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Autore: Iky    01/03/2012    1 recensioni
Parigi,Rivoluzione Francese. Il silenzio assordante del cuore di un Uomo. Solo il rumore dei suoi passi riecheggia sul legno fatiscente del patibolo...
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I Silenzi Dell'Anima


10nteme







I rintocchi di campane lontane riecheggiarono nelle sue membra,scuotendolo da un turbinio vuoto di emozioni.
Alzò il capo in cerca di una chiesa vicina,di un campanile antico forse...ma incrociò solo l'immensità accecante del cielo blu di Luglio.
Senza una nuvola,limpido,pulito...lontano,troppo lontano.
Ancora fu spinto in avanti con violenza,incitato nel camminare e strattonato in un mormorio di voci costanti.
Ma lui non sentiva niente,non vedeva niente,non percepiva null'altro se non il vuoto assordante della sua anima.
Un silenzio cieco e muto che urlava straziandolo.
Ancora qualcuno gli lanciò qualcosa,qualcun altro gli sputò addosso,altri ancora lo tiravano per i capelli e lo conducevano forzatamente in avanti...ma lui non aveva intenzione di opporsi,oh no.
Semplicemente non riusciva a sentire più niente...nemmeno il proprio corpo sembrava più appartenergli.
Si trascinava su sè stesso pietosamente,con lo sguardo vacuo e spento,i capelli arruffati e fetidi,la pelle martoriata dalle numerose ferite e percosse,le mani legate innaturalmente e dolorosamente dietro alla schiena.
Ah,il dolore. Non gli importava più nemmeno del dolore. Voleva semplicemente che lo conducessero il più in fretta possibile verso la meta,la conclusione ultima di quel percorso quasi infinito.
E si lasciò tradire da un sospiro quando le scale del patibolo in legno vennero urtate dai suoi piedi scalzi.
Qualcuno lo spinse ancora e per poco non cadde: gli intimarono di proseguire,urlando e strepitando convulsamente quasi fossero in un carnevale macabro di morte.
C'era gioia e libertà in quella morte. Lui, lo spettacolo offerto al popolo in festa.
Ancora alzò gli occhi leggermente e guardò ciò che gli si parava dinnanzi, mentre ora era il sangue ad insozzare i suoi piedi scalzi. Lo fecero inginocchiare con la forza,quasi recitando una parte...dimostrandosi forti in una rabbia furiosa,anche se lui non si opponeva e non gli importava,no,non gli importava affatto di morire.
Perchè aveva ormai perso tutto ciò che di prezioso aveva avuto in quella vita...
Perchè lo aveva capito troppo tardi.
E il silenzio della sua anima,bruciante in un pianto di straziante dolore,non faceva che soverchiare ogni cosa e rinchiuderlo nella spirale di ciò che era stato...e di ciò che non sarebbe mai più potuto essere.


Chiuse gli occhi.
E sentì ancora il rintocco di campane lontane.







-*-



Sospirò e quasi correndo si fiondò nel grande giardino che si apriva meraviglioso nel retro della maestosa villa: era diventato ormai il suo rifugio e amava circondarsi di quel silenzio che solo la natura sapeva offrirgli.
Era stato piuttosto volubile in quegli ultimi mesi,eppure la sua gelida maschera di freddezza riusciva sempre a farlo apparire calmo...apatico quasi...e indifferente a volte.
Anche se aveva voglia di incollerirsi,di impaurirsi...anche se aveva voglia di urlare,di gioire e amare,di piangere e disperarsi... era incapace di esprimersi e ciò lo aveva reso stanco,esausto.
Iniziò a domandarsi se era stato da sempre così...ancorato ad un immagine,ad un ruolo,tanto radicalmente da perdere ogni traccia di sé. Ma ora...ora era solo stanco.
Si lasciò quasi cadere sulla grande poltrona al centro della terrazza appena accostata alla grande porta a finestre che dava sul rigoglioso giardino, e sospirò ancora.
Piano,lentamente,con gli occhi chiusi,udì dei passi leggeri farsi sempre più vicini ed infine accostarsi a lui in rigoroso e muto silenzio.
Sapeva fin troppo bene chi fosse: l'unica persona dell'intero palazzo a cui permettesse l'accesso in quell'aria tanto privata e amata,l'unica che rispettasse quell'assenza di rumore quasi sacra.
Aprì gli occhi e fu accecato un poco dalla luce del sole,mentre l'odore delle rose gli addolcì i sensi.
-Jean...- mormorò appena,senza alcuna inflessione nel tono di voce freddo.
Un uomo dai capelli castani elegantemente raccolti in un nastro verde,simile al colore dei suoi stessi occhi, chinò il capo in un educato e servile inchino. - Signore...- rispose solo,per informarlo cortesemente della sua onnipresente disponibilità. -Perchè sei qui?- gli domandò ancora,appoggiando un gomito sul poggiolo elegantemente rifinito in oro e socchiudendo nuovamente gli occhi. Jean alzò il capo e lo fissò,senza alcun indugio
-Perchè so che non amate rimanere da solo nel silenzio troppo a lungo.-
L'altro,con gli occhi ancora chiusi, gli fece solo un sorriso accennato...in risposta a quelle parole,non occorreva altro.
Era così naturale e profondamente fisiologico che Jean lo comprendesse così radicalmente da non lasciarlo poi stupito più di tanto. D'altronde erano cresciuti insieme in quella grande casa ,fin da bambini ad oggi, quando ormai da anni aveva preso il posto di suo Padre,il Conte di Desergés, acquisendone il titolo ed ereditando per diritto ogni sorta di ricchezza...così come Jean aveva preso il posto di suo padre, Mounsier Lagalle, come maggiordomo della villa. In sostanza era una vera e propria discendenza di ruoli e posizioni,per fomentare un rapporto di fiducia . Ma tra loro esisteva anche un rapporto di grande amicizia,oltre che di lealtà. In circostanze della sua vita,la presenza di Jean era stata un ancora di salvezza e di conforto...e così negli anni avvenire. No,non lo avrebbe mai definito solo un servo...era insostituibile. E non avrebbe mai dimenticato quanto in debito fosse con lui.
Piano riaprì gli occhi. E fissò l'anello d'ametista al dito,simbolo della sua casata,simbolo del suo nome.
Jacques Agustine Desergès.
Si sentiva quasi soffocare al sol pensiero...no,si era sentito da sempre soffocare!
Ancorato a quel nome,era nato e cresciuto sotto l'ombra di un fardello troppo pesante...e con esso era affondato nelle radici profonde di un identità che non gli apparteneva. Aveva sposato una donna che non amava affatto e da lei aveva avuto figli che,dio, disprezzava perchè legati al suo stesso misero destino. Condannati ad una scia di infelicità eterna,intrappolati in oneri,doveri e diletti pretenziosi e futili,immersi in ricchezze che mai avrebbero sentito veramente proprie,. E non avrebbero mai saputo null'altro che quello. Non avrebbero conosciuto che quello! Così come lui, si sarebbero rinchiusi nel silenzio,nella freddezza di emozioni laboriosamente represse,di parole mai dette,di gesti negati e mai compiuti. Mai più.
Sospirò ancora quando pensò che non aveva dato un bacio ai suoi figli...nemmeno prima di lasciarli andare. Anzi,mai. Non li aveva abbracciati mai. Adesso forse riusciva a capire suo padre...non è vero che non lo aveva mai amato...semplicemente non aveva avuto il coraggio per farlo. Così come lui era stato codardo con i suoi bambini.
Si portò le dita alla tempia e la massaggiò con calma,mentre sospirò ancora e il suo sospiro riecheggiò,amalgamandosi alla vitalità di quel giardino rigoglioso e splendido nella sua bellezza. Incontaminato. Si,era questo il miglior modo per descriverlo.
Riusciva a perdersi in quella bellezza. E ne era grato poiché lo tranquillizzava.
-E' quasi sera oramai, Signore...-
La voce di Jean lo raggiunse. Ma non lo infastidì...si amalgamava alla perfezione a quel luogo.
-Mh,di già? Vorrei restare ancora qui per un altro po'...- mormorò,quasi appisolandosi sulla sedia.
Davvero era stupefacente come quel piccolo antro di pace riuscisse a rasserenarlo,ad acquietarlo in maniera così limpida. Ed era vero. Non amava perdersi in quei silenzi da solo...sarebbe stato divorato dai rimorsi e dalle angosce spaventose della sua anima. Poteva solo placarsi,quasi fino a prender sonno, se affianco a lui c'era Jean,il fidato compagno di una vita,il maggiordomo impeccabile,l'amico insostituibile.
Ma ora,andava bene anche così....Ora bastava. Sì...era abbastanza.
Con movimenti fluidi si mise a sedere dritto sulla sedia.
- Sei tu che devi andare,ora. Lo sai... - gli disse con voce decisa e pacata nel contempo. Si alzò con altrettanta fluida lentezza – La contessa e i bambini sono già lontani,grazie al cielo. E tutta la servitù ha lasciato la villa. Manchi solo tu...- continuò,posandogli delicatamente una mano sulla spalla.
Jean tenne sempre lo sguardo rispettosamente più basso degli occhi del suo Signore. - E voi?- chiese sommessamente. - Che farete voi? La città è in subbuglio. Lo sapete...-
Jacques sorrise leggermente ma nel contempo serrò di poco la presa,increspando la camicia dell'altro. - Questo è il mio luogo. E' qui che devo e voglio stare. Forse veramente per la prima volta in vita mia. Ho adempito ai miei doveri un ultima volta....ho messo in salvo la vita di mia moglie e dei miei figli.- ancora strinse di più le dita sulla sua spalla - Adesso,Jean,vorrei che tu smettessi di adempiere ai tuoi. E' finita. Davvero...te lo chiedo non come tuo Signore,non più...salva almeno la tua vita.-

Un rumore assordante ferì il cielo ormai arrossato dal crepuscolo e fece sussultare entrambe,scuotendo loro le membra. Si voltarono di scatto verso lo strepitio di voci e di passi.
-Non c'è più tempo...Sono qui...!- sussurrò Jacques,mentre le urla ora più nitide chiamavano a gran voce il suo nome,gracchianti in una cantilena macabra e terrificante.
Jean allora,per la prima volta in tutti quegli anni,sfiorò la sua mano e lo guardò negli occhi,fulminandolo e facendolo annegare nel verde così vivido...così intenso...come quel giardino rigoglioso e puro. Il conte si immobilizzò,quasi rapito da un incontro così intimo e diretto,anche se non c'erano parole,anche se non c'erano mai state parole tra loro...in tutti quegli anni avevano condiviso quei silenzi preziosi,compagni ammaliati dal profumo di rose.
-Spogliatevi,subito!- lo intimò Jean,spingendolo tra gli alti cespugli e le alte fronde fitte,mentre adesso anche lui toglieva il più velocemente possibile i propri abiti.
Le voci,più vicine,più violente,i rumori più assordanti,ampliati dal passaggio distruttivo della folla nella casa. I loro respiri più affannosi,le mani veloci,il tempo tiranno.
Jacques frastornato si ritrovò semi nudo nella terra umida e sporca,mentre con altrettanta celerità Jean stava ora indossando i suoi abiti.
Il conte sgranò gli occhi,aveva capito...aveva capito,mentre le voci erano ormai al giardino,mentre Jean lo guardava negli occhi ancora e ancora gli sorrideva,il verde nel verde,la bellezza nella bellezza. Tentò,tentò di chiedere Perchè si stesse spingendo così oltre,così in là. Nessun giuramento di fedeltà avrebbe mai spiegato il sacrificio della sua vita,nessun orgoglio,nessuno status!
Ma lui non gli permise di proferir parola e lo ammutolì,portandogli un dito sulle labbra tremanti,mentre le torce creavano ombre ondeggianti e spaventose, e le urla erano troppo forti,troppo spaventose,troppo vicine,troppo...
Lo baciò piano.
Delicatamente,quasi un alito sottile e casto.
E lo fissò ancora. Occhi contro occhi. Uomo contro Uomo. Anima contro Anima.
Lo fissò mentre lo spinse via,coperto di fango nella notte,difeso dalle sue amate piante,dai suoi preziosi fiori.
Mentre faceva un passo indietro e veniva carpito da mani violente.
-L'abbiamo trovato!- -E' il Conte!- -L'abbiamo trovato!- -A morte!- -A morte!- urlavano adesso le voci.
No! Non è lui! Avrebbe voluto strillare loro. Ma era assordato da un emozione dirompente,mentre una lacrima rigava le sue gote,mentre in mente il suo viso e le sue parole:
"So che non amate restare troppo solo,nel silenzio".
Immobile,incapace di respirare,disperso in una consapevolezza bruciante e vivida,sentì solo la folla scagliarsi addosso con calci e rabbiosa follia.
Poi,il silenzio.
Forte,si strinse su se stesso..mentre la sua intera anima sanguinava.
Se solo avesse capito,se solo avesse saputo!
Tremante uscì piano,strisciando,dalle folti siepi. E lo raggiunse...a terra,martoriato e irriconoscibile. Con gli occhi aperti,verdi...vacui...spenti.
Scoppiò il lacrime...in un pianto disperato e primitivo. - Mi dispiace...mi dispiace...Perdonami,ti supplico perdonami!-

Poi udì dei passi,una voce che conosceva forse,qualcuno chiamava il suo nome e lo indicava.

Ma ormai lui...non sentiva più nulla. Se non il vuoto ed il Silenzio urlante della sua anima rotta.


-*-

Aprì gli occhi e sbatté le palpebre.
Ancora guardò il cielo,distratto dal suono lontano di quelle campane.
La folla eccitata esultò quando il boia lesse il suo nome,mentre i capelli gli cadevano sul viso, mentre la lama della ghigliottina brillava sotto il sole di Parigi.
Li richiuse poi nuovamente,costretto dalla posizione scomoda in cui si trovava. In un attimo di lucidità,accompagnato da quei rintocchi, pregò per sua moglie,pregò per i suoi figli.
-Jean...- mormorò solo,quando le campane risuonarono ancora,quando percepì un qualcosa di gelato e umido pizzicargli veloce e netto la base del collo.






10nteme





Frastornato,
aprì leggermente le palpebre.

Il silenzio del giardino amato lo pervase insieme a quell'odore familiare e pungente che lo abbracciava.

-Signore?-

Si voltò piano verso quella voce. Ma non aveva bisogno di chiedersi chi fosse.
E lo guardò.
Era lì,in piedi,affianco alla sua sedia,dove era sempre stato.
Lo guardò.
E gli sorrise,senza dire nulla...perchè le parole tra loro non avevano alcun valore.

Poi si acquietò sereno sullo schienale,
cullato in quel silenzio
dove non sarebbe mai più stato solo.






  
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