seduto sul letto, la mente si riempì del segnale di linea libera del telefono.
Dopo un breve lasso di tempo rispose una voce maschile e Kazuya gli chiese subito informazioni per un appartamento che aveva visto in foto nel sito.
La conversazione non durò molto, l’assistente spiegò dettagliatamente tutte le procedure ma il loro capo non era là al momento, e a Kazuya venne chiesto di richiamare nel tardo pomeriggio.
“L’appartamento glielo fermo, signore?” domandò in ultimo la voce.
“Sì,” rispose Kazuya senza la minima esitazione.
“Perfetto! Lei ha uno strano accento, non è del posto?”
Kazuya esitò un attimo. Nessuno gli aveva mai detto una cosa simile, al massimo si stupivano per l’inglese perfetto a causa della fisionomia del viso, ma l’accento... eppure, non sapeva perché, ma quella domanda lo rese felice. Avrebbe voluto avercelo, quell’accento giapponese. Mi sento davvero giapponese, ma gli unici che mi chiedono se lo sia davvero sono le clienti nell’host che notano un accento piuttosto marcato. E’ stato Koki ad insegnarmi entrambe le lingue, ma allora nemmeno lui ha vissuto mai in Giappone? E dove l’ha imparato?
“Veramente no, sono di New York.”
“Ah! Ecco, mi sembrava di riconoscerlo infatti, ho degli amici là, sa? Brava gente i neworkesi... un po’ troppo stressati forse,” rise la voce.
“Com’è la California invece?”
“Siamo decisamente più rilassati... e felici.”
“Allora grazie mille delle informazioni, richiamerò di sicuro.”
Quando chiuse il cellulare restò qualche secondo a guardarlo. Poi lo lanciò sulla scrivania come scottasse e si portò le mani nei capelli.
“Sono impazzito!?” esclamò da solo e iniziò a scuotere il capo. No, no, che diavolo sto facendo? Trasferirmi? Perché diavolo quel tizio mi ha risposto al telefono? Avrei potuto benissimo credere che una cosa simile non sarebbe stata possibile e invece... un semplice e puff! Ho prenotato un appartamento a LA. Il mondo deve essere impazzito quanto me. Come si può premettere una cosa simile? E’ inaccettabile.
Poi si alzò dalla sedia. Devo dirlo a Koki, così ci penserà lui ad ammazzarmi nella maniera più dolorosa che conosce.
Scese al piano di sotto di corsa e vide Koki davanti alla porta.
“Ehm...” lo chiamò Kazuya e Koki si voltò, “A proposito... dovrei dirti una cosa...”
“Sì, certo... ah!” esclamò poi guardando l’ora, “Però... ho appuntamento dal parrucchiere! Torno questa sera per l’apertura del locale! Ne parliamo dopo, okay?”
Kazuya rimase a bocca aperta e lasciò semplicemente uscire l’aria, “Ah... sì, certo.”
Poi osservò l’altro prendere il cappotto ed uscire dal locale.
Gli uscì un sospiro. D’accordo, ma quando torni avrò ancora il coraggio di parlartene?
 
Si rintanò in camera e sprofondò nel letto.
Il tempo che passava veniva scandito dalle lancette dell’orologio al polso ma Kazuya non sapeva dire di preciso che ora fosse. Il sole intanto iniziava a scendere fuori dalla finestra e presto si fece buio.
Mentre era là, disteso inerte a fissare il soffitto, non pensava a qualcosa di particolare. L’istinto gli diceva che doveva prepararsi un minimo di discorso da fare a Koki. Spiegare le ragioni, e rassicurarlo che aveva abbastanza soldi per vivere da solo -poi si sarebbe trovato un lavoro eccetera- ma la mente aveva deciso di non voler collaborare. Si sentiva come dentro ad una bolla d’acqua. Le orecchie perdevano lentamente il loro senso e gli occhi si facevano pesanti. Non aveva sonno, semplicemente gli venne una voglia improvvisa di isolarsi dal mondo e non tornare indietro mai più. Come sarebbe stato bello rimanere là distesi per sempre, dimenticandosi del tempo e dello spazio. Chi glielo faceva fare di gettare il sasso nel lago della sua vita e scombussolare tutto? Non stava bene così com’era? Non gli andava bene la vita che aveva vissuto fino a quel momento?
Poi un rumore lo scosse e le orecchie tornarono a funzionare. Koki doveva essere rientrato. Ma che ore sono allora? Guardò l’orologio al polso e gli venne un colpo. Scattò in piedi e recuperò il cellulare sulla scrivania.
“Perché diavolo non ti accendi?” chiese ad alta voce, come se quell’apparecchio potesse rispondere, poi lo rigettò sulla scrivania. Si fiondò sul telefono fisso all’entrata della camera. Non devo pensare. Non devo pensare. Agire e basta, altrimenti è finita.
Si portò la cornetta all’orecchio e fece per comporre il numero. Ma si bloccò. Qualcuno era già in linea.
“Non lo so... è strano,” diceva una voce, era Junnosuke?
“In che senso?” domandò quella che invece era, senza alcun dubbio, la voce di Koki.
“E’ da quando siamo tornati che si comporta in modo strano... certo, uscire di casa ogni tanto per andare a locali è una cosa che faceva da sempre, ma ora lo fa costantemente, ogni sera. E non so nemmeno a che ora torni a casa. Ma se lo chiamo non risponde mai almeno fino alle quattro di mattina. Una volta ho chiamato a casa sua alle sei e mi ha detto che era appena tornato. E... a volte... diventa pure violento se provi a parlargli.”
“Capisco,” commentò Koki aggrottando le sopracciglia.
“E poi... ha delle occhiaie... nemmeno il trucco riesce a coprirle ormai.”
“Ma cosa gli è successo?”
“Io... non sono sicuro... però... ho il timore che possa fumare qualcosa di strano...” il tono di Junnosuke era decisamente preoccupato.
“Non mi dirai che si droga...”  
“Non lo so...”
Il cuore di Kazuya ebbe un tuffo.
“Koki, non dirlo al ragazzo però...”
“Uhn...”
Ma Kazuya non era più al telefono ad ascoltare. In meno di un secondo piombò nella camera di Koki. Junnosuke aveva appena lanciato quel sasso nel lago al suo posto.
“Kazuya!” esclamò Koki non appena lo vide. I suoi occhi erano sbarrati. Koki capì al volo che aveva sentito tutto.
“E’ là?” domandò Junnosuke.
“Scusa, ti richiamo,” gli rispose Koki ed attaccò.
“Parlavate di Jin, non è vero?” domandò Kazuya muovendo un passo avanti.
“Non è sicuro... sono solo supposizioni...”
“Jin non si drogherebbe mai.”
“Sai, i musicisti sono tutti un po’ così...”
“Ti ho detto di no! Lui non è come gli altri!”
Koki lo fulminò con lo sguardo. “E tu che ne sai di come sia? Puoi davvero dire di conoscerlo?”
Kazuya prese fiato ma le parole rimasero là, bloccate in gola. Una notte di sesso non significa niente. Lo sapeva bene. E perché allora mi sto dando così tanto da fare per trasferirmi...?
Si lasciò andare sul letto di Koki e sospirò.
“Cosa volevi dirmi prima?”
Kazuya lo guardò. “Mi trasferisco a Los Angeles. Ho già prenotato un appartamento in centro.”
Silenzio.
Poi Koki lo afferrò per le spalle.
“No,” disse secco, “Tu non puoi andare, disdici tutto. Dimentica tutto.”
“Non ti preoccupare, da quando lavoriamo insieme non ho mai speso un solo dollaro in stupidaggini. Ho risparmiato sempre, non sapendo perché, ed ora ho una bella somma in banca. Potrei vivere là un anno senza dover nemmeno lavorare.”
Koki si sedette sul letto accanto a lui senza mollare la presa.
“Non è per i soldi...”
Kazuya aprì la bocca.
“...e non è nemmeno perché ti voglio qui con me,” concluse Koki con un ghigno, “Non sono mica così piagnone.”
Kazuya rise piano e scosse la testa.
“Devo andare.”
“No. Non devi. Cosa ti spinge là?”
“Koki, se è per via del locale hai già tanti host qualificati per andare avanti, non hai bisogno di me.”
“Kazuya, non capisci! Non me ne frega un accidente dei soldi!” gridò Koki stringendo le dita sulle spalle dell’altro. Si fissarono per un lungo lasso di tempo senza dire altro.
Poi Kazuya buttò fuori l’aria: “E allora perché non posso andare...”
“Puoi andare dove vuoi! Ma non a Los Angeles... ti prego, non là...”
“Eh? Non ti seguo...”
Koki lo lasciò andare e chinò la testa.
“Venticinque anni fa, camminavo per una strada della mia città natale. Ero nato là, ma non avevo mai visto i miei genitori che, appena nato, mi lasciarono in un orfanotrofio con la promessa che sarebbero tornati. Quella strada in cui camminavo era proprio dietro a quell’orfanotrofio, e passavo là ogni giorno. Però, quel giorno, un rumore che proveniva da un vicolo attirò la mia attenzione. Avevo solo quindici anni e pensavo che magari avrei trovato un animaletto da portare a far vedere agli altri ragazzi, per vantarmi. E invece...” poi sorrise, “...ho trovato un ragazzino puzzolente di circa cinque anni che dormiva tra i cassonetti.”
Kazuya alzò il viso verso l’altro. Ero io. Ma io non ricordo assolutamente nulla di ciò che era accaduto prima di allora.
“Perché mi dici questo? Lo so già... e se vuoi sapere come sono finito là non saprei che dirti.”
Koki scosse la testa.
“Sai che città fosse quella? Sai quale sia la mia e, probabilmente, la tua città natale?”
Kazuya lo osservò in silenzio.
“Los Angeles. Era Los Angeles.”
“L-lo...?”
“Chissà cosa sarebbe successo se, quel giorno, non ti avessi raccolto e non avessi odiato così tanto i tuoi genitori perché ti avevano riservato un destino peggiore del mio... chissà se ora sarei ancora là...” fece una pausa,  “Magari i miei sono pure tornati a cercarmi in tutto questo tempo.”
Kazuya non sapeva che dire, restava semplicemente a bocca aperta ad ascoltare.
“Ecco perché... perché non puoi tornare là. Che razza di genitori abbandonano il proprio figlio in un vicolo?”
“Koki...”
“Se dovessi rivederli... e loro ti dicessero che non ti vogliono ora, così come non ti volevano allora, tu cosa faresti?”
“Potrei risponderti solo dopo aver vissuto un’esperienza del genere.”
Sapeva che era stato abbandonato dai suoi genitori. E sapeva anche di Koki, dell’orfanotrofio e del suo odio per i propri genitori. Ma... nascondermi che era scappato e che mi aveva trascinato con sé... per poi rivelarmi che non aveva più avuto la possibilità di rivedere i suoi genitori per causa mia... è troppo in una volta.
“Ti sei addossato tutto sulle spalle e hai deciso anche per me... perché?”
“Te l’ho detto!” esclamò Koki, “Ti avrebbe fatto ancora più male restare là e scoprire che i tuoi genitori non ti volevano!”
“Tu però avresti potuto rivederli... tu non sei stato abbandonato perché non ti volevano...” poi strinse i denti, “Smettila di sacrificarti, cazzo!”
Koki si immobilizzò. Kazuya scosse la testa e cercò di calmarsi. Poggiò una mano sulla sua spalla.
“La mia vita a NY è sicuramente stata migliore di quella che avrei condotto restando a LA. Ne sono certo, non rimpiango nulla di quello che ho vissuto qui con te. Ma ora è il momento per me di scoprire come voglia davvero vivere d’ora in poi.”
Koki aggrottò le sopracciglia.
“Pensavo di essere nato qui a NY,” continuò Kazuya, “Ma, sebbene questo, non ho mai cercato mia madre. Non vado a LA per cercare il mio passato, ma per scoprire il mio futuro. Tu, invece, cosa farai?” sorrise, “Torni a casa con me?”
Koki non rispose.
“Ma perché hai tenuto tutto dentro?” domandò ancora Kazuya sospirando, “Non ti sentirai mica più forte per questo...”
“Idiota, l’ho fatto per...”
“Non mi dire che l’hai fatto per me,” lo interruppe Kazuya con voce ferma, “Mi sono rotto le palle di questa frase. Quanto ancora vuoi continuare a farmi sentire un fardello sulle tue spalle?”
Per la seconda volta, Koki non rispose.
“A proposito, devo chiamare l’agenzia che mi affitta l’appartamento. E’ arredato e tutto, basta solo spedire i bagagli. E’ pure un appartamento per due ma ho detto che avrei pagato tutto io. Se invece dovessi venire anche te la cosa sarebbe più facile. Non mi dire che non vuoi andare. Non per il passato, non voglio che tu torni a LA per quello che è successo, ma per iniziare daccapo. So che lo vuoi.”
“Io...”
“Ora non hai più scuse, quello che ti bloccava ero io. Sono sempre stato io. Ma ora ti do il permesso di vivere come vuoi, che ne dici?”

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Continua....
   
 
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