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Autore: Malik31011    29/02/2012    3 recensioni
STORIA SOSPESA
Per Beth la vita è sempre stata dura. È nata in una famiglia che non l'accetta, vorrebbero che fosse tutt'altra persona. Ma lei è fatta così, comincia a rubare piccole cose nei negozi. Purtroppo la beccano, così si ritrova chiusa in un collegio. Sarà qui che tutto avrà inizio, perché qui incontrerà Harry.
Harry è sempre stato un bravo ragazzo. Si era ritrovato lì casualmente, per un motivo sconcertante. Si trovava con il suo cuginetto quando..
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Hiiiii everyone! :D
Sono tornata all'attacco (?) con una nuova FF.
E' per la mia amica Betta, è lei la protagonista. :3
Il capitolo seguente è abbastanza breve, da soltanto una visione della situazione.
Spero che vi piaccia! Lasciatemi le recensioni, dai. :3
Se volete seguitemi su Twitter :) Sono x_crossfingers_
A presto :)







"Ricorda che ti controlliamo."
Quella era l'unica cosa che mi aveva detto un
tipo non appena avevo messo piede in quella specie di carcere. 
Carcere per modo di dire, secondo il depliant era un collegio di massima sicurezza, fornito di tutti i comfort di cui godono le scuole private. A parer mio, quello era un carcere e basta. Ci mancavano solo le sbarre di ferro alle finestre e le porte blindate.
La camera dove mi avevano sistemato aveva le pareti grigie, tutto sembrava monotono, perfino il vaso di fiori sopra la scrivania sgangherata. Il letto non era dei più confortevoli. Il piccolo bagno era fornito di doccia, lavandino e uno specchio. Trovai delle incisioni sul muro, date, nomi, pensieri o lamenti. Quel posto non faceva altro che deprimermi. 
Ero sdraiata sul letto a fissare fuori dalla finestra, l'ipod stretto nella mano destra ed entrambe le cuffie nelle orecchie. Guardavo le piccole goccioline infrangersi contro il vetro, per poi sciogliersi in infinite discese. Era da quel mattino che pioveva, ancora non smetteva. Mio padre mi aveva salutata con un "Ci vediamo a Natale." e si era dileguato senza aggiungere altro. Cosa volevo aspettarmi da lui? Per non parlare di mia madre, non si era degnata nemmeno di accompagnarmi. Doveva restare con quel mostro di mia sorella, la piccola ed innocente Rose. Perfida e spocchiosa ragazzina, la odiavo. 
Da una parte ero felice di non dover più condividere la casa con soggetti del genere, di non stare sotto lo stesso tetto. Mi odiavano, tutti quanti. Non ero la figlia modello, non ero un esempio da seguire per mia sorella. Ero solo la figlia sbandata, quella che per ottenere un po' di attenzione si ritrova a rubare piccoli oggetti nei negozi. 'Quella che soffre di protagonismo.' come aveva detto il giudice. Oh certo, era colpa mia se a nessuno fregava di me. 
Qualcuno mi tirò un braccio. Scattai velocemente in piedi, sfilando le cuffie dalle orecchie.
"E tu chi diavolo saresti? Che cosa ci fai nella mia stanza?" sparò le domande a raffica la rossa che avevo difronte.
"Questa è la mia stanza." ribattei.
"Ti sbagli, fuori di qui." mi disse, prendendo la mia sacca e gettandola a terra. 
La presi e la rimisi sul letto. "Questa è la mia stanza." dissi, cercando di marcare bene il significato. Ma chi diavolo si credeva di essere? 
"Io ti uccido!" mi urlò lei. 
In quel momento entrò l'uomo che mi aveva accolto quando ero arrivata. Afferrò la rossa per entrambe le braccia e la trascinò fuori. "Basta aggredire i nuovi arrivati, torna in camera tua e piantala." gli disse. 
Che pazza esaurita. E chissà com'erano gli altri studenti. Se erano folli come quella lì mi avrebbero ucciso entro quella settimana. 
Mi domandai come avesse fatto l'uomo a sapere cosa stesse accadendo nella mia stanza, quando notai una luce rossa lampeggiante. Una piccola telecamera era appesa sopra la porta, inquadrando solo l'entrata. Ecco cosa intendeva con quel "Ricorda che ti controlliamo." 
Perlomeno era stato chiaro e sincero.
Decisi di disfare la valigia, perciò sistemai i vestiti nell'armadio affianco alla scrivania. Almeno quello era pulito. Tutto intorno a me era ricoperto da almeno un dito di polvere.
Presi il vaso pieno di fiori appassiti e secchi e li gettai nel secchio, dopodiché diedi una pulita alla bell'e meglio ai mobili. Aprii la finestra e feci cambiare l'aria. Fuori aveva smesso di piovere, così pensai che fosse una bella idea andare a fare un giro dell'istituto. 
Mi infilai una felpa aperta sulla canottiera che indossavo e camminai per i corridoi. Tutte le porte erano chiuse, avevano delle targhette appese con dei numeri e codici. Sulla mia non c'era niente.
Scesi le scale a chiocciola che si trovavano alla fine del corridoio ed uscii fuori. Dietro il grande e vecchio edificio c'era un enorme giardino incolto, pieno di erbacce e di piante spontanee. 
In mezzo a tutto quel verde notai una macchia scura. Un ragazzo, una testa riccia, una maglietta bianca larga che ricopriva il suo corpo, le gambe avvolte da dei jeans chiari. Non si accorse della mia presenza, restai lì qualche secondo a guardarlo. Stava fissando il suo braccio sinistro, ma non riuscii a scorgere un granché da quella distanza. 
Decisi di tornare dentro, prima che il ragazzo potesse accorgersi di me, ferma impalata a fissarlo.
Risalii velocemente le scale e mi chiusi a chiave nella mia stanza. Volevo riposare, staccare un attimo da quel mondo schifoso in cui vivevo e rifugiarmi per un lasso di tempo nel mondo dei sogni.
 
                         ***
Harry.
"Sei condannato, Harry Styles. Hai duecentoquarantatré giorni a partite da adesso per salvarti. Un bacio della ragazza che ami, e che ti ama, e scamperai alla maledizione che incombe su di te. Corri piccolo Harry, il tempo scorre." disse la voce cupa e possente che rimbombava nella mie orecchie.
Era tutto ciò che ricordavo della notte di un mese fa, la notte in cui per colpa di uno stupidissimo gioco sono stato maledetto. La notte in cui sono iniziati tutti i miei problemi. Mi ritengono malato, pazzo. I medici, i miei parenti, tutti. Mi hanno sbattuto in questo posto per svalvolati quando ho iniziato a sostenere di essere vittima di un incantesimo, quando ho rivelato ai miei genitori ciò che mi era accaduto.
Io e George stavamo giocando al cimitero, una ragazzata. Era notte fonda, io e mio cugino ci eravamo avventurati tra le lapidi armati di torce. Una leggenda narrava che un tempo lì fosse stata sepolta una strega. George mi aveva trascinato in questa storia, avevamo raggiunto la tomba da lui indicata. Volevamo aprirla, pareva che lì dentro ci fosse un libro potentissimo. Non ci credevo un granché, anzi, non ci credevo affatto. Non avevo mai creduto nell'esistenza della magia, ma George era uno di quei ragazzini fissati. Mi aveva supplicato di aprire la tomba, lui era più piccolo di me, con le braccia esili e gli occhiali che gli ballavano sul naso. L'avevo assecondato, cosa mai sarebbe potuto accadere?  
Era accaduto che un'ombra brillante si era materializzata davanti a me, che il mio braccio sinistro aveva iniziato a pulsare e piano piano rivoli di sangue avevano cominciato a scolarmi fino al gomito. Urlavo di dolore, mentre l'ombra che mi stava difronte rideva a squarciagola. Dopodiché aveva cantilenato qualcosa in una lingua sconosciuta e mi aveva detto quelle cose. E poi era scomparsa, tutto è tornato come prima, tranne il grosso tatuaggio sul mio braccio. Un albero che mano a mano perdeva le foglie e si seccava. Rappresentava la mia vita, mi restavano ancora duecento tredici giorni prima che la morte fosse venuta a bussare alla mia porta.
George era terrorizzato, aveva negato tutto, mi aveva dato la colpa. E io ero finito lì. 
Ero nel campo dietro il collegio, il vento mi scompigliava i ricci, l'odore dell'erba bagnata mi inondava le narici e mi dava la nausea. Fissavo il tatuaggio, una foglia si stava staccando da un ramo, un altro giorno era passato. 
   
 
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