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Autore: nuvolenere_dna    02/03/2012    2 recensioni
[ Con mani tremanti afferrò un pennello e trasformò quelle umide macchie frutto della sua sofferenza in splendide farfalle dai contorni incerti e abbozzati, le cui ali si diradavano nel candore accecante della tela. ]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kio Kaidou, Seimei Aoyagi, Soubi Agatsuma
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Introduzione: è la prima volta che pubblico in questo fandom, finora ho sempre e solo scritto e recensito nella sezione di Dragon Ball. Mi sono appassionata a Loveless recentemente, e mi ha incuriosito molto la natura del rapporto tra Soubi (che adoro) e Seimei, a mio parere di morboso amore non corrisposto, e anche la figura di Kio, nel mio modo di vedere innamorato di Soubi. Comunque questa è la mia visione, spero di non essere andata OOC con i personaggi, anche se comunque di Seimei si sa davvero poco e Soubi è abbastanza, come dire.. indecifrabile. Comunque, spero vi piaccia, e ci tengo a precisare che io adoro i cani, quindi una delle frasi finali non è da intendersi in senso dispregiativo verso di loro.
 
La fiction è situata prima dell’anime e del manga, e la parte centrale in corsivo è un flashback di Soubi, mentre le frasi in corsivo qua e là sono momenti e parole che ho voluto evidenziare in qualche modo.
Ci tengo a precisare che Soubi non ha alcuna colpa nella situazione iniziale, la storia è appunto paradossale per questo motivo.
Buona lettura, attendo un vostro parere! Grazie! :D
 
ND
 
Chou [Farfalla]
 
I suoi occhi blu e incredibilmente intensi stillavano lente e copiose lacrime, calde e brucianti sulle guance rese contuse e bluastre dalla violenza, mentre le sue spalle, leggermente incurvate in avanti, si contraevano ritmicamente in spasmi privi di alcun rumore.
Sedeva sul pavimento, le gambe piegate contro il petto nel tentativo di placare i brividi che scuotevano il suo corpo esile, la cui schiena nuda e segnata da smisurate cicatrici era coperta soltanto da lisci e sparsi capelli color cenere.
Il suo modo di piangere era silenzioso e impercettibile: deboli singhiozzi gli spezzavano il respiro irregolare e sconvolto, producendo soltanto un tenue suono inavvertibile.
Come per gli altri aspetti della sua persona, Soubi non dava alcuna importanza al proprio dolore. Non voleva essere consolato, perché dentro di lui albergava l’intima convinzione di meritare tutto quello che gli veniva fatto; non amava affatto la commiserazione, raramente permetteva alle persone di scorgere i suoi reali sentimenti. Il pianto non era altro che uno sfogo momentaneo della propria debolezza, della propria frustrazione, inaccessibile e celato agli altri.
Malamente raggomitolato a terra, con le punte dei piedi nudi che sfioravano i bordi di una tela ruvida e intatta, Soubi aveva un solo pensiero fisso in testa, che gli stringeva pericolosamente il cuore in una morsa dolorosa e pulsante.  
Il labbro inferiore, turgido e spaccato da un aggressivo schiaffo che gli aveva arrossato e illividito il viso, stillava rare gocce purpuree che una volta cadute sulla tela, si addensavano in nitide e scandite chiazze circolari. Non percepiva alcuna sensazione, temprato alla sofferenza fino allo spasimo, e nemmeno si accorgeva del sangue che gli impastava la bocca intridendola di uno strano e familiare sapore aspro e metallico. Le lacrime stesse, salate e abbondanti, bagnavano quella superficie, mischiandosi al liquido scarlatto e donandogli particolari sfumature rosate.
Con mani tremanti afferrò un pennello e trasformò quelle umide macchie frutto della sua sofferenza in splendide farfalle dai contorni incerti e abbozzati, le cui ali si diradavano nel candore accecante della tela.
 
Kio, pur distante dalla sua figura per diversi metri, scorgeva nitidamente il tremore delle sue membra. Rientrato a casa all’improvviso, aveva notato la porta della sua camera appena socchiusa, e percependo solo uno strano e opprimente silenzio aveva pensato che dormisse, ricredendosi una volta che lo aveva visto lì, raccolto a terra e di spalle, stringente tra le mani qualcosa di indefinito.
Non era la prima volta che sentiva Soubi piangere. Con il tempo aveva imparato a distinguere il debole rumore dei suoi singhiozzi, normalmente soffocati all’interno della sua stanza rigorosamente chiusa a chiave. Avrebbe tanto voluto avvicinarsi e abbracciarlo, perché sentiva un profondo senso di affetto nei suoi confronti, e ogni volta che lo vedeva in quello stato aveva l’irrefrenabile istinto di sfondare quella dannata porta per stringerlo finalmente a sé, per tentare anche invano di farlo stare meglio, lenendo le sue inquietudini più nascoste e profonde.
Ma, immancabilmente, si limitava a vegliare la sua porta, pregando in silenzio che la sua sofferenza smettesse, sperando di vederlo uscire da un momento all’altro, di nuovo pacato e serio come sempre.
Aveva tentato innumerevoli volte di venire a conoscenza del motivo della sua frequente disperazione, ma nella maggior parte dei casi le uniche risposte che trovava erano un impenetrabile silenzio e il livore che macchiava il suo corpo: Soubi si limitava a scuotere la testa e a non dire niente, escludendolo così dalla propria vita e dai propri sentimenti.
 
*
 
La verità era una sola: non era abbastanza per lui.
Non sarebbe mai stato abbastanza.
Se la sua esistenza non serviva a quello scopo, allora che senso aveva per lui vivere?
Se non riusciva a soddisfare la persona alla quale dedicava tutta la propria anima, il proprio corpo, tutto se stesso, che cosa avrebbe dovuto e potuto fare altrimenti?
Era sempre stato disposto ad accettare qualsiasi punizione, qualsiasi sofferenza, qualsiasi tortura, ma la sola eventualità di staccarsi da lui era insopportabile e lancinante.
 
- E’ solo colpa tua se abbiamo perso. – sibilò velenoso Seimei, gli occhi scuri e furenti, concentrati sulla figura di spalle di fronte a lui. Lo fissava come se desiderasse ucciderlo con le proprie mani, tentando di scavare la sua pelle con lo sguardo, incandescente dalla intensa brama di ferirlo.
Soubi non rispose, immobile. Percepiva gli occhi di Seimei su di sé, e l’odio palpabile nella sua voce gli aveva provocato brividi in tutto il corpo. La paura sempre crescente  indusse le sue membra a tremare: Seimei odiava perdere e ogni volta che succedeva addossava sempre la colpa al compagno, ritenuto l’unica causa della loro momentanea inferiorità, punendolo spietatamente e scaricando così su di lui ogni responsabilità.
- Girati immediatamente. – ordinò il Sacrificio, mentre l’astio nelle sue parole aumentava di tono. Il suo sguardo nero e profondo trafisse letteralmente gli occhi blu e spaventati del Combattente.
- Non vali niente, Soubi. – sussurrò avvicinandosi a lui, dosando i passi e accorciando la distanza fra loro con estrema lentezza, godendosi il suo terrore e desideroso di fargli pagare ogni singola catena luminosa che si era avvinghiata intorno al suo collo. – Non sei alla mia altezza. –
La sua mano destra si infranse con una ferocia disumana sulle sue guance più e più volte, rompendogli un labbro e annerendo quella pelle nivea e delicata con una crudeltà usuale e non nuova. Soubi non mosse un muscolo, limitandosi a socchiudere gli occhi lucidi e disperati, ignorando ogni sensazione proveniente dal suo corpo, che ormai gli sembrava lontano e insensibile.
- Sei solo un oggetto inutile! Mi fai pena! – continuava ad inveire Seimei, sempre più adirato, scagliandolo a terra con una spinta improvvisa e avventandosi su di lui come un animale, picchiandolo atrocemente. Avrebbe voluto sentirlo implorare pietà, supplicare sull’orlo delle lacrime di smettere quella violenza, avvinghiato alle sue ginocchia e con la voce tremante, per sentire forte e chiaro dentro di sé quel senso orgasmico di potere e sopraffazione, ma le uniche reazioni di Soubi erano brevi e disconnessi gemiti di dolore, soffocati nel tremore delle sue labbra, mentre le sue palpebre si appannavano nell’osservare con una commistione di paura e tristezza la figura di Seimei.
Seimei era il suo dio, la sua parola era legge.
Se Seimei diceva che la colpa era di Soubi, Soubi non poteva che essere d’accordo con lui:
non avrebbe mai né voluto né osato contraddire la persona che era tutto per lui, che rappresentava il suo intero mondo. Anche in quel momento, il Combattente non faceva altro che sentirsi colpevole di una qualche mancanza che, seppur non riusciva ad individuare, doveva certamente esserci stata.
Aveva sbagliato in qualcosa. Meritava dunque una punizione.
- Mi sono decisamente stufato di te. Mi cercherò un altro Combattente. – esordì con un tono divertito, mentre gli occhi gli scintillavano di una maligna e provocante malizia, godendosi l’improvviso smarrimento in quelli di Soubi, spalancati e dalle sfumature rossastre. Le sue mani smisero di picchiarlo, godendo intimamente  dall’effetto che quelle semplici parole avevano avuto su di lui.
- No.. No...Ti prego.. – le sue parole impastate dall’ansia erano colme d’angoscia. Alcune rare lacrime cominciarono a solcargli lentamente il volto, ormai sconvolto e irriconoscibile dalla disperazione. Nel tentativo di nasconderle, afferrò le spalle del Sacrificio, schizzate del suo stesso sangue, aggrappandovisi, come a volerlo trattenere a sé.
Essere abbandonato da Seimei.
Non riusciva nemmeno a pensare all’idea di una vita lontano da lui. Una sensazione di freddo e solitudine si insinuò dentro di lui, portando le sue mani a tremare terribilmente, ancora strette compulsivamente alle scapole del compagno.
- Mi fai pena. – come coltellate le sue parole lo attraversarono. Seimei alzò le sopracciglia, visibilmente disgustato, e si staccò bruscamente da lui, lanciandogli solamente un’occhiata di puro disprezzo. Cominciò a camminare e se ne andò senza più voltarsi.
- Perdonami. – mormorò Soubi in un ansito spezzato, notando le sue spalle diventare sempre più lontane e sfocate nelle sue iridi umide e malinconiche.
 
Nel ripercorrere con maniacale precisione gli eventi accaduti poco prima, i suoi singhiozzi aumentarono di intensità e in breve tempo si ritrovò scosso da violente convulsioni che gli serravano la gola e il respiro.
Una sensazione di soffocamento, di asfissia, di profondo e indistinguibile oblio.
Una vita senza Seimei.
Panico, solitudine, paura, ansia, smarrimento nell’abisso.
I suoi occhi non distinguevano più la tela, le mura della stanza, i contorni stessi del proprio corpo. Solo una profonda e tetra notte dell’anima, dominata dall’offuscamento, dalla divorante mancanza.
Lontano da lui non poteva, non riusciva, non voleva esistere.
Si portò istintivamente le mani al collo, come a volersi liberare da quelle tenebre che per quanto immateriali, lo laceravano dall’interno, e le strinse spasmodicamente, affondando inconsciamente le dita in quella ampia e sofferta cicatrice.
Si accasciò a terra, crollando sulla tela appena asciutta.
Kio non poteva sopportare una simile visione. Voleva davvero bene a Soubi e nonostante sapesse che desiderava rimanere solo in quel certo genere di momenti, decise di intervenire comunque. Simili eventi accadevano sempre più spesso, e per una volta che non vi era una porta chiusa a chiave a separarlo da lui, voleva approfittare dell’occasione per fargli sentire la sua presenza.
 
Si avvicinò lentamente alle sue spalle, sollevando il corpo tremante dell’amico e abbracciandolo affettuosamente, prendendogli delicatamente la testa e portandosela sul petto, accarezzandogli i capelli fini e setosi. Soubi non si ribellò a quella dolce stretta, abbandonandosi contro di lui e socchiudendo per un attimo gli occhi arrossati e gonfi di lacrime, lasciando che il calore lo avvolgesse, placando lievemente i suoi brividi.
Kio gli girò con attenzione il viso per poterlo guardare, e nel notare le sue labbra innaturalmente scarlatte si incupì improvvisamente, notando immediatamente che sia sul suo viso che sul suo corpo erano presenti numerosi lividi.
- Ti ha picchiato di nuovo, non è così? – la sua voce, in un istante diventata irata e colma di collera, ruppe il silenzio, mentre un impeto oscuro si impadroniva di lui. Odiava Seimei con tutto se stesso, ma soprattutto il modo in cui riusciva a ridurre Soubi senza farsi il minimo scrupolo di coscienza.
- Avanti, dimmelo, è stato Seimei, vero? – continuò, furioso, tentando di bloccare i suoi occhi sfuggenti nei propri.
Soubi scosse la testa lievemente, mentre si allontanava dalle sue braccia calde e accoglienti.
- Voglio rimanere solo. – singhiozzò in un debole sussurro, alzandosi sulle gambe instabili e vacillanti.
 
*
 
Soubi si coricò, infilandosi sotto le coperte, nella speranza di ritrovare nel sonno un momentaneo sollievo dal dolore che gli attanagliava il petto e l’anima. Il suo letto aveva un lato contro il muro, e proprio su quello si addossò, facendovi aderire la fronte accaldata.
Seimei.
Il solo pensiero di lui, di averlo deluso, di non essere più suo, lo fece piangere senza più alcun ritegno per intere ore, mentre stringeva fra le dita doloranti le lenzuola chiare e fresche in modo compulsivo, invocando e sussurrando instancabilmente il suo nome, bagnando il cuscino di lacrime, mentre il crepuscolo arrossava il cielo, facendo calare nella stanza una tenue penombra.
Solo a notte inoltrata, ormai sfinito dal pianto prolungato, si addormentò.
 
Kio vegliò sulla sua porta fino a quando non sentì i suoi singhiozzi diradarsi lentamente per poi spegnersi nel sonno. A quel punto, troppo sconvolto per dormire, si era recò in cucina per bere qualcosa di caldo, nel tentativo di placare l’angoscia e il dispiacere.
 
*
 
Nel giro di poche ore, uno strano rumore risuonò nella casa buia e silenziosa.
Una chiave che girava nella serratura, aprendo la porta d’ingresso.
Kio si inquietò terribilmente a quel suono: erano entrambi in casa e, che lui sapesse, nessuno possedeva le loro chiavi di casa. Un orribile presentimento si fece strada nella sua mente: poteva essere soltanto lui. Un moto di orrore gli fece spalancare gli occhi chiari, e la curiosità lo spinse nell’atrio, dove si trovò davanti il bersaglio prediletto del suo odio, della sua invidia, del suo disprezzo: Seimei.
 
- Che cosa diavolo vuoi? Vattene immediatamente! – gli intimò, tentando di non mostrarsi impaurito, ma parandosi davanti a lui con tutta la fierezza e l’autorità di cui era capace. Se Soubi non era in grado di difendersi da solo, allora lo doveva fare lui. Non poteva permettere a quell’essere crudele e spietato di portargli lentamente via il suo migliore amico, colui che segretamente amava, colui che poco a poco stava sfiorendo, lentamente prosciugato a causa di tutti i supplizi e le sofferenze patite.
Lo vedeva continuamente crogiolarsi nelle sue inquietudini: non vedeva da molto tempo agitarsi in quello sguardo blu estremamente enigmatico qualcosa di diverso dal timore e dalla malinconia.
Seimei rise di gusto, considerando la sua scortesia come uno scherzo, scansandolo deliberatamente e dirigendosi verso la camera del compagno.
- Non osare avvicinarti a lui! Mi sembra che per oggi tu abbia già fatto abbastanza! – urlò amaramente il ragazzo, tentando di scalfire quegli occhi neri e impalpabili, ribollenti di una strana determinazione. Aveva anche lui, come tutti, una terribile paura di Seimei, noto per la sua spietatezza e crudeltà, ma non doveva darglielo a vedere.
- Soubi è mio. – sibilò Seimei, scandendo bene le parole con aria di sfida e schiudendo le labbra in un sorriso di incredibile malizia e scherno. Voleva proprio vedere fino a che livello quello sciocco idealista poteva arrivare, perché, nella realtà, nessuno poteva opporsi a lui e ai suoi incredibili poteri.
- Perché lo hai picchiato ancora? Che cosa ti ha fatto di male? – si ostinò a chiedergli, completamente incredulo di fronte al fatto che una persona potesse essere tanto malvagia e provocare consapevolmente dolore agli altri, specialmente a chi lo ama. Nonostante non lo avesse mai detto esplicitamente, Kio era perfettamente consapevole del fatto che Soubi fosse morbosamente innamorato di Seimei e desiderasse quindi solo di proteggerlo e rimanere al suo fianco, indipendentemente dai terrificanti trattamenti ricevuti.
- Non sono affari che ti riguardano. Non mi risulta che tu sia importante per Soubi. Del resto, io sono tutto per Soubi. – rise Seimei, divertendosi ad umiliarlo, abbassando il suo ruolo a quello di una nullità senza alcuna voce in capitolo. Provava un mal celato divertimento nell’offendere e mortificare gli altri, e quel ragazzo era una vittima decisamente soddisfacente, nel suo essere così pateticamente affezionato all’oggetto preferito delle sue torture.
- Non è vero! Non azzardarti a dire cose del genere perché tu non sai niente! – strillò, ormai fuori controllo, afferrando temerariamente il suo braccio già teso verso la porta della camera di Soubi. Non temeva più niente, adesso. Quel mostro senza scrupoli non doveva e non poteva arrischiarsi a giudicare il suo rapporto con l’amico, certamente più vero e autentico.
- Toglimi quella mano di dosso, altrimenti ti uccido. – sibilò Seimei, improvvisamente serio, stemperando quegli occhi chiari nei propri, intensi e neri, profondamente atroci ed agghiaccianti.
Un brivido di freddo attraversò il corpo di Kio, intimamente combattuto. Alla fine, vinto dalla consapevolezza che la persona di fronte a lui non si sarebbe fatta alcun problema nello spezzare la sua giovane vita, lasciò il suo braccio, sentendosi un codardo e abbassando irrimediabilmente lo sguardo. Dunque, non riusciva a difenderlo. Si arrabbiò con se stesso per essere così debole e insicuro, al punto da non riuscire a proteggere una delle persone che amava di più al mondo dalla violenza gratuita di quell’individuo.
- Soubi è soltanto mio, e io faccio di lui tutto quello che voglio. – dichiarò Seimei, appagato e compiaciuto del suo silenzio, riaprendo il sorriso enigmatico e sibillino.
 
*
 
Una mano gli accarezzava le guance livide, vagando sui suoi zigomi pronunciati, sfiorandogli le palpebre turgide e arrossate, percorrendo i suoi lineamenti sottili e delicati con una lentezza quasi esasperante.
Soubi si svegliò, rimanendo immobile nel buio per godere di quelle inusuali tenerezze.
Non era certo di conoscere il proprietario di quel tocco, probabilmente stava ancora sognando e non valeva la pena di interrogarsi su di un’identità che poteva anche non esistere affatto, ma aveva un qualcosa di terribilmente familiare e conosciuto.
Quelle dita fredde e lisce continuarono a toccarlo, fermandosi poi sul labbro spaccato e ancora sanguinante, schiudendolo leggermente e cominciando a torturarlo adagio, provocandogli un leggero e strano dolore.
Soubi aprì gli occhi nelle tenebre, il cuore aveva cominciato a battergli affannosamente nel petto, ormai consapevole di chi sedeva sulla sponda opposta del letto. Si girò gradualmente, tentando di riconoscere quella figura nell’ombra.
- Seimei.. – sospirò, richiudendo gli occhi e rilassandosi contro quella mano, sentendo qualcosa dentro diventare più leggero. Dopotutto, se era nella sua camera da letto in piena notte significava che allora lo voleva ancora. Doveva essere per forza così. Nuove e timide lacrime di commozione lambirono le dita del Sacrificio, innaturalmente fredde e prive di turbamento.
- Alzati immediatamente. – ordinò Seimei, inflessibile, infastidito da quelle assurde e inaspettate gocce che avevano sfiorato la sua pelle insensibile, allontanandosi repentinamente dal suo viso e scostando bruscamente le coperte che avvolgevano il suo corpo seminudo, esile e ferito. Non c’era nemmeno una vaga ombra di rimorso nei suoi occhi scuri e indecifrabili.
Soubi si sollevò di colpo, percependo le proprie membra indolenzite ed ematomi scuri pulsare sulla pelle straordinariamente diafana e delicata, ma non disse nulla.
- Dobbiamo combattere. – lo informò il Sacrificio, mentre lo osservava infilarsi una camicia, abbottonarne i passanti e avvolgersi distrattamente una sciarpa intorno al collo.
L’emozione riempì il corpo e la mente di Soubi, decisamente rincuorato.
Allora lo desiderava ancora, non lo avrebbe lasciato solo, non avrebbe cercato un altro Combattente, ma gli avrebbe permesso di rimanere al suo fianco, come era nel più profondo dei suoi desideri; era stata un’orrida bugia dal sapore devastante, che gli aveva letteralmente spezzato il cuore a metà, ma, per fortuna, solo una sporca e inutile menzogna.
Il suoi occhi blu e intensi rilucevano di una strana emozione, e il barlume di conforto dentro di essi doveva essere talmente evidente da provocare le sguaiate risa di Seimei, estremamente divertito. Non poteva crederci: lo aveva picchiato a sangue, lo aveva insultato, gli aveva mentito al solo scopo di torturarlo e ferirlo, e non appena dissimulava un vago interesse nei suoi confronti, quell’essere scivolava di nuovo ai suoi piedi, fedele e disponibile?
- Sei davvero patetico, Soubi. – rise, ambiguo, sciogliendosi in un ammaliante sorriso.
La straordinaria crudeltà di Seimei si vedeva in questi brevi e fuggevoli gesti: pur consapevole di essere amato completamente e totalmente da lui non aveva la benché minima pietà e considerazione dei suoi sentimenti. Si era recato nella sua camera da letto e lo aveva accarezzato per un senso di pena, derisione e mal celata commiserazione.
Soubi non rispose alla sua provocazione, e girandosi per aprire la porta indugiò per un attimo, mentre i suoi capelli morbidi e color cenere ondeggiavano ancora sulle sue spalle.
- Grazie per avermi perdonato. – mormorò contro lo stipite, con un tono di voce basso e sommesso,  stringendo nervosamente le labbra e riducendo gli occhi in fessure scure e malinconiche.
 
*
 
- Distruggili, Soubi. – ordinò Seimei, ormai stufo di combattere. La loro superiorità era evidente, e non aveva alcuna voglia di continuare in un’insensata lotta con degli insulsi mocciosi non al loro livello. Soubi annuì con la testa, agitato e allo stesso tempo inebriato dal suono della sua voce, deciso a soddisfare qualsiasi suo desiderio.
 
Innumerevoli, indistinte, indefinite, meravigliose farfalle colore del cielo scaturirono dalle sue mani, librandosi intorno alla sua figura, spezzando le tenebre del sistema e cominciando a brillare di una strana e accecante luce; un senso di potere crescente invase le sue membra chiare, cariche di eccitazione e di frenesia. Soubi socchiuse le palpebre, vinto da quella strana energia abbagliante alla quale aveva dato vita.
Le farfalle, bellissime ma cariche di un dolore intrinseco, portatrici di sofferenza e sconfitta, volavano impazzite in ogni direzione, simili ad uno sciame di api spaventate.
Soubi bruciava, ardeva di passione, d’amore per Seimei: si sentiva andare a fuoco, trafitto dai suoi occhi scuri e carichi di aspettativa; l’esaudire le sue richieste era per lui un qualcosa di dolce e soddisfacente, la cui sola idea lo faceva sentire finalmente completo e integro. Si accarezzò la cicatrice sul collo, che lo marchiava di quel nome che lo legava indissolubilmente a lui, in una connessione imprescindibile dai caratteri carnali e ossessivi, violenti e allucinati; era incandescente, pulsante, di uno strano dolore piacevole. Era il dolore malinconico e nostalgico che contraddistingueva il suo rapporto con Seimei.
Questo è il mio amore per te.
La sua vicinanza, terribile e attraente allo stesso tempo, fece vibrare di un autentico e trascinante piacere tutto il suo corpo, teso per lo sforzo. Sentiva il suo sguardo profondo e ambiguo scrutarlo senza grazia, come a volerlo spogliare, asservendolo a se stesso in maniera inspiegabile e misteriosa.
Questa volta non doveva deluderlo.
Non se lo sarebbe mai perdonato.
Le farfalle si fermarono nel cielo, per poi trasformarsi in aghi di luce, taglienti e incisivi, che si lanciarono in picchiata verso gli avversari come lance di guerra; la furia di Soubi non risparmiò nessuno, la ferocia e il desiderio di compiacere Seimei erano più forti di qualsiasi pensiero razionale.
 
*
 
La speranza di vedere nei suoi occhi una sorta di apprezzamento, un barlume di orgoglio, di rispetto, di ammirazione, gli impedì di girarsi immediatamente verso di lui, ancora alle sue spalle. Quella era la sua più grande prova, quella che decretava se poteva ritenersi sereno, consapevole di aver fatto qualsiasi cosa in suo potere per servirlo e soddisfarlo.
- Sei stato bravo, Soubi. – ridacchiò Seimei, divertito e incuriosito dalla straordinaria atrocità con la quale si era accanito contro quei semplici nemici, nemmeno particolarmente meritevoli.
Il sorriso gli si allargò sul volto, equivoco ed incomprensibile, mostrando i denti candidi e regolari.  Dunque era questo che poteva ottenere da lui: pur di farsi amare e apprezzare da Seimei, Soubi era disposto a qualsiasi cosa, qualsiasi crudeltà, qualsiasi gesto, estraendo una forza nascosta, rabbiosa, albergante nei meandri del proprio cuore perennemente contratto e nervoso. E questo, Seimei lo sapeva bene.
Mentre incontrava i suoi occhi talmente intensi da tendere all’indaco, li vide nuovamente lucidi, ma questa volta dalla commozione, nata da quelle semplici parole senza significato, senza un reale intento di lodarlo, ma dette solo per schernirlo, per abbassarlo ulteriormente al livello di un banale schiavo dedito a soddisfare le sue ambizioni. Soubi si sentiva scoppiare dall’emozione, il suo cuore si era alleggerito di un peso insostenibile, rilassandosi e crogiolandosi per un istante in un senso di pienezza, ripulita da quei terrori insanguinati e carichi di lacrime di disperazione, ricolmi di oblio e di morte.
- Grazie. – rispose Soubi, mentre le labbra gli tremavano visibilmente dal trasporto e dal turbamento e la sua voce si faceva roca e bassa, gorgogliante nella sua gola.
 
Il sorriso di Seimei si allargò ancora di più.
Era proprio quello di cui aveva bisogno: di un cane, non di una persona.
 
 
*
  
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