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Autore: Flaqui    28/02/2012    11 recensioni
Albus non è una persona eccezionale.
È un ragazzo normale, con due migliori amici che litigano in continuazione, una sorellina più piccola che si dedica alle predizioni, un fratello più grande che ama mettergli i bastoni fra le ruote e una famiglia di pazzi.
Non è brillante come Rose, affascinante come Scorpius, determinato come Lily, desiderato come James.
E proprio per questo che, dopo un orribile giornata in cui tutto sembra andare storto esprime quel piccolo, assurdo desiderio che gli cambierà l'esistenza.
Genere: Comico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio | Coppie: Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Abbassate le armi, vengo in pace!
Si, lo so, ora vi state chiedendo: "Ma chi è questa? La conosco? Ho mai avuto rapporti con lei? Ah, ma si, quella che scrive tutte quelle stupidaggini e poi sparisce per mesi senza aggiornare o recensire!"
Ebbene si, ragazze, sono proprio io.
Dirvi che mi dispiace per il ritardo con cui aggiorno sembrerà scontato ed idiota, ma non posso farne a meno! La scuola è davvero un osso duro in questo periodo e sono sommersa di compiti ed interrogazioni, per non parlare poi di altri vari problemi personali con cui non voglio tediarvi...
Spero comunque che riuscirete davvero a perdonarmi perchè non è esattamente un periodo facile per me e ormai scrivere è l'unica valvola di sfogo che sembra essermi rimasta...
So che non ho recensito parecchie storie ma intendo farmi perdonare, davvero!
Sono testarda, lo sapete, alla fine, se si tratta di rompere, ci sono sempre!
Scusate, scusate, scusate!
Per farmi perdonare ho aggiornato con un capitolo bello lungo!

IMPORTANTE
Ragazze mie, finalmente ci siamo!
Dal prossimo capitolo, bhe anche da questo, a dire il vero, la storia inizia a farsi interessante e le cose inziano a complicarsi (o a sbloccarsi, dipende da come la vedete)...
Innanzitutto si scoprirà quale è il problema di Lily e perchè Hugo ha così tanta paura di lei e poi, finalmente, una scossa davvero importante alla trama!
Spero che possa piacervi, davvero
Fra

Dedicato alle meravigliose 10 ragazze che hanno recensito lo scroso capitolo,
alle 2 che mi hanno dato un parere su degli altri capitoli,
alle 31 preferite
alle 12 ricordate
e alle 74 seguite.
Grazie perchè siete l'unica ragione per cui continuo a scrivere!


Capitolo XIII


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Le ragazze, mentre aspettano il principe azzurro, si fanno tutto il reame…
(Anonimo)

 
Le aveva sempre odiate le principesse, lei.
Loro con i capelli perfetti, sempre al loro posto, con quei lunghi abiti dai colori pastello che assumevano spesso delle tonalità improbabili, con le loro scarpette di cristallo che non si frantumavano e non le facevano inciampare.
Loro e la loro vita dannatamente perfetta, con i loro principi azzurri e i loro magici castelli incantati.
Dominique, invece, le adorava.
-Sei davvero strana Rosie- le diceva quando, mentre zia Audrey raccontava loro per l’ennesima volta la storia di quella bellissima fanciulla caduta in un sonno magico che aspettava il bacio del vero amore, la vedeva roteare gli occhi, seccata –Come fanno a non piacerti le principesse?- ripeteva, gli occhioni azzurri spalancati e i riccioli biondi che le incorniciavano il volto.
-Io da grande sarò una di loro- proferiva alla fine, tirando su con il naso e poi sorrideva.
Rose aveva sempre pensato che Dominique avesse il sorriso più bello del mondo. Come un lumus maxima estremamente forte. E poi aveva davvero l’aspetto di una principessa, per non parlare del carattere, assolutamente adatto a farla vivere a corte con una schiera di paggi e cavalieri senza macchia e senza paura.
-Non fanno nulla di che- rispondeva lei.
E infondo era vero.
Cosa facevano poi quelle leggiadre fanciulle se non sedersi buone, buone e aspettare pazientemente che un giorno arrivasse a salvarle un ricchissimo e bellissimo principe?
Lei era sempre stata una persona reattiva e indipendente, non avrebbe certo sopportato di essere aiutata da qualcuno. Probabilmente non era un pensiero molto romantico, anzi era in assoluto uno dei peggiori che la tua testolina anormale possa aver mai concepito, come le disse una volta sua cugina, ma lei, se proprio avrebbe dovuto ricoprire un personaggio nella favola, avrebbe scelto di essere il principe.
Un po’ di azione, andiamo!
E poi, nella sua famiglia, ce ne erano tante di principesse! Victorie che con la sua storia con Teddy si era conquistata il ruolo di “principessa madre”, coronando il sogno d’amore di tutte le sue cugine più piccole. Dominique con il suo viso sottile e le efelidi che le punteggiavano deliziosamente il viso. Lily con la sua mania di essere servita e riverita. Lucy e Molly che disegnavano abiti da sogno sui documenti di zio Percy, facendolo diventare paonazzo e urlare come un matto, gridando al sabotaggio. Persino Roxanne, anticonvenzionale e con i piedi per terra come era, aveva speso qualche pomeriggio della sua infanzia a pensare al principe azzurro.
E, a quel punto, Rose se l’era sempre chiesto, cosa aveva lei di sbagliato? Perché anche il suo mondo non era pieno di unicorni ed arcobaleni? Perché avrebbe preferito rimanere zitella a vita rischiando di battere il primato di zia Muriel piuttosto che cadere addormentata per cento anni in attesa di un principe che non sarebbe, forse, nemmeno arrivato?
E voci affollavano la sua mente, quasi a confermare che lei, di normale, non aveva proprio niente. Spezzoni di conversazioni, affermazioni convinte, sussurri, constatazioni che da piccola le avevano reso la vita un inferno.
-Prima o poi il mio principe azzurro arriverà-
-Sei davvero strana Rosie-
-Vorrei vivere in una favola…-
-Sei davvero strana Rosie-
-Come fanno a non piacerti le principesse?
-Sei davvero strana Rosie-
-Io da grande sarò una principessa…-
-Sei davvero strana Rosie-
-Ti piace il mio vestito da principessa, Rosie?-
-Sei davvero strana Rosie-
Era tanto male quello che le capitava?
In cuor suo sperava di no.
-Ma il mondo non è fatto per le principesse, bambina- le aveva detto una volta sua madre quando l’aveva vista con gli occhi rossi e le guance infossate, i pugni chiusi che stringevano l’aria, come a voler trattenere almeno lei, visto che con le lacrime non ci era riuscita.
E Rose, a distanza di molti anni, l’aveva compreso.
Il mondo non era davvero fatto per le principesse.
Il mondo era fatto per quelle come lei, che quando volevano qualcosa si alzavano e andavano a prenderla, che mettevano l’anima in quello che facevano, che avevano grandi sogni e grandi aspettative. Che non se la sarebbero presa se il mondo si sarebbe rivelato bastardo e che erano abituate alle batoste e alle derisioni.
Il mondo era fatto per quelle come lei che continuavano a vivere nella loro ipocrisia alla disperata ricerca di qualcosa che le facesse sentire bene.
Il mondo non è fatto per le principesse.
 
La biblioteca di Hogwarts, nonostante i precedenti della madre, non era il suo posto preferito. Ma, per lo meno, era silenziosa, intima. In effetti, si ritrovò a pensare, l’aveva sempre considerato un posto sacro.
L’essenza della magia.
L’odore dei libri e della carta, il grattare leggero della penna sulle pergamene, il sussurro degli studenti che non possono parlare ad alta voce. Aveva il suo fascino per lei che era nata e cresciuta con una famiglia numerosa e ridanciana.
Ma nulla poteva battere il paesaggio che si intravedeva dalla Torre dei Corvonero. Quello era di sicuro il posto più suggestivo di Hogwarts, secondo lei.
Trattenendo un sospiro stanco si chinò a raccogliere la sua sacca, facendo ben attenzione che Eric Freeman, di Serpeverde, notasse come le stava bene la camicetta scollata, quel giorno. Una volta che l’ebbe afferrata, ed ebbe fatto l’occhiolino a Eric, fece per metterla sulla sedia accanto alla sua. Nessuno si sedeva accanto a lei.
Non che i ragazzi non ci avessero provato, ma, quando studiava, come tutti sapevano, era particolarmente irascibile, forse per via della sua necessità si silenzio e di calma. E nessuno avrebbe rischiato di sedersi accanto a lei ed infastidirla anche solo con il proprio respiro quando era irascibile.
-Ciao Rosie!-
-Non chiamarmi Rosie, idiota-
Ovviamente tranne quel maniaco di Serpeverde che le stava dando il tormento da quando aveva messo piede a scuola. E che aveva il brutto vizio di chiamarla Rosie.
Nessuno la chiamava Rosie. Non più almeno.
-Vedo che siamo particolarmente socievoli, oggi, eh?- sorrise lui, lasciandosi cadere accanto a lei.
Rose non si scompose e continuò ad ignorarlo.
In verità non sapeva esattamente come liberarsene, di quell’impiastro. Innanzitutto la seguiva ovunque. La aspettava per fare colazione, la accompagnava in classe e quando avevano lezione insieme si sedeva vicino a lei. La maggior parte delle volte, poi, si portava dietro quell’idiota di Tomas Wate che non faceva altro che fissarle il fondoschiena.
Aveva sperato che, ignorandolo, avrebbe rinunciato. Che sarebbe bastato non dare peso alle sue assurde pretese, essere suo amico, ma andiamo!, e lui si sarebbe stancato.
Aveva aspettato una settimana.
E lui aveva iniziato a parlarle di quanto fosse orribile Artimazia e su quanto fosse odioso Gerard.
Aveva aspettato due settimane.
E lui aveva iniziato a cercare di ottenere delle risposte da parte sua, finendo, delle volte, persino per ottenerle.
Aveva aspettato tre settimane.
E lui aveva iniziato a chiamarla Rosie.
Ottobre era ormai alle porte e la sua pazienza al limite.
Aveva inoltre scoperto che trattarlo male non serviva a nulla, i suoi insulti sembravano scivolargli addosso.
Cercando di ignorare il suo allegro discorso su quanto il professor Gerard fosse un infido traditore, nonché personificazione del male, cercò di concentrarsi sul suo libro di Storia della Magia.
Erano le cinque passate, fra un oretta la Cena sarebbe stata servita in Sala Grande e le lezioni si erano concluse da un pezzo, nessuno andava in Biblioteca a quell’ora.
Solo Eric Freeman che era stato messo in punizione e doveva ordinare l’intero scaffale dei libri sulla Medimagia, lei, che non aveva trovato altra soluzione che seppellirsi lì per nascondersi dalla palesate avances di un Tassorosso particolarmente asfissiante e l’impiastro, Rose aveva preso a soprannominare così Albus nella sua testa, che, da bravo maniaco, non solo le si era seduto accanto ma l’aveva pure chiamata Rosie.
Un rumore di passi affrettati la fece, per l’ennesima volta, distogliere lo sguardo dalla lettura.
-Non ci credo!- esclamò la voce di una ragazza –Non pensavo arrivasse a tanto-
Drizzò le orecchie, in ascolto, magari avesse scoperto qualche pettegolezzo importante che le sarebbe potuto essere utile.
-Bhe, sai, fosse qualunque altro, non ci avrei creduto. Ma si tratta di lei, quindi… insomma l’hai vista come si è conciata alla festa di Olly, lo scorso semestre e come va in giro per la scuola!- rispose un’altra vocetta particolarmente acuta.
Albus, davanti a lei, aveva finito la sua filippica contro Gerard e ne stava iniziando un’altra contro la professoressa Piper, di Antiche Rune.
-Ma ne sei sicura, Shelly? Con un professore? Ma che puttana!- continuò la prima voce
–Bhe, ti dico questo. Pensaci, da quando ha iniziato a mettere le camicette scollate i suoi voti in Pozioni sono saliti alle stelle!- si infervorò Shelly. Seguì un piccolo strascichio di sedia segno che qualcuno di stava alzando.
Rose si agitò al suo posto.
Qualcuno se la faceva con il professore di Pozioni?
Okey, i gusti erano gusti e c’erano gente che, in attesa del principe azzurro si faceva tutto il reame, però… insomma Fredner era davvero rivoltante!
-Sai non me lo sarei aspettato da lei, però!- esclamò di nuovo la prima voce questa volta così piano che Rose dovette sforzarsi per sentirla –Sembrava una così brava ragazza, prima!-
-Prima, infatti!- Shelly probabilmente si era seduta perché Rose potè udire con estrema precisione un piccolo tonfo. –Ora, però, e te lo posso dire con sicurezza, è cambiata. Quella Rose Weasley è proprio una puttana-
Si accorse di aver chiuso gli occhi solo quando gli spalancò sentendo le mani fredde di Albus sulle sue. Provò a ordinare alla sue, di mani, di sciogliere la morsa in cui si erano chiuse, ma non rispondevano ai comandi, difettose.
Io sono difettosa.
Albus la stava guardando e, per la prima volta da quando l’aveva visto, non sorrideva. La fissava intensamente e Rose provò l’innegabile voglia di gettarsi fra le sue braccia e piangere, come faceva da piccola con sua madre, quando ancora tutto poteva essere risolto con un sorriso o una carezza, quando ancora piangeva per cose essenziali come una brutta caduta o una litigata particolarmente accesa.
Ma, ormai, non si trattava più di quello.
Non era caduta, eppure era ancora sul fondo. Non aveva litigato con nessuno ma gli sguardi dei suoi cugini, di suo fratello, di quelle stronze, di tutti, erano più evidenti di qualsiasi altra cosa.
Guerra fredda. Ah, i Babbani si che sanno dare i nomi alle cose. Perché mi sento così fredda, ora.
Albus strinse con più forza le sue mani, come a volerle trasmettere un po’ di calore, di forza, di vita.
-Lasciale perdere, Rosie. Che vadano a farsi fottere!- esclamò lui, afferrandola per un braccio e cercando di attirarla a sé, probabilmente per abbracciarla.
Ma Rose si divincolò, con forza.
Non voleva che Albus l’abbracciasse perché, per quanto potesse essere asfissiante e idiota, un impiastro a tutti gli effetti, era così… candido.
Il principe azzurro delle favole, quello che l’avrebbe portata in groppa al suo cavallo, ma che non l’avrebbe condotta nel suo bellissimo castello ma in una giungla infestata di pericoli, di cui non si sarebbe innamorata, ma che l’avrebbe aiutata a sconfiggere i cattivi.
Pulito, limpido, senza complicazione.
E, lei, invece, si sentiva così dannatamente sporca, stupida e meschina, troppo complicata e assurda, troppo odiosamente se stessa per uno come lui, per anche solo pensare di potergli stare accanto.
-Come, non lo sapevi?- Rose sorrise a quello che una volta, anche se non lo sapeva, era stato il suo migliore amico –L’ho già fatto io!-
Poi, prima di dargli il tempo anche solo di articolare una parola, si liberò dalla sua presa e si incamminò velocemente lungo il corridoio, infilandosi nel primo bagno che trovò e chiudendosi dentro, con l’affanno che si mischiava ai suoi singhiozzi stanchi e stremati.
Aprì la porta che dava su uno dei gabinetti e ci si precipitò dentro. Si inginocchiò accanto il water e vomitò.
Il mondo non è fatto per le principesse, Rosie.
 

***

 
Dannazione!
Hope lanciò uno sguardo perplesso e vagamente preoccupato al cielo, troppo scuro e grigio per i suoi gusti, poi, un’altra, ancora più preoccupata e terrorizzata al manico di scopa che teneva ancora in mano.
Quando, a undici anni, le avevano rivelato la sua vera natura e la signorina Bones le aveva regalato un libro sugli sport magici, Hope, venendo per la prima volta a contatto con il Quidditch, l’aveva trovato carino.
Facile, una cosa semplice e innocua.
Un piccolo giretto del campo con una scopa alla ricerca di una piccola pallina dorata.
-Quanto vuoi che sia difficile?- si era chiesta, stringendosi nelle spalle.
-Molto- era in grado di rispondere ora. –Davvero molto difficile-
E così, alla veneranda età di sedici anni, Hope, con un rossore evidente sulle guancie, si era avvicinata all’insegnante di volo, tale Anthony Goldestain, e gli aveva chiesto se poteva partecipare anche lei, o meglio assistere, alle lezioni che avrebbe dato agli studenti del primo anno.
L’uomo, per quanto sorpreso, aveva annuito e le aveva detto di presentarsi alla lezione che si sarebbe tenuta la mattina dopo, di giovedì. Hope, dopo averlo ringraziato, si era congedata ed era tornata al suo tavolo, vicino ai suoi compagni.
Alla fine, un po’ perché non poteva aspettare la fine dell’anno per attaccare bottone con qualcuno, aveva provato a scambiare qualche parola con una delle sue compagne di dormitorio, tale Emily Snow, una ragazza dai lunghi capelli scuri sempre raccolti in una treccia.
Benché non fosse proprio il massimo della compagnia e le sue conversazioni, a cui Hope si limitava ad annuire senza davvero seguirla, vertessero solo su quanto fosse carino Lorcan Scamandro, e qui lei stessa non ci trovava niente da ridire, su come le lezioni fossero tutte così pesanti e su come, a suo dire, la scuola fosse pullulata da “bambinette che credono di essere delle dive”, e qui lanciava uno sguardo penetrante a una bella ragazza dai capelli rossi che, come venne a sapere in seguito, aveva il nome di Rose Weasley, almeno si era fatta un’amica.
-Cosa stai facendo?- chiese appunto Emily, apparendole alle spalle in una strana e controproducente imitazione di un gufo che si dondola sulla spalla del padrone –Di chi è quella?-
Hope sospirò mentre continuava a camminare, il manico di scopa in mano e la determinata disperazione che la accompagnavano a prendere parte ad una lezione di undicenni sbruffoni.
-Vado alla lezione di volo, te l’avevo detto, no?- chiese con tono neutro e impassibile. Sapeva che avrebbe dovuto essere gentile con Emily, non solo perché si era presa la briga di essere sua amica, o almeno di provarci, (anche se aveva il vago sospetto che lo fosse semplicemente perché aveva già rotto le scatole a tutte le altre) ma a volte le saliva quel tono indifferente senza neanche riuscire a fermarsi.
-Vero, vero. Ma quando finisci?- rispose l’altra, mentre, passando nel cortile pavimentato della scuola lanciava un’occhiata veloce e valutativa. Dal modo in cui ritornò subito a fissarla, Hope ebbe la certezza che non c’era nessuno di più interessante di lei in circolazione.
-Ehm… non ne ho idea… dovrebbe durare un oretta buona. O almeno io ci rimarrò per un’ora perché dopo ho Storia della Magia e…-
-Io non so come fai a seguire quella roba, tesoro!- la interruppe Emily, scostandosi una lunga ciocca di capelli dalla fronte. Chiamava tutti “tesoro”, “ciccio”, “bellezza”… probabilmente per risultare più simpatica anche se, Hope aveva questo sospetto da un po’, forse lo faceva solo perché non si ricordava tutti i nomi delle persone con cui parlava, a differenza di quelli di cui sparlava.
-È interessante- la blandii lei, ponendo fine alla conversazione, poi, dondolandosi sui talloni, avvistò finalmente un solido gruppetto di ragazzini del primo e la salutò velocemente, lasciandola in piedi nel bel mezzo del cortile alla ricerca di nuove persone da chiamare con vomitevoli soprannomi.
 
-Io odio i bambini!- si ritrovò convulsamente a pensare, un’ora dopo –Odio quei piccoli cosini, le loro stupide scopette e odio volare!-
Non solo quei mocciosi erano riusciti a far sollevare la scopa prima di lei, che al terzo tentativo, frustrata, le aveva urlato “Su” con tanta veemenza da ricevere il manico in faccia, ma si permettevano persino di riderle dietro.
-Queste nuove generazioni!- sbuffò fra sé e sé –Non hanno più rispetto! Quando avevo io undici anni non mi sarei mai messa a ridere di qualcuno di sedici! Per quanto assolutamente incapace sia con la scopa!-
Dopo il quinto tentativo, comunque, era riuscita a salire sulla scopa, e, dopo averla fatta sollevare di appena tre centimetri era scoppiata in un urletto di gioia e soddisfazione, con l’unico risultato di ricadere di nuovo per terra.
Una bambinetto dai capelli biondi l’aveva indicata, ridendo come un pazzo, e si era messo a gesticolare, evidentemente cercando di imitarla.
Hope si era alzata con tutta la dignità che le era rimasta, si era tolta i rimasugli di fango che le erano rimasti sui jeans, almeno non aveva dovuto indossare il mantello, ulteriore intralcio per la sua incolumità e per quella di chi le stava accanto, e gli aveva scoccato un’occhiataccia.
Quello, però, invece di smetterla, aveva preso a ridere, se è possibile, ancora più forte, seguito da tutti i suoi amichetti.
Una delle bambine, capelli neri e occhi scuri, gli aveva messo una mano sulla spalla.
-Lou, no- aveva detto, osservandolo con uno sguardo scettico. Hope le era stata grata, grazie al cielo qualcuno con un po’ di cervello e di educazione!
-Non faceva affatto così! Era più qualcosa del genere!- aveva continuato poi la piccola, prendendo a contorcersi come se avesse preso una scossa elettrica, e correggendo all’amico l’imitazione.
Hope si era morsa il labbro per evitare di urlare.
Fortunatamente, in quel momento, era ritornato Goldestain che aveva accompagnato uno dei ragazzi che, come lei, erano caduti, in infermeria, e la lezione era ripresa, concludendosi, come stabilito, un’ora dopo.
Almeno per i bambini, certo.
Lei, invece, sotto lo sguardo scettico e vagamente disperato del professore era rimasta un’altra mezzoretta buona giù al campo, a ritentare per l’ennesima volta di non rovinare sul terreno bagnato da piccolissime gocce di pioggia.
Alla fine Goldestain se ne era andato con una scusa lasciandola lì, da sola, a insultare pesantemente Merlino, Morgana e i loro slip, e le piccolissime gocce di pioggia si era trasformate in una vera e propria tempesta.
Stupido tempo inglese.
 

***

 
Quando Albus arrivò al limitare del cortile di Hogwarts, era fradicio di pioggia. La tempesta si preparava da una settimana.
Le nuvole erano nerissime, e, siccome stava per iniziare la stagione delle tormente, un vento gelido imperversava, togliendoli il respiro.
Dovette spalancare gli occhi e accendere la bacchetta, per evitare di inciampare nei suoi piedi. Non si vedeva ad un metro di distanza. Non era certamente la giornata ideale per andarsene in giro per la Foresta a pensare, si ritrovò a rimproverarsi mentalmente, ma non importava.
Perché doveva farlo. Doveva capire cosa gli stava succedendo, cosa stesse succedendo a Rose, a Scorpius, a James, a Lily, a chiunque altro essere vivente in quella dannatissima scuola. E quale miglior modo per farlo se non girovagare come un’anima in pena per la boscaglia vicino ai cancelli della scuola, stendersi sull’erba bagnata e umida e osservare il cielo farsi sempre più cupo?
Un lampo tagliò il cielo scuro e lui, come gli aveva insegnato suo padre quando era piccolo, contò –uno, due, tre. Esplose il tuono. Albus affrettò il passo: la tempesta era vicina.
La pioggia picchiava sulle sue spalle come un martello pneumatico e i suoi piedi correvano veloci, scivolando impotenti fra le pozzanghere. Il respiro affannoso e irregolare, i vestiti bagnati che gli aderivano addosso come una seconda pelle. Aveva il suo fascino certo.
Un lampo stracciò il cielo, di nuovo. Contò. Uno, due.
La tempesta era sempre più vicina, riusciva a sentirla, avanti a lui, quasi gli stesse fuggendo dalle mani, come tutto quello che aveva avuto prima del desiderio. Tutto gli stava sfuggendo ultimamente.
Un altro lampo. Uno.
Il tuono rimbombò su di lui, facendolo tremare violentemente e la pioggia, non lacrime, gli scendeva sulle guancie. Stava correndo, adesso.
E, finalmente, lo realizzò. Non era lui che inseguiva la tempesta, era la tempesta che stava inseguendo lui. faceva persino fatica a tenere una linea retta, si limitava a correre, gli occhi bassi puntati sulle sue scarpe da ginnastica bianche, quasi a tenere il ritmo del suo avanzare.
Non si vedeva niente, ma, per un attimo, Albus fu sicuro di aver visto qualcosa, due piccoli fari luminosi nella nebbia, forse gli occhi di qualche animale coraggioso avventuratosi fuori dalla Foresta.
Si bloccò appena in tempo, scivolando sul terriccio bagnato, e intanto notò che lei, era una ragazza, non un animale, era ferma, la mano tesa in avanti e gli occhi chiusi, in attesa di un impatto che non sarebbe arrivato.
Nessuno dei due disse una parola mentre Albus si rialzava, tenendo i pugni serrati e gli occhi spalancati al massimo per distinguere meglio la sua piccola figura. Se non avesse riconosciuto il suo cipiglio sicuro e i suoi lunghi capelli biondi, avrebbe creduto che si trattasse di una ragazzina più piccola, ma, invece, era quella Hope, quella strana del corso di Storia della Magia. Quella che lui, ancora più strano a dire in vero, aveva amabilmente investito al loro primo incontro.
Evidentemente non riuscivano davvero ad incontrarsi in altro modo, quasi fosse un segno di quel destino che, già troppe volte, aveva mostrato compiacimento a prendersi gioco di lui.
Questa volta, però, a differenza della prima, Hope non si dimostrò così indulgente a perdonare il loro scontro, anzi, con un cipiglio scuro e gli occhi che le brillavano di una luce assassina e indisponente, rialzò il capo e corrucciò il labbro.
-Cosa stavi cercando di fare? Di ammazzarmi di nuovo?-
Lui boccheggiò, incapace di dire una sola parola, per una volta senza preoccuparsi di rialzare il guscio di protezione che si era così abilmente costruito. Era troppo sorpreso.
Lei, comunque, non aspettò una risposte e si chinò ad afferrare la sua scopa da Quidditch, rovinata sul terreno bagnato. Gli voltò le spalle e si incamminò lungo il sentiero bagnato. Albus aggrottò la fronte, non era così che si era immaginato il continuo della situazione.
-Sei tu che sei spuntata dal nulla!-
Lei agitò con fare teatrale il braccio, quasi a scacciare via il pensiero molesto che le avevano appena proposto. –Stavo cercando aiuto genio!- ribattè, mentre armeggiava con le maniche del suo golfino, cercando inutilmente di allungarlo e coprirsi anche le mani –Mi stavo allenando al campo ma ha iniziato a piovere e sono corsa via…- corrucciò il labbro, mordendoselo con foga –Non so bene dove sono, a dire la verità…-
Albus dovette trattenere una risatina, non tanto per la situazione, visto che il parco intorno a Hogwarts era davvero infinito e con una buona dose di sfortuna saresti pure potuto finire nel bel mezzo della Foresta Proibita, ma per la sua espressione vagamente isterica.
Lei sembrò accorgersene perché incrociò le braccia al petto –Bastava che ti fermassi, sai? Non c’era bisogno di investirmi! Ma, a questo punto, preferisco rimanere qui!-
Albus sospirò, seguendo i suoi passi veloci e infuriati. L’aveva classificata come una ragazza timida, posata e gentile. In verità non era mai stato bravo a capire le persone.
La pioggia continuava a scendere, ma sembrava essersi per lo meno calmata, limitandosi ad uno scroscio continuo e monotono, privo di folate di vento taglienti e brividi incontrollati. Hope aveva lanciato un’occhiata infastidita alle sue spalle, come a controllare se lui fosse ancora lì, terrorizzata, nel profondo, di rimanere di nuovo sola in quel posto verde e cupo.
-Ti do un consiglio, però- Albus, masochista come era, parlò con un tono piuttosto irriverente, ma, davanti al cipiglio molto simile a quello di nonna Molly che la ragazza assunse, addolcì il tono –La prossima volta, non allontanarti troppo dal cortile, qui è un labirinto…-
Lei non rispose, facendo per girare verso il sentiero a destra. Albus l’afferrò per il braccio, trattenendola. Poi, come a interpretare il suo sguardo furioso, evidentemente non amava molto essere toccata quando era arrabbiata, le indicò la direzione opposta –Il castello è di là… da quella parte si arriva alla foresta-
Evidentemente stava attuando la tattica del silenzio perché Hope non rispose di nuovo, aggiustandosi la scopa sulla spalla, e si limitò a girare su sé stessa e a seguire il cammino indicatole.
Quando, però, inciampò su un tronco d’albero particolarmente scivoloso, Albus decise di porre fine alla situazione imbarazzante e propose.
-Andiamo, seguimi, ti accompagno io-
-No, grazie- aveva davvero parlato? Albus sorrise compiaciuto –Preferisco aspettare il prossimo ragazzo che cercherà di uccidermi-
-Non ci sarà nessun altro ragazzo. Potrebbero passare ore prima che smetta di piovere e da qui non passa mai nessuno-
-Me la caverò-
Miseriaccia, non se l’era mica immaginata così permalosa! E dire che i suoi modi, il suo tono di voce e le sue piccole dimensioni sembravano fargli intravedere una ragazzina timida e docile!
-Non posso lasciarti andare in giro con questo tempo!- quasi fosse stato evocato dalle sue parole un tuono particolarmente forte scoppiò nel cielo.
Hope tentennò, poi, senza aggiungere altro, annuì.
 
Non parlarono molto, durante il ritorno al castello.
Hope faceva respiri veloci e tremava violentemente, tanto che Albus fu tentato un paio di volte di afferrarla per le spalle, solo per farla smettere.
Ma, avendo avuto un assaggio del carattere esplosivo della ragazza, si limitava a fissarla di sottecchi.
Era uno strazio, sinceramente e oggettivamente parlando.
Aveva i capelli di un biondo chiaro, appena più scuri di quelli di Scorpius, liscissimi. Ma forse lo erano per la pioggia che li rendeva più scuri e pesanti.
Era bassa, poi. Molto bassa. Persino Lily, più piccola di due anni, era più alta di lei. Gli arrivava a mala pena al petto, ma, come si ritrovò a pensare, forse era dovuto al fatto che i suoi piedi stessero sprofondando per diversi centimetri nella terra bagnata e molle.
Il viso era tondo. Non paffuto, non ovale. Tondo. Le guance non erano piene ma, se sorrideva, Albus l’aveva vista sorridere imbarazzata qualche giorno prima a lezione, sembravano molto più grandi e rotonde.
Oggettivamente parlando, dunque, non era bellissima, ma gli occhi… quelli si che erano belli. Non erano verdi, né azzurri, nè marroni, né neri. Non li sapeva definire. Probabilmente erano cangianti perché, ora, che l’aveva vicino, sembravano molto diversi dai fari luminosi che aveva intravisto prima di fermarsi davanti a lei.
-Mi s-stai fissando- esclamò lei, la voce che tremava per il freddo, le braccia strette al petto.
Albus distolse subito lo sguardo, cercando di concentrarsi sulla strada. Ma più si sforzava più gli sembrava che tutto sparisse nella pioggia, negli alberi ricoperti di muschio, nelle guglie acuminate del castello che si iniziavano a intravedere ad una certa distanza.
Arrivati ai margini del cortile pavimentato si affrettarono a rifugiarsi nel corridoio coperto, asciutto e caldo. Istintivamente Hope sorrise, e lasciò cadere la sua scopa sul pavimento, incurante della pozza d’acqua che si era formata.
-Senti…- Albus cercò di modulare bene la voce, senza farla tremare per il freddo e per il fatto che aveva i suoi occhi strani addosso –Mi dispiace, per prima…-
-No- Hope lo interruppe –Scusami tu. Ero nervosa per conto mio e ma la sono presa con te… di solito non sono così… irriverente, ecco-
Camminarono in silenzio, fino a che Hope non gli fece presente che la sua lezione di Storia Della Magia sarebbe iniziata a breve, se non lo era già, e che avrebbe fatto meglio ad avviarsi. Albus sorrise, con uno di quei disarmanti sorrisi che sapeva fare lui e le fece un segno di saluto con il capo.
Quando però vide la sua schiena allontanarsi sempre di più lungo il corridoio, la camicia bagnata che aderiva alla sua schiena come una seconda pelle e una vecchia scopa da Quidditch che strisciava con poca grazia sul pavimento, sentì una strana sensazione agitarsi nel petto.
-È completamente sordo!-
-Cosa?- Hope fece un mezzo giro su sé stessa, i capelli bagnati che le frustavano la schiena e gli occhi spalancati dalla confusione.
-Ruf- Albus deglutì, dandosi dell’idiota e affrettandosi poi a spiegare,  - È completamente sordo, sai. E anche mezzo cieco. Se non ti metti davanti a lui, non ti farà parlare-
Lei sorrise, per la prima volta.
-Sai come è. Forse mi piace. Parlare, dico-
   
 
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