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Autore: Natalja_Aljona    29/02/2012    1 recensioni
Natal'ja vende fiammiferi e sogna la Rivoluzione.
Siberiana fin nelle ossa e nel sangue, nel cuore e nell'anima, nipote di uno dei capi dei Decabristi ed ultima erede della famiglia russa più temuta dallo zar, è quasi impazzita in prigione ma sa che non è finita.
Geórgos vive per la guerra e per il cielo di Sparta.
Nato durante la Guerra d'Indipendenza Greca e nipote del capo dei Kléftes, i briganti e i partigiani del Peloponneso, ogni notte spara alle stelle perché ha un conto in sospeso con gli Dei.
Feri è uno zingaro ungherese, il terzogenito di Kolnay Desztor, il criminale del secolo, e il più coraggioso dei suoi fratelli.
Legge il destino tra le linee della mano, e tre anni di galera e lavori forzati non sono bastati a fargli smettere di credere nel suo.
Nikolaj, ussaro polacco e pianista mancato, crede di aver perso tutto.
Sa che l'epilessia, i complessi d'inferiorità nei confronti del padre morto, l'ossessione per sua cugina e i suoi sogni infranti lo uccideranno, ma la sua morte vuole deciderla lui, e a ventidue anni s'impicca per disperazione e per vendetta.
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Inciampa


Inciampa

Piuttosto che tacere

E domanda

Piuttosto che aspettare

(Il bacio sulla bocca, Ivano Fossati)

 

Centosettantanove

Keep thinking 'bout his angel eyes

Continuando a pensare ai suoi occhi d’angelo

Stessi sorrisi, stessi guai

 

I've heard how some people have said

That I've changed

That I'm not what I was

How it really is a shame

The thoughts in their heads

Manifest on their brow

Like bad scars from ill feelings

They themselves arouse

So hateful of anyone that is happy

Or free

They live all their lives

Without looking to see

The light that has lighted the world

 

Ho sentito alcune persone dire

Che sono cambiata

Che non sono più la stessa

Ed è davvero un peccato

Ogni pensiero

E’ scritto sui loro visi

Come cicatrici di sentimenti dolorosi

Che loro ricordano

A chi è felice

O libero

Vivono la loro vita

Senza mai vedere

La luce che ha illuminato il mondo

(The light that has lighted the world, George Harrison)

 

Krasnojarsk, 18 Dicembre 1847

 

 

Lui, quel sorriso incredibile che aveva…

Era morto.

 

Il ragazzino aveva la pelle bruciata dal sole, lineamenti mediorientali e occhi straordinariamente lucenti.  

Era bello, così bello, così tanto…

 

-George…-

-No, Lys, no!-

Jànos afferrò per un braccio la giovane siberiana, fulminandola con lo sguardo.

-E’ morto, il tuo George! Khristos, Natal’ja, non fare la cretina! E’ Aiace, lui-

-Non farlo tu, il cretino- sibilò lei, liberandosi bruscamente dalla sua stretta.

-Come diavolo te lo devo dire? E’ il 18 Dicembre 1847, è anche il mio compleanno! E stavolta non l’avrai, no, la mia benedizione, stavolta i tuoi millecento rubli di lacrime li piangerai da sola!-

-Non me lo devi dire, Jànos!-

Poi realizzò le sue parole, Natal’ja.

I tuoi millecento rubli di lacrime.

-Li piangerò da sola? I miei millecento rubli di lacrime? Sei consapevole di aver appena detto la cosa più infame dei tuoi ventiquattro anni d’esistenza?-

-Te ne ho dette tante, di cose terribili, Lys-

-Eppure non credevo che saresti riuscito a rinfacciarmi sia la morte di mio marito sia i miei nove mesi di lavori forzati addirittura nello stesso periodo-

Scrollò le spalle, lui.

-Capita-

-Capita, già-

Natal’ja gli tirò uno schiaffo, perché era capitato.

 

-Lys…-

Sorrise, Natal’ja.

Sorrise ad Aiace, l’adorabile undicenne greco che Gee le aveva lasciato.

-Sai cosa penso, Lys? Il tuo migliore amico è un bastardo, ma hai bisogno di lui-

Natal’ja non sorrideva più.

 

Jànos inarcò un sopracciglio, quando lei si avvicinò.
La sigaretta gli oscillava tra le labbra come sempre.

-Non ti chiedo mica scusa, ragazzina-

-Non mi hai mai chiesto scusa, Jàn. Ma nemmeno io-

-Non ce n’era bisogno- bisbigliò lui, quasi distrattamente.

-Non saremmo stati noi-

-Il punto è che non potevamo sentirci più bastardi di quanto già non fossimo, Lys!-

Rideva, adesso, Szöcske.  

-Infatti-

Natal’ja gli scompigliò i capelli, per poi lasciargli sulla guancia una carezza che forse era uno schiaffo, dipendeva dall’interpretazione.

Ma lui la fermò con la sua, quella mano, la trattenne ancora un po’ sulla sua pelle sempre gelida, sospirando.

Poi alzò lo sguardo, le sorrise.

-Tu lo sei più di me, però-

-Credi, Jàn?-

-Non sai quanto, biondina…-

-Forse-

-Oggi però sono stato davvero…-

-Un infame-

-Eh, direi. Non te lo meritavi-

-Me lo sono meritata mille altre volte in cui tu mi hai sorriso-

-Ti sto sorridendo anche adesso, Lys. Non posso farne a meno-

-Sei straordinario, tu…-

-E’ che non posso lasciarti, piccola fiammiferaia-

-Non lo farai-

L’abbraccio, lui, finalmente.

-Puoi giurarci…-

 

Le castagne.

Risolvevano tutto così, quei due matti.

Nessuno, a Forradalom, capiva come l’amicizia di Jàn e Lys potesse basarsi, oltre che sull’affetto reciproco -e che affetto-, sulle castagne.

Le castagne erano un raggio di sole, per loro.

Un sorriso riuscivano a strapparglielo sempre, sempre.

Le sgranocchiavano sui gradini di casa, sui giornali del giorno prima, sui marciapiedi innevati, con lo sguardo al cielo e le dita intrecciate, un po’ di batticuore per qualcosa ch’era successo e ancora dovevano raccontarsi, qualcosa che poteva riguardare George o Helga, ma anche semplicemente la Rivoluzione.

Una bancarella al mercato, un libro finito.

Una lettera spedita con il francobollo sbagliato o un francobollo giusto spedito senza lettera.

Ne avevano, di cose da raccontarsi, quei due.

E quando non ne avevano, ridevano come cretini giusto per illuminare un po’ la giornata, che senza di loro non splendeva così tanto, Forradalom.

Il giorno in cui, a ventun anni, Jàn aveva bruciato la cartolina di leva dell’esercito ungherese, Lys l’aveva guardato con un cipiglio un po’ severo, come se non stesse facendo proprio la cosa giusta.

Era il ’44, un anno bello e gelido, un anno di sogni e malinconie.

Ricordava ancora la risposta di Jànos al suo sguardo.

-Ehi, bella, tu hai un marito ch’è sempre in battaglia, io devo restare, restare per te.

Per te e per quella smorfiosa di mia moglie, per quella diabolica furbetta di mia figlia e per quel biondino idiota del mio secondogenito.

Per Feri, che son sempre il primo che insulta al mattino, per Isaakij, che se non mi straccia a carte non comincia bene la giornata, per Lörinc, che se smetto di rubargli le focacce potrebbe anche cominciare ad aver clienti.

Per Hajnalka, che se non mi vede magari si dimentica il motivo per cui è infinitamente sfortunata.

E per papà, Khristos, certo! Se no a chi lo rifila, il giaccone di Pál?

Per la Rivoluzione, che mi solletica i piedi quando mi sveglio, mi strappa via il lenzuolo e mi grida: “Ebbene, Jànos Desztor, quanto hai intenzione di farmi aspettare?”-

Quando poi l’avevano arrestato, se n’era andato con le catene ai polsi e quel sorriso che, davvero, sulle labbra screpolate dal vento dei Monti dell’Altaj, sapeva bruciare solo lui.

-Io in guerra non ci vado, non ci vado perché non mi va-

Questo le aveva gridato sputando in faccia agli Zaristi, perché lui per lo zar non combatteva e non avrebbe combattuto mai.

Lui, per la vita, combatteva tutti i giorni.

Combatteva con lei.

 

Aiace era stato contento, quel giorno, di vederli tornare verso casa col sorriso.

Era corso loro incontro ed era saltato in braccio ad entrambi.

Era un ragazzino affettuoso, lui.

Affettuoso e diabolico, perché, ad ogni modo, aveva preso tutto da suo padre.

Secondo la personale opinione di Natal’ja, George era un bastardo, Lisistrata una strega, Aiace poteva diventare solo un piccolo scapestrato, un brigantello di rara bellezza e furbizia.

Suo padre era morto.

Aveva avuto un bel stringere i denti per non piangere, il 2 Aprile di quello stesso anno infame.

Natal’ja era sua madre, su questo non si discuteva.

Non avrebbe mai potuto essere di meno.

Quando era insieme a Line e Niko, si capiva chi fossero i figli della Siberiana.

Si capiva fin troppo bene.

A lui dispiaceva che nessuno lo giudicasse all’altezza di Natal’ja di Krasnojarsk.

Perché non poteva essere il suo primogenito?

Era una questione prettamente fisica.

Lui avrebbe potuto essere un satrapo persiano, non il pargolo della biondina russa.

Natal’ja, dal canto suo, se ne fregava in un modo che Aiace trovava meraviglioso.

 

Non ho gli occhi chiari di Lys, no.

Li avete mai visti, voi, quelli di papà?

Lo sapete quant’erano belli?

Braci ardenti, metallo sciolto, una lama d’ossidiana prima di lacerare la pelle.

I miei sono uguali ai suoi.

Forse solo un po’ più feroci, perché me l’avete portato via, papà.

 

Lo spaventava, però, il modo in cui Lys lo guardava.

Si alzava di notte e passava ore intere ad accarezzargli i capelli, finché non si addormentava ai piedi del suo letto.

Lui le lasciava cadere una coperta e sorrideva nel buio, inquieto.

Poi aveva capito che Natal’ja poteva sopportare tutto, ma con George.

 


I'm greatful to anyone
That is happy or free
For giving me hope
While I'm looking to see

The light that has lighted the world

 

Sono grata a chi

E’ felice o libero

Per avermi dato la speranza

E adesso sto cercando di vedere

La luce che ha illuminato il mondo

(The light that has lighted the world)

 

[…]

 

Che cosa senti quando la voce dagli spalti
Ti annuncia che è l'ora già e il giorno piano muore?

(Ophelia, Francesco Guccini)

 

 

Krasnojarsk, 27 Febbraio 1855

 

The day the world gets round
To understanding where its gone
Losing so much ground
Killing each other, hand in hand
Such foolishness in man
I want no part of their plan - oh no

 

Un giorno il mondo comincerà a girare

Per capire cos’è successo

Perché stanno perdendo terreno

Loro si uccidono l’un l’altro, mano nella mano

C’è una tale follia nell’uomo

Io non voglio far parte del loro piano - oh no

(The day the world gets round, George Harrison)

 

Aiace era come George.

Per quanto, fin da ragazzino, facesse ogni giorno allenamenti che avrebbero stremato un oplita adulto, i muscoli latitavano.

Però superava in altezza sia suo padre che suo fratello.

Un metro e sessantasette per un Gibson era assolutamente straordinario.

Il metro e settantatré di Céline, a cui il sangue Zirovskij aveva concesso miracoli, l’indispettiva un poco.

Nikolaj, dall’alto del suo metro e cinquantanove, sospirava agli infiammati discorsi dei fratelli e pregava che non abbassassero lo sguardo su di lui.

Quei complessi li avevano ereditati tutti dal loro caro Brian George.

Erano fratelli, loro, sì.

Litigavano per un paio di centimetri, ma si adoravano.

Avevano fatto addirittura uno schema sulle loro caratteristiche fisiche, per discuterne con più cognizione di causa.

 

Aiace Gibson [Nato Paul Aiace Jean-Voltaire, che Gee sia maledetto], Sparta, 21 Novembre 1836.

Diciotto anni, quasi diciannove.

Occhi neri, capelli neri.

Un metro e sessantasette.

 

Céline Gibson [Nata Alcesti Caelie], Krasnojarsk, 30 Gennaio 1839.

Sedici anni.

Occhi grigiazzurri, capelli biondi.

Un metro e settantatré.

 

Nikolaj Gibson [Nato Nikolaj Leonida], Vienna, 7 Febbraio 1840.

Quindici anni.

Occhi indaco/grigiazzurri, capelli neri.

Un metro e cinquantanove.

 

Mamma [Lys]: Natal’ja Eileen Gibson [Nata N. E. Morrison-Zirovskaja].

Krasnojarsk, 27 Febbraio 1825 - Krasnojarsk, 5 Maggio 1848.

Occhi grigiazzurri, capelli biondi.

Avrebbe dovuto avere ventinove anni, quasi trenta.

Un metro e settantuno e mezzo.

 

Papà [Gee]: Brian George Gibson [Geórgos Zemekis].

Sparta, 27 Febbraio 1821 - Riyadh, 2 Aprile 1847.

Occhi neri, capelli neri.

Avrebbe dovuto avere trentatré anni, quasi trentaquattro.

Un metro e sessantadue e mezzo.

 

-Teoricamente li avrebbero compiuti oggi-

-Dettagli…-

-Ma vi rendete conto? Papà era il più basso, dopo Niko-

-E Lys la più alta, dopo Line-

Aggrottò la fronte, Aiace, a quell’affermazione.

-Ed io?-

-Tu per una volta non fai il prepotente!- lo zittì Niko, tirandogli una gomitata.

-Sarò il più basso, ma i miei occhi non li ha nessuno, in famiglia-

-E’ una sfumatura più scura, non un segno degli Dei-

-Tu che ne sai?-

-Più chiara, Line. Non vedi?-

Così dicendo Aiace infilò un dito nell’occhio al fratello.

-Scusa, Kolja…-

-Vai al diavolo, Telamonio!-

Aiace sorrise, scompigliandogli i capelli.

-Dai, fratellino, dobbiamo pensare alla strategia-

Nikolaj annuì, ancora imbronciato.

-Line, vai a chiamare FJ. Possibilmente senza trattenerti per più di tre ore nella sua camera-

-Per tre ore posso?- domandò Céline, speranzosa.

Il ragazzo sgranò gli occhi.

-No, ovviamente!-

Lei sbuffò, guardandolo storto.

-Torno subito!-

 

-Magari stanno parlando…- ipotizzò Aiace, che Line la difendeva sempre.

Nikolaj sorrise, annuendo.

-Sì, di filosofia-

-E’ nostra sorella…-

-Ti ho già detto che FJ è il suo ragazzo?-

Lo Spartano si fece spaventosamente pallido.

-No…-

-Sei intelligente, Aiace, anche se non sembra. Riflettici su-

 

-Eccoci!-

Nikolaj lanciò un’occhiata alla ragazzina bionda, che, sulla soglia, li guardava sognante.

Per poco non fu colto da una sincope fulminante, di quelle che visitavano sua madre ai balli.

-Vai a sistemarti il vestito, Line. E tu, FJ, la camicia te la potevi anche abbottonare-

Il biondino rumeno deglutì, cercando lo sguardo di Céline.

-No, ma l’ho fatto, è che è stretta…-

-Immagino-

Niko gli batté una pacca su una spalla, facendolo sussultare.

-Dai, ci sono passato anch’io. Ma ero un attimino più furbo, sai?

-Kolja, ho un anno in più di te…-

-Una manciata di mesi-
-Eh, ma…-

-Ci ho messo meno tempo di te, va bene?-

-Sì, con la figlia di Jàn- rise Céline.

-La mia migliore amica-

-Già, la piccola Malin…-

-Non è piccola!- la difese il glaucopide dei Gibson, facendo ridere Aiace.

Line guardò quest’ultimo con sospetto, indicandolo a FJ.

-Lui non parla perché ha già una figlia. Si sente superiore-

Aiace alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa.

-Insomma, la strategia?!-

-La strategia, la strategia… Sei tu lo stratega, no?-

-A Sparta-

-Questa è la Sparta del nord!-

-Oh, Zeus…-

Nikolaj si puntò un dito al petto, con un sorriso angelico.

-Sono io, Zeus-

-Attaccheremo combattimento il 1 Marzo. Lo so, è presto, ma questa è la Sparta del nord, l’avete detto voi!

Al confine con Shtorm. Sulla Prospettiva Nebe saranno disposti Farkas e i Suoi, a partire da Tadeusz. E’ il più esperto.

I Desztor saranno l’ala sinistra, tra il campo di rose e Forradalom. Conoscono meglio il domo, la loro è la seconda casa in quella direzione-

-Domo?-

-Beh, magari non ci saranno più le prefetture territoriali di Clistene, ma il senso è quello. Gli altri verranno con me.

Come strategia è molto approssimativa, ma nemmeno alle Termopili erano così pochi…-

Aiace sospirò, ma poco dopo sorrise, fiero.

-Attualmente l’unico Efialte di mia conoscenza è il gatto di Synni -ma non poteva chiamarlo Telemaco, dico io?-, noi siamo i migliori. Gli Zaristi non hanno speranze-

 

If you’re the destructive kind
Now I’m working from day to day
As I don’t want to be like you
I look for the pure of heart
And the ones that have made a start

 

Voi siete così distruttivi

Io sto lavorando giorno per giorno

Perché io non voglio essere come voi

Io cerco i puri di cuore

E quelli che hanno inventato un inizio

(The day the world gets round)

 

[…]

 

“Jànos Boka guardò dritto davanti a sé e, per la prima volta, balenò nella sua anima di fanciullo quello che la vita è veramente, la vita di cui tutti siamo servi, ora tristi, ora allegri.”

(I ragazzi della via Pál, Ferenc Molnár, ultime righe)

 

 

 

 

Note

 

Prospettiva Nebe: Letteralmente (in russo) "Via Cielo", strada principale di Shtorm.
Glaucopide: "Dagli occhi azzurri, glauchi", epiteto omerico (Atena), in questo caso riferito a Niko.
Keep thinking 'bout his angel eyes: Continuando a pensare ai suoi occhi d’angelo. Angeleyes, Abba.

Stessi sorrisi, stessi guai: Due innamorati come noi, Laura Pausini.

 

Jàn e Lys, innanzitutto.

I loro litigi storici, litigi di un minuto.

Jànos che non è sempre il ragazzo più adorabile del mondo, e non lo sono le sue parole, e Natal’ja che lo conosce troppo bene, quello lì.

Poi Aiace, Aiace che somiglia così tanto a Gee, e Lys non li dimenticherà mai, il sorriso e gli occhi d’angelo del suo Gee.

Infine i complessi sull’altezza ereditati da George -io sono alta quanto Lys, anche se probabilmente non c'entra ;)-, i discorsi tra i tre fratelli e FJ, che la strategia militare sembrano essersela persa per strada, e Céline per strada in effetti s’è persa veramente, ma con FJ.

E’ un po’ dolce un po’ doloroso, questo capitolo.

Avrebbe dovuto essere quello della morte di Lys, ma non sono riuscita a finirlo, arriverà un po’ più tardi ;)

In realtà non sono proprio sicura che “sarebbe dovuto arrivare”, e non so se è masochismo o troppo affetto per i miei personaggi, ma lo finirò ;)

Ha fatto male anche questo, a modo suo.

Però ne sono contenta, e spero che vi sia piaciuto ;)

 

A presto!

Marty

 

 

 

 

 

  
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