Crossover
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Autore: Registe    28/02/2012    3 recensioni
Prima storia della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
In una Galassia lontana lontana (ma neanche troppo) l'Impero cerca da anni di soffocare l'eroica Alleanza Ribelle, che ha il suo quartier generale nella bianca citta' di Minas Tirith, governata da Re Aragorn e dal suo primo ministro lo stregone Gandalf. I destini degli eroi e malvagi della Galassia si intrecceranno con quelli di abitanti di altri mondi, tra viaggi, magia, avventure, amore e comicita'.
In questa prima avventura sulla Galassia si affaccia l'ombra dei misteriosi membri dell'Organizzazione, un gruppo di studiosi dotati di straordinari poteri che rapisce delle persone allo scopo di portare a termine uno strano rito magico da loro chiamato "Invocazione Suprema"...
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anime/Manga, Film, Libri, Telefilm, Videogiochi
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 14 - Quando una Ninfa si annoia


Larxen

Larxen




Axel era nel bel mezzo della sua quotidiana siesta post-pranzo quando ricevette una visita inattesa.
“Axel! Svegliati, dai, su forza Axel!”
Il numero VIII dell’Organizzazione si agitò pigramente tra le coperte, mugugnando qualcosa di molto simile a: “Ancora cinque minuti….”
“Oh che noia stai sempre a dormire! Dai alzati che devo dirti una cosa importante….”
Per tutta risposta Axel seppellì la testa sotto al cuscino. Ma il suo interlocutore non si fece scoraggiare, e gli strappò via il cuscino mandandolo a volare contro il muro.
“SVEGLIA!!”
Axel si arrese. Si stropicciò gli occhi e finalmente li aprì, mettendo a fuoco il disturbatore della quiete. Larxen. Già, quella vocetta acuta e incredibilmente trapanatimpani non poteva che appartenere a lei. Era sorridente e piena di energia, come al solito.
Ma non le si scaricano mai le pile?
“Yawn…okay, okay, sono sveglio….” si sollevò su un gomito “che diamine vuoi? E’ successo qualcosa?”
“Niente…o meglio, non ancora” rispose Larxen con un sorrisetto furbo “Ho una proposta da farti”.
“Ovvero?” chiese Axel mettendosi seduto.
“Beh, ecco…per farla breve, avrai notato che Vexen in questi ultimi tempi sta diventando decisamente…fastidioso. Pretende di darci ordini come se fosse il nostro capo e non ci dice mai nulla di quello che...”
“Larxen….” la interruppe Axel, che già aveva intuito cosa stesse passando per la testa della ragazza “Dove vuoi andare a parare?”
“E’ semplice, Axel. Io credo che dovremmo, come dire….eliminarlo.”
Axel si sentì rabbrividire: Larxen sorrideva come una bambina che pregusta un pomeriggio di divertimento al parco giochi.
“Ti rendi conto della cazzata che hai appena detto?!”
“Axel, quel vecchio ci nasconde qualcosa, è ovvio! Hai visto quel suo Nucleo Nero… chissà quante altre invenzioni pazze tiene nascoste nel laboratorio in attesa di usarle contro di noi! Ci scommetto quello che vuoi che lui non ha alcuna intenzione di dividere con noi il potere dell'Invocazione Suprema...”
“Larxen…posso capire il tuo ragionamento, ma….” Axel si alzò in piedi, guardando negli occhi la ragazza. “Qualsiasi cosa lui abbia intenzione di farci, aspetterà che il piano sia andato a buon fine per agire. E anche noi dovremmo fare così. Non ha senso mettersi l’uno contro l’altro in un momento delicato come questo.”
“Ma perché aspettare? Lui è molto più debole di noi, cosa vuoi che ci succeda?”
“Se pensi che sia così semplice allora perché sei venuta a chiedere aiuto a me?”
“Beh, in due ci si diverte di più!”
Axel sospirò. Immaginava che prima o poi sarebbe successa una cosa del genere. Larxen e Vexen erano due mondi completamente agli antipodi: lui razionale, prudente e riflessivo; lei irrequieta, incostante, infantile, non prendeva mai nulla sul serio, come se la vita non fosse per lei altro che un grande gioco. Ma se a Vexen non mancava il buonsenso per capire che era necessario mettere da parte le rivalità personali per la buona riuscita del piano, lo stesso non si poteva dire di Larxen. Axel sospettava che alla ragazza in fondo del piano non importasse nulla; probabilmente aveva accettato di farne parte semplicemente perché lo riteneva uno svago divertente. Ma ora si era stufata di quel gioco, e smaniava dalla voglia di cominciarne un altro.
“Senti, Larxen…Vexen ci serve, non possiamo ucciderlo ora.”
“Ci serve? Non vedo altra utilità in quel vecchio pedante e antipatico se non quella di fare da affilatoio per i miei kunai! Possiamo benissimo mandare avanti il piano senza di lui…e, se vuoi saperlo, anche senza quell’essere inutile di Zexion, che ancora non ho capito perché continuiamo a portarcelo appresso…. avremmo dovuto farli fuori subito insieme a tutti gli altri!”
“Senti, mi dispiace ammetterlo, ma la persona più importante per il piano è proprio Vexen. Ragiona: chi è che ha studiato il funzionamento delle Stanze della Memoria? Vexen. Chi ha capito come si usano? Vexen. Chi ha scoperto l’Invocazione Suprema? Toh guarda, sempre Vexen. Senza di lui non riusciremmo nemmeno a capire cosa dicono i libri sulle Stanze! E anche il potere di Zexion ci è utile.”
“Uffa!” fu il solo commento di Larxen all’intero discorso. “E va bene, ho capito! Come non detto! Certo che quando ti ci metti riesci a diventare ancora più noioso di Vexen…” . Fece un largo gesto con la mano e un corridoio oscuro si aprì alle sue spalle. Stava già per entrarvi, quando Axel la fermò: “Larxen!”
“Cosa vuoi ancora?”
“Non lo farai?”
“Non lo farò. Per ora almeno. Ma te lo dico subito, quando tutto sarà finito non riuscirai a fermarmi.”
“Sta bene. Ma non ti far venire strane idee in mente ora….ti conosco troppo bene, Larxen. Ricorda che ti tengo d’occhio”.
“Bla, bla, bla! Grazie per la fiducia, eh! Ma risparmiati il disturbo… non succederà proprio un bel niente” . Si voltò indispettita e si tuffò nel portale, che svanì pochi secondi dopo lasciando Axel finalmente libero di riprendere la pennichella interrotta.



Larxen attese a lungo che gli occhi si abituassero all’oscurità del laboratorio. Nel limbo in cui si trovava il Castello, il cui cielo era sempre nero, il giorno e la notte erano concetti puramente convenzionali, e Larxen aveva aspettato il momento in cui tutti andavano a dormire per mettere in atto il suo piano, certa che Axel non avrebbe mai rinunciato alle sue otto ore di sonno per sorvegliare lei.
Dopo qualche minuto riuscì a distinguere i contorni dei mobili attorno a lei: miriadi di scaffali stracolmi di libri, tavoli, macchinari strani. Si fece strada silenziosamente attraverso l’enorme stanza, attenta a non urtare nulla.
Per prima cosa devo trovare lui, dopodiché... che abbia inizio il divertimento!
Stava camminando in uno stretto corridoio tra due file di scaffali particolarmente lunghe, quando notò un debole chiarore davanti a sé. Si immobilizzò all’istante.
E' ancora sveglio?!
A passo felpato avanzò rasente a uno degli scaffali, e arrivata al bordo sporse la testa per dare un’occhiata. Il chiarore proveniva da una piccola lampada su una scrivania, alla quale era seduto Vexen. Lo scienziato dormiva. La testa appoggiata tra un immenso librone aperto e una pila di fogli di appunti, la penna ancora stretta fra le dita; il sonno doveva averlo colto nel bel mezzo del suo lavoro.
Alla faccia del grande studioso!
La ragazza uscì allo scoperto, avvicinandosi alla scrivania, ed improvvisamente un oggetto appoggiato allo scaffale di fronte catturò la sua attenzione: un grande scudo blu a forma di goccia, decorato da cinque punte sul bordo superiore. Sembrava forgiato in un metallo sconosciuto, estremamente lucido. L’arma di Vexen. Larxen lo raccolse da terra – malgrado le dimensioni era incredibilmente leggero – e lo impugnò per la maniglia nella parte posteriore, assicurandoselo al braccio: era il momento di cominciare. Si guardò intorno.
Quel tavolo laggiù per iniziare sarà perfetto!
Sbatté lo scudo sul tavolo con violenza inaudita, mandando in frantumi tutte le provette che vi erano ordinatamente schierate sopra; poi con un calcio buttò all’aria il tavolo stesso, mandandolo a schiantarsi contro uno scaffale, che traballò e rovinò al suolo in un tripudio di schegge. I libri furono scagliati in tutte le direzioni, alcune pagine si staccarono e svolazzarono allegramente per la stanza.
Spettacolare!
A quel fracasso tremendo Vexen si svegliò all’istante, ma non ebbe nemmeno il tempo di capire se ciò che gli si parava davanti agli occhi era un incubo oppure la realtà che Larxen, scivolatagli alle spalle, gli assestò un colpo tremendo alla nuca con il suo stesso scudo. Lo scienziato rotolò giù dalla sedia e si accasciò a terra privo di sensi; Larxen lo degnò appena di sguardo, poi tornò tutta soddisfatta alla sua opera di devastazione. Evocare i kunai, tagliare subito la gola a Vexen e andarsene sarebbe stato veramente banale e noioso: il laboratorio era insonorizzato, quindi non era necessario fare le cose di fretta. Poteva divertirsi un po’. L’unico che avrebbe potuto accorgersi di ciò che stava succedendo era Zexion, ma il ragazzino-ameba non le faceva alcuna paura.
Sollevò il braccio senza scudo ed evocò il fulmine, il suo elemento. Lampi e saette si abbatterono senza pietà sui mobili, mentre la ragazza vi danzava in mezzo menando colpi di scudo a destra e a manca, tirando calci, lacerando libri con i suoi micidiali kunai. Rise. Si stava divertendo un mondo!
La sua gioia raggiunse il vertice quando scoprì l’esistenza del forno, che regolò alla massima temperatura, gettandovi i libri ancora intatti e tutti gli appunti dello scienziato. Osservò con estremo godimento le fiamme circondare e divorare il mucchio di carta come un branco di belve con la sua preda indifesa.
Abbi solo un attimino di pazienza, Vexen, molto presto mi occuperò anche di te.



Un getto di acqua gelida in faccia lo strappò alle tenebre dell’incoscienza.
Cosa gli era successo…? Ricordava solo poche immagini di un incubo confuso, un dolore improvviso e lancinante, poi solo buio.
Per quanti sforzi facesse non riusciva a muovere le gambe e le braccia; non sentiva nulla, all’infuori di un dolore pulsante alla testa e la sensazione di bagnato sul viso.
Con uno sforzo immane riuscì infine a socchiudere gli occhi. Sbatté le palpebre più volte, cercando di mettere a fuoco l’ambiente circostante. Quello sopra di lui… sì, era il soffitto del laboratorio, solo che ora tutte le luci erano accese. Provò a sollevare la testa piano piano; sembrava l’unica parte del corpo in grado di muoversi.
E ciò che vide fu sul punto di farlo svenire un’altra volta. Si trovava su uno dei suoi lettini operatori, e non riusciva a muoversi per il semplice motivo che aveva polsi e caviglie legati dalle stesse cinghie che erano servite ad immobilizzare Mistobaan durante l’operazione. Ma la cosa più terribile era lo spettacolo oltre il lettino: sedie rovesciate, tavoli distrutti, frammenti di vetro che galleggiavano sul miscuglio di composti chimici che inondava vaste porzioni del pavimento, libri carbonizzati, scaffali sfondati…
“…il…il mio laboratorio...” . Non poteva essere vero. Era un incubo, doveva essere un incubo... adesso avrebbe chiuso gli occhi, e quando li avrebbe riaperti si sarebbe risvegliato seduto alla scrivania, tutto sarebbe stato come prima…
“Se fossi in te mi preoccuperei più per me stesso che per il laboratorio.”
Vexen sussultò. Larxen? Girò faticosamente la testa in direzione della voce, e vide la ragazza in piedi accanto al letto, le braccia conserte e un sorrisetto divertito dipinto sulle labbra: “TU! Perché tutto questo?!”
“Beh, ovvio. Perché mi stai antipatico. Perché volevo divertirmi. E perché così finalmente la smetterai di darci ordini come se fossi il nuovo Superiore!”
“Per divertirti?! PER DIVERTIRTI?!” Vexen era sconvolto, fuori di sé per la rabbia. “Tu… sei pazza, completamente fuori di testa!! Sei… sei malata, non sei normale!! Liberami subito!!”
Larxen rise: “Che paura! Sei davvero un vecchio patetico. Anche ridotto così pensi di avere il diritto di darmi ordini…ma stavolta le cose non saranno così semplici, Vexen. Hai finito di giocare a fare il capo”.
“Io non faccio il capo! Cerco solo di darvi i consigli migliori, e finora seguendo le mie indicazioni è andato tutto a meraviglia!”
“Ti credi tanto astuto ed intelligente solo perché sei uno scienziato? Perché hai buttato gli anni migliori della tua vita a fare la muffa su un cumulo di libroni polverosi? Beh, se io fossi in te non ne sarei così fiera! Anch’io ho letto molti libri, anche se non sono gli stessi che piacciono a te….e ti assicuro che mi hanno insegnato molte cose. Oh si! E lo scoprirai tra pochissimo!”
“Cosa vuoi fare?!”
Larxen sorrise, sollevò le mani ed evocò i kunai. Risposta terribilmente eloquente.
Fu come se a Vexen avessero dato un pugno tremendo nello stomaco: “A-aspetta! Non fare sciocchezze! Quando lo scopriranno gli altri non avranno pietà per te!”
“Pensi davvero di valere così tanto agli occhi degli altri? A giustificarmi con loro penserò quando sarà il momento…e comunque TU non sarai lì per vederlo, no no no!”
“Ma io sono fondamentale per il piano, e loro lo sanno!! Se dovesse andare tutto all’aria per colpa tua non te lo perdonerebbero mai!!”
“Pazienza. Ne varrà la pena”.
“Sei pazza…non ti rendi nemmeno conto di quello che fai!! Vuoi mandare a quel paese l’Invocazione Suprema per i tuoi capricci personali?!” Quest’ultima frase fu più un grido isterico che altro: lo scienziato era completamente sopraffatto dal terrore ormai. Tentò disperatamente di liberarsi dai lacci che lo immobilizzavano, ma l’unico risultato concreto che ottenne fu di ferirsi i polsi e di far scoppiare Larxen in una fragorosa risata.
“Devo dire che a volte sai anche essere divertente Vexy! Ma adesso basta chiacchiere….vediamo un po’… - cominciò a girare intorno al lettino - ….da dove potrei iniziare? Qualche suggerimento?”
“No! Non farlo….” fu l’unica cosa che Vexen riuscì a mormorare con una nota di pianto nella voce. Le sue dita si strinsero convulsamente alla stoffa del lettino. Chiuse gli occhi, come se il non vedere avesse potuto far diminuire il dolore che sarebbe arrivato tra breve.
E il dolore arrivò, violento, intenso, terribile: partì dalla spalla destra, all’improvviso, e come una scossa elettrica attraversò l’intera lunghezza del braccio fino al polso. Vexen urlò come mai aveva fatto prima di allora. Si contorse disperatamente, e le cinghie che lo tenevano legato gli lacerarono la pelle.
“Che bello!” Larxen saltellava battendo le mani, estasiata, senza neanche badare alle gocce di sangue che colavano copiose dai kunai inzaccherandole la tunica.
REGISTE: "Narratore, ricorda sempre che parte del nostro pubblico è composto da bambini!! Niente cose troppo macabre!!"
Narratore: "Scusate, ma questa è una scena di tortura, come faccio a non essere macabro?"
REGISTE: "Ingegnati, Narratore, ingegnati! Dici sempre di essere onnipotente!"

“E’ proprio come nei libri d’avventura!” Larxen era al settimo cielo. “A un certo punto il protagonista finisce sempre torturato! Solo che poi è una noia, perché si salva sempre…il lieto fine è così banale! Non capisco perché non facciano mai vincere i cattivi, che sono molto molto più affascinanti!”
A Vexen arrivarono solo brandelli confusi di questo discorso; nella sua testa c’era spazio solo per il dolore. Socchiuse gli occhi, mentre ancora si agitava in preda all’agonia, guardò con orrore il braccio, la manica lacerata, il sangue che colava ovunque.
“M-ma perché……? Io in fondo non ti ho mai fatto niente… che bisogno c’è… di arrivare a questo…...” .
“Oh, sempre con le stesse domande!! Te l’ho già detto, o in quel momento il tuo prodigioso cervello di scienziato era scollegato? Voi vecchi non capite mai niente!”
E colpì di nuovo, con gioia efferata. Un taglio – anzi, quattro come i kunai – in pieno petto, per orizzontale. Subito dopo un altro in verticale, da sotto il collo fino alla pancia, a disegnare una macabra croce di sangue. Le urla di Vexen furono strazianti, ma Larxen rimase ad ascoltarle estasiata come fossero la melodia più dolce del mondo, finché non si indebolirono sempre di più trasformandosi in flebili gemiti di dolore.
“Allora Vexen, che ne dici? Come ci si sente a fare la cavia da laboratorio per una volta?”
Le risposero solo dei gemiti inarticolati. Malgrado fosse bloccato dalle cinghie ai polsi e alle caviglie Vexen continuava ad agitarsi senza posa.
“Ehi, Vexy, a parte che non è carino da parte tua non rispondere alle mie domande, ma smettila di muoverti! Sennò come faccio a colpirti bene la prossima volta?” Non la sentiva. “Ti ho detto di stare FERMO!” gli puntò un kunai alla gola, sfiorandogli la pelle con il metallo. Ma lo scienziato non riusciva ad impedire al suo stesso corpo di sussultare e tremare; con orrore sentì la lama sul collo che lo graffiava, e si aggrappò con forza alla stoffa del letto, mordendosi l’interno della bocca fino a farlo sanguinare per imporsi l’immobilità assoluta.
“Oh, ecco, bravo”. Attraverso il velo che appannava i suoi occhi Vexen vide il volto della sua aguzzina farsi più vicino. “Devo proprio ringraziarti, sai…” . La ragazza fece sparire i kunai da una mano e gli sfiorò con l’indice la punta del naso. “..non mi ero mai divertita così tanto!” . Vexen tratteneva il fiato, orripilato da quel contatto che lo terrorizzava quasi quanto il kunai poggiato sul suo collo. Larxen gli sfregò il naso un paio di volte con una risatina, poi passò ad afferrargli una ciocca di capelli, ci giocò attorcigliandosela attorno alle dita. “Che belli i tuoi ciuffetti! Me ne regali uno, vero?” Detto, fatto: un taglio netto e Larxen poté ammirare la ciocca recisa di capelli biondi sul palmo della sua mano. La fece sparire dentro una tasca della tunica con una risatina soddisfatta. “La terrò per ricordo di questa bella giornata! E ora vediamo, vediamo, vediamo… uhm… potrei tagliarti un orecchio! No… troppo banale, magari più tardi… fammi pensare…”
“No… smettila ti prego... basta… ti sei divertita abbastanza, no? Per favore…” Vexen non riconosceva più la sua stessa voce: era flebile, rotta e lamentosa come quella di una ragazzina. “Ti prego….! Ti… ti supplico… fermati...”
“Oh, come sei carino quando supplichi! Mi hai commosso… per farti piacere ti ucciderò prima del previsto così soffrirai di meno, d’accordo? Però non subito…. tra un pochino, va bene?”
Non era una ragazza quella. Era una belva feroce assetata di sangue. Sadica, efferata… pazza.
“E ora mi è venuta un’altra idea!!” Vide Larxen saltellare fino ai piedi del letto, e seguendola con gli occhi si accorse di un particolare a cui non aveva ancora fatto caso: la ragazza gli aveva tolto gli stivali mentre era svenuto. Comprese con gelido orrore ciò che stava per succedere.
“No, aspetta! Ti prego, fermati! Farò qualunque cosa tu voglia!”
I kunai lampeggiarono e colpirono senza pietà squarciandogli la pianta del piede sinistro. L’urlo dello scienziato fu disumano, ma forse la risata di Larxen lo era ancora di più.
“Basta, basta!! Ti supplico, ti supplico, smettila!!! SMETTILA!!!” .
Poi sentì di nuovo la voce della Ninfa Selvaggia, poco più che un sibilo vicinissimo al suo orecchio: “E va bene… mi hai convinta… ti taglierò la gola subito, visto che lo desideri tanto… ma solo perché sei tu, Vexy!
Morire squartato come un animale da macello….ecco la fine che avrebbe fatto, a un passo dall'Invocazione Suprema... chiuse gli occhi, sperando solo che tutto finisse al più presto.
Ma il colpo di grazia non giunse mai. Vexen sentì il rumore di qualcosa che fendeva l’aria, che sfrecciò a velocità folle a pochi millimetri dalla punta del suo naso e si allontanò. Subito dopo, l’urlo rabbioso di Larxen: “Come ti permetti di interrompere proprio sul più bello?!”
Spalancò gli occhi, incredulo: in piedi in fondo alla stanza, la mano alzata per afferrare al volo il chakram che stava tornando obbediente nella sua mano, c’era Axel.
“Basta così, Larxen. Direi che ti ho lasciato giocare anche troppo”
“Axel, dannazione!” lo scienziato si era appena reso conto di cosa era successo esattamente. “STAI UN PO’ PIU’ ATTENTO CON QUELLE TUE ROTELLE DEL CAVOLO!! PER POCO NON MI TAGLIAVI LA TESTA IN DUE!”
“Ehi! Scusa se mi sono scomodato per salvarti la vita! Se sapevo che avresti reagito così me ne sarei rimasto al calduccio sotto il mio bel piumone, ma chi me lo faceva fare di venire fino qui!”
“Liberami!!”
“Scordatelo!” intervenne Larxen frapponendosi tra Axel e il lettino operatorio. “Lui è MIO!”
“Spiacente, Vexen, mi sa che dovrai aspettare un po’. Il tempo di far ragionare la nostra cara amica qui presente.” Uno scintillio di fiamma attorno alla mano sinistra e anche il secondo chakram fu evocato. Larxen intanto aveva sguainato i kunai ancora rossi di sangue e aveva assunto la posizione d’attacco.
“Sai Axel, a pensarci bene non mi dispiace poi tanto che tu sia qui…è un po’ come nei libri, l’amico rompiscatole del protagonista a un certo punto sbuca sempre per salvarlo!"
“Adesso ´amico´ mi sembra una parola grossa... “ fece Axel scocciato, mettendosi in posizione di guardia.
"Un bel duello per animare ancora di più la nottata è proprio quello che ci vuole… solo che stavolta vinceranno i cattivi, oh sì!”
Axel scagliò contemporaneamente entrambi i chakram all’attacco, Larxen scattò in avanti, evitandoli, e il duello ebbe inizio.
Tutto ciò che invece poté fare Vexen, legato come un idiota proprio nel bel mezzo della stanza, fu rendersi conto di costituire un fantastico bersaglio per le armi volanti di Axel, note per l’assoluto fattore random con cui, nel folto delle risse, erano solite colpire indiscriminatamente amici e nemici.



Zexion non sapeva più da quanto fosse lì. Il getto caldo della doccia gli massaggiava piacevolmente il corpo, le dense volute di vapore sprigionate dal calore dell’acqua lo avvolgevano in un morbido mondo di luce soffusa che sembrava al di là dello spazio e del tempo. La realtà esterna era solo un’immagine lontana, sfocata, e anche gli odori che ne provenivano non riuscivano a raggiungerlo. Li ignorava, li rifiutava, lasciava che si smarrissero in quel mare di nebbia.
Finalmente si decise a chiudere l’acqua e ad uscire dal bagno, avvolto in un asciugamano bianco. La sua stanza era ampia e spaziosa, tutta bianca come il resto del castello, e un’intera parete era occupata da una vetrata immensa da cui la luce argentea della luna si riversava a fiotti all’interno, illuminandolo quasi a giorno. Il ragazzo si sedette sul letto. Fu allora che gli odori riuscirono a farsi prepotentemente strada fino a lui; non poteva tenerli lontani per troppo tempo, in virtù di quel suo potere che era allo stesso tempo benedizione e condanna. Percepì immediatamente qualcosa di inconsueto.
Quell’inconfondibile profumo di albicocca, carico di tutta l’allegra vivacità dell’estate… Larxen nel cuore della notte nel laboratorio di Vexen?!? Aveva forse appena scoperto in anteprima esclusiva l’ultimo gossip del Castello dell’Oblio?! E… no, non era finita lì! C’era anche un altro odore, forte e piccante come la paprika. E non solo... non solo... su tutto il laboratorio gravava come un sudario un penetrante odore di… di… sembrava un numero sorprendentemente alto di liquidi di vari tipi e sostanze chimiche, tutti mescolati assieme…
Vexen non avrebbe mai permesso che il suo prezioso laboratorio venisse danneggiato, per nessun motivo al mondo. La situazione doveva essere molto seria. Chiuse gli occhi per concentrarsi maggiormente. Le Invocatrici, gli Intercessori, le guide e tutti gli altri erano ai loro posti nelle Stanze della Memoria… ma sforzandosi di separare gli odori che componevano quel caleidoscopico miscuglio Zexion sentì come un pugno allo stomaco. Sangue. Sofferenza. Follia. In un attimo comprese con esattezza cos’era successo.
Giusto il tempo di avvolgersi l’asciugamano attorno alla vita con il nodo più stretto che sapesse fare, e si tuffò in un corridoio oscuro verso il laboratorio.



All’uscita del portale fu accolto da un chakram fuori controllo che schizzava nella sua direzione. Si gettò prontamente a terra; quello gli sfrecciò sopra la testa e tornò indietro compiendo una paurosa curva a gomito nell’aria.
Axel e Larxen erano impegnati in quello che sembrava un duello all’ultimo sangue, e sulle prime non si accorsero di lui. I chakram sfrecciavano come missili impazziti per tutta la stanza, e il loro padrone li lanciava con maggior forza ogni volta che tornavano nelle sue mani; Larxen sfruttava la velocità e l’agilità che erano sempre state il punto forte della sua strategia combattiva per evitarli e cercare di avvicinarsi all’avversario quanto bastava per sferrare un colpo con i suoi micidiali kunai. Zexion strisciò dietro i resti di uno scaffale per osservare la scena da una posizione sicura: era molto più grave di quanto avesse pensato. Il laboratorio era ridotto peggio di un villaggio dopo l’invasione di un’orda di barbari mezz’orchi, due membri dell’Organizzazione si stavano allegramente scannando tra di loro, e tutto mentre nel Castello erano presenti due gruppi di persone strambe e potenzialmente pericolose – tra cui Mistobaan con tanto di sorpresina dentro! – che in quel momento probabilmente non erano controllati da nessuno. E dove era andato a cacciarsi Vexen?
Scandagliò l’aria pregna di odori alla sua ricerca e lo localizzò ben presto; tenendosi al riparo dei mobili sfasciati riuscì a raggiungere il lettino operatorio senza incappare in altri incontri ravvicinati del terzo tipo con i chakram di Axel. Lo scienziato era ridotto in uno stato pietoso: aveva il volto cereo di un cadavere e le vesti lacere e intrise di sangue. Se non altro era ancora vivo.
Vexen sembrava svenuto, ma evidentemente dovette rendersi conto che c’era qualcuno accanto a lui, perché socchiuse gli occhi e cercò con fatica di sollevare la testa.
“Slegami…” . Per quanto fosse debole la sua voce non aveva perduto neanche allora quel fastidioso tono di comando.
Zexion non rispose subito. Si concesse un momento per guardarlo, come per imprimersi bene nella memoria l’immagine di quel momento. Poi sul suo volto sino ad allora inespressivo si dipinse un sorrisetto sarcastico: “Ne sei sicuro? Pensavo ti stessi divertendo con Larxen”.
Vexen contrasse la mascella e lo guardò con odio: “Idiota… liberami subito!”
“Se proprio ci tieni...” Lentamente sciolse le quattro cinghie, e lo scienziato provò con estrema cautela a muovere gli arti intorpiditi. Nel frattempo il combattimento dall’altra parte della non accennava a concludersi e quel che era peggio, i duellanti, trascinati dalla foga dello scontro, si stavano pericolosamente avvicinando al lettino operatorio. A un certo punto Axel non fu abbastanza svelto da schivare un fulmine dell’avversaria, che lo centrò in pieno mandandolo a rotolare proprio ai piedi di Zexion.
“Ehi, guarda un po’ chi è arrivato! Originale il tuo nuovo abbigliamento, te l’ha consigliato Marly?”.
Zexion si stupiva sempre della straordinaria resistenza del corpo scheletrico del numero VIII: malgrado avesse accusato un colpo durissimo si trovava nuovamente in piedi prima di aver finito di parlare, solo un po’ più bruciacchiato di prima. “Riparatevi voi due, anzi, meglio se riesci a portarlo fuori di qui, perché ho intenzione di surriscaldare un po’ l’atmosfera!!” Due intensi getti di fiamma scaturirono dalle sue mani e gli danzarono attorno, creando un letale scudo difensivo. Il calore era opprimente, e Zexion si rifugiò dietro il letto, trascinando lo scienziato con sé.
Per nulla intimorita Larxen evocò nuovamente i fulmini e si lanciò alla carica con un grido selvaggio, determinata ad espugnare il muro di fuoco. Fiamme e saette cozzarono tra loro crepitando nello sforzo di annullarsi a vicenda, mentre Larxen, giunta alla fine della sua corsa, spiccò un salto altissimo nel tentativo di attaccare dall’alto, piombando direttamente all’interno del cerchio difensivo. Ma Axel stavolta non si lasciò distrarre dal diversivo dei fulmini, e scagliò entrambi i chakram avvolti in un’onda di fuoco verso l’alto; Larxen si rese conto troppo tardi dell’imprudenza commessa, e venne colpita di striscio da un chakram impazzito, rovinando proprio ai piedi dell’avversario, che richiamò velocemente le sue armi per sferrare un altro colpo. Larxen si disimpegnò rotolando sul pavimento e da quella posizione focalizzò tutta la sua energia per indirizzare verso Axel una scarica di saette più potente del normale; lui riuscì a pararla con i suoi fidi chakram, ma nel farlo perse la concentrazione per mantenere il muro di fuoco, che svanì consentendo a Larxen di rialzarsi in piedi e schizzare via a tutta velocità. I due si fronteggiarono di nuovo; Larxen si massaggiava la spalla sinistra, su cui spiccava adesso una brutta bruciatura.
“Wow Axel combattere contro di te è uno spettacolo! Dai, su , continuiamo!! Non penserai mica di avermi battuta?!”
Nel frattempo, dietro al lettino operatorio, lo scienziato si lamentava: “Ma sei… sei matto?! Farmi cadere in quel modo…!”
“Preferivi morire bruciato? Forza, dobbiamo andarcene prima che quei due pazzi distruggano tutto!”
“Idiota… non posso attraversare un portale in queste condizioni… il braccio… è la ferita più profonda, sta… ahaaa…” Ci volle un po’ prima che fosse in grado di continuare: ogni parola era una fitta di dolore. “…sta ancora sanguinando, devi… fermare…” Una fitta più forte delle altre lo fece sussultare e gemere, ma Zexion aveva capito, e strappò quello che rimaneva della manica dello scienziato per ricavarne un laccio da stringergli intorno al braccio per arginare l’emorragia.
“Ahaargh!” Quella cosa che era appena passata sfrecciando accanto al suo orecchio sinistro era un chakram impazzito. “Porco Saïx!!” Cominciava a pentirsi seriamente di essere venuto.
“Lo…lo scudo….” riuscì a mormorare lo scienziato. “Là….”
“Là” era esattamente dall’altra parte del campo di battaglia.
Oh, al diavolo!
Zexion fece un ulteriore nodo di sicurezza all’asciugamano e partì correndo a testa bassa vero lo scudo di Vexen, compiendo il giro più largo possibile attorno ai due duellanti. Gli ultimi metri li fece praticamente in scivolata, e non appena ebbe raggiunto l’arma, abbandonata in mezzo ai resti di quella che un tempo doveva essere stata una macchina per gli elettrocardiogrammi, si affrettò a sollevarla sopra la testa per usarla a mo’ di testuggine protettiva nel viaggio di ritorno. Lo scudo sembrava l’unico oggetto rimasto integro nella stanza.
“Ecco! Stringiti, presto, dobbiamo entrare tutti e due qua dietro!” Vexen era talmente debole che non protestò quando Zexion lo spinse abbastanza brutalmente contro la parete per sistemare il grande scudo in modo che li proteggesse entrambi.
“Credo… di stare per svenire…” mormorò lo scienziato, poi si afflosciò contro il muro senza un lamento.
Zexion dovette reggere con una mano l’impugnatura dello scudo mentre con l’altra provò a sostenere lo scienziato svenuto per evitare che scivolasse fuori dal riparo, il tutto mentre quella che sembrava una palla di fuoco incontrollata si abbatteva a piena potenza contro il metallo blu, facendo tremare tutto.
Ma perché non me ne sono rimasto sotto la doccia…?!
Il suo asciugamano bianco si era tinto del rosso del sangue di Vexen almeno per metà. Zexion odiava l’odore del sangue, era nauseante. L’unica nota positiva era che il suo laccio emostatico di fortuna aveva arrestato l’emorragia al braccio dello scienziato.
Non doveva fare altro che aspettare adesso, come un soldato rinchiuso in trincea sotto i bombardamenti, e sperare che il combattimento terminasse al più presto.



Axel imprecò in maniera assai colorita quando vide il suo stivale destro cominciare a sciogliersi dopo che aveva accidentalmente messo il piede in una pozza enorme di denso liquido scuro.
“Stupendo!!” si esaltò Larxen. “Ehi, Vexen, hai visto, sono una scienziata anch’io! Ho inventato un nuovo acido corrosivo mescolando tutte le tue boccette, neanche tu saresti stato così bravo!!”
“Adesso basta, Larxen!” esclamò Axel saltellando goffamente su un piede solo “Finiamola con questa pagliacciata, combattere tra noi non ha senso! Sparisci di qui e basta!”
La risposta della Ninfa Selvaggia fu una linguaccia impertinente: “Scordatelo!”
“Non è stato affatto carino da parte vostra organizzare questa festa senza invitarmi.”
Larxen e Axel si immobilizzarono come statue di sale all’udire la nuova, ben familiare voce che si era intromessa nella loro conversazione: si voltarono simultaneamente giusto in tempo per vedere una figura nerovestita emergere da un portale, avvolta in un tripudio di coreograficissimi petali di rosa.
“Marluxia?!”
“Già, proprio io… e voi credevate di divertirvi senza di me?”
“Questo non è esattamente il mio concetto di divertimento, Marly…” sbuffò Axel. “Larxen l’ha combinata grossa stavolta... dammi una mano a sistemarla”.
“Uno contro due, eh? E va bene, io sono prontissima! Ci sarà da divertirsi il doppio!!”
Ma il nuovo arrivato non mostrò intenzione di evocare la propria arma; cominciò a camminare lentamente per la stanza, le braccia dietro la schiena come un lord inglese durante una tranquilla passeggiata, contemplando la devastazione che lo circondava. Il sorriso scherzoso che aveva sfoggiato al suo ingresso tutto d’un tratto era svanito, come se il giovane si fosse improvvisamente disfatto di una maschera che portava.
“Mi sembrava di ricordare che avessimo stretto un patto, subito dopo il complotto… avevamo stabilito di collaborare e aiutarci l’un l’altro fin quando l’Invocazione Suprema non sarebbe stata portata a termine… solo allora ciascuno di noi avrebbe intrapreso la propria strada… o mi sbaglio?”
“Marly, almeno tu devi darmi retta!” protestò Larxen. “Vexen pretende di darci ordini ed è chiaro che vuole usarci per i suoi piani personali! Non possiamo permettere che continui indisturbato a servirsi di noi, a sfruttarci!”
“No. Abbiamo iniziato questo progetto in cinque, e in cinque arriveremo fino alla fine. Ognuno di noi è necessario.” sentenziò Marluxia. “A proposito… dove sono finiti gli altri due?”
Axel indicò il lettino: “Là dietro, credo… sempre che i miei chakram non li abbiano beccati!”
Zexion uscì allo scoperto, indicando lo scienziato svenuto.
“Non riesco a portarlo fuori di qui da solo….”
“Dai, ti do una mano io.” si offrì Axel “Prima finiamo e prima potrò tornarmene a dormire!”
“Dove credi di andare? Abbiamo ancora un duello in sospeso noi due! O hai troppa paura?!” A quanto pareva Larxen non aveva intenzione di arrendersi nemmeno ora che aveva tutto il resto dell’Organizzazione contro; ma non poté fare neppure un passo in direzione di Axel, perché improvvisamente la lama fucsia di una falce apparve dal nulla a bloccarle la strada.
“Marly, levami quella disgustosa pacchianata da davanti, SUBITO!”
“Posso capire il tuo ardente desiderio di tornare dal tuo adorato Vexen, ma per oggi hai finito di combinare guai… perciò o ti arrendi subito oppure affronterai me… ma conoscendoti posso dedurre fin d’ora che la prima opzione non ti interessi, quindi… in guardia!”
Mentre Larxen si lanciava alla carica contro il suo nuovo avversario, Axel ne approfittò per caricarsi in spalla lo scienziato svenuto e abbandonare il campo di battaglia, subito seguito da Zexion.
Larxen e Marluxia combatterono a lungo, ed erano entrambi così agili e fluidi nei movimenti che la loro sembrava una danza più che una lotta. Larxen aveva ancora energie da vendere, ma Marluxia era più fresco e riposato, e alla lunga questo fattore iniziò a farsi sentire: i colpi della ragazza erano sempre meno precisi e pericolosi, le sue saette erompevano dal palmo della sua mano con meno potenza di prima, e la falce fucsia le defletteva senza difficoltà, lanciandosi poi all’attacco con rinnovato vigore. Ben presto la ragazza si ritrovò incalzata da ogni lato dai rapidissimi attacchi dell’assassino, che non le lasciavano un attimo di tregua e la costringevano a indietreggiare sempre di più e a concentrare tutte le energie rimanenti sulla difesa.
Infine Marluxia menò un tremendo fendente che Larxen schivò per un soffio, e prima che lei potesse recuperare l’equilibrio sollevò una mano e la investì con una raffica di petali di rosa che la mandò a sbattere contro il muro. Non si era ancora rialzata che già l’assassino era corso verso di lei, sollevando la falce per il colpo di grazia. La lama fucsia calò sibilando su Larxen per ben due volte.
“Bastardo! I miei kunai!!” gridò la ragazza fissando con occhi sgranati i moncherini delle sue armi: Marluxia aveva operato con precisione chirurgica. “Maledetto figlio di…” .
Un ultimo colpo, stavolta con il manico della falce, sulla nuca. Larxen si accasciò al suolo senza un lamento. Marluxia fece scomparire l'arma in uno sbuffo di petali, poi si passò una mano tra i capelli, detergendosi il sudore dalla fronte.
“Oh bene vedo che hai risolto il problema, Marly!”
Axel era rientrato in quel momento e aveva poggiato lo scienziato svenuto sul lettino operatorio, su cui Zexion (che nel frattempo aveva pensato bene di rivestirsi) aveva avuto il buon senso di stendere un lenzuolo pulito che aveva portato con sé.
“Credo che Larxen ci penserà due volte prima di combinare guai di nuovo.” disse Marluxia tranquillo.
In quel momento si sentirono dei gemiti provenire dal lettino: Vexen aveva ripreso conoscenza.
“Cosa… cos’è questa roba?” Lo scienziato indicava gli strani pezzi di pesante stoffa rossa che ora fasciavano le sue ferite.
“Ti abbiamo medicato” spiegò Axel. “Solo che non avevamo delle vere bende perché le uniche che c’erano in tutto il castello credo fossero qui, e sono andate perse in mezzo a tutto questo casino…così abbiamo usato pezzi dei miei asciugamani!”
“Spero che li abbiate disinfettati!”
“E come facevamo scusa? Anche i disinfettanti li hai tutti tu, e qui non è rimasta una sola boccetta intera!”
“Almeno li avrete lavati!”
Lo sguardo che Axel rivolse allo scienziato era genuinamente perplesso: “Lavare gli asciugamani?”
“Ma se mi avete fasciato con delle bende sporche è del tutto inutile! Possibile che non vi sia venuta in mente una cosa semplice come….”
“La tua gratitudine mi commuove, davvero. Ti ho salvato la vita? E allora zitto!!”
Marluxia intervenne in tempo per anticipare la risposta velenosa di Vexen: “Perfetto, allora è tutto sistemato. Se volete per il resto di stanotte resto io a sorvegliare le Stanze”.
“Tutto sistemato?!” Vexen non sembrava per niente d'accordo. “TUTTO SISTEMATO?!?! Guardate com’è ridotto il laboratorio! Vi pare TUTTO SISTEMATO?!?!”
“Scusa, ma cosa c’entriamo NOI? Non pretenderai che te lo rimettiamo a posto!”
“Certo che no, riuscireste soltanto a peggiorare la situazione! Ma almeno spero che abbiate provveduto ad eliminare Larxen!”
“Perché avremmo dovuto?”
“Forse perché è una pazza furiosa sadica che non ha fatto altro che ostacolarci invece che darci una mano?!?! Non ci ha causato altro che problemi a non finire, prima con Mistobaan e adesso addirittura con questo…! In questo laboratorio c’erano tutti i libri e i miei appunti riguardanti l’Invocazione Suprema e le Stanze della Memoria!”
“Andiamo, Vexen, come se tu avessi davvero bisogno di quei mucchi di carta!” Marluxia sorrise, incrociando le braccia sul petto. “Se ti conosco bene ti sarai preoccupato di custodire tutte quelle nozioni nel posto più sicuro che conosci, ossia il tuo cervello. E’ per questo che ti abbiamo voluto con noi nel complotto. Così come abbiamo voluto Larxen perché è una guerriera eccellente… al contrario di te. Ci è più utile viva che morta. Se non collaboriamo il piano non andrà mai in porto.”
“Belle parole, Marluxia… ma cosa succederebbe se ci trovassimo nel bisogno, che ne so, di operare nuovamente Mistobaan?! Tutta la mia attrezzatura è distrutta!”
“Uccidere Larxen non ci aiuterà a riaverla… ci penseremo quando e se sarà il momento”.
“Ma lei ci riproverà! Credete che a quella stupida ragazzina importi qualcosa del piano? Quella è matta, è malata, tenterà di nuovo di uccidermi! O di complicarci la vita in chissà quale altro modo! E’ un pericolo per tutti!”
“Posso essere d’accordo che questo sia effettivamente un problema” ammise Marluxia. “Qualcuno di noi dovrà sorvegliare Larxen giorno e notte ed impedirle di fare altre stupidaggini”.
“E chi?”
Fu Axel a risolvere definitivamente la questione: “Beh Marly, l’idea è tua, quindi direi che tocca a te!”
“E va bene. Non sarà un problema” Il Leggiadro Sicario sollevò da terra il corpo esanime di Larxen ed evocò un portale. “Allora direi che qui abbiamo finito! Buonanotte a tutti!” e sparì lasciandosi dietro una nube turbinante di petali di rosa.
“Evvai, finalmente si dorme!” Axel stava per tuffarsi a pesce nel suo portale quando si irrigidì di colpo e si voltò, mostrando a Vexen e Zexion un viso quasi cereo.
“Oddio… il telecomando del Nucleo Nero di Mistobaan!!”
“Tranquillo.” un fugace sorrisetto attraversò il volto ancora sofferente di Vexen. “E’ al sicuro, l’ho messo in uno scompartimento nascosto nel muro”.
Il colorito tornò sulle guance di Axel, che si lasciò andare ad un lungo sospiro di sollievo.
“Vexen... ti ho mai detto che sei un genio?”.



Zexion continuava ad aggirarsi per il laboratorio distrutto, scrutando ogni cosa da dietro la cortina di capelli argentei che gli ricopriva metà della faccia. Ma più che con gli occhi, come sempre, esplorava l’ambiente con il naso, facendosi svelare dagli odori nell’aria i segreti che quel luogo ormai morto aveva custodito. E quel giorno nel laboratorio si intrecciavano così tante scie di odori diversi che era davvero difficile distinguerle tutte: odore di alcool, odore di sapone, odore nauseabondo di robacce chimiche, odore di elettricità, metallico odore di sangue… un profumo di rose insopportabile per la sua stucchevole dolcezza, una punta di vaniglia che gli fece storcere il naso per il disgusto… un odore di crudeltà che gli annodava le viscere… ma sotto tutto questo… c’era qualcosa…
Fu distratto dallo sguardo che sentì improvvisamente bruciargli addosso. Vexen era riuscito faticosamente a mettersi seduto sul letto, e lo fissava infastidito.
“Come stai?” gli chiese freddamente.
“Oh, una meraviglia. Mai stato meglio in vita mia”.
Zexion ignorò il sarcasmo dell’altro e gli domandò a bruciapelo: “Il telecomando non è l’unica cosa che tieni nascosta, non è vero?”
“Non capisco di cosa parli”.
“Ma per favore. Puoi ingannare gli altri, ma sai benissimo che con me non funzionerà. Li sento distintamente… gli altri tre Nuclei Neri”.
“E allora? Pensavi che avrei impiantato in Mistobaan l’unico che avevo senza tenere delle riserve? Non mi sembra tanto strano.”
“Però non ce l’hai mai detto”.
“Cosa vorresti insinuare?” sibilò Vexen trafiggendo il ragazzo con lo sguardo. “Non sono io quello che se ne va in giro tentando di eliminare gli altri”.
“Già…” Zexion suo malgrado abbassò gli occhi. ”Ma comunque, sappi che io so”.
Calò il silenzio. Vexen voleva che se ne andasse, lo percepiva chiaramente; voleva restare solo. Zexion non se ne curò. Continuò il suo giro esplorativo nel laboratorio distrutto, sulle tracce di una scia di odori che aveva catturato la sua attenzione.
“E dovresti stare anche più attento a questi.” aveva raccolto alcuni pezzi del misterioso puzzle dorato che Marluxia aveva rubato all’Intercessore mago. Stava usando il suo potere per rintracciarli tutti e radunarli insieme. Vexen lo lasciò fare.
“Se posso darti un consiglio….sì lo so che l’eminente scienziato Vexen crede di non aver bisogno dei consigli di un ragazzino” aggiunse con pesante sarcasmo “…però io se fossi in te eviterei di ricomporre totalmente questo puzzle. Contiene una magia troppo grande e troppo pericolosa… persino per chi come noi dispone dei poteri del Castello dell’Oblio” Finì di raccogliere tutti i frammenti dorati e li sistemò in una scatola vuota rimasta miracolosamente illesa, che poggiò sull’unico metro quadro di scrivania ancora in piedi. Vi aggiunse anche la sfera a forma di occhio, che aveva rinvenuto sotto un cumulo di libri stracciati.
Vexen si limitò a squadrare il ragazzo con freddezza.
“Comunque su una cosa hai perfettamente ragione” continuò Zexion. Lo scienziato lo scrutava impassibile.“Larxen. E’… troppo pericolosa”.
“Va eliminata” concluse Vexen per lui, lapidario. Improvvisamente emanava un odore fortissimo di odio.
“Sagge parole, ma dubito possano essere messe in pratica”.
“Se lo pensassi davvero non avresti mai tirato fuori l’argomento… o mi sbaglio?” Vexen sorrise in un modo strano, sollevando solo un angolo della bocca. “Una soluzione l’avrei”.
Zexion sbuffò: “Già, tu sei quello che ha sempre la soluzione giusta per tutto, no?”
“Se non ti interessa…”
“Parla e basta.”
Vexen lo guardò sogghignando: “Semplice: veleno”.
“Avrei dovuto immaginarmelo…”
“Senti, non ho intenzione di perdere tempo con i tuoi commenti stupidi… vuoi farlo o no?”
Non era questione di volere o non volere. Quando è in gioco la tua stessa sopravvivenza la scelta diventa obbligata. Zexion sapeva di trovarsi al secondo posto nella lista nera della Ninfa Selvaggia, e conosceva bene anche quel proverbio, forse un po’ scontato ma certamente veritiero, secondo cui il miglior modo per difendersi è attaccare per primi.
“Ma tu lo hai ancora, un veleno?”
“Sì. Incolore, insapore ed inodore. Ci sono altri scomparti nel muro.”
Non aveva la forza di alzarsi; dovette indicare al ragazzo il nascondiglio segreto, insegnargli come aprirlo e spiegargli quale boccetta doveva prendere.
“E questo tu lo chiami inodore?! E’ semplicemente disgustoso!” Era un’ ampolla piccola e sottile piena di un liquido trasparente che alla vista sembrava comunissima acqua.
“Per la gente normale ti assicuro che lo è!” Vexen aveva sistemato un cuscino contro il muro e vi si era appoggiato per stare più comodo; Zexion per un attimo fu tentato di tirargli la boccetta addosso. “Ovviamente, dovrai darglielo tu. Io non sono in grado di muovermi e soprattutto non posso avvicinarmi a lei.” Sfortunatamente per Zexion il discorso non faceva una piega in quanto a logica e buonsenso.
“Troverò un modo.” Con un sospiro fece scivolare l’ampolla nella tasca anteriore della tunica. “Ora me ne torno a dormire. Dovresti riposare anche tu”.
“Tienimi informato”.
Zexion assentì. Prima di andarsene si girò un’ultima volta, come per aggiungere qualcosa; ma ci ripensò quasi subito e senza una parola si lasciò inghiottire dalla luce nera del portale.



Solo, finalmente.
Vexen chiuse gli occhi e si lasciò andare sul letto, stremato. Ora che la paura per la sua vita era passata non gli importava più delle ferite che gli avevano martoriato il corpo, né della dignità infangata e calpestata. Ma il laboratorio… quello era perduto per sempre.
I libri che ancora doveva leggere, gli strumenti che non sarebbe più riuscito a procurarsi, gli appunti, i suoi appunti, primi abbozzi di grandi opere che non avrebbero mai visto la luce. Anni di lavoro, fatica, passione. Tutto ciò a cui teneva era stato distrutto in un attimo, per capriccio. Per gioco. Ecco la ferita che bruciava davvero.
Ben presto la stanchezza ebbe il sopravento sul suo corpo ferito, e lo scienziato cadde in un sonno profondo e senza sogni.
Fu una voce carica di preoccupazione a risvegliarlo di soprassalto qualche ora dopo:
“Padron Vexen... o miei dèi, cos'è successo?!”
Vexen si passò una mano sulla fronte cercando di fare ordine tra i pensieri che vagavano disordinati per la sua testa, così pesante da sembrare di piombo. Si ritrovò due occhi azzurri che lo fissavano dall’alto, un po’ confusi, un po’ preoccupati.
“Camus…” riuscì finalmente a metterlo a fuoco. Era il suo assistente. “Camus… DANNAZIONE CAMUS, DOV’ERI MENTRE MI VIVISEZIONAVANO?!?”
“Padron Vexen, ero…insomma, dormivo, lei mi ha lasciato andare via prima ieri, ricorda? Mi ha dato la serata libera…”. Pena e paura erano incise in ogni lineamento del viso del giovane assistente, che ora si era inginocchiato accanto al lettino. “In nome degli dèi, padron Vexen, che le hanno fatto?!”
“Ti ho detto mille volte di non parlare di dèi in mia presenza.” Vexen fissò con rabbia l’assistente, un giovane dai capelli azzurri lunghissimi che portava un’armatura dorata pacchiana molto simile a quella di Mu.
No, era inutile prendersela con lui. Non c’entrava niente… non contava niente.
“E’ stata Larxen. E’ impazzita del tutto”.
“Padrona Larxen?! Ma com’è possibile che una persona saggia come lei….non posso crederci….”
“E’ così.” ribatté Vexen con durezza. “E ora vammi a prendere dei disinfettanti e delle bende vere, che quegli idioti non sanno neanche come si fa una fasciatura.”
“Subito, padron Vexen, non si preoccupi, ho delle scorte di medicinali nella mia stanza.”
Ritornò pochissimo dopo con tutto l’occorrente per il pronto soccorso. “Ecco, lasci fare a me…” cominciò a rimuovere con delicatezza le “fasce” improvvisate da Axel.
“Temo che queste cicatrici se le porterà addosso per sempre, padron Vexen… mi dispiace….mi dispiace davvero moltissimo” la sua voce era sinceramente triste ed indignata. “Se solo avessi saputo, sarei accorso immediatamente….è orribile quello che le hanno fatto, è abominevole, ma che motivo c’era?!”
Vexen non rispose, troppo stanco per rievocare quel momento orribile. Avrebbe popolato a lungo i suoi peggiori incubi, questo era certo. L’assistente lavorò in modo efficiente, preciso e meticoloso; alla fine gli applicò persino un cerotto sul graffio al lato del collo.
“Ora ripulisco tutto quanto e cerco di salvare il salvabile. Lei pensi soltanto a riposare.”
Non se lo fece ripetere due volte: nonostante le ore di sonno era ancora esausto, e il minimo movimento gli provocava tremende fitte di dolore.
“Camus?” chiamò dopo un po’.
L’assistente, che stava radunando in un angolo tutti i cocci di vetro con un grande spazzolone, si fermò e lo guardò: “Sì, padron Vexen?”
“Qualsiasi ordine ti diano gli altri… tu prima di eseguire riferisci sempre a me. Capito?”
“Certamente, padron Vexen. Del resto lei è il più saggio e il più potente dell’Organizzazione. E io sono direttamente al suo servizio, e le sarò sempre fedele”.
“Bene”.
Camus continuava a lavorare indefessamente, canticchiando ogni tanto qualcosa tra sé e sé. Vexen non gli badò. Si sentiva ancora così esausto che gli pareva di non aver riposato per niente. Chiuse gli occhi, e stava per scivolare nuovamente nel sonno quando…
“Padron Vexen?”
“Che altro c’è?!” Aprì gli occhi e si ritrovò davanti un vassoio. Una tazza enorme di thé bollente e profumato. Biscotti, tanti biscotti di tutte le forme e gusti. Zucchero, fette biscottate, dolcetti al cioccolato. Il sorriso gentile di Camus nel porgerli quella colazione a dir poco regale.
“Non ho fame…”
“Scherza?! Con tutto quello che le è successo deve mangiare qualcosa!” e senza aggiungere altro gli sistemò il cuscino dietro le spalle, gli mise in mano il vassoio e tornò al lavoro.
Ma chi gliel’ha chiesta tutta questa roba?! Non dovrebbe limitarsi ad obbedire agli ordini e basta?!
Sospirò e si decise ad assaggiare almeno un sorso di thè.
Dieci minuti dopo aveva divorato tutto fino all’ultima briciola.



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Fonte della fan art a inizio capitolo: http://browse.deviantart.com/?q=larxene+arkoniel#/d20xyt6
  
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