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Autore: Padmini    02/03/2012    1 recensioni
In quella stanza coesistevano emozioni contrastanti.
C’erano John e Lestrade, visibilmente tesi. La tensione che deriva da un’aspettativa, un’aspettativa di speranza. Lestrade riusciva abbastanza bene a mascherare la sua soddisfazione ma John sorrideva compiaciuto e ogni tanto lanciava qualche occhiata significativa verso i due seduti al suo fianco.
Anderson e Donovan erano lì contro la loro volontà. I loro sguardi accigliati e i continui gesti di impazienza si potevano tradurre in un solo modo: “Ma questo non era considerato un caso chiuso?”
Moriarty fa parte di una grandissima organizzazione a livello mondiale. Il suo obiettivo è uccidere una persona che vive a Londra. Sa come rintracciarla e alla fine delle sue ricerche c'è Sherlock. Ma si tratta di un errore. La persona che doveva uccidere era strettamente legata a lui... e adesso vuole vendicarlo.
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dalla Parte degli Angeli Oscuri'
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Seattle, un mese prima
Seduto su quella poltrona, Sherlock ripercorse mentalmente gli ultimi mesi. Le abili e forti mani della parrucchiera gli massaggiavano la testa e lui si ritrovò rilassato grazie all’effetto dello Shampoo… gli ricordava una canzone che aveva sentito mentre attraversava l’Italia in nave… “Quasi quasi mi faccio uno shampo…” * In effetti aveva bisogno di rilassarsi. Di dimenticarsi, anche solo per pochi minuti, quello che gli era successo negli ultimi tempi. Doveva dare tregua al suo cervello, staccare la spina per un po’.
Non era quello il motivo vero, comunque. Stava seduto in quella poltrona in un salone di Seattle per tagliare e tingersi i capelli. Doveva sparire. Tutti dovevano crederlo morto. Fino a quando? Non ne aveva idea. Voleva… no… doveva a tutti i costi fare luce su quel mistero. Dopo la sua finta morte aveva cominciato a indagare nell’ombra, in tutta Europa e i fili che era riuscito a raccogliere lo avevano portato proprio lì, in quella città degli Stati Uniti. Erano tante le informazioni che era riuscito a raccogliere, ma erano informazioni vaghe e, a parte il tentativo di omicidio perpetrato nei suoi confronti da un’organizzazione internazionale, quello su cui voleva indagare ora era… se stesso. Non capiva bene cosa gli stava succedendo. Pensava di poter essere sempre e comunque padrone di se stesso e invece… ora tutte le sue convinzioni sembravano abbandonarlo. Qualcosa, dentro di lui, si stava risvegliando. Lui, che da sempre aveva tenuto sotto controllo le sue emozioni, sentiva nascere dentro di se un istinto primordiale, da belva feroce. Sapeva esattamente cosa doveva fare e come e si sentiva come una pantera che, con abili mosse, si avvicina pian piano alla preda. Era cominciato tutto qualche mese prima, mentre si faceva la doccia.
 
Doveva ammettere che cercare di infilzare quel maiale con la fiocina** era stato molto divertente ma, una volta tornato a casa, per quanto noioso potesse essere, nessuno poteva evitargli di lavarsi dal sangue. Così si era spogliato e poi abbandonato sotto lo scroscio dell’acqua piacevolmente calda. Cominciò lavandosi il viso, guardandosi allo specchio del lavello per riuscire ad eliminare ogni singola macchia. Poi passò al corpo e, quello che vide, lo sorprese. Inchiostro? Quando mai si era macchiato di inchiostro? Eppure era lì… alcune macchioline nere erano apparse sul suo avambraccio. Guardò meglio e cercò, con la punta del dito, di cancellarle. Non venivano via. Avvicinò l’avambraccio al viso, per vedere meglio. Non sembravano macchie. In effetti non poteva essersi sporcato di inchiostro. Sembravano… tatuaggi. Pian piano, cominciò a delinearsi una scritta. Non sembrava un alfabeto conosciuto… dove l’aveva già visto? Si sforzò di ricordare, cercando per un momento di scacciare il sentimento di sorpresa di fronte a quell’apparizione… ecco! Minoico antico? Dove aveva visto prima, segni del genere? Non se lo ricordava eppure… eppure… nella sua memoria quei segni c’erano già. Li aveva già visti.
Non voleva parlarne con John così, una volta uscito dalla doccia, si vestì accuratamente nascondendo i segni neri che erano comparsi. Nonostante tutto, era assorto nei suoi pensieri. Cercava di ricordare dove avesse visto quei segni prima. John non avrebbe sospettato nulla. Molto spesso lo trovava in quelle condizioni e ormai aveva rinunciato a porgli domande in proposito.
Camminava su e giù per la stanza, con la fiocina in mano cercando di ricordare. John leggeva il giornale ma ogni tanto lo guardava, pensieroso. Tentò di mascherare la sua frustrazione con la noia che lo affliggeva ogni volta che non aveva un caso per le mani. John ci sarebbe cascato come un pero. Fumo. Aveva bisogno di nicotina, subito, altrimenti sarebbe stato il suo cervello a fumare per lo sforzo.
Aveva bisogno di distrarsi, di concentrare la sua attenzione altrove e presto il pretesto arrivò. Partirono per Baskerville e Sherlock, preso dal caso, quasi si dimenticò dei tatuaggi, poi improvvisamente, ne apparvero altri. Sul petto e sulla schiena. Sentiva che li aveva già visti eppure non riusciva a focalizzare dove. Cercò invano testi su cui basarsi per tentare una traduzione ma fu una ricerca infruttuosa.
Poi era ritornato Moriarty. Sapeva che da un po’ lo teneva d’occhio e aveva anche avuto a che fare con lui. Certamente non si sarebbe mai aspettato in che modo i fatti si sarebbero evoluti. Simulazione di suicidio a parte, sembrava quasi che quei tatuaggi, comparsi chissà come, avessero risvegliato in lui abilità che nemmeno sapeva di possedere. Da sempre si era esercitato nei travestimenti, sapeva perfettamente come pedinare un obiettivo, come ottenere le informazioni che voleva e anche come nascondersi se non voleva essere trovato. Eppure, da qualche mese tutte queste abilità sembravano essersi accentuate. Aveva una consapevolezza nuova. Moriarty e la sua stramaledettissima organizzazione erano presenti nel suo cervello ma ormai erano in secondo piano. Per primo veniva lui. Aveva sempre investigato fuori da se stesso. Sapeva tutto di tutti. Gli bastava uno sguardo per capire appieno chi si trovava di fronte a lui. Ma cosa poteva dire di se stesso? I tatuaggi, il fatto che aveva dovuto fingersi morto, le nuove emozioni mai provate prima che pian piano si facevano strada dentro di lui… tutto questo lo aveva portato ad aprire un nuovo caso, un caso che consisteva in un lungo viaggio nella sua anima. Un viaggio che, tra spionaggio e qualche furtarello di documenti riservati, lo aveva portato a Seattle.
“Ho finito, signore” gli disse la parrucchiera tenendo dietro di lui uno specchio per permettergli di vedersi anche dietro. Quasi non si riconosceva. Ora i suoi capelli scuri e ricci erano corti e di un bel rosso tiziano. La parrucchiera glielo aveva consigliato perché secondo lei si intonava con i suoi occhi. Va bene, vada per il rosso.
Si alzò e pagò la ragazza che, notò uscendo, non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. ‘In effetti’, ammise con un sorriso guardando il suo riflesso su una vetrina, ‘Non sono poi così male…’
Mentre camminava per le strade di Seattle cercava di mantenere una certa disinvoltura. Non poteva permettersi di essere scoperto. Non ora. Se i mandanti del suo omicidio erano partiti da Seattle, doveva stare attento ora più che mai. Aveva dovuto abbandonare il suo amato cappotto lungo ma lì non faceva così freddo. Indossava una semplice camicia bianca con una giacca chiara di pelle e un paio di jeans scoloriti.
Girò l’angolo e assistette ad una scena che lo fece andare un po’ avanti nelle sue indagini. Non era una scena particolare, cose che succedono tutti i giorni, ma a lui fece venire in mente un episodio che gli era successo la settimana prima del suo finto suicidio.
Un bambino camminava per strada, tenendo la mano alla madre mentre con l’altra sorreggeva un cono gelato. Improvvisamente inciampò e il gelato precipitò sulla maglietta, lasciandoci una enorme macchia.
“Kevin!” lo riprese la madre “vedi di stare più attento! Questa maglietta te la sei messa pulita stamattina”
Il bambino, prevedibilmente, si mise a piangere. Non tanto per le parole dure per la madre ma per il gelato che, ormai, era andato perduto. Sherlock sorrise vedendo la scena ma subito il ricordo affiorò alla sua mente.
Stava camminando con John lungo una strada affollata del centro. Era impegnato con tutto se stesso nella risoluzione di un caso così non si accorse che un bambino, con un gelato in mano, era inciampato proprio davanti a lui. Il gelato, con un elegante piroetta in aria, era atterrato giusto sulla camicia di Sherlock. “Dannato ragazzino” pensò il detective fulminandolo con lo sguardo. Non fece in tempo a dire nulla che dal negozio davanti al quale si trovavano uscì una donna che, evidentemente, aveva assistito alla scena.
“Mi scusi” cominciò imbarazzata e aggiunse, rivolta al bambino “Mark, chiedi scusa e fila dentro a lavarti le mani”
“Si mamma” disse il bambino e poi, rivolto a Sherlock, con il chiaro intento di togliersi il più velocemente possibile da quella situazione“Mi scusi signore” e corse dentro.
“Lo scusi, la prego” proseguì la donna “Venga dentro il mio negozio. Ho una merceria. Per scusarmi dell’incidente mi permetta di regalarle una camicia nuova per cambiarsi così potrò portare i suoi abiti sporchi in tintoria”
Sherlock guardò John disorientato. Non si sarebbe mai aspettato tanta premura da parte della donna. John si strinse nelle spalle come per dire “Accetta, che ti costa?”
Così entrò nel negozietto. La signora lo accompagnò nel camerino e gli porse la camicia. Lui si premurò che la porta fosse ben chiusa e cominciò a spogliarsi. Mentre si sfilava le maniche il suo sguardo cadde nuovamente sui tatuaggi. Sospirò. Chissà se avrebbe mai capito il loro significato. Poi successe qualcosa che, al momento, il suo cervello registrò di striscio, senza darci troppo peso. Gli parve di essere osservato e addirittura gli parve di vedere un piccolo bagliore alle sue spalle, come di un flash.
Ora capiva. Finalmente aveva compreso cosa significava. Il gelato… il regalo della camicia… tutto era stato un diversivo per farlo spogliare e... verificare la presenza dei tatuaggi? La situazione aveva cominciato a sfuggirgli dalle mani esattamente una settimana dopo. Troppo poco tempo per considerarla una coincidenza. Ma cosa centravano i tatuaggi con tutto quello?
 
 
 
*”Lo Shampoo” di Giorgio Gaber (http://www.youtube.com/watch?v=ccqcpOLaMk8). Mi piace pensare che Sherlock, fuggito da Londra via nave, abbia ascoltato per caso questa canzone alla radio italiana e si ritrovi a canticchiarla mentre la parrucchiera gli lava i capelli.
** Capitan Ovvio: Vedi l’inizio de “Il Mastino di Baskerville” di Sherlock (BBC) e il racconto di Sir Arthur Conan Doyle “Il capitano di lungo corso”

 

   
 
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