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Autore: Lelenu    29/02/2012    7 recensioni
Indubbiamente sono fortunata ad avere la mia vita piena di fottutissime cose materiali.
Sono fortunata ad avere persone che mi vogliono bene.
Sono fortunata ad essere bella.
Ma quando questa fortuna ti si ritorce contro che si fa? Quando tutte le cose belle che hai sono la causa della tua distruzione, come ci si sente?
Quando quella bellezza di cui tutti parlano e che tutti ti invidiano viene violata, come puoi continuare a guardarti allo specchio?
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kristen Stewart, Robert Pattinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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You'll be fine

Pov Kristen

"Scacco matto! Alla faccia tua." esultai dopo aver messo fine a quell'estenuante partita di scacchi che mi stava facendo mandare in pappa il cervello con cervelletto e annessi vari.


"Ti piacerebbe! Guarda qua, sorella, posso ancora muovere il re. Destra... sinistra..." disse mentre spostava quel povero Re a cui ormai stava facendo venire la nausea.


"Ehi, fratello, ti ricordo che ormai io sono specialista di scacchi e contro-scacchi."
"Ah si? Cos'è, tu e Rob ve la passate a fare partite tutti i giorni tutto il giorno, anche se non state in luna di miele?"

Non poteva averla detta davvero. Non poteva aver detto quella squallidissima battuta, per di più in mia presenza senza curarsi dei miei ormoni. Eh già, i miei ormoni impazziti che gliel’avrebbero fatta pagare.

“Ritira subito quello che hai detto!” lo minacciai con gli occhi che ormai sprizzavano fuoco. Come poteva mettersi contro una donna incinta?
Come poteva mettersi contro Kristen Stewart incinta??

“ E se io non lo facessi?” disse con quel suo sorrisetto da perfetto idiota stampato in viso.

Mi tolsi la ciabatta e giuro su quant’è vero che avevo fame che avrei sul serio fatto molto molto male a mio fratello ma, (s)fortuna volle che un fracasso terribile proveniente dalla cucina attirasse completamente i miei pensieri. Come se quello fosse stato un campanello d’allarme, mi alzai e a piedi scalzi raggiunsi il prima possibile la mia cucina, o quello che ormai ne restava.

Quando entrai la prima cosa che notai fu la mia batteria di pentole a terra e un fidanzato che tentava di raccogliere ciò che poteva mentre si lamentava massaggiandosi un punto preciso sulla testa.

Inutile dire che la cosa di cui mi preoccupai maggiormente furono le mie pentole.
“La mia padella antiaderente!”

Rob alzò lo sguardo e mi studiò trattenendo il respiro: dovevo sembrare seriamente una bestia inferocità!
“Cosa.. cosa ci fai in cucina?” chiese con la voce che tremava: aveva paura. Aveva paura di me e non nascondo che la cosa mi faceva sentire potente.
“ No, la domanda è: cosa ci fai tu nella mia cucina?” spifferai a denti stretti, ormai sull’orlo di una crisi di nervi.

“ Volevo preparare la cena e… Oh mio dio, perché sei a piedi scalzi? Fa fredda, siamo a dicembre e poi ci sono i microbi. Potresti prendere delle malattia..” senza fermarsi per prendere il respiro e continuando ruzzolare una miriade di possibili catastrofi che potevano colpirmi per quei 4 passi a piedi nudi, mi portò in braccio fino in salotto dove trovai mio fratello Cam ad accogliermi con una coperta, che mi mise addosso non appena il mio dolce sederino toccò il divano.

Ormai era una settimana che andava avanti così. Mio fratello arrivava a casa nostra di prima mattina e non mi mollava nemmeno un secondo. Perché giustamente non bastava Robert, no. Avevo decisamente bisogno di un fratello iperprotettivo che mi faceva sentire una perfetta malata.

Mi prendeva in braccio per farmi spostare da un punto ad un altro, mi portava in bagno, mi chiedeva ogni istante come mi sentivo o se avevo bisogno di qualcosa.

Adesso prendete tutto questo, moltiplicatelo per due, considerata che lo faceva anche di notte e aggiungete l’iperprotettività innata del mio fidanzato. Potevo mai essere tranquilla io? Inutile dire che il mio cervello fosse sul punto di andare a farsi fottere.

“Punto n. 1 se non l’hai notato oggi è il 1 Dicembre e a Los Angeles  non fa per niente freddo, quindi escluderei tutte le tue ipotesi cataclismatiche; punto n.2 quella è la mia cucina e gradirei un po’ di attenzione.” Lo guardavo fisso negli occhi in cagnesco per farmi ascoltare meglio ed essere più convincente ma, ovviamente, non ci riuscì visto che lui partì di nuovo all’attacco.
“Punto n.1, amore, scusa se mi preoccupo, anzi ci preoccupiamo per la tua salute;” disse alzando le sopracciglia con fare di superiorità, “ e punto n.2 quella è anche la mia cucina, dato che l’ho comprata io con i miei soldi, come tutto quello che c’è in questa fottuta casa, e quindi sono libero di usarla quando e come voglio.”

Ciò che disse mi fece restare di sasso. Mi stava rinfacciando qualcosa? Me lo stava davvero rinfacciando?
Fu una cosa che mi fece male e, data la mia precaria stabilità ormonale, non riuscii a trattenere le lacrime.

“B.. bene.. visto che questa è la tua casa e quella è la tua cucina, io levo le tende.” Mi alzai senza pensare veramente a quello che stavo per fare ma in un batter d’occhio, senza quasi rendermene conto, mi ritrovai con le mie converse ai piedi, una borsa con l’essenziale a tracolla e uno sguardo appannato dalle lacrime.
“Portami a casa Cam.” ero ferma e decisa e nessuno mi avrebbe smosso dalle mie intenzioni.

Robert e mio fratello mi guardavano a bocca aperta come se fossi io la pazza della situazione. Ma davvero non si rendevano conto che il mio livello di sopportazione era arrivato al limite??

Cameron prese un respiro profondo e poi, dopo aver preso chiavi e cellulare, alzando la mano destra a mò di saluto, disse in maniera perplessa: “Io vado. Direi che mi aspettano a casa per cena e…” rivolse uno sguardo comprensivo a Rob, come se fosse lui quello da capire e compatire. “..Beh.. buona fortuna, cognato.”

E prima che potessi aggiungere qualsiasi altra cosa mi ritrovai sola con quello screanzato. Non potevo credere che mio fratello, sangue del mio sangue, lo stesso che si preoccupava per ogni mia minima cosa, non avesse esaudito la mia unica ed umile richiesta: portarmi via da lì.

Quasi sconsolata e arresa buttai la mia borsa a terra e il rumore che essa provocò fece sbattere le palpebre a Rob, come se finalmente fosse tornato tra di noi.

Sì, si era svegliato ma continuava a non proferire parola. Continuava a non respirare e continuava ad ignorare me e le mie fottute lacrime di nervosismo che scendevano copiose come se niente fosse.

Devo dire che il tutto mi irritava e non poco; così ripresi la mia borsa, le chiavi della mia mini e, quando aprii la porta di casa sentii due braccia prendermi di peso per la vita per farmi accozzare contro un massiccio petto, che spesso – sempre – popolava i miei sogni erotici.

Iniziai a dimenarmi tra la sue braccia fin quando mi fece voltare e i miei occhi fecero un terribile, e assolutamente perfetto, incidente con i suoi. Boccheggiai e annaspando riuscii a dire un flebile “fammi andare”.

Fece segno di no con la testa e, ponendo entrambe le sue mani ai lati del mio viso, mi penetrò ancora di più – se fosse possibile -  con il blu dei suoi occhi. Era sempre così. Ogni volta. Perché riuscivo a diventare persino sua schiava sotto la potenza di quelle pozze infinite?

“ Tu non vai da nessuna parte” sussurrò con la voce più triste che mai. “mi… mi dispiace per prima. Non volevo dire quelle cose.”

“Se le hai dette vuol dire che devi pensarle almeno un po’…” dissi abbassando i miei occhi.

“No! Ti giuro che non è così! Ti giuro che non lo penso. Io… non so perché le ho dette. Ma tu ti lamenti ad ogni mio gesto. Ad ogni mia preoccupazione. Io… ho solo paura per te… per voi”

“… per noi…” sguardo basso. “non sai nemmeno se è tuo.” Sguardo bassissimo.

Sguardo basso ma alta paura.

“Cosa… cosa dici? No! No Kristen. Dimmi che non è quello che penso. Dimmi che non hai davvero pau-“

“Senti non lo so! Non lo so. Non so niente. Sono nervosissima e non ci capisco più una mazza!” sbottai passandomi una mano tra i capelli,  riuscendomi a schiodare da quella posizione.

Mi sedetti sul divano iniziando a mangiarmi le unghie fin quando anche lui si mise accanto a me e in silenzio strinse la mia mano tra la sua.

So cosa significava. So che voleva dire con quel gesto.

Lui c’era.

Lui ci sarebbe stato.

E io lo sapevo. Sapevo che non mi avrebbe abbandonata. Ma se sarei stata io ad abbandonare lui e persino me stessa? Se la paura mi avrebbe mangiata viva che avrei fatto? Se sarei stata io quella a non riuscire a crescere un bambino – mi faceva schifo già pensarlo – non suo?

“Voglio che sia tuo. Deve essere tuo.” Ormai era superfluo trattenere le lacrime davanti a lui.

“Lo sarà. Lo è. Lo è e ti dico anche il perché. Perché io voglio una figlio da te dal primo momento che ti ho vista; voglio essere il padre dei tuoi figli dalla prima volta che ho incontrato quegli occhi schifosamente verdi e belli; voglio un bambino tutto nostro da sempre. E se qualcuno lassù esiste davvero non ci farebbe mai questo torto. Non dopo quello che è successo. Non dopo quello che hai sopportato. Un bambino deve essere frutto di amore e non di…” il suo viso deformato da una smorfia di dolore e ribrezzo “..di violenza e orrore.”

Aveva ragione. Un figlio era un frutto che sbocciava tra i fiori di un amore vero. Dovevo semplicemente avere tanta fede.  E sperare. Sperare con tutto il cuore.

“Adesso tu devi anche capire che sei incinta di 2 settimane. E questo significa che tutto è ancora molto a rischio e devi stare attenta ad ogni minimo movimento e… io e tuo fratello vogliamo solo proteggerti!” cambiò prontamente discorso, lo scaltro.

Sbuffai sonoramente quando sentii il suo naso sfiorarmi il braccio. Si, lui voleva proteggermi ma la mia sanità mentale chi la proteggeva?
“Si ma siete ossessivi. Tra un po’ mi aiutate anche a respirare! Sul serio, dovete calmarmi perché non ne posso più. State esagerando. Soprattutto tu!” conclusi puntandogli il dito contro.

Mi guardò con uno sguardo buffo per poi scoppiare a ridere prendendo la mia mano accusatrice e portandola alle sue labbra per baciarla dolcemente. “proverò a limitarmi ok?”

Annuii come una bambina ma non mi bastò. “ e dirai a mio fratello di non farsi più vedere?” chiesi speranzosa. Insomma, era anche un’invasione della privacy. Non ero nemmeno libera di slinguazzarmi il mio uomo che mi sentivo due occhi puntati addosso.

“Ma voglio bene a Cam. E’ il mio cognato preferito” mise il finto broncio da cane bastonato.

“No, mi dispiace. Gli concedo una visita un giorno sì e uno no. E una volta a settimana, se proprio vuole, può cenare con noi.” Dissi pacatamente e con sguardo serio. Serio ma non abbastanza per Rob, che scoppiò a ridere annuendo.

“Ok. D’accordo. Adesso, se ci siamo calmati, dovremmo mangiare qualcosa. Sai, sono le 21.30. Com’è che non hai fame?”

Storsi il musetto “non ho detto di non averne. Mhmmm ok, mi metto ai fornelli.”

Mi alzai ma mi sentii afferrare la mano. “Ti aiuto?” Lo sapevo.
“Roob…”

“Ti prego. Ti prego ti prego ti prego. Ehi te lo chiedo solo perché infondo voglio imparare a cucinare” disse cercando di discolparsi dalla sua improvvisa voglia di rovistare in cucina.

Beh infondo che male poteva fare cucinare insieme al proprio fidanzato?
“Alza quelle chiappe da lì, scemo!” sorrise e prendendomi per i fianchi mi guidò in quella che era e sarebbe sempre stata la mia cucina.

 

 

 

Come sempre ogni giorno vola quando si ha paura di arrivare ad uno in particolare. E quel giorno di cui avevo paura era arrivato e bruciava come il sole di Los Angeles alle 8 di mattina. Senza aprire gli occhi respirai profondamente girandomi su un fianco, sperando che Robert capisse che fossi sveglia. E ovviamente fu così. Non tardò ad arrivare il suo braccio pronto a stringermi da dietro né tanto meno la sua barba mattiniera a sfregare sul mio viso.

“ ‘Giorno” mormorò lasciandomi un bacio sulla guancia.

“Ciao.” Non avevo voglia di alzarmi. Non avevo voglia di mettere fine a quell’abbraccio. Non avevo voglia di andare in clinica.

Sì, perché proprio quel giorno avremmo fatto il test. Quel test tanto agognato. Entrambi avremmo fatto il prelievo ed entro qualche giorno avremmo saputo come stavano le cose. Sì, tutto molto bello e finalmente chiaro ma… se non sarebbe andata come speravamo?

Sentii il suo braccio stringermi ancora di più a sé e grazie a questo riuscii ad allentare le paranoie e a sorridere quando lo sentii sbadigliare sonoramente.

“ Se magari la sera non staresti fino a tardi a giocare a nomi-cognomi-cose e città, la mattina non saresti così stanco.” Puntualizzai.

“Ehi ehi ehi. Non iniziamo! Mica giocavo da solo.” Disse facendomi girare e mettendosi su di me.

“Ok è vero non giocavi da solo ma come vedi io non sto morendo dal sonno come te!”

“Touchè.”

Risi e dopo avergli gettato le braccia al collo gli diedi il mio buongiorno personale, come ogni mattina. Feci scontrare le nostre labbra prepotentemente, sperando anche di svegliarlo un po’ di più, in un bacio che ci avrebbe dato forza e coraggio per la giornata che andavamo ad affrontare. Sentii la sua lingua sfiorarmi il palato e prepotentemente infilai le mie dita tra i suoi capelli per avvicinarlo ancora di più a me.

Come sperai il mio Rob si svegliò per bene e non fu l’unico a sentire il richiamo della giungla, visto che sentivo sempre più qualcosa che s’ingrossava e premeva sfacciatamente sulla mia coscia.

“Mhmmm…mi sa – bacio – che – bacio – adesso – bacio - sei  - bacio – fin troppo – bacio – svegl… mhmmm”

Non potevo farcela. Non poteva farcela.

Non potevamo farcela.

Feci scivolare le mie mani fino al suo -mio- fondoschiena, mentre la sua lingua riprendeva la sua esplorazione. Ma proprio quando le mie esili dita stavano trapassando l’elastico del suo pantalone della tuta, mi sentii afferrare i polsi e rapidamente portarli sopra la mia testa. Quando aprii gli occhi me lo ritrovai davanti con uno sguardo tra il divertito e il frustrato.

“Andiamo Stew, non farmi impazzire proprio stamattina”
“Cos’ha questa mattina di differente dalle altre?”
“So cosa vuoi fare, signorina”

“Ah si?”
“Si.” Rispose carezzandomi le labbra con la punta del suo naso.

“ e… e cosa vorrei fare,scusa?” respiro stronzo che mi hai abbandonato, me la pagherai.

“Tu…” iniziò con voce roca e suadente “… vuoi far finta di niente!” concluse con tono fermo e squillante, alzandosi e guardandomi con sguardo accusatorio.

Ok. Aveva colto il punto.

Non era meglio un po’ di sano sesso invece di un prelievo di sangue? Non volevo farlo. Non ne avevo la minima voglia. E non per paura dell’esito che da lì a qualche giorno avrei avuto, cosa che influiva ma alla quale ci avrei pensato dopo che un ago mi avrebbe infilzato la vena. Ecco, avevo paura degli aghi! E nessuno di questi avrebbe osato penetrarmi la pelle. L’unica cosa che aveva il permesso di penetrare me stessa stamattina era rimasta al suo posto, chiusa nella sua gabbia.

Niente prelievo. Niente sangue.

Niente aghi.

Non lo volevo fare. Non lo volevo fare. Non lo volevo fare.

 

 

“Stewart?” Ecco. Appunto.

L’infermiera chiamò il mio nome esattamente mentre Rob si stava facendo dissanguare nella stanza accanto. Non avrei fatto nessun prelievo senza lui che mi stringeva l’altra mano. Assolutamente no.

“Scusi, ehm… potrebbe aspettare un minuto? Giusto il tempo che…”
“Ehi..”  tempismo perfetto.

Mi voltai e lo vidi spuntare  dalla porta a destra mentre si teneva un pezzettino di cotone stretto lì dove gli avevano prelevato il sangue.

“Entri con me? Ti prego.”

“Certo!” e senza chiedere altro mi accompagnò per mano in quella stanza; quella stanza che, adesso me ne stavo davvero rendendo conto, avrebbe stabilito la verità e avrebbe, inevitabilmente, deciso in un modo o in un altro la famiglia che saremmo stati.

Strinsi ancora più forte la mano di Robert mentre sentivo l’ago infilarsi nella mia vena e lui, di tutta risposta, si avvicinò per baciarmi una guancia e sussurrarmi 

“Va tutto bene. Andrà tutto bene”

 

Okaay. Che si dice bella gente? Tutto bene? *prova a fare finta di niente e a dimenticare il suo ritardo a postare*

Ehm ehm, si scusate! Sono in tremendo e oltraggioso ritardo maaa... Beh adesso avete letto il capitolo e...

che ne pensate??
Spero vi sia piaciuto e , come vedete le paure di Kristen ( non parlo degli aghi) piano piano salgono a galla anche se lei, da donna forte quale è, cerca sempre di nasconderli.

L'esame del DNA alla quale si sono sottoposti è un esame del DNA prenatale non invasivo. E che significa?
In sintesi il test si basa sul rilevare, con particolari analisi, frammenti fetali del DNA nel sangue materno.

Ok. Adesso me ne vado che dovrei finire di ripetere filosofia.

A presto... spero.


Elena*







  
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