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Autore: Flaqui    28/02/2012    6 recensioni
Melanie Tompson sta confabulando qualcosa con un gruppetto di spaurite ragazzine del primo anno, fra cui riconosco una che abita nel mio palazzo.
–Quelle sono le Rinaldi- sta sussurrando con aria cospiratrice alle nostre nuove reclute, arrivate da soli pochi giorni e già immerse fino al collo in questa assurda società che è la nostra scuola. –Quella più bassa è una mangiatrice di uomini ma è più pericolosa per noi grandi. Voi dovete temere di più l’altra, quella magrissima, è un’isterica, potrebbe urlarvi contro senza alcuna ragione apparente. Non guardatele mai negli occhi-
Tefi fa una smorfia, prima di scoppiare in un urletto isterico sotto gli sguardi spaventati delle bambine che evidentemente, dopo le istruzioni appena ricevute, si aspettano che io mi mangi un ragazzo e mia sorella si metta in piedi sulla panca della mensa urlando.
Cosa che in effetti è successa l’anno scorso.
Forse non dovrei screditare così Melanie, infondo. Credo che sia la verità. Ma, verità o meno, io vinco sempre.
Si, io amo vincere. Non credo che l’importante sia partecipare. L’importante è arrivare prima, alzare le mani in aria, girarsi verso i perdenti e fare loro il gesto dell’ombrello.
Genere: Comico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Marianella, Thiago
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Una falla nel cielo'
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Abbassate le armi, vengo in pace!
Si, lo so, ora vi state chiedendo: "Ma chi è questa? La conosco? Ho mai avuto rapporti con lei? Ah, ma si, quella che scrive tutte quelle stupidaggini e poi sparisce per mesi senza aggiornare o recensire!"
Ebbene si, ragazze, sono proprio io.
Dirvi che mi dispiace per il ritardo con cui aggiorno sembrerà scontato ed idiota, ma non posso farne a meno! La scuola è davvero un osso duro in questo periodo e sono sommersa di compiti ed interrogazioni, per non parlare poi di altri vari problemi personali con cui non voglio tediarvi...
Spero comunque che riuscirete davvero a perdonarmi perchè non è esattamente un periodo facile per me e ormai scrivere è l'unica valvola di sfogo che sembra essermi rimasta...
So che non ho recensito parecchie storie ma intendo farmi perdonare, davvero!
Sono testarda, lo sapete, alla fine, se si tratta di rompere, ci sono sempre!
Scusate, scusate, scusate!
E godetevi il capitolo!
Fra



Capitolo I

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Jazmin roteò su sé stessa, facendo frusciare la seta del suo vestito blu sulla pelle e sorridendo contenta verso lo specchio. Eravamo rinchiuse in quel negozio da ore e le stesse commesse avevano rinunciato ad aiutarci, dopo aver penato per trovare il modello giusto dell’abito e aver trucidato Jaz quando l’aveva chiesto in un altro colore.
-Allora?- si girò verso di me, con una certa aspettativa, il sorriso con le fossette sul viso –Che te ne pare di questo?- chiese, facendo un altro giro su se stessa.
-Non è esattamente uguale a quello che hai comprato qualche settimana fa?- chiesi, cauta.
Mi piaceva fare shopping, ero una ragazza, dopotutto, ma avevo poca pazienza e, se il fenomeno della “vestizione”, come lo chiamava Rama, non mi riguardava in prima persona, allora risultavo particolarmente indisponente.
Jazmin aggrottò la fronte, rimanendo ferma per un attimo, poi scrollò le spalle –Bhe, quello era bianco. Questo è blu, c’è differenza!- si girò di spalle e se lo aggiustò in modo che le risaltasse il sedere –E poi a Tacho piace molto il blu…-
Feci ruotare gli occhi, scocciata
-State ancora insieme?- mi informai.
Lei mi fissò spazientita dallo specchio. Non sopportava il mio mondo di pormi con il suo ragazzo. Era sempre stata una ragazza indipendente ma da quando c’era lui i suoi pensieri sembravano essersi ridotti a “Tacho, cuoricini, Tacho, fiori, Tacho, shopping, Tacho, amore, Tacho, carta di credito, Tacho”, il che, per me, era decisamente irritante.
-Si, Mar. Stiamo ancora insieme e solo perché non comprendi lì importanza di un amore maturo e serio come il nostro non vuol dire che non lo debba fare anche io!- esclamò entrando nel camerino e lanciandomi il vestito da dietro la tenda.
Lo afferrai con un piccolo scatto della mano e tornai a trincerarmi nel mio broncio.
-Oh, andiamo Jaz! Questa storia dell’amore puro e maturo è una stronzata pazzesca! Dannazione abbiamo diciassette anni! Solo io sono prevedibilmente incostante?- chiesi, corrucciando il viso - Deprimente. Sono l’unica a godermi la vita. E poi ce ne sarà di tempo per cercare il principe azzurro!- conclusi la mia brillante arringa con un espressione vagamente isterica.
-Qualcosa mi suggerisce che il tuo brillante piano per farti baciare da Bedoja non abbia funzionato- trillò lei, soffocando una risatina. Tirai un calcio alla tenda, sperando di colpirla.
-Mancata- si premurò di farmi sapere –E comunque, non mi sembravi molto il suo tipo- chiosò.
-Era lui a non essere il mio tipo- precisai con una smorfia irritata al pensiero del suo viso troppo vicino al mio e le sue parole sprezzanti e da completo idiota –Nella mia coppia ideale ci può essere solo uno narcisista e quella sono io-
Jazmin questa volta scoppiò a ridere di gusto, mentre la sentivo armeggiare con la cintura dei suoi jeans.
-Su, Mar bella, la vita è piena di principi azzurri!- sospirò, spalancando la tenda e rimanendo impalata davanti allo specchio del corridoio, aggiustandosi i capelli.
-Il mio evidentemente si è suicidato. E, comunque, non ne ho bisogno, sto benissimo così-
Lei mi fissò scettica con quel suo sguardo da psicologa incallita, e senza nemmeno rendermene conto, mi ritrovai a raccontarle la mia esperienza con l’idiota, di come mi avesse quasi baciata e della sua ultima enigmatica frase lanciatami.
-Oh, miseriaccia! Ti ha detto davvero così?- Jazmin mi fissò per un minuto buono, la bocca spalancata e gli occhi così aperti da assumere le dimensioni di due piattini. Si morse il labbro, poi, come se non ci fosse l’intero corpo studentesco a fissarla, scoppiò a ridere.
Avevo sempre pensato che la risata di Jaz fosse meravigliosa. Era un suono cauto, limpido come quando, a cena, fai per caso scontrare la forchetta con un bicchiere, di cristallo. Ti metteva un’allegria unica, l’insensata voglia di metterti a correre su un prato fiorito, di saltellare sul letto, di ignorare per una volta buona la dieta e mangiare cioccolato.
Probabilmente penserete che sia una reazione esagerata, ma non l’avete mai sentita ridere. Perché quando lei, la mia amica, l’altra metà del mio uno, ride, mi sento più leggera, più pulita, più lontana dalla mangia uomini e sgualdrina.
Ovviamente quando non ride di me.
Perché, statene sicure, se c’è qualcosa che odio anche più di quell’idiota patentato di Thiago Bedoja Aguero, delle verifiche di fisica a sorpresa, di essere ignorata o di perdere, è che ridano di me.
-Andiamo!- Jaz cerca di smettere e si asciuga una lacrimuccia all’angolo dell’occhio, prendendo respiri profondi per calmarsi –Cosa vuoi che sia! È un idiota, davvero! Non puoi davvero prendertela per così poco!-
Il mio sopracciglio è inarcato così tanto da scomparire sotto l’attaccatura dei capelli e lei, il mento che le trema, e le labbra che si serrano in una smorfia tesa, cerca invano di trattenersi dallo scoppiare a ridere di nuovo.
La commessa ci si avvicina, con circospezione. Credo che abbia paura di Jazmin. La mia amica, invece, le porge con un sorriso scintillante i vestiti che ha scelto, seguendola alla cassa.
-Ottantacinque e novantanove- esclama la donna porgendoci la busta, senza nemmeno il sorrisino falso e di circostanza.
Jazmin si gira verso di me, con fare cospiratorio –Se mio padre ti chiede quanto sono costati, menti. Menti spudoratamente!-
Poi, dopo aver pagato con la sua brillante carta di credito nuova, mi prende per mano e mi trascina per il corridoio affollato del centro commerciale di Buenos Aires.
Io continuo ad ignorarla, offesa, mentre lei continua, ogni tanto, a fare piccole risatine, sciocche.
–Dai, Mar, non puoi mica pretendere di piacere a tutti!- esclama alla fine, sorridendomi.
Se Jaz non fosse stata Jaz, le avrei già tirato un bel pugno in piena faccia, ma lo è, e, per una volta, anche se sono tremendamente offesa, sento anche io una irresistibile voglia di ridere.
Perché è davvero patetico.
Quel ragazzo non sa contro chi si è messo contro, per niente. Non sa che renderò la sua vita un inferno fino a che non avrò ottenuto quello che voglio, che non lo lascerò in pace fino ad aver conseguito il mio scopo. Che entrerò in lui, che lo farò impazzire, che lo costringerò a supplicarmi, in ginocchio, con le lacrime agli occhi e le mani congiunte, a farlo mio.
Sembra quasi un discorso maschilista, di quelli che fanno gli spacconi di trenta anni nei film per adolescenti mentre recitano le loro brave particine da diciassettenni, ma è così.
E io, a differenza di quegli attori, seguirò il mio piano alla perfezione e potrò vantarmi di avere un nuovo trofeo.
 
-Scommettiamo?-
   
 
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