Inciampa
Piuttosto che tacere
E domanda
Piuttosto che
aspettare
(Il bacio sulla
bocca, Ivano Fossati)
Centosettantanove
Keep
thinking 'bout his angel eyes
Continuando a
pensare ai suoi occhi d’angelo
Stessi sorrisi, stessi guai
I've heard how some people have said
That I've changed
That I'm not what I was
How it really is a shame
The thoughts in their heads
Manifest on their brow
Like bad scars from ill feelings
They themselves arouse
So hateful of anyone that is happy
Or free
They live all their lives
Without looking to
see
The light that has lighted the world
Ho sentito alcune
persone dire
Che sono cambiata
Che non sono più la
stessa
Ed è davvero un
peccato
Ogni pensiero
E’ scritto sui loro
visi
Come cicatrici di sentimenti
dolorosi
Che loro ricordano
A chi è felice
O libero
Vivono la loro vita
Senza mai vedere
La luce che ha
illuminato il mondo
(The light that has lighted the world, George
Harrison)
Krasnojarsk,
18 Dicembre 1847
Lui, quel sorriso incredibile che
aveva…
Era morto.
Il
ragazzino aveva la pelle bruciata dal sole, lineamenti mediorientali e occhi
straordinariamente lucenti.
Era bello, così bello, così tanto…
-George…-
-No, Lys,
no!-
Jànos
afferrò per un braccio la giovane siberiana, fulminandola con lo sguardo.
-E’ morto,
il tuo George! Khristos, Natal’ja, non fare la cretina! E’ Aiace, lui-
-Non farlo tu, il cretino- sibilò lei, liberandosi
bruscamente dalla sua stretta.
-Come
diavolo te lo devo dire? E’ il 18 Dicembre 1847, è
anche il mio compleanno! E stavolta non l’avrai, no, la mia benedizione,
stavolta i tuoi millecento rubli di lacrime li piangerai da sola!-
-Non me lo devi dire,
Jànos!-
Poi
realizzò le sue parole, Natal’ja.
I tuoi millecento rubli di
lacrime.
-Li
piangerò da sola? I miei millecento rubli
di lacrime? Sei consapevole di aver appena detto la cosa più infame dei tuoi ventiquattro anni d’esistenza?-
-Te ne ho
dette tante, di cose terribili, Lys-
-Eppure
non credevo che saresti riuscito a rinfacciarmi sia la morte di mio marito sia
i miei nove mesi di lavori forzati addirittura nello stesso periodo-
Scrollò
le spalle, lui.
-Capita-
-Capita, già-
Natal’ja
gli tirò uno schiaffo, perché era
capitato.
-Lys…-
Sorrise,
Natal’ja.
Sorrise
ad Aiace, l’adorabile undicenne greco che Gee le aveva lasciato.
-Sai cosa
penso, Lys? Il
tuo migliore amico è un bastardo, ma hai bisogno di lui-
Natal’ja
non sorrideva più.
Jànos
inarcò un sopracciglio, quando lei si avvicinò.
La sigaretta gli oscillava tra le labbra come sempre.
-Non ti
chiedo mica scusa, ragazzina-
-Non mi
hai mai chiesto scusa, Jàn. Ma nemmeno io-
-Non ce
n’era bisogno- bisbigliò lui, quasi distrattamente.
-Non
saremmo stati noi-
-Il
punto è che non potevamo sentirci più bastardi di quanto già non fossimo, Lys!-
Rideva,
adesso, Szöcske.
-Infatti-
Natal’ja
gli scompigliò i capelli, per poi lasciargli sulla guancia una carezza che
forse era uno schiaffo, dipendeva dall’interpretazione.
Ma lui la
fermò con la sua, quella mano, la trattenne ancora un po’ sulla sua pelle
sempre gelida, sospirando.
Poi alzò
lo sguardo, le sorrise.
-Tu lo sei più di me, però-
-Credi,
Jàn?-
-Non sai
quanto, biondina…-
-Forse-
-Oggi
però sono stato davvero…-
-Un infame-
-Eh,
direi. Non te lo meritavi-
-Me lo
sono meritata mille altre volte in cui tu mi hai
sorriso-
-Ti sto
sorridendo anche adesso, Lys. Non posso
farne a meno-
-Sei straordinario, tu…-
-E’ che
non posso lasciarti, piccola fiammiferaia-
-Non lo farai-
L’abbraccio,
lui, finalmente.
-Puoi
giurarci…-
Le castagne.
Risolvevano
tutto così, quei due matti.
Nessuno,
a Forradalom, capiva come l’amicizia di Jàn e Lys potesse basarsi, oltre che sull’affetto
reciproco -e che affetto-, sulle castagne.
Le
castagne erano un raggio di sole, per loro.
Un
sorriso riuscivano a strapparglielo sempre, sempre.
Le
sgranocchiavano sui gradini di casa, sui giornali del giorno prima, sui
marciapiedi innevati, con lo sguardo al cielo e le dita intrecciate, un po’ di
batticuore per qualcosa ch’era successo e ancora dovevano raccontarsi, qualcosa
che poteva riguardare George o Helga, ma anche semplicemente la Rivoluzione.
Una
bancarella al mercato, un libro finito.
Una
lettera spedita con il francobollo sbagliato o un francobollo giusto spedito
senza lettera.
Ne avevano, di cose da
raccontarsi, quei due.
E quando
non ne avevano, ridevano come cretini giusto per illuminare un po’ la giornata,
che senza di loro non splendeva così tanto, Forradalom.
Il giorno
in cui, a ventun anni, Jàn aveva bruciato la cartolina di leva dell’esercito
ungherese, Lys l’aveva guardato con un cipiglio un po’ severo, come se non
stesse facendo proprio la cosa giusta.
Era il
’44, un anno bello e gelido, un anno di sogni e malinconie.
Ricordava
ancora la risposta di Jànos al suo sguardo.
-Ehi, bella, tu hai un marito ch’è
sempre in battaglia, io devo restare, restare per te.
Per te e per quella smorfiosa di
mia moglie, per quella diabolica furbetta di mia figlia e per quel biondino
idiota del mio secondogenito.
Per Feri, che son sempre il primo
che insulta al mattino, per Isaakij, che se non mi straccia a carte non
comincia bene la giornata, per Lörinc, che se smetto di rubargli le focacce potrebbe
anche cominciare ad aver clienti.
Per Hajnalka, che se non mi vede
magari si dimentica il motivo per cui è infinitamente sfortunata.
E per papà, Khristos, certo! Se no
a chi lo rifila, il giaccone di Pál?
Per la Rivoluzione, che mi
solletica i piedi quando mi sveglio, mi strappa via il lenzuolo e mi grida:
“Ebbene, Jànos Desztor, quanto hai intenzione di farmi aspettare?”-
Quando
poi l’avevano arrestato, se n’era andato con le catene ai polsi e quel sorriso
che, davvero, sulle labbra screpolate dal vento dei Monti dell’Altaj, sapeva
bruciare solo lui.
-Io in guerra non ci vado, non ci
vado perché non mi va-
Questo le
aveva gridato sputando in faccia agli Zaristi, perché lui per lo zar non
combatteva e non avrebbe combattuto mai.
Lui, per
la vita, combatteva tutti i giorni.
Combatteva con lei.
Aiace era
stato contento, quel giorno, di vederli tornare verso casa col sorriso.
Era corso
loro incontro ed era saltato in braccio ad entrambi.
Era un ragazzino affettuoso, lui.
Affettuoso
e diabolico, perché, ad ogni modo, aveva preso tutto da suo padre.
Secondo
la personale opinione di Natal’ja, George
era un bastardo, Lisistrata una strega, Aiace poteva diventare solo un piccolo
scapestrato, un brigantello di rara bellezza e furbizia.
Suo padre
era morto.
Aveva
avuto un bel stringere i denti per non piangere, il 2 Aprile di quello stesso
anno infame.
Natal’ja
era sua madre, su questo non si discuteva.
Non
avrebbe mai potuto essere di meno.
Quando
era insieme a Line e Niko, si capiva chi fossero i figli della Siberiana.
Si capiva fin troppo bene.
A lui
dispiaceva che nessuno lo giudicasse all’altezza di Natal’ja di Krasnojarsk.
Perché
non poteva essere il suo primogenito?
Era una
questione prettamente fisica.
Lui
avrebbe potuto essere un satrapo persiano, non il pargolo della biondina russa.
Natal’ja,
dal canto suo, se ne fregava in un modo che Aiace trovava meraviglioso.
Non ho gli occhi chiari di Lys,
no.
Li avete mai visti,
voi, quelli di papà?
Lo sapete quant’erano belli?
Braci ardenti, metallo sciolto, una
lama d’ossidiana prima di lacerare la pelle.
I miei sono uguali ai suoi.
Forse solo un po’ più feroci,
perché me l’avete portato via, papà.
Lo
spaventava, però, il modo in cui Lys lo guardava.
Si alzava
di notte e passava ore intere ad accarezzargli i capelli, finché non si
addormentava ai piedi del suo letto.
Lui le
lasciava cadere una coperta e sorrideva nel buio, inquieto.
Poi aveva capito che Natal’ja
poteva sopportare tutto, ma con George.
I'm greatful to anyone
That is happy or free
For giving me hope
While I'm looking to see
The light that has lighted the world
Sono grata a chi
E’ felice o libero
Per avermi dato la
speranza
E adesso sto
cercando di vedere
La luce che ha
illuminato il mondo
(The light that has lighted the world)
[…]
Che cosa senti
quando la voce dagli spalti
Ti annuncia che è l'ora già e il giorno piano muore?
(Ophelia, Francesco
Guccini)
Krasnojarsk, 27 Febbraio
1855
The day the world gets round
To understanding where its gone
Losing so much ground
Killing each other, hand in hand
Such foolishness in man
I want no part of their plan - oh no
Un giorno il mondo
comincerà a girare
Per capire cos’è
successo
Perché stanno
perdendo terreno
Loro si uccidono
l’un l’altro, mano nella mano
C’è una tale follia
nell’uomo
Io non voglio far
parte del loro piano - oh no
(The day the world gets round, George Harrison)
Aiace era
come George.
Per
quanto, fin da ragazzino, facesse ogni giorno allenamenti che avrebbero
stremato un oplita adulto, i muscoli latitavano.
Però
superava in altezza sia suo padre che suo fratello.
Un metro
e sessantasette per un Gibson era assolutamente straordinario.
Il metro
e settantatré di Céline, a cui il sangue Zirovskij aveva concesso miracoli,
l’indispettiva un poco.
Nikolaj,
dall’alto del suo metro e cinquantanove, sospirava agli infiammati discorsi dei
fratelli e pregava che non abbassassero lo
sguardo su di lui.
Quei complessi li avevano
ereditati tutti dal loro caro Brian George.
Erano
fratelli, loro, sì.
Litigavano
per un paio di centimetri, ma si adoravano.
Avevano
fatto addirittura uno schema sulle loro caratteristiche fisiche, per discuterne con più
cognizione di causa.
Aiace Gibson [Nato Paul Aiace
Jean-Voltaire, che Gee sia maledetto], Sparta, 21 Novembre
1836.
Diciotto anni, quasi diciannove.
Occhi neri, capelli neri.
Un metro e sessantasette.
Céline Gibson [Nata Alcesti
Caelie], Krasnojarsk, 30 Gennaio 1839.
Sedici anni.
Occhi grigiazzurri, capelli
biondi.
Un metro e settantatré.
Nikolaj Gibson [Nato Nikolaj
Leonida], Vienna, 7 Febbraio 1840.
Quindici anni.
Occhi indaco/grigiazzurri, capelli
neri.
Un metro e cinquantanove.
Mamma [Lys]: Natal’ja Eileen
Gibson [Nata N. E. Morrison-Zirovskaja].
Krasnojarsk, 27 Febbraio
1825 - Krasnojarsk, 5 Maggio 1848.
Occhi grigiazzurri, capelli
biondi.
Avrebbe dovuto avere ventinove
anni, quasi trenta.
Un metro e settantuno e mezzo.
Papà
[Gee]: Brian George Gibson [Geórgos Zemekis].
Sparta, 27 Febbraio
1821 - Riyadh, 2 Aprile 1847.
Occhi neri, capelli neri.
Avrebbe dovuto avere trentatré
anni, quasi trentaquattro.
Un metro e sessantadue e mezzo.
-Teoricamente
li avrebbero compiuti oggi-
-Dettagli…-
-Ma vi
rendete conto? Papà era il più basso, dopo Niko-
-E Lys la
più alta, dopo Line-
Aggrottò
la fronte, Aiace, a quell’affermazione.
-Ed io?-
-Tu per
una volta non fai il prepotente!- lo zittì Niko, tirandogli una gomitata.
-Sarò il
più basso, ma i miei occhi non li ha nessuno, in famiglia-
-E’ una
sfumatura più scura, non un segno degli Dei-
-Tu che
ne sai?-
-Più
chiara, Line. Non vedi?-
Così
dicendo Aiace infilò un dito nell’occhio al fratello.
-Scusa,
Kolja…-
-Vai al
diavolo, Telamonio!-
Aiace
sorrise, scompigliandogli i capelli.
-Dai,
fratellino, dobbiamo pensare alla strategia-
Nikolaj
annuì, ancora imbronciato.
-Line,
vai a chiamare FJ. Possibilmente senza
trattenerti per più di tre ore nella sua camera-
-Per tre
ore posso?- domandò Céline, speranzosa.
Il
ragazzo sgranò gli occhi.
-No, ovviamente!-
Lei
sbuffò, guardandolo storto.
-Torno
subito!-
-Magari
stanno parlando…- ipotizzò Aiace, che Line la difendeva sempre.
Nikolaj
sorrise, annuendo.
-Sì, di filosofia-
-E’
nostra sorella…-
-Ti ho
già detto che FJ è il suo ragazzo?-
Lo
Spartano si fece spaventosamente pallido.
-No…-
-Sei
intelligente, Aiace, anche se non sembra. Riflettici
su-
-Eccoci!-
Nikolaj
lanciò un’occhiata alla ragazzina bionda, che, sulla soglia, li guardava
sognante.
Per poco non fu colto da una
sincope fulminante, di quelle che visitavano sua madre ai balli.
-Vai a
sistemarti il vestito, Line. E tu, FJ, la camicia te la potevi anche abbottonare-
Il
biondino rumeno deglutì, cercando lo sguardo di Céline.
-No, ma
l’ho fatto, è che è stretta…-
-Immagino-
Niko gli
batté una pacca su una spalla, facendolo sussultare.
-Dai, ci
sono passato anch’io. Ma ero un attimino più furbo, sai?
-Kolja,
ho un anno in più di te…-
-Una manciata di mesi-
-Eh, ma…-
-Ci ho
messo meno tempo di te, va bene?-
-Sì, con
la figlia di Jàn- rise Céline.
-La mia migliore amica-
-Già, la
piccola Malin…-
-Non è
piccola!- la difese il glaucopide dei Gibson, facendo
ridere Aiace.
Line
guardò quest’ultimo con sospetto, indicandolo a FJ.
-Lui non
parla perché ha già una figlia. Si sente
superiore-
Aiace
alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa.
-Insomma,
la strategia?!-
-La
strategia, la strategia… Sei tu lo stratega, no?-
-A
Sparta-
-Questa è
la Sparta del nord!-
-Oh,
Zeus…-
Nikolaj
si puntò un dito al petto, con un sorriso angelico.
-Sono io, Zeus-
-Attaccheremo
combattimento il 1 Marzo. Lo so, è presto, ma questa è
la Sparta del nord, l’avete detto voi!
Al confine
con Shtorm. Sulla Prospettiva Nebe saranno disposti Farkas e i Suoi, a partire
da Tadeusz. E’ il più esperto.
I Desztor
saranno l’ala sinistra, tra il campo di rose e Forradalom. Conoscono meglio il
domo, la loro è la seconda casa in quella direzione-
-Domo?-
-Beh,
magari non ci saranno più le prefetture territoriali di Clistene, ma il senso è
quello. Gli altri verranno con me.
Come
strategia è molto approssimativa, ma nemmeno alle Termopili erano così pochi…-
Aiace
sospirò, ma poco dopo sorrise, fiero.
-Attualmente
l’unico Efialte di mia conoscenza è il gatto di Synni -ma non poteva chiamarlo Telemaco, dico io?-, noi siamo i migliori. Gli
Zaristi non hanno speranze-
If you’re the destructive kind
Now I’m working from day to day
As I don’t want to be like you
I look for the pure of heart
And the ones that have made a start
Voi siete così
distruttivi
Io sto lavorando
giorno per giorno
Perché io non voglio
essere come voi
Io cerco i puri di
cuore
E quelli che hanno
inventato un inizio
(The day the world gets round)
[…]
“Jànos Boka guardò
dritto davanti a sé e, per la prima volta, balenò nella sua anima di fanciullo
quello che la vita è veramente, la vita di cui tutti siamo servi, ora tristi, ora allegri.”
(I ragazzi della via
Pál, Ferenc Molnár, ultime righe)
Note
Prospettiva Nebe: Letteralmente (in russo) "Via Cielo", strada principale di Shtorm.
Glaucopide: "Dagli occhi azzurri, glauchi", epiteto omerico (Atena), in questo caso riferito a Niko.
Keep
thinking 'bout his angel eyes: Continuando a pensare
ai suoi occhi d’angelo. Angeleyes, Abba.
Stessi
sorrisi, stessi guai: Due innamorati come noi, Laura Pausini.
Jàn e
Lys, innanzitutto.
I loro
litigi storici, litigi di un minuto.
Jànos che
non è sempre il ragazzo più adorabile del mondo, e non lo sono le sue parole, e
Natal’ja che lo conosce troppo bene, quello lì.
Poi
Aiace, Aiace che somiglia così tanto a Gee, e Lys non li dimenticherà mai, il
sorriso e gli occhi d’angelo del suo Gee.
Infine i
complessi sull’altezza ereditati da George -io sono alta quanto Lys, anche se probabilmente non c'entra ;)-, i discorsi tra i tre fratelli e FJ,
che la strategia militare sembrano essersela persa per strada, e Céline per
strada in effetti s’è persa veramente, ma con FJ.
E’ un po’
dolce un po’ doloroso, questo capitolo.
Avrebbe
dovuto essere quello della morte di Lys, ma non sono riuscita a finirlo, arriverà
un po’ più tardi ;)
In realtà
non sono proprio sicura che “sarebbe dovuto arrivare”,
e non so se è masochismo o troppo affetto per i miei personaggi, ma lo finirò
;)
Ha fatto
male anche questo, a modo suo.
Però ne
sono contenta, e spero che vi sia piaciuto ;)
A presto!
Marty