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Autore: Lushia    29/02/2012    2 recensioni
Sawada Tsunayoshi è il grande, amato e stimato (e anche odiato) decimo boss dei Vongola. Lui e i suoi guardiani, grandiosi e irragiungibili agli occhi di persone che li ammirano e li amano, sono impegnati con affari interni e problemi di varia natura tipici di un potente clan mafioso.
E tralasciando le vicende in Italia la nostra attenzione va in Giappone dove si sta formando un'altra famiglia, la famiglia Vongola di undicesima generazione, capitanata dalla psicopatica figlia di Vongola Decimo, che si appresta a voler lottare a tutti i costi per realizzare i loro sogni.
Ma come andrà a finire la loro storia? Potrà essere ricca di emozionanti avventure o non riusciranno nel loro intento?
Seguiamoli assieme nel loro viaggio!
Genere: Avventura, Commedia, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'KHR! 11^ Famiglia'
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Target 3 - Eh?! Sono così arrabbiata che potrei uccidervi!

cover

Quel profumo, lo avrebbe riconosciuto ovunque.

Aprì gli occhi, tristemente. Non voleva trovarsi lì, in quel momento, voleva fuggire lontano.
Voleva tornare indietro e non essere costretta a soffrire.

Eppure non poté far nulla quando la sua coscienza prese il sopravvento e comprese di trovarsi in una stanza arredata in un elegante e antico stile occidentale. Il profumo del legno pulito continuava a punzecchiarle il naso, solo allora notò la figura maschile seduta pensierosa sul divano accanto alla vetrata.
L'uomo dalla bionda chioma discorreva con un altro uomo distinto sulla trentina. Per curiosità si avvicinò ai due e si sedette accanto al biondo in giacca e cravatta.

I suoi occhi erano fissi su di lui, e arrossì.

- Primo-sama... -

L'uomo non sembrava prestarle attenzione, non poteva vederla. Non sapeva nemmeno che lei esistesse.
Si trovava immersa nuovamente in un altro dei suoi soliti sogni su Primo-sama e sulla sua famiglia.
Era seduta su quel divano come se fosse un fantasma, un'ombra, non poteva far altro che ascoltare i due uomini discutere come se si trovasse catapultata in una realtà virtuale, dove il film si svolgeva tutto intorno a lei.
Purtroppo non era un film bensì un sogno, destinato a restare tale.
Irrealizzabile, come le aveva detto Arina la sera prima.
Come ci era arrivata a quel punto? Com'era possibile che quell'uomo, scomparso da cento e più anni, fosse riuscito a farle girare la testa? Aveva persino fatto una brutta figura qualche giorno prima.
I suoi occhi, magnetici. Il suo sorriso caldo. La sua voce profonda. E il suo potere, misterioso.
Era lui, il "Cielo". L'unico che poteva salvarla e redimerla dall'oscurità che si trascinava dietro da così tanti anni. L'unico che riusciva a farla star bene.
Ma non poteva averlo, perchè era già morto.

Sospirò.
Un modo c'era. Doveva solo mettere le mani su quell'anello, l'anello di suo padre, e scoprire se la leggenda fosse vera, se davvero la sua volontà si trovasse in quell'anello.

Scosse il capo all'improvviso, come se stesse immaginando cose oscene. Si guardò intorno, imbarazzata, sperando che nessuno l'avesse vista.
Ma, dopotutto era un maledetto sogno, chi poteva vederla?
Sospirò nuovamente, chinando lo sguardo afflitto.

- Non posso volerlo davvero... è sbagliato... e lo so. Non è da me, no... - si disse, cercando di togliersi quei pensieri dalla testa.

La ragazzina si alzò, furiosa con sé stessa per essersi permessa di pensare a piccolezze simili.
Doveva diventare forte per succedere al padre, doveva dimostrare a tutti che era in grado di proteggerli e di assicurare loro un futuro, doveva ereditare qualcosa di più grande che un anello per il mero scopo di fare uscire l'uomo che amava.
L'amore non era contemplato in quella visione.

"Che stupida."

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Quando aprì gli occhi, la mattina dopo, si lavò rapidamente e andò in cucina per fare colazione con un'espressione vacua. Non esprimeva la sua solita gioia né saltellava o esclamava "HAPPY!" a caso. La sua energia era inferiore alla metà.
Luca e Arina la videro lasciare l'abitazione con quell'aria depressa, e si preoccuparono per lei.

La brunetta sapeva che Arina avrebbe lasciato perdere, era da fin troppo tempo che la vedeva in quello stato, quanto ancora si sarebbe presa la briga di aiutarla in quella mission impossible?
Le dispiaceva così tanto dover condividere la sua tristezza con qualcuno, sin da quando era piccola non aveva mai davvero provato così tanta sofferenza. Era davvero così difficile essere un'adolescente innamorata? Doveva cercare di reprimersi e di non parlare del suo problema amoroso, tenerselo dentro e continuare a fingere di essere felice e forte.
Per il bene degli altri.
Sempre e solo per il bene degli altri.

Sperò vivamente che sua nonna non si preoccupasse più del dovuto, le mattinate "no" capitavano ogni tanto, anche se erano abbastanza rare. Solitamente recuperava il buon umore dopo essere rimasta per una decina di minuti nel suo caldo lettino a rimuginare.

Ma quel giorno si sentiva davvero giù e, proprio mentre sperava che il suo morale potesse risollevarsi, si ritrovò davanti due ragazzini poco più alti di lei che tentò di ignorare, cercando di oltrepassarli.
Purtroppo, però, le si pararono nuovamente davanti, raggiungendola e impedendole di proseguire.

"... come se non avessi abbastanza problemi, oggi."

- Ferma lì, Sawada! -
La ragazza sbuffò, seccata.
- Non bastavano i miei complessi, adesso ci si mettono anche due barboni a rompermi le palle. - disse tra sé e sé, alzando gli occhi al cielo.

I due "barboni" la guardarono molto male, avevano colto le sue parole alquanto offensive e non sembravano avere buone intenzioni.

- Ehi ehi, dice ancora cose assurde! - esclamò uno dei due, ridacchiando in modo improbabile. Il suo alito puzzava e la ragazzina fece un passo indietro, disgustata.
- Toh, ecco i maschi al giorno d'oggi. - disse lei, osservandoli con noia - Rozzi, sporchi, superficiali, attaccabrighe e pensano solo ad una cosa. E' impossibile trovare qualcuno come Primo-sama. - si voltò e cercò di prendere un'altra strada, non voleva nuovamente arrivare in ritardo per la scuola.

"Ma perchè diavolo devo cambiar strada a causa loro? Li prenderei a sberle, diamine!"

- Ehi, la troia ci sta ignorando! - indicò il ragazzaccio di poco prima, dando un colpetto al suo compare.
- Questa tipetta senza femminilità avrebbe picchiato Kirisaki-senpai? Ma davvero? - l'altro giovane, riconoscibile dalla chioma bionda mal tinta, incrociò le braccia con scetticismo.

Fermarsi o non fermarsi? Questo era il problema.
Stava scappando? No, era solo in ritardo, meglio avanzare senza porsi troppe domande.
Peccato che i due si scagliarono su di lei così, all'improvviso, solo pochi istanti dopo. Non colse a cosa miravano, si spostò così rapidamente che i due quasi non inciamparono l'uno addosso all'altro e si guardarono spaesati, notando solo dopo che la bruna si era spostata dietro di loro.

- Ehi, sgualdrina, lasciati pestare senza fare storie! - disse il tinto, prima di lanciare addosso alla ragazza la sua cartella, che lei schivò senza problemi.

Basta, era davvero seccata. Già stava malissimo di suo e doveva anche sorbirsi due idioti a caso che volevano rovinarle la giornata.
Osservò i due come se volesse ucciderli. Di mazzate.

- ...D'accordo, ora siete morti. - si limitò a dire, cercando di incutere terrore, ma il suo tentativo fu vano perchè i due si limitarono a ridere di gusto.
- Una donna che vuole picchiarci? Ma andiamo! - ridacchiò il ragazzo dall'alito puzzolente, allargandosi il colletto della camicia.

Il vaso era traboccato e la ragazzina non riuscì a controllare la sua ira.
Lasciò cadere a terra il suo zaino e si avventò contro uno dei due, colpendolo con un rapido pugno allo stomaco per poi abbassarsi velocemente e spostarsi verso il biondo, menandogli una ginocchiata nelle parti basse, con il serio intento di castrarlo.

"Voi maledetti uomini che ragionate solo con quello, siete il cancro."

I due ragazzi caddero a terra subito dopo i colpi subiti.
Il tinto era conciato male, si era raggomitolato e aveva iniziato a lamentarsi sonoramente ma il primo si rialzò quasi subito e tentò di contrattaccare la ragazzina con un coltello, che aveva estratto dalla tasca della giacca.
La bruna saltò all'indietro per evitare di essere sfiorata dall'arma, con un balzo finì sul muretto esterno di una villa e si guardò intorno in cerca di un bastone o qualcosa che potesse utilizzare come arma. Nozomi era brava con bastoni e aste o comunque mazze lunghe, ed era in grado di maneggiarle bene.
Corse verso nord, camminando sul muretto per avvicinarsi ad un albero del giardino di una villetta.
Saltò nuovamente e si aggrappò ad un ramo bello robusto, con il suo peso riuscì successivamente a staccarlo dal tronco e scese a terra, facendo piroettare il legno fino a colpire violentemente il ragazzo allo stomaco. Il tipo indietreggiò ma riuscì a restare in piedi, si raddrizzò e tentò di colpire Nozomi che venne sfiorata sul braccio dalla lama, la quale squarciò la manica della divisa scolastica e la ferì.
Anche la divisa? La giornata non poteva andare peggio di così.
Fece nuovamente roteare il ramo e saltò, aggrappandosi alla spalla del ragazzo che rimase confuso, volteggiando in aria, non atterrando alle sue spalle, si voltò rapidamente e lo colpì violentemente sul capo, facendolo svenire sul colpo.
Entrambi i ragazzi erano ormai a terra, con il tinto che aveva smesso di lamentarsi ed era silenzioso, forse svenuto.
La ragazzina gettò via il ramo e li fissò, furiosa.

- Non sono una donna, stronzi. -

"Le donne sono deboli."

Quanto la innervosiva sentirsi definire una donna, parecchi uomini pronunciavano quella parola con disgusto. Uomini come quelli che, insultando la nascitura, chiacchieravano animatamente nei corridoi, e che si stupirono quando Decimo affermò di non volere altri figli. Si aspettavano un uomo, un futuro boss in grado di continuare il suo operato, ed avevano ottenuto una donna.
Chissà che fine avevano fatto quegli uomini, se lavorassero ancora per suo padre.
Ad ogni modo non voleva interessarsene, non erano gli unici e soli, sapeva che avrebbe dovuto spesso scontrarsi con gente che la definiva donna in modo dispregiativo.
E, ogni volta, non mancava di rispondere a tono: “Non sono una donna, sono un vigilante.”
Doveva essere una persona forte e determinata, che fosse in grado di proteggerli e diventare il nuovo boss dei Vongola.

Vongola Undicesima.”

Anche se Undicesima era declinato al femminile, ed anche sbagliato nel contesto. Un errore voluto proprio da lei, quando da piccola ci teneva a sottolineare il suo essere donna.
Ma da piccola era troppo stupida, non poteva capire quanto fosse pericoloso mostrare i propri punti deboli al vento, nonostante volesse proprio sentirsi fiera di essere ciò che era.
Tuttavia, non poteva essere sé stessa, o sarebbe stata nuda al giudizio imparziale della gente. Doveva dare loro ciò che volevano, anche andando contro i suoi stessi desideri.
La sua esistenza era soggiogata dal profondo desiderio di essere ciò che tutti si aspettavano che lei fosse, un futuro grande boss.
Non una donna, non una ragazzina come altre, non una fanciulla innamorata.

Quanto era dura reprimersi così.
Aveva le lacrime agli occhi, si sentiva depressa e perciò si appoggiò al muretto a riprendere fiato.

- Hai fatto un bel casino, Nozomi. -

La ragazzina si voltò di scatto, notando un ragazzo dai capelli castani che indossava una lunga giacca scura.
I suoi tetri occhi rossi sembravano illuminarsi di una strana luce.

- Oh... Shinji. Come mai da queste parti? - tralasciò la sorpresa nell'averlo sentito parlare, solitamente quel ragazzo riusciva a stare in silenzio anche per un giorno intero.
- Passavo... Visto che sono il tuo guardiano della nebbia... pensavo... dovrei stare di più... con voi... - abbozzò un sorriso. Era tremendamente timido ma molto dolce. Nessuno avrebbe mai sospettato che quel giovincello educato e silenzioso potesse amare alla follia i film e i giochi più macabri e mostruosi che fossero mai esistiti. E li aveva sia visti che giocati tutti.
Tutti.

- Uh, bel pensiero da parte tua. In effetti è da un po' che hai deciso di venire con noi... abbiamo anche l'ultimo guardiano, ora. E' più grande di te e Cloud. - spiegò.
- Anche il fulmine...? Siamo a posto, allora... - sorrise, avvicinandosi a lei e osservando i due ragazzi stesi a terra, privi di sensi. - Sono vivi ma conciati male... potevi ucciderli. -
- L'avrei fatto se non avessi pensato che papà mi avrebbe odiata per questo. - si morse le labbra.
Era sincera o no? Nemmeno lei lo sapeva.
-… E' l'unico motivo? - chiese lui, osservandola.
- … Anche Primo-sama... - arrossì.
- E tu? Volevi ucciderli? - la sua domanda era lecita, ma la ragazzina era ancora confusa.
Uccidere o no? Non ne era realmente sicura.
- … A volte, se non lo fai, rischi di perdere persone a te care... - chinò lo sguardo e osservò un punto vuoto davanti a sé, immaginando la figura di un bambino dai capelli rossicci.
- Oh... ma è tardi... non devi andare a scuola...? - Shinji interruppe i suoi ricordi, osservandosi intorno proprio mentre la brunetta si stava rialzando. - Ci penso io a mettere a posto... -
- ...no, dai, faccio io... insomma, non voglio darti pesi... - gli sorrise, anche se il suo sorriso era spento.
Il ragazzo scrollò le spalle.
- E' ok, tu sei in ritardo. Lascia fare a me, tranquilla. -

Aveva vinto lui e Nozomi sospirò, ringraziandolo e iniziando a correre rapidamente verso l'edificio scolastico, lanciandosi verso i corridoi ed aprendo rumorosamente la porta dell'aula, pronta a subirsi le solite lamentele del professore.
Tuttavia, quest'ultimo, notò subito che la ragazzina era ferita e sporca e si alzò dalla sedia, sconvolto.

- Hai di nuovo fatto a botte con qualcuno, Sawada?! - tuonò lui, aggiustandosi gli occhiali per osservare bene quello scempio - Corri immediatamente in infermeria, hai il braccio insanguinato! -
- ...Ma se è solo un taglietto... - cercò di replicare, ma l'uomo non parve voler sentire ragioni, la trascinò in infermeria sotto gli sguardi e le voci poco carine dei suoi compagni di classe.

- Ma guardala, di nuovo conciata così... -
- Cosa c'è di tanto sbagliato in lei? E' una masochista?? -

Arashi, Haname e Kaito spalancarono la porta dell'infermeria proprio quando la giovane infermiera aveva finito di porre delle bende e dei cerotti sulle ferite di Nozomi.
La rossa sembrò furiosa, si avvicinò all'amica e la squadrò per bene prima di sedersi accanto a lei, mentre Haname chiedeva a Kaito di andare a prenderle da bere.
Ovviamente la cola, era l'unica cosa che riusciva a metterla di buon umore.
Nozomi non viveva senza cola.

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- Cos'è successo? Chi ti ha attaccato? - chiese Arashi, circondandola con le braccia. Era così calda, sentiva il suo respiro e non riuscì a non stringersi a lei, la sua migliore amica e complice.
- Due idioti, prima che arrivassi a scuola. - si limitò a rispondere.
- Non potevi ignorarli? - Haname si sedette alla sua destra, accarezzandole la chioma castana e arruffandola, proprio mentre Nozomi si stava staccando da Arashi.
Sospirò.
- No. Ci ho provato ma mi hanno attaccata. Stavolta è stata autodifesa. -
- Quindi li hai conciati per le feste? - chiese ancora la mora.
- Ovviamente. Avrei anche potuto ucciderli per via del mio pessimo umore, ma mi sono trattenuta. - incrociò le braccia e storse la bocca poichè le dolevano.
- ...Nozomi... Sai che non è giusto. - Haname sembrò seria e lanciò uno sguardo ad Arashi, che si limitò a scrollare le spalle.
- No, Hana. Le persone così dovrebbero solo sparire. - la bruna tremò.
Possibile che nessuno riuscisse a capirlo? Lasciarli in vita significava lasciare a piede libero dei potenziali assassini,
- Ma una possibilità la si deve dare a tutti, non giudicare subito. - le spiegò, accarezzandole il capo. Era così dolce che non riusciva ad essere ancora arrabbiata, perciò placò la sua ira.

Tuttavia, continuò ad essere amareggiata.
- Che possibilità vuoi dare a tizi così? - stavolta fu Arashi a parlare. Era seria e determinata, d'accordo con Nozomi.
- Significa avere pietà. - Haname non voleva obiezioni e continuò con la sua morale, osservandole entrambe dall'alto della sua saggezza. Era sempre la più matura, al pari di Arina.
- Però... loro non hanno avuto pietà quando hanno ucciso Claudio. - Nozomi chinò il capo e calò il silenzio, assieme a qualche lacrima.

“Ti vendicherò.”

   
 
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