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Autore: fragolottina    28/02/2012    4 recensioni
'Anche io ho baciato solo una persona ed avrei voluto continuare a farlo…'
Era stata la prima volta che lo aveva sentito parlare ed anche la prima volta che il sapore delle lacrime gli aveva ricordato qualcos’altro.
Genere: Generale, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Axel, Roxas, Sora, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Kingdom Hearts II
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sora 3 finalmente!
sorvoliamo sul fatto che sono in ritardissimo, sennò dovrei di nuovo chiedervi infinite scuse e sta diventando una triste abitudine che non voglio avere - anche se dovrei scusarmi...
cmq, vi dico subito, subito che per un po' starò più tranquilla, quindi spero di avere più tempo per scrivere ed aggiornare...
buona lettura...

Capitolo 15

A Riku bastò un’occhiata per capire che qualcosa non andava, che quello era Sora, con i suoi capelli, i suoi occhi, le sue mani e le sue gambe, ma che, allo stesso tempo, non lo era e forse non lo sarebbe stato mai più.
    La cosa incredibile fu che gli bastò un’occhiata a Roxas per rendersene conto. Un’occhiata a quell’impostore con il suo viso che non aveva nemmeno il coraggio di guardarlo in faccia e rivendicare la sua colpa, come se avesse potuto credere che non si fosse accorto del suo arrivo. Sora invece non lo aveva notato davvero, perché per lui in quel momento non era diverso dagli altri estranei che riempivano la stanza. Riku li sentì bisbigliare, tutti a raccontarsi che era confuso, che quello che aveva passato gli aveva scombussolato cuore e mente, che sicuramente con un po’ di tempo e l’aiuto dei suoi amici avrebbe ricordato tutto.
    Solo Roxas continuava a guardare il suo volto inconsapevole con un misto di frustrazione e scoraggiamento, la voglia di fare qualcosa per aiutarlo gli si leggeva negli occhi; la certezza di non poter fare assolutamente niente, anche.
    E poi la sua voce a dare forma ad ogni inquietudine. «Chi è lui?»
    Roxas chiuse gli occhi, Riku non rispose. Che avrebbe potuto dire? Il tuo migliore amico, quello per cui hai girato tutti i mondi, quello per cui sei diventato l’eroe del keyblade, quello che ha cercato di ucciderti dieci volte e che ti ha chiesto scusa per sette.
    «Ciao.» aveva detto soltanto, fissando Roxas che ancora non trovava il coraggio di alzare gli occhi su di lui. «Mi chiamo Riku.» e poi, mentre si avvicinava, la mano tesa per stringere la sua: «Sono contento di conoscerti.»
    Di nuovo.

«Che hai detto a Kairi?» gli chiese Roxas una volta soli. Nessuno dei presenti al capezzale di Sora era stato abbastanza impavido da pronunciare quel nome, come se lei fosse un segreto.
    Riku prese un respiro profondo come l’oceano, cercando di trovare un po’ di lucidità, invano. Quello che era successo prima di arrivare lì era un concetto troppo astratto: niente riusciva ad essere reale quanto lo sguardo vago di Sora che gli chiedeva chi era. «Non lo so.»
    «Che significa ‘non lo so’?» aveva ribattuto infastidito. «Qualcosa devi averle detto.»
    In realtà no, era soltanto scappato. Non voleva mentirle, ma non voleva nemmeno trascinarla a Radiant Garden senza sapere di persona che la situazione si era risolta, che poteva tornare ad essere la principessa di Sora, che quell’avventura aveva avuto un lieto fine. A quel punto sapeva di aver fatto bene.
    «Non le dirò che si è svegliato.» disse fissandolo negli occhi.
    Il suo migliore amico, forse l’unico, vero amico che aveva mai avuto non si ricordava di lui.
    «Cosa?!» domandò Roxas incredulo. «Tu devi farlo!»
    Scosse la testa, tenendosi una mano sulla fronte, sostituendo la propria personale delusione con il dolore che avrebbe provato Kairi: il dolore di Kairi era più importante.
    «No, non devo.» era sicuro, per quanto sembrasse assurdo, che anche Sora l’avrebbe pensata come lui.
    «Oh, capisco…» aveva annuito con enfasi. «Ora che il tuo rivale numero uno non è in grado di farsi rispettare hai intenzione di approfittarne per…»
    Lo sbatté con la schiena al muro senza sapere prima che potesse finire di dar voce ad un'accusa tanto orribile, il corpo liscio e lungo del keyblade contro la sua gola; Roxas deglutì sotto i suoi occhi di ghiaccio. «Kairi sta con Sora.» gli sibilò arrabbiato. Il suo migliore amico, forse l’unico, vero amico che avesse mai avuto non si ricordava di lui ed era tutta colpa sua. «Ed io non la toccherei nemmeno con il pensiero.» spinse più forte la chiave sotto il suo mento.
    Per Roxas stringere i pugni fu quasi un riflesso involontario.
    Riku studiò con amarezza Oathkeeper nel suo palmo lucida e luminosa, talmente diversa da Oblivion. «Non sono io ad avergli rubato qualcosa che gli appartiene.» disse lasciandolo e dirigendosi verso la stanza di Sora.
    «Devi riportarlo a casa!» gli urlò dietro Roxas tremante, ma non di paura.
    «Lo farò.» disse Riku piano, senza voltarsi. «Quando ricorderà dov’è casa.»
    Rientrò nella camera e trovò Aeris che gli raccontava la storia di Radiant Garden, mentre gli porgeva un fagotto con del cibo; gli stava parlando dell’incidente che aveva portato alla creazione dei Nobody, doveva ricordare, come poteva non farlo? Ma non c’era segno di coscienza nei suoi occhi, la ascoltava con grande interesse, non avrebbe dimenticato una sola parola di quello che stava dicendo. Eppure non avrebbe mai saputo il ruolo fondamentale che aveva avuto in quella vicenda.
    E se avesse scelto lucidamente di dimenticare tutto? Quale persona avrebbe voluto certi ricordi. Non metteva ovviamente in dubbio che volesse scordarsi anche di Kairi, ma lei sarebbe potuta essere soltanto un errore commesso nel strappargli via anni di guerre dal cuore. Non sapeva cosa avrebbe dato per poter parlare con Naminé.
    «Io me ne vado.»
    Sora aveva distolto l’attenzione da Aeris per guardarlo con un panino in mano. «Non abiti qui?» gli chiese candidamente.
    Avrebbe voluto rispondergli che non ci abitava nemmeno lui, che casa sua era dov’era Kairi e Kairi era alle Isole del Destino, ma si limitò a scuotere la testa. «No.»
    «Tornerai a trovarmi?» aveva occhi enormi e sperduti e… era pur sempre Sora.
    «Si.» acconsentì con un sorriso. «Verrò presto.»
    Lui si strinse nelle spalle. «Magari diventiamo amici.»
    Riku scosse la testa deglutendo. «Magari.»

Kairi lo trovò seduto sul tronco dove in genere stavano in tre, dove non sarebbero mai potuti essere in due.
    «Ehi, ti ho cercato per tutto il giorno.»
    Non la guardò, non voleva vederla e pensare quanto fosse bella, sarebbe stato come dar ragione a Roxas. Si ripeté per la milionesima volta perché non volesse raccontare a Kairi che Sora era sveglio, senza memoria, senza ricordi, senza di lei, ma sveglio: non lo avrebbe mai perdonato. Aveva fatto in modo che potesse scegliere quali ricordi lasciar andare proprio per evitare di perderlo, si era impegnata per dargli la possibilità di non dover rischiare lei e nonostante tutto, lui l’aveva scambiata con un corpo per quell’impostore.
    «Sono andato a Radiant Garden.» le confessò, una mezza verità.
    Per alcuni secondi rimase in silenzio.
    «Non avresti dovuto andare da solo.» disse gentile. «Avrei potuto accompagnarti.»
    Stava meglio, averlo lontano, non essere costretta ad avere davanti agli occhi la sua condizione, le faceva bene.
    Aveva ripreso a mangiare, passava molto tempo a casa dei genitori di Sora, cercando di consolare loro, mentre loro cercavano di consolare lei. Riku però sapeva anche che ogni notte prendeva la barca ed andava all’Isola dei Bambini; avvolta in una coperta, dormiva sotto il disegno che lei e Sora avevano fatto anni prima. Lo sapeva perché una volta suo padre lo aveva chiamato disperato: Kairi non era nel suo letto, poteva aver fatto qualche sciocchezza. Invece era soltanto nel posto dove sentiva più vicino il suo cuore.

«Ma sei pazzo!» gridò Roxas, trovando finalmente Sora.
    Quando Aeris gli aveva detto che era sparito, aveva avuto un attacco di panico, di quelli che non aveva da quando aveva distrutto i macchinari che tenevano insieme la Twilight Town fasulla. Aveva avuto un attacco di panico, perché, vista la memoria bucata di Sora, tutti correvano da lui quando c’era un problema, tutti contavano su di lui perché prendesse quelle decisioni di cui nessuno voleva farsi carico.
    Ed Axel non era lì.
    Roxas non era Sora, avrebbe voluto gridarlo così forte che l’eco si sarebbe estesa per tutti i mondi.
    E mentre lui impazziva, dove era il prescelto dal keyblade?!
    In una casetta mezzo distrutta.
    «Io mi sono preoccupato, non sapevo dove fossi, pensavo che ti avessero rapito, credevo che…» si bloccò, Sora non stava ascoltando niente di quello che stava sbraitando. Era seduto a gambe incrociate per terra, puntellato sulle braccia, e guardava un vaso di fiori incredibilmente freschi nonostante la rovina dell’abitazione. Sembravano quasi la rosa che la Bestia teneva sotto chiave come il più prezioso dei suoi tesori.
    «Non volevo farti preoccupare, ma qui…» si interruppe non riuscendo a spiegare. «tu non senti?» gli chiese lanciandogli un’occhiata.
    Roxas sospirò esasperato. «Cosa?»
    Scrollò le spalle. «Non so, è che…» lo vide chiudere gli occhi. «c’è tanta luce.»
    Continuò ad osservarlo perplesso; aveva fatto perdere la ragione al keyblade master per eccellenza, fantastico. Quella casa diroccata doveva essere rimasta chiusa e disabitata dall’incidente, era tutto polveroso, le finestre erano sbarrate da tavole incrociate: luce, era l’ultima parola al mondo che si sarebbe sognato di affiancare a quel posto.
    Sospirò. «Devo riportarti al ricovero.»
    «Non ci voglio andare.»
    «Perché?»
    Sora si alzò lentamente e lo guardò titubante. «Sono addormentati per colpa mia.»
    Per alcuni secondi Roxas non poté fare altro se non fissarlo ad occhi sgranati.
    «Tu ricordi?!» chiese incredulo.
    Ma lui scosse la testa. «Però lo so.» intrecciò le dita dietro la testa e fece un giro su sé stesso guardandosi intorno. «Posso stare qui?»
    Roxas non sentì la luce, ma qualcosa gli suggerì che quello era proprio il posto dove Sora sarebbe dovuto stare, anche se non ne conosceva la ragione.
    «Temo di no.» disse dispiaciuto, posando una mano sullo stipite graffiato della porta. «Potrebbe caderti in testa il soffitto.» sospirò ancora, lanciandogli un’occhiata. Si sentiva più calmo ora, e non solo perché lo aveva ritrovato; Sora continuava ad essere il suo contatto con un mondo dal quale lui era stato esiliato per troppo tempo, gli serviva averlo vicino. «Però puoi venire a casa di Axel con me…» si strinse nelle spalle. «non credo che impazzirà di gioia all’idea di avere tanti coinquilini, ma riusciremo a convincerlo.» quando alzò di nuovo gli occhi su Sora, lui stava sorridendo.
    «Sono contento che vi siate ricongiunti.» disse dirigendosi verso la porta per uscire di lì. «Almeno è servito a qualcosa…»
    «Co…» fece per chiedere Roxas quando realizzò che Sora ricordava lui, Axel, l’Organizzazione e di averlo avuto nel suo cuore. Lo rincorse, quando era già uscito nel giardino interno.
    Se avesse guardato con più attenzione avrebbe trovato una cornice nascosta sotto un velo di polvere, avrebbe visto una foto che ritraeva i vecchi inquilini di quel domicilio, avrebbe riconosciuto una ragazzina sorridente con i capelli rossi e gli occhi blu come l’oceano.

Axel li guardò, tutti e due fermi davanti alla porta di casa sua, sembravano due cuccioli che supplicavano una ciotola di latte. Ecco, un altro degli inconvenienti di scegliersi come amante il più complesso dei Nobody.
    «Ehilà, Sora, ti sei svegliato!» lo salutò studiandolo tutto da capo a piedi, ignorando volutamente l’altro, che in realtà non sembrava affatto amichevole, anzi, si aspettava quasi che iniziasse ad urlargli contro. Se era ancora lì, se il suo amico rompiscatole non lo aveva portato via, significava che da qualche parte doveva esserci un intoppo.
    Sora sorrise annuendo. «Ho sentito Roxas.» spiegò, come se davvero quella potesse essere una delucidazione invece che l’inizio di tutta una serie di altri interrogativi.
    Ma Axel, oltre ad essere un uomo molto paziente, era assuefatto alle stranezze, quindi, non fece una piega e spostò lo sguardo su Roxas. «Fammi indovinare…» cominciò.
    «Non ricorda lei.» disse sfidandolo con lo sguardo a non accettare una proposta già di per sé eloquente. «Non ricorda Riku, ricorda noi e noi dobbiamo prenderci cura di lui.» annunciò, non era né un’offerta né una proposta: lui doveva farlo, se Axel non avesse acconsentito non sarebbe rimasto.
    Axel si scostò dalla porta per farli entrare. «Starete in camera mia.» disse arreso. «Non fate casino o vi butto fuori.»
    Roxas lo guardò dal centro della stanza con una punta di offesa per quell’offerta che in realtà era molto più che gentile, Axel non era un tipo esattamente altruista, quindi sarebbero dovuti essergli molto più che riconoscenti, però…
    «Non è necessario.» rispose con cortesia Sora, quasi leggendogli nel pensiero. «Posso dormire sul divano, ci sono già stato, sarà sicuramente più comodo per me che per te.» spiegò riferendosi alla sua altezza.
    «Sei un ospite, no?»
    Lui gli lanciò un’occhiata gelida. «Lo ero anche prima e non mi ha usato le stesse premure.» lo rimproverò.
    L’uomo rise.
    Roxas li guardava senza sapere cosa dire, cosa fare, cosa pensare. Aveva una corpo, ma in ogni caso lui ed Axel non erano ‘insieme’, non si stavano baciando, né toccando, figurarsi fare l’amore. Dopo quella prima notte in cui abbracciarlo e baciarlo era stato come affermare la sua esistenza dopo anni di morte, non c’erano stati più contatti tra loro. Ed ora l’unica cosa che riusciva a fare era rinunciare anche al posto accanto a lui nel letto in favore di Sora.
    Che poteva fare se non fingere di essere d’accordo?
    «Ti conviene approfittarne.» disse sorridendo a Sora. «Potrebbe ripensarci.»
    Il ragazzo lo guardò combattuto e lui gli fece un cenno con la testa. «Va bene, allora.»

«Qual è il vostro problema?» domandò Sora sfilandosi la maglietta.
    Roxas seduto sul bordo del letto calciò via le scarpe. «Non lo so.»
    «Insomma, mi aspettavo che non mi avrebbe voluto per non avere altra gente in casa se non te…» si strinse nelle spalle togliendosi anche scarpe e pantaloni, non poteva esserci nessun tipo di pudore tra loro, il corpo di uno era il corpo dell’altro, era come guardarsi allo specchio. «mi aspettavo di sentirvi litigare dal salotto, perché in quel modo avreste avuto delle limitazioni per colpa mia.»
    Sospirò, un tempo probabilmente sarebbe stato così. «Ci hai pensato parecchio.» commentò con amarezza.
    Sbadigliando Sora si buttò sul letto e prese a stiracchiarsi. «Non volevo essere ancora di impiccio.»
    Roxas non voleva pensare all’eventualità che per qualche motivo Axel avrebbe potuto non volerlo, meglio pensare al suo mezzo fratello che ricordava soltanto cose inutili: parlava di tutta la loro recente avventura a Radiant Garden come se la sua memoria fosse a prova di bomba, eppure non sapeva più chi era Kairi. Come poteva non sapere più chi era Kairi? Era Kairi!
    «Roxas?» iniziò sprofondando con il viso nel cuscino. «Secondo te chi ci abitava in quella casa dove sono stato oggi?»
    Spense la luce e si tuffò sul cuscino di Axel, non avevano nemmeno dovuto parlarne, tutti e due ricordavano bene che Axel dormiva a destra e tutti e due convenivano che quello fosse il posto di Roxas. «Non so.» ammise.
    «C’era qualcosa nell’aria…» sospirò, quasi un gemito.
    Roxas si strinse addosso il cuscino di Axel tanto forte da lasciarci l’impronta del proprio corpo, a volte lo faceva così arrabbiare… morse la federa perché non poteva mordere lui.
    «Dovresti parlargli.» gli suggerì Sora.
    «Di che?» sbottò irritato. «Non ho niente da dirgli.»
    «Ok, ci parlo io.»
    «Non ti conviene.» borbottò Roxas tetro.
    «Perché?»
    «Perché adesso posso prenderti a calci.» lo minacciò.
    Sora ridacchiò.
    «Pensa a sistemare le tue di cose.» in qualche modo alle sue ci avrebbe pensato lui.

Si alzò dal letto quando fu certo che Sora fosse addormentato, portandosi dietro il cuscino di Axel. Aprì con attenzione la porta che l’uomo aveva lasciato socchiusa, probabilmente per essere certo che in caso di bisogno li avesse sentiti, come se fossero due ragazzini e lui il baby-sitter annoiato. Davvero, umiliante. Non lo riteneva un ragazzino quando lo baciava attraverso Sora, non lo trattava da ragazzino quando gli infilava le mani nei pantaloni, non lo guardava come un ragazzino quando era accucciato tra le sue gambe a trastullarlo.
    No, che non lo faceva.
    Lui la chiuse la porta, perché aveva paura di svegliare e magari spaventare Sora. In realtà la chiuse soprattutto perché se avesse realizzato che uccidere Axel fosse l’unica soluzione possibile, voleva poterlo fare in tranquillità e senza interruzioni.
    Si avvicinò al divano furtivo come un gatto, strinse il cuscino tra le mani e lo colpì infastidito.
    Axel soffocò un ‘ahi’, seguito da un’imprecazione piuttosto fantasiosa. «Rox, ma che ca…?»
    Per un attimo il fatto che fosse sicuro che si trattasse di lui lo gratificò quasi, poi comprese che tra quelle quattro mura, lui era l’unico che avrebbe potuto prendere a cuscinate Axel.
    «Si può sapere dov’eri finito oggi?» chiese nel suo migliore bisbiglio indispettito, prima di colpirlo ancora. «Avevo perso Sora e tutti si aspettavano qualche miracolo da me!» un’altra cuscinata, ma stavolta l’uomo fu abbastanza pronto da afferrare ‘l’arma’ e tirare fino a farselo cadere addosso in un incrocio di gambe e braccia, familiare quanto il sapore dolce e salato dei ghiaccioli al sale marino.
    «Ma sei impazzito?» domandò, tenendo il cuscino tra i loro corpi in modo che Roxas colpisse quello e non lui stesso.
    «Ho fatto tutto questo casino per te e mi fai dormire nel letto con Sora come se avessi dodici anni!»
    Axel sospirò e lanciò lontano il cuscino trovandosi faccia a faccia con lui. Gli posò le mani sulle braccia per tenerlo fermo, per quanto fosse cresciuto era ancora più piccolo di lui. «Calmati!» ordinò, per tutta risposta Roxas sbuffò, ma non tentò di liberarsi dalla sua stretta. «Lui ha bisogno di te, ma anche tu hai bisogno di lui adesso.»
    Non rispose, cosa che poteva significare il suo tacito consenso.
    «Non ho avuto fretta per tutto questo tempo, dovrei iniziarne ad avere ora?»
    Ancora silenzio, poi: «Volevo questo corpo per poterti baciare e…»
    Axel lo baciò, interrompendo ogni suo ulteriore tentativo di spiegazione, Roxas rispose con l’entusiasmo di un ragazzino eccitato e la disperazione di un uomo abbandonato e ritrovato. «Niente sesso finché Sora è fra queste quattro mura.» sussurrò sulle sue labbra dischiuse.
    Lui mugugnò, mordendolo piano. «Perché?» chiese in un lamento.
    «Perché è Sora.»
    Roxas sospirò, ma non perse ulteriore tempo a parlare quando poteva baciarlo, andava già meglio in quel modo.

Se in quel momento qualcuno fosse stato con Sora, lo avrebbe sentito invocare il nome di Kairi.

date retta a Sora!!
niente da fare, ma vedrete che pian pianino ne usciamo!
baci
   
 
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